Jus CivileISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

La comunicazione al pubblico di opere protette dal diritto d'autore nel World Wide Web. Limiti all'utilizzo degli hyperlink per viaggiare nel ciberspazio (di Michael William Monterossi)


Il contributo si occupa di analizzare le questioni giuridiche attinenti all’uso di collegamenti ipertestuali (o hyperlink) per comunicare contenuti protetti dal diritto d’autore, per verificare se ed entro quali limiti la normativa europea posta a protezione del diritto d’autore nella sfera digitale – e, segnatamente, la Direttiva 2001/29/CE – subordini tale pratica alla preventiva autorizzazione dell’autore del contenuto.

Sulla questione, a lungo dibattuta in dottrina, si è pronunciata numerose volte la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE), da ultimo a grande sezione nel giudizio VG Bild-Kunst v. Stiftung Preußischer Kulturbesitz. L’analisi della casistica consente di evidenziare come la Corte, basandosi sulla c.d. dottrina del consenso implicito, tenda a far dipendere la decisione circa la liceità dell’atto di comunicazione effettuata tramite hyperlink in assenza di autorizzazione dalla eventuale previsione, a opera del titolare del diritto d’autore, di misure tecnologiche volte a limitare l’accesso o l’uso del contenuto protetto.

L’Autore intende mettere in rilievo come la giurisprudenza così elaborata dalla Corte, sebbene apparentemente permissiva verso l’uso di hyperlink, non appaia del tutto aderente alle norme e ai principi che regolano la proprietà intellettuale, comportando un disincentivo alla diffusione di contenuti protetti online anche quando la tutela del diritto d’autore non risponde alle esigenze che giustificano il riconoscimento dell’esclusiva.

Il tema assume oggi particolare rilievo, considerando l’impatto che la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea può esercitare in relazione all’applicazione della più recente Direttiva UE 2019/790 sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale.

The communication to the public of works protected by copyright on the world wide web. Limits on the use of hyperlinks to travel in cyberspace

This article addresses the legal issues related to the use of hyperlinks to communicate copyright protected content, in order to verify whether and within which limits the European legislation on copyright in the digital sphere - and, in particular, Directive 2001/29/EC - makes this practice subject to the authorization by the author of the content.

This issue, long debated in doctrine, has been brought to the attention of the Court of Justice of the European Union (CJEU) on several occasions, the last of which in the VG Bild-Kunst v. Stiftung Preußischer Kulturbesitz judgment, decided in the Grand Chamber.

The Court has elaborated a line of interpretation which, by relying on the so-called implied consent doctrine, tends to make the decision on the lawfulness of the act of communication made by the hyperlinker in the absence of an authorization dependent on whether the holder of the right has limited the access to or use of the copyright content through technological measures.

The Author highlights how the reasoning adopted by the CJEU, although apparently permissive towards the use of hyperlinks, does not appear to adhere to the rules and principles governing intellectual property, resulting in a disincentive to the dissemination of protected content online even when the recognition of an exclusivity in favor of the right holder does not seem to be justified.

The topic takes on particular relevance nowadays, considering the impact that the decisions handed down by the CJEU may exert on the application of the recent EU Directive 2019/790 on Copyright and related rights in the digital single market.

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Michael William Monterossi - La comunicazione al pubblico di opere protette dal diritto d’autore nel World Wide Web. Limiti all’utilizzo degli hyperlink per viaggiare nel ciberspazio

SOMMARIO:

1. Introduzione. - 2. Note preliminari: le diverse forme di collegamento ipertestuale. - 3. Il collegamento ipertestuale nella prospettiva del diritto d’autore. La Direttiva 2001/29/CE. - 4. La giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea: il collegamento ipertestuale come «atto di comunicazione al pubblico» e l’applicazione del criterio del «pubblico nuovo» alla sfera digitale - 5. Dietro il criterio del «pubblico nuovo»: teoria del «consenso implicito» e (mancata) adozione di misure tecnologiche di protezione. - 6. La teoria del «consenso implicito» oltre il criterio del «pubblico nuovo». - 7. Adozione di misure tecnologiche e limiti all’uso di hyperlink. - 8. Verso una classificazione delle ipotesi di hyperlink che rinviano a opere protette dal diritto d’autore.


1. Introduzione.

A partire dal 2012, la Corte di giustizia dell’Unione europea è stata a più riprese interpellata dalle corti nazionali per rispondere a dubbi interpretativi relativi all’applicazione della Direttiva 2001/29/CE sull’armonizzazione del diritto d’autore nella società dell’informazione, nell’ipotesi in cui le opere protette siano messe a disposizione del pubblico tramite la tecnica del collegamento ipertestuale (hypertext link o, più brevemente, hyperlink). Com’è noto, l’art. 3, par. 1, della citata Direttiva impone agli Stati membri di attribuire agli autori di contenuti originali il diritto esclusivo di autorizzare o vietare la comunicazione al pubblico delle loro opere. Se è pacifico che, in base a tale disposizione, qualunque atto di riproduzione o comunicazione al pubblico di un’opera da parte di un terzo attraverso la rete Internet necessiti del previo consenso del suo autore, si è reso nel tempo necessario chiarire se, ed eventualmente in quali circostanze, anche le comunicazioni “secondarie” di detti contenuti, effettuate per mezzo di collegamenti ipertestuali, richiedano a loro volta l’autorizzazione del titolare del diritto sull’opera, per poter essere lecitamente compiute. Si tratta di un tema complesso, che occupa una piccola schiera di studiosi, specie oltreoceano, a dispetto della crescente rilevanza – non solo giuridica, ma anche e soprattutto socio-economica – che dette questioni rivestono all’interno della sfera digitale. La tecnica dell’hyperlink può avere importanti ricadute, oltre che sull’effettivo esercizio delle prerogative riconosciute agli autori, sulla tutela dei diritti e delle libertà fondamentali che con esse entrano in collisione: tra le quali, specialmente, la libertà di iniziativa economica, la libertà d’espressione nonché l’accesso alla cultura e all’informazione, che proprio nel web trovano ormai un luogo imprescindibile per il loro esercizio. L’affermazione acquista oggi ancor più pregnanza, laddove si ponga a mente che, con l’entrata in vigore del nuovo art. 17 della Direttiva (UE) 2019/790 (c.d. Direttiva Copyright), i prestatori di servizi di condivisione di contenuti online potranno consentire l’accesso al pubblico di contenuti protetti, su richiesta degli utenti, solo dopo aver ottenuto [continua ..]


2. Note preliminari: le diverse forme di collegamento ipertestuale.

L’importanza nodale delle questioni affrontate dalla Grande Sezione della Corte di giustizia risulta evidente se solo si consideri che esse investono, minandola, la quintessenza della tecnologia nota come World Wide Web: vale a dire, la possibilità per gli utenti di viaggiare tra gli innumerevoli siti web di cui è costellato il ciberspazio, pur senza essere a conoscenza degli indirizzi che definiscono la loro precisa collocazione all’interno della rete Internet. Ad abilitare tale funzionalità è precisamente il collegamento ipertestuale. Da un punto di vista tecnico, il collegamento ipertestuale è un’istruzione, espressa in linguaggio HTML e rivolta al browser dell’utente, che consente a quest’ultimo di accedere, partendo dal sito Internet in consultazione, alle risorse contenute in un altro sito Internet. Tale operazione non implica alcuna archiviazione (se non in alcuni casi temporanea)[1] di informazioni digitali sul server web del sito inizialmente consultato dall’utente, posto che la visualizzazione delle risorse costituisce la risposta all’interrogazione, mediata dall’hyperlink, che viene fatta direttamente al server che ospita le pagine del sito di destinazione. I collegamenti ipertestuali creano dunque delle “porte di accesso” secondarie ai siti web, sfruttando le quali l’utente può raggiungere una delle molteplici pagine di cui essi si compongono ovvero singole risorse – quali file di testo, file video o audio – in tali pagine contenute, senza necessità di seguire il protocollo di accesso canonico, che esigerebbe l’inserimento dell’indirizzo URL (Uniform Resource Locator) nel campo dell’indirizzo del browser web e la successiva pressione del tasto invio del proprio computer[2]. L’accesso alle risorse del sito cui il link rinvia può tuttavia assumere una forma più o meno diretta, a seconda della diversa istruzione veicolata dal collegamento ipertestuale. Alcuni tipi di link contengono esclusivamente l’indirizzo URL del sito al quale rinviano, sicché l’utente, dopo aver cliccato la relativa stringa di testo (ben riconoscibile, come noto, dal colore blu e dalla sottolineatura che la connota) ovvero l’immagine (più spesso una sua copia in miniatura, nota come thumbnails) che lo incorpora, sarà ridiretto alla pagina di presentazione, la c.d. home [continua ..]


3. Il collegamento ipertestuale nella prospettiva del diritto d’autore. La Direttiva 2001/29/CE.

Sebbene la tecnica del collegamento ipertestuale, si ponga al cuore del funzionamento del World Wide Web (e, insieme, della rete Internet), essa acquista un potenziale di illiceità, ogniqualvolta il contenuto cui fa rinvio sia oggetto di un monopolio in capo al suo autore. La diffusione delle opere protette all’interno della rete Internet incontra invero un limite nel diritto esclusivo dell’autore di autorizzare o vietare «la messa a disposizione del pubblico» delle proprie opere, come parte del più ampio «diritto di comunicazione al pubblico», sancito dall’art. 3, par. 1, della Direttiva 2001/29. La disposizione riprende, con identico linguaggio, l’art. 8 del World Copyright Treaty (WCT), con il quale l’Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale (OMPI)[1], appena pochi anni prima, aveva introdotto la prerogativa in esame come vertice di una più ampia strategia volta a modernizzare il quadro di tutela del diritto d’autore per rispondere ai dirompenti cambiamenti tecnologici che a quel tempo iniziavano a rendere possibili forme di circolazione e sfruttamento immateriali delle opere, rispetto alle quali l’assetto delle prerogative riconosciute dalla Convenzione di Berna sul diritto d’autore risultava insufficiente[2]. Si ritenne allora che, per garantire «un elevato livello di protezione della proprietà intellettuale» all’interno della sfera digitale[3], fosse necessario ampliare il novero delle prerogative di matrice patrimoniale riconosciute al titolare del diritto, per ricomprendere nell’ambito dell’esclusiva anche quelle modalità di diffusione al pubblico, proprie della trasmissione delle opere via web, nelle quali l’accesso degli utenti è effettuato dal luogo e nel momento che ciascuno di essi sceglie. Fissando un generale divieto di diffusione delle opere in assenza di una previa autorizzazione del titolare del diritto, si intendeva assicurare agli autori la forza contrattuale necessaria per ottenere un «adeguato compenso» per il loro utilizzo (e, ai produttori, per ottenere le risorse necessarie per poter finanziare le creazioni intellettuali) e, per tale via, garantire quegli incentivi economici e di mercato che, secondo l’impostazione teorico-concettuale su cui si fonda il sistema di intellectual property, sono essenziali per stimolare l’attività di [continua ..]


4. La giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea: il collegamento ipertestuale come «atto di comunicazione al pubblico» e l’applicazione del criterio del «pubblico nuovo» alla sfera digitale

Se lo scopo della normativa emerge chiaramente dalla lettura dei considerando che precedono l’articolato, la sinteticità e, per certi versi, l’ambiguità del fraseggio utilizzato all’art. 3, par. 1, della Direttiva 2001/29 hanno sollecitato di un’intensa attività interpretativa – e armonizzatrice – da parte della Corte di giustizia, volta a definirne il senso e la portata applicativa, specie con riguardo all’uso di collegamenti ipertestuali. Già a partire dai primi anni Duemila, i tribunali di diversi Stati membri erano stati chiamati a valutare la liceità della pratica consistente nell’uso di hyperlink per ridirigere gli utenti verso contenuti già diffusi online, con l’autorizzazione dell’autore, su altri siti web. La copiosa giurisprudenza formatasi sul tema, pur se relativa a fattispecie tra loro diverse, lasciava intravedere le linee di una comune impostazione. Si riteneva che, in linea di principio, il collegamento ipertestuale non costituisse un atto di comunicazione al pubblico e, come tale, il suo utilizzo da parte del gestore di un sito web, privo di autorizzazione per l’utilizzo delle opere protette, non determinasse una violazione delle norme in tema di diritto d’autore. Nonostante ciò, ricorrendo determinate circostanze, il suo uso avrebbe potuto dar luogo a una responsabilità a titolo di concorso alla realizzazione dell’illecito[1]. A partire dal caso Svensson[2], tuttavia, la Corte di giustizia ha configurato un approccio alla questione diverso e, per certi versi, opposto a quello fatto proprio dalle corti dei diversi Stati membri. A giudizio della Corte, il collegamento ipertestuale verso opere tutelate dal diritto d’autore soddisfa, in linea di principio, i due criteri necessari per poter rientrare nell’ambito applicativo di cui all’art. 3, par. 1, della Direttiva 2001/29. L’hyperlink costituisce un «atto di comunicazione», in quanto atto idoneo a mettere a disposizione degli utenti le opere pubblicate sul sito cui fa rinvio, senza che peraltro sia determinante, ai fini della qualificazione, che questi ultimi si avvalgano o meno di tale possibilità[3]; esso si rivolge inoltre a un «pubblico», in quanto diretto a un «numero indeterminato» e «piuttosto considerevole» di destinatari potenziali, coincidente con tutti gli utilizzatori [continua ..]


5. Dietro il criterio del «pubblico nuovo»: teoria del «consenso implicito» e (mancata) adozione di misure tecnologiche di protezione.

Si è segnalato nelle pagine precedenti come la liceità della tecnica dell’hyperlink dipenda dalla capacità di quest’ultimo di mettere l’opera a disposizione di un pubblico diverso da quello per il quale l’autore ha acconsentito alla sua diffusione nel contesto della comunicazione primaria[1]. Si è altresì potuto osservare come l’individuazione di un pubblico «nuovo» sia fatto dipendere, a sua volta, dall’eventuale esistenza di misure tecnologiche (e dalla conseguente elusione garantita dal link) volte a limitare la diffusione dell’opera nel web: la loro mancata adozione è assunta quale fattore decisivo da cui inferire l’intenzione del titolare di mettere l’opera a disposizione di tutti gli internauti. Questa tecnica argomentativa non è nuova al giurista più familiare con il diritto di proprietà intellettuale. Essa richiama infatti un particolare dispositivo concettuale – elaborato nel contesto del copyright law anglo-americano e circolato anche in taluni sistemi di civil law – che prende il nome di teoria del «consenso implicito» o della «licenza implicita»[2]. Prima di saggiare la tenuta dell’impianto concettuale eretto dalla Corte di giustizia, conviene spendere qualche parola su tale teoria. In via di prima approssimazione, si parla di «consenso implicito» o «licenza implicita» per riferirsi a un particolare processo interpretativo-ricostruttivo, in virtù del quale il giudice riconosce come lecito un determinato uso di un’opera protetta, sebbene non espressamente autorizzato dal titolare del diritto, sul presupposto che una qualche condotta di quest’ultimo abbia indotto altri soggetti a inferire che il titolare stesso abbia prestato il proprio consenso a quell’uso[3]. Da un punto di vista metodologico, la dottrina presenta taluni profili di affinità con la tecnica integrativa, nota come «implication», di cui i giuristi di common law (sia inglesi che statunitensi) si servono per ricostruire gli aspetti lacunosi o incompleti del regolamento contrattuale, attraverso l’inserimento di clausole ritenute in esso implicite (implied terms)[4]. Nel contesto del diritto di proprietà intellettuale, tuttavia, la tecnica in parola assume una connotazione più complessa sotto il profilo funzionale, rinviando a [continua ..]


6. La teoria del «consenso implicito» oltre il criterio del «pubblico nuovo».

Con a mente queste premesse, è ora possibile soffermare l’attenzione sul modo in cui la giurisprudenza di Lussemburgo ha applicato la teoria del «consenso implicito» nel contesto delle decisioni relative all’uso di collegamenti ipertestuali. Come anticipato, nei casi esaminati la Corte è ricorsa a tale dispositivo concettuale per assumere che il titolare, nell’autorizzare la comunicazione dell’opera su un sito liberamente accessibile, abbia acconsentito a mettere l’opera a disposizione di tutti gli internauti. In questo senso, il consenso implicito trova il suo punto di incidenza nel contesto della comunicazione iniziale dell’opera, sì da integrare il contenuto dell’autorizzazione in quella sede rilasciata e, di regola, inglobata all’interno di un negozio da questi stipulato con il gestore del sito web su cui le opere sono pubblicate. Questa conclusione, seppur agevolata dall’uso di un criterio già disponibile all’interno della giurisprudenza, appare insoddisfacente sotto diversi profili. Un primo nodo critico concerne l’estensione del pubblico originario a tutta la platea degli internauti. L’assunto conduce al paradossale esito di addebitare alla volontà del titolare – desunta dal solo fatto di aver pubblicato un’opera su un sito liberamente accessibile – la scelta di privarsi del potere di sfruttare economicamente l’opera in futuro. Occorre infatti osservare che, portando alle estreme conseguenze il ragionamento della Corte, la garanzia di accesso all’opera nei confronti di tutti i potenziali utenti di Internet vale quanto a impedire al titolare del diritto di contrattare la concessione di una licenza d’uso con altri gestori di siti web, posto che, in mancanza di misure restrittive all’accesso del sito, tutti potrebbero mettere le opere a disposizione degli utenti dei rispettivi siti. Oltre a essere contraria alla logica che sorregge l’attribuzione del diritto esclusivo di comunicazione al pubblico, questa soluzione interpretativa si pone in contrasto con il principio di non-esaurimento del diritto esclusivo di comunicazione al pubblico[1]. Ciascun utente potrebbe invero scaricare l’opera protetta dal sito sul quale è stata pubblicata e poi riprodurla su un diverso sito, archiviandone una copia direttamente sul server che ne ospita le pagine web: il pubblico della messa a [continua ..]


7. Adozione di misure tecnologiche e limiti all’uso di hyperlink.

In una prospettiva di logica giuridica, l’utilizzo di una finzione dovrebbe giustificarsi solo laddove negare la realtà assicuri, nell’economia della teoria in cui essa opera, benefici maggiori dei costi che produce. Non sembra essere questo il caso della finzione del «consenso implicito». Oltre ai potenziali costi legati alle ambiguità che, come visto, connotano l’applicazione di tale teoria, il maggior prezzo da pagare si sconta sul piano metodologico. A stretto rigore, la dottrina dovrebbe operare fintantoché manchi una espressa manifestazione di volontà del titolare del diritto, lasciando all’interprete lo spazio necessario per legittimare il suo intervento nella prospettiva di individuare il giusto punto di equilibrio tra gli interessi concorrenti. Di diverso avviso sembra essere la Corte di giustizia, che non resiste alla tentazione di sfruttare (per quanto solo implicitamente) la teoria in esame per disciplinare le situazioni diametralmente opposte, in modo perfettamente speculare. Si afferma, in altre parole, che laddove il titolare del diritto adotti misure tecnologiche e la comunicazione secondaria, operata tramite collegamento ipertestuale, ne comporti l’elusione, la violazione del diritto d’autore è sostanzialmente inesorabile. E ciò – come già osservato – a prescindere dal fatto che le misure operino nel senso di limitare il pubblico che ha accesso al sito ovvero nel senso di limitare le modalità di accesso al sito, privo di restrizioni all’ingresso, sul quale l’opera è stata inizialmente messa a disposizione del pubblico. Per il vero, la distorsione della teoria così messa in scena dalla Corte non è il frutto di un ragionamento tutto interno alla giurisprudenza. Essa ha radici più profonde. L’equivoco si annida nella formulazione poco felice (o felicemente ambigua, a seconda dei punti di vista) dell’art. 6 della Direttiva 2001/29. A differenza dell’analoga disposizione contenuta nel WTC[1], la norma introdotta dal legislatore europeo non circoscrive espressamente la protezione garantita alle misure tecnologiche agli atti rientranti nell’esercizio del diritto d’autore (o dei diritti connessi). La misura tecnologica è, invero, protetta ove destinata a «impedire o limitare atti, su opere o altri materiali protetti, non autorizzati dal [continua ..]


8. Verso una classificazione delle ipotesi di hyperlink che rinviano a opere protette dal diritto d’autore.