Jus CivileISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

Il diritto degli artisti interpreti o esecutori extra SEE ad un'equa remunerazione: un diritto senza confini (di Martina Genovese)


La Grande Sezione della CGUE, con una sentenza particolarmente incisiva, ha chiarito che il diritto ad un’equa remunerazione, previsto genericamente dall’art.8, par.2 della direttiva 2006/115/CE a favore degli artisti interpreti o esecutori, senza ulteriori precisazioni per la loro individuazione, dev’essere interpretato in maniera conforme alle disposizioni internazionali vigenti in materia in esito ad un procedimento di integrazione tra fonti. In particolare, la regolamentazione restrittiva prevista nel CRR Act irlandese offre l’occasione di indagare – mediante la ricostruzione dottrinale e giurisprudenziale dell’ambito applicativo del divieto di discriminazione fondato sulla nazionalità - se il trattamento differenziato che il legislatore irlandese accorda agli artisti interpreti o esecutori extra SEE, rispetto a quelli residenti o domiciliati nel SEE, configuri o meno una discriminazione ai sensi del diritto dell’Unione e se è conforme al diritto europeo la previsione da parte del legislatore nazionale di criteri differenti - più rigorosi per gli artisti interpreti o esecutori anziché per i produttori di fonogrammi - per accedere al beneficio della tutela.

The right to a single equitable remuneration of extra EEA performers: a boundless right

The Grand Section of CJEU, with a particularly incisive ruling, clarified that the right to fair remuneration, generically provided for by Article 8, paragraph 2 of Directive 2006/115/EC in favor of performers, without further clarifications for their identification, must be interpreted in accordance with the international provisions in force on the subject, as a result of a process of integration between sources. In particular, the restrictive regulation provided for in the Irish CRR Act offers the opportunity to investigate - through doctrinal and jurisprudential reconstruction of the scope of application of the prohibition of discrimination based on nationality - whether the different treatment that Irish legislator accords to performers outside the EEA, compared to those resident or domiciled in the EEA, constitutes (or not) discrimination under the law of Union and whether the provision, by national legislator, of different criteria - stricter for performers rather than for phonogram producers - to access the benefit of protection is in accordance with European law.

Martina Genovese - Il diritto degli artisti interpreti o esecutori extra SEE ad un’equa remunerazione: un diritto senza confini

SOMMARIO:

1. La tutela degli artisti interpreti o esecutori nel CRR Act irlandese. - 2. Il caso RAAP contro PPI ed il rinvio pregiudiziale. - 3. L’esclusione degli artisti interpreti o esecutori statunitensi dal diritto ad un'equa remunerazione: una irragionevole discriminazione? - 3.1. Il principio del trattamento nazionale tra regola ed eccezione. - 3.2. L’integrazione tra fonti ed il superamento del principio di reciprocità. - 4. L’"alleanza" tra artisti interpreti o esecutori e produttori di fonogrammi. - 5. Conclusioni.


1. La tutela degli artisti interpreti o esecutori nel CRR Act irlandese.

Alla creazione di un’opera dell’ingegno segue, di regola, l’impegno di coloro che, mediante il proprio lavoro professionale o organizzativo-imprenditoriale, la diffondono e la rendono fruibile al pubblico[1]. Si tratta, per un verso, degli “artisti interpreti o esecutori[2]” che Salvatore Pugliatti considerava veri e propri “creatori” che traducono in linguaggio vivo e attivo la pagina musicale, arricchendo l’idea del compositore di significati nuovi, propri, in via esclusiva, degli interpreti stessi[3]; per altro verso, dei produttori di fonogrammi, ossia di coloro che assumono l’iniziativa e la responsabilità della prima fissazione dei suoni di una interpretazione o esecuzione o di altri suoni, o di rappresentazioni di suoni[4]. L’ordinamento giuridico attribuisce a tali soggetti vari diritti, cosiddetti diritti “connessi” al diritto d’autore, tra cui quello ad una remunerazione equa ed unica in caso di radiodiffusione o comunicazione al pubblico di un fonogramma pubblicato a fini commerciali (o di una sua riproduzione), contenente l’interpretazione o esecuzione dell’artista[5]. Si tratta di un diritto a compenso che sorge in relazione alle utilizzazioni cosiddette “secondarie” del fonogramma[6] e la cui raccolta è in genere affidata a società di gestione collettiva, le collecting societies. Ai sensi dell’art.8, par. 2 della direttiva 2006/115/CE[7] tale compenso dev’essere ripartito tra gli artisti interpreti o esecutori ed i produttori discografici secondo criteri concordati tra loro o, in mancanza di accordo, secondo quanto stabilito dagli Stati membri, tenendo conto dell’importanza del contributo degli artisti al fonogramma[8]. Se le modalità di ripartizione del compenso appaiono chiaramente delineate dal legislatore europeo, non così risultano i destinatari effettivi del diritto in questione. Potrebbe, infatti, trattarsi di tutti gli artisti e i produttori, a prescindere dalla loro nazionalità, oppure di quelli che hanno la residenza o il domicilio in uno Stato membro dello Spazio economico europeo (SEE) o che, pur non essendo cittadini del SEE, presentano un collegamento con quest’ultimo (ad esempio perché l’esecuzione o la prima fissazione dei suoni è avvenuta in uno Stato del SEE). È quest’ultima la soluzione accolta nel Copyright and Related [continua ..]


2. Il caso RAAP contro PPI ed il rinvio pregiudiziale.

La regolamentazione restrittiva presente nel CRR Act - che, come si è detto, finisce per escludere taluni artisti interpreti o esecutori dal diritto all’equa remunerazione - viene in rilievo nella controversia tra due collecting societies irlandesi, la Recorded Artists Actors Performers Ltd (RAAP) e la Phonographic Performance Ireland Ltd (PPI), rispettivamente rappresentative dei diritti degli artisti interpreti o esecutori e di quelli dei produttori discografici. Le due collecting avevano contrattualmente stabilito che, in caso di comunicazione al pubblico o radiodiffusione di musica registrata, a riscuotere il compenso versato dagli utilizzatori del fonogramma sarebbe stata la PPI e la stessa lo avrebbe poi suddiviso con la RAAP. Mancava, tuttavia, un accordo circa la spettanza di tale compenso nel caso in cui la registrazione sonora avesse coinvolto, come nel caso in esame, artisti interpreti o esecutori extra SEE, quali quelli statunitensi. Da qui il rifiuto della PPI di ripartire il compenso con la RAAP, adducendo a motivo di tale diniego da un lato le norme del CRR Act che consentono di subordinare il diritto all’equa remunerazione alla cittadinanza dell’artista nonché al luogo in cui è stata effettuata la registrazione; dall’altro il principio di reciprocità in virtù del quale, così come la legislazione statunitense non riconosce agli artisti irlandesi il pieno diritto all’equa remunerazione - per via della riserva[1]  apposta ad un trattato internazionale, il WIPO Performances and Phonograms Treaty (WPPT)[2], che consente di riconoscere il diritto ad un compenso equo ed unico in maniera limitata e, dunque, solo in rapporto a determinate utilizzazioni del fonogramma - allo stesso modo l’Irlanda è legittimata a non remunerare gli artisti statunitensi[3]. Proprio le incertezze che gravitano attorno alle disposizioni del CRR Act e la loro dubbia compatibilità con l’art.8, par.2 della direttiva 2006/115/CE hanno spinto l’High Court irlandese, giudice del rinvio nel caso in esame, a sospendere il procedimento principale e adire la Corte di Giustizia principalmente per chiarire qual è la corretta interpretazione della citata disposizione europea, anche alla luce delle fonti internazionali in materia.   [1] Il contenuto della riserva è il seguente: “Conformemente all’[articolo 15, paragrafo 3, del WPPT], gli [continua ..]


3. L’esclusione degli artisti interpreti o esecutori statunitensi dal diritto ad un'equa remunerazione: una irragionevole discriminazione?

La materia del diritto d’autore e dei diritti connessi è retta dal principio di territorialità, in base al quale la tutela che uno Stato accorda ai titolari dei diritti protetti si estende solo entro i confini nazionali di quello Stato. Tuttavia, oggi, esigenze di uniformità ed armonizzazione degli ordinamenti nazionali, legate alla vocazione internazionale di qualsiasi prodotto intellettuale, impongono una considerazione più ampia della materia, sia a livello europeo che internazionale[1]. Da un lato, infatti, il legislatore europeo ha emanato tutta una serie di direttive volte a ravvicinare le legislazioni nazionali in materia di proprietà intellettuale e a consentire che la circolazione delle opere dell’ingegno possa avvenire nel mercato unico senza discriminazioni; dall’altro, molti Stati hanno stipulato tra loro delle convenzioni internazionali per regolare i loro reciproci rapporti e tentare di dar vita ad un regime internazionale del diritto d’autore e dei diritti connessi[2]. La compresenza di una pluralità di fonti che, a vario livello, predispongono una tutela a favore dei titolari del diritto d’autore e dei diritti connessi pone la delicata questione del coordinamento tra fonti nazionali, europee ed internazionali. Prima, però, di indagare il complesso rapporto intercorrente tra di esse, rispetto al quale le indicazioni della Corte di Giustizia contribuiscono a fare chiarezza, è necessario verificare se il trattamento differenziato che il CRR Act accorda agli artisti interpreti o esecutori extra SEE, rispetto a quelli residenti o domiciliati nel SEE, configuri una discriminazione ai sensi del diritto dell’Unione. Il divieto di discriminazione è l’espressione, in negativo, del principio di parità e uguaglianza[3] e consiste nel trattare in modo diverso situazioni identiche, senza che ricorra una giustificazione oggettiva e ragionevole. In ambito europeo, il divieto di discriminazione fondato sulla nazionalità[4], sancito dall’art.18, par.1 TFUE, è circoscritto, dal punto di vista oggettivo, alle situazioni disciplinate dal diritto dell’Unione[5] e trova applicazione solo in assenza di specifici divieti di discriminazione previsti dai Trattati[6]. Anche l’art.21, par.2 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea vieta qualsiasi discriminazione in base alla nazionalità ma [continua ..]


3.1. Il principio del trattamento nazionale tra regola ed eccezione.

La regola del trattamento nazionale, sancita dal WPPT (trattato internazionale di cui, come si è detto, è parte anche l’UE) e dalla Convenzione di Roma[1] (trattato di cui sono parte l’Irlanda e gli Stati Uniti ma non anche l’UE)[2], si sostanzia nell’obbligo, per ciascuna Parte contraente, di riservare ai cittadini di altre Parti contraenti lo stesso trattamento accordato ai propri cittadini per i diritti previsti dal trattato e, in particolare, per il diritto ad un’equa remunerazione. In tal senso dispone l’art.4 del WPPT[3], facendo, tuttavia, salva, rispetto a tale ultimo diritto, la possibilità per le Parti di limitarlo o di non prevederlo affatto, in conformità all’art.15, par.3 del WPPT. Si tratta di una previsione - quest’ultima - eccezionale sia perché consente, mediante l’apposizione di una riserva, di derogare (in relazione al diritto ad un’equa remunerazione) alla regola che impone l’obbligo di trattamento nazionale nei confronti dei cittadini delle altre Parti contraenti, sia perché, ai sensi dell’art.21 WPPT, non sono ammesse riserve al trattato se non quella menzionata. Ora, l’interpretazione della direttiva europea alla luce del principio del trattamento nazionale consentirebbe, in linea di principio, di affermare l’obbligo per tutti gli Stati membri dell’Unione di trattare gli artisti extra SEE alla stregua dei propri, riconoscendo loro il diritto connesso in questione, a meno che – si badi bene – l’Unione europea, in quanto Parte contraente del WPPT, abbia formulato una riserva limitativa o esclusiva di tale diritto[4]. Ma può utilizzarsi un principio previsto a livello internazionale per interpretare una norma contenuta in una direttiva europea che ad esso non fa alcun riferimento?   [1] Convenzione internazionale per la protezione degli artisti interpreti ed esecutori, dei produttori di fonogrammi e degli organismi di radiodiffusione firmata a Roma il 26 ottobre 1961. [2] Al riguardo appaiono condivisibili le considerazioni svolte dall’avvocato generale Verica Trstenjak nella causa SCF Consorzio Fonografici c. Marco Del Corso (C-135/10, 29 giugno 2011, punto 83) in DeJure, secondo cui, anche se l’Unione non è parte contraente della Convenzione di Roma, di tale Convenzione occorre comunque tener conto in virtù del Considerando 7 della direttiva [continua ..]


3.2. L’integrazione tra fonti ed il superamento del principio di reciprocità.

All’interrogativo sopra formulato la Corte di Giustizia risponde positivamente, richiamando da un lato il contesto in cui è stata emanata la direttiva e gli obiettivi che la stessa persegue, dall’altro l’art.216, par.2 TFUE. Tale disposizione costituisce il principale punto di raccordo tra la disciplina europea e quella internazionale in quanto sancisce il principio della prevalenza degli accordi internazionali conclusi dall’Unione sulle norme di diritto derivato europeo[1], nonché l’obbligo di interpretare queste ultime in maniera per quanto possibile conforme alle corrispondenti previsioni contenute nelle convenzioni internazionali di cui l’Unione è parte[2]. In proposito occorre ricordare, sulla scorta della sentenza Hermès International c. FHT Marketing Choice BV[3], che, quando l’Unione europea aderisce ad un trattato internazionale, si produce un doppio vincolo interpretativo, nel senso che sulla base dei trattati internazionali conclusi dall’Unione vanno interpretati sia i provvedimenti dell’Unione che ad essi danno attuazione, sia le norme nazionali che recepiscono i provvedimenti dell’Unione. Così, nel caso di specie, non soltanto l’art.8 della direttiva 2006/115/CE – che riconosce il diritto ad un’equa remunerazione genericamente agli “artisti interpreti o esecutori”, senza ulteriori precisazioni per la loro individuazione - dev’essere interpretato in maniera conforme al WPPT[4] ma anche le singole legislazioni nazionali che a tale direttiva danno attuazione, e tra queste il CRR Act, vanno interpretate alla luce della lettera e delle finalità del WPPT. Ne consegue che gli Stati membri dell’Unione, in sede di attuazione di una direttiva europea non possono stabilire requisiti di accesso alla tutela non previsti dal legislatore sovranazionale. Si noti come, mediante un processo di integrazione tra fonti ed una loro considerazione unitaria, la Corte sia giunta a ricostruire il significato di una previsione scarna quale quella dettata dal legislatore europeo, tenuto conto che, più che restringere la tutela degli artisti interpreti o esecutori, la legislazione dell’Unione mira ad implementarla, ponendosi come strumento di attuazione della protezione offerta a livello internazionale agli autori e ai titolari dei diritti connessi[5]. La regola del trattamento nazionale risulterebbe, quindi, [continua ..]


4. L’"alleanza" tra artisti interpreti o esecutori e produttori di fonogrammi.

Il problema della disparità di trattamento assume una connotazione soggettiva diversa nell’ambito dell’ultima questione sottoposta all’attenzione della Corte. Il rapporto che adesso viene in rilievo non è più quello tra artisti di diversa nazionalità ma tra artisti interpreti o esecutori da un lato e produttori di fonogrammi dall’altro, rispetto ai quali il CRR Act sancisce criteri differenti per accedere al beneficio della tutela. Mentre gli artisti interpreti o esecutori hanno diritto ad una quota del compenso versato dagli utilizzatori solo se cittadini del SEE o se la registrazione sonora è avvenuta in uno degli Stati del SEE, per i produttori di fonogrammi la remunerazione spetta a prescindere da tali circostanze, cosicché questi ultimi, in base alla legislazione irlandese, finiscono, nel caso di specie, per beneficiare dell’integralità del compenso. In realtà, una simile soluzione non può considerarsi contrastante con le disposizioni contenute nei trattati internazionali: sia nel WPPT che nella Convenzione di Roma si consente alle Parti contraenti di stabilire, mediante la propria legislazione nazionale, se riservare il diritto all’equo compenso ad entrambe le categorie di soggetti sopra indicate o, piuttosto, ad una sola di esse[1]. Tuttavia, la scelta operata dal legislatore europeo non lascia margini di dubbio: l’art.8, par.2 della direttiva 2006/115/CE, nel prescrivere che la remunerazione per le utilizzazioni secondarie del fonogramma debba essere suddivisa “tra gli artisti interpreti o esecutori e i produttori del fonogramma in questione”, esclude in maniera categorica la possibilità per gli Stati membri di prevedere il diritto al compenso a favore dei soli artisti o dei soli produttori[2]. Peraltro, una previsione in senso contrario non sarebbe stata in linea con l’ormai indiscusso riconoscimento, in sede europea, dell’importanza, a livello sociale, dell’apporto creativo degli artisti[3]. Da qui la necessità di far percepire agli artisti un reddito adeguato quale base per l'ulteriore attività creativa ed artistica e, al tempo stesso, di ricompensare i produttori per l’ingente investimento (ed il connesso rischio imprenditoriale) relativo alla prima fissazione[4]. Quello che, in definitiva, si è inteso tutelare è il frutto di un lavoro congiunto che consiste in [continua ..]


5. Conclusioni.