Jus CivileISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

Le azioni a tutela della massa dei creditori dalla legge sul sovraindebitamento al codice della crisi di impresa e dell'insolvenza (di Francesco Angeli)


Dopo aver effettuato una breve panoramica sulle procedure volte alla risoluzione della crisi da sovraindebitamento regolate dalla l. n. 3 del 2012, necessaria per il loro corretto inquadramento sistematico, e dopo aver delineato la loro collocazione nel Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza, l’autore circoscrive il campo di indagine allo studio degli effetti generati dalla mancata previsione normativa dell’interruzione dei processi pendenti alla data di apertura della procedura di liquidazione dei beni dando una soluzione operativa finalizzata a colmare la lacuna normativa. L’autore, inoltre, mediante l’applicazione analogica di norme contenute nell’ordinamento, dimostra come il liquidatore possa esperire azioni giudiziarie in favore della massa dei creditori anche in mancanza di una espressa previsione normativa che gli attribuisca la legittimazione attiva al loro esperimento.

Action to protect the mass of creditors from the law on over-indebtedness to the code of businnes crisis and insolvency

After a short overview of the process (regulated by the law nr. 3/2012) used in order to solve the crisis caused by the over-indebtedness, once it has been placed within the limits of the Code for company crisis and insolvency, the author specifies his study on the effects created by the lack of a regulatory prediction for pending trials when the liquidation procedure begins, giving an operative solution aimed at filling the regulatory gap.

Furthermore the author shows - implementing the regulations included in the set of rules - how the liquidator can accomplish legal actions in favor of the creditors even if there are no regulatory predictions giving him legitimacy to undertake the legal action.

Francesco Angeli - Le azioni a tutela della massa dei creditori dalla legge sul sovraindebitamento al codice della crisi di impresa e dell’insolvenza

SOMMARIO:

1. Premessa: la regolazione del sovraindebitamento nel vigente ordinamento concorsuale. - 2. Il debitore ed i creditori: luci ed ombre in relazione al bilanciamento degli interessi giudizialmente garantiti tra processi pendenti ed azioni giudiziarie al cospetto di una norma strutturalmente incompleta. - 3. La tutela degli interessi dei creditori tra le nuove azioni codificate e quelle non espressamente codificate. - 4. Conclusioni.


1. Premessa: la regolazione del sovraindebitamento nel vigente ordinamento concorsuale.

Il problema della gestione delle crisi dei c.dd. soggetti non fallibili rappresenta un profilo che, per lungo tempo trascurato da parte del legislatore, appare oggi centrale nelle nuove disposizioni che, diacronicamente, hanno interessato i non facili rapporti che si generano fra creditore e debitore in difficoltà[1]. L’evoluzione della normativa “fallimentare” sembra caratterizzata da una progressiva presa di coscienza da parte del legislatore della inopportunità di ancorare la gestione delle crisi economiche a procedure rigide, di natura squisitamente giudiziale e con finalità prevalentemente liquidatorie[2]. Sembra cioè rinvenibile un progressivo abbandono dell’idea della crisi dei soggetti economici quale evento socialmente rimproverabile sanzionabile con il fallimento, per aderire ad una concezione della “crisi” come evento che, pur se da evitare, risulta essere una eventualità prevedibile nelle moderne economie e, dunque, da gestire tramite rimedi giuridici adeguati[3]. La necessità di prevenire tempestivamente la crisi dell’imprenditore al fine di evitare il suo fallimento, nel corso degli anni, ha indotto il legislatore ad inserire nell’alveo della legge fallimentare regolata dal R.d. n. 267 del 1942, degli strumenti di composizione della crisi alternativi al fallimento ed al concordato preventivo. Nell’anno 2006, in seno alla prima strutturale riforma del sistema concorsuale, sono stati introdotti alcuni procedimenti volti a risolvere la crisi dell’impresa mediante procedure privatistiche e demandando il controllo giudiziale alla sola fase di omologazione degli accordi raggiunti tra debitore e creditori. Tuttavia il risultato degli interventi si è ridotto ad un corpo di norme non organico e, a volte, anche di difficile interpretazione per cui spesso, per dirimere i contrasti giurisprudenziali insorti tra le varie corti territoriali, si è reso necessario l’intervento del giudice di legittimità[4]. Da qui la necessità di rivisitare integralmente la materia concorsuale al fine di restituirle  sistematicità ed organicità in considerazione del nuovo contesto economico e sociale in cui operano le imprese, specialmente nell'attuale contesto storico[5], ma anche alla luce della crisi economica generalizzata che ha colpito anche il piccolo imprenditore e l'insolvente civile[6].Con [continua ..]


2. Il debitore ed i creditori: luci ed ombre in relazione al bilanciamento degli interessi giudizialmente garantiti tra processi pendenti ed azioni giudiziarie al cospetto di una norma strutturalmente incompleta.

Il legislatore, con la promulgazione della l. n. 146 del 2020, ha apportato delle modifiche alle disposizioni contenute nella l. n. 3 del 2012, traslando in essa dei precetti normativi contenuti nel Codice della Crisi di impresa e dell’Insolvenza (di seguito CCII). Questo è quanto avvenuto nella procedura di liquidazione dei beni in materia di giudizi pendenti e di azione revocatoria difatti il precetto dell’art. 14 decises l. n. 3 del 2012[1] è stato sostituito, integralmente, dal precetto dell’art. 270 CCII senza però considerare che l’attuale impianto normativo nel quale è stato collocato, non lo sorregge. Le disposizioni contenute nella l. n. 3 del 2012, ed in particolare quelle contenute nella procedura di liquidazione dei beni, nulla dispongono in merito alle sorti dei giudizi pendenti alla data di apertura della procedura di cui è parte il debitore quando, invece, l'art. 14 decies l. n. 3 del 2012 dispone che il liquidatore, se autorizzato dal giudice, può proseguire il processo pendente. Appare, quindi, necessario, rifarsi all’ordinamento processualistico ed a quello concorsuale vigente in materia per colmare la lacuna normativa[2] creata dalla previsione contenuta nell’attuale art. 14 decies l. n. 3 del 2012 che dispone che il liquidatore può chiedere al Giudice di essere autorizzato alla prosecuzione dei processi pendenti alla data di apertura della procedura di liquidazione dei beni[3] non tenendo in considerazioni che l’apertura della procedura non è causa di interruzione dei processi pendenti. L’art. 299 c.p.c. tra le cause di interruzione del processo civile individua la perdita della capacità di stare in giudizio della parte[4], perdita di capacità tipicizzata dalla l. fall. che all’art. 43 sancisce il principio per il quale la capacità di stare in giudizio, a seguito dell’apertura della procedura fallimentare viene demandata al curatore il quale si sostituisce al debitore fallito[5]. Alla stessa stregua l’art. 43 l. fall.[6] dispone anche che l’apertura del fallimento determina l’interruzione del processo[7]. Dalla lettura del dato normativo appare subito evidente che sussistono alcune difficoltà di natura interpretativa e processuale in particolar modo in relazione alla portata effettiva della norma in relazione al decorso dei termini di riassunzione del processo previsti [continua ..]


3. La tutela degli interessi dei creditori tra le nuove azioni codificate e quelle non espressamente codificate.

Con la promulgazione del Codice della Crisi dell’Impresa e dell’Insolvenza[1], sono state compiutamente regolamentate anche le procedure da sovraindebitamento[2] che trovano in esso una corretta collocazione sistematica generando l’armonizzazione anche delle norme relative all’interruzione dei processi pendenti ed alle norme relative alla regolamentazione degli atti in frode compiuti dal debitore sovraindebitato.  L’art. 270, comma 5, del Codice della Crisi di Impresa e dell’Insolvenza sancisce che i processi pendenti, alla data della sentenza di apertura della liquidazione controllata sono interrotti[3]. Anche se la previsione normativa non è espressamente prevista per la procedura di liquidazione controllata, la stessa è comunque applicabile stante l’espresso rinvio alla disposizione resa per la procedura di liquidazione giudiziale. In particolare l’art. 143, comma 3, del Codice della Crisi di Impresa e dell’Insolvenza sancisce che l’apertura della procedura di liquidazione determina l’interruzione del processo e sancisce, inoltre, che il termine per la riassunzione del processo interrotto decorre da quando l’interruzione viene dichiarata dal giudice. Il dettato della novella normativa trova la sua genesi nelle pronunce giurisprudenziali che si sono uniformemente orientate nel corso dell’ultimo decennio, come precedentemente evidenziato nel presente contributo.  Purtroppo la norma, anche se di nuovo conio, pur fissando, inequivocabilmente, il dies a quo dell’interruzione del processo non risolve le incertezze che coinvolgono le sorti dei processi pendenti e dell’efficacia delle relative sentenze. Il perimetro del presente contributo deve essere circoscritto fino al punto di riuscire a individuare prima ed a colmare poi, le lacune della norma concorsuale. È indubbio che l’apertura della procedura di liquidazione è causa di interruzione dei processi pendenti, come è indubbio che il termine per la loro riassunzione decorre da quando il giudice investito dell’istruttoria del processo ne dichiara l’interruzione. Ciò nonostante ancora una volta, neanche con la nuova norma, viene regolamentata la fattispecie, non inusuale, che coinvolge l’(in)efficacia delle sentenze emesse senza l’intervenuta interruzione dei processi pendenti. Per espressa previsione normativa è il giudice [continua ..]


4. Conclusioni.