Jus CivileISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

La rinuncia alla proprietà immobiliare è abuso del diritto? (di Enrico Damiani, Professore ordinario – Università degli Studi di Macerata)


La rinuncia atipica alla proprietà immobiliare, al di fuori dei casi espressamente previsti dal codice, pure se astrattamente ammissibile, si scontra con il problema della valutazione della meritevolezza degli interessi concretamente perseguiti dalle parti.è

E' necessario constatare che neanche per i beni mobili è ravvisabile una generale e libera ammissibilità dell'abbandono mero.

The renunciation of real estate property is an abuse of law?

The atypical renunciation of real estate property, apart from the cases expressly provided for by the code, even if abstractly admissible, clashes with the problem of assessing the merit of the interests actually pursued by the parties.

It is necessary to note that not even for chattels there is a general and free admissibility of mere abandonment.

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SOMMARIO:

1. Premessa - 2. Cenni sul negozio di rinuncia - 3. La causa del negozio di rinuncia - 4. Segue: la meritevolezza degli interessi sottesi alla rinuncia al diritto di proprietà - NOTE


1. Premessa

L’ordinamento riconosce al proprietario il diritto di disporre e di godere del bene, mediante l’esercizio di una pluralità di poteri e facoltà che rappresentano il contenuto del suo diritto, tuttavia, in alcuni casi, il concreto esercizio di alcune facoltà di godimento inerenti al diritto di proprietà può essere considerato antigiuridico (perché nocivo, antisociale, odioso, ecc.). Anche il mancato o negligente uso del diritto di proprietà su un edificio, consistito nel mancato esercizio della facoltà di farlo valere in giudizio per rimuovere una situazione dannosa, non solo per chi ha omesso di agire, ma anche per i terzi da tale omissione danneggiati, è stato ritenuto un “uso anormale” del diritto stesso, fonte di responsabilità nei confronti dei terzi [1] sulla base della constatazione, tipica per i ragionamenti che all’epoca i giuristi erano soliti fare, che l’art. 833 cod. civ. in materia di divieto degli atti emulativi potesse rappresentare un principio generale suscettibile di applicazione analogica. Nella fattispecie decisa dalla Seconda Sezione Civile della S.C. il 15 novembre 1960, n. 3040, fu statuito che “il mancato e negligente uso della facoltà di agire in difesa del diritto soggettivo per rimuovere una situazione dannosa non solo al titolare del diritto medesimo, ma anche a terzi, costituisce uso anormale del diritto soggettivo, se il non uso si risolve nell’inosservanza doloso o colposa di specifiche norme di condotta poste a tutela di diritti altrui”. Si trattava in particolare del caso di un acquirente di alloggio, realizzato dall’Istituto Autonomo Case Popolari di Messina, che aveva citato in giudizio detto Istituto quale proprietario dei residui appartamenti facenti parte del condominio, il quale, dopo che alcuni sfollati avevano occupato sine titulo appartamenti sfitti facenti parte del fabbricato, non solo non si era attivato per liberare i locali, così consentendo ad una popolazione in sovrannumero di abitare negli stessi con ovvi disagi per la parte attrice, ma aveva addirittura costruito un ulteriore bagno e una fontana nelle parti comuni dell’edificio, al fine di ovviare in parte alle condizioni di disagio che si erano venute a creare. L’annotatore della sentenza aveva stigmatizzato l’evidente errore in cui, a suo dire, era pervenuta la S.C. quando aveva [continua ..]


2. Cenni sul negozio di rinuncia

Non è mia intenzione approfondire il tema generale della ammissibilità della rinuncia abdicativa ad un diritto di proprietà, in quanto sicuramente essa è possibile nei casi previsti dalla legge [6]: l’art. 882 cod. civ. consente al comproprietario di un muro comune di rinunciare al suo diritto al fine di esimersi dall’obbligo di contribuire alle spese di ricostruzione e riparazione, purché esse non si siano rese necessarie a causa del fatto proprio del rinunziante; l’art. 550 cod. civ. consente al legittimario, al quale il testatore abbia lasciato la nuda proprietà della disponibile attribuendo a terzi l’usufrutto, di abbandonare la nuda proprietà della disponibile (c.d. cautela sociniana); l’art. 1104 cod. civ. [7] consente a ciascun partecipante alla comunione di rinunciare al proprio diritto di comproprietà al fine di sottrarsi alle spese necessarie per la conservazione e il godimento della cosa comune, ed infine l’art. 1070 cod. civ. consente al proprietario del fondo servente di liberarsi delle spese necessarie per l’uso o per la conservazione della servitù, rinunziando alla proprietà del fondo stesso a favore del proprietario del fondo dominante. Al di là delle ipotesi tipiche, la dottrina è in larga parte orientata ad ammettere anche fattispecie atipiche [8] di rinuncia abdicativa [9] per lo più ritenendo che si tratti di un negozio giuridico [10] unilaterale non recettizio con il quale un soggetto dismette una situazione giuridica soggettiva di cui è titolare senza che essa venga trasferita direttamente ad un soggetto terzo [11]. Gli ulteriori effetti che possono incidere sui terzi, secondo tale orientamento dottrinale, sarebbero effetti automatici ed ulteriori, operanti ex lege. Va notato però che di recente la riforma sul condominio ha portato il legislatore a modificare il secondo comma dell’art. 1118 cod. civ., statuendo che “il condomino non può rinunciare al suo diritto sulle parti comuni”. In tal caso, dunque, non viene data per presupposta la validità della rinuncia, costituendo la stessa un’eccezione non alla generale facoltà di rinuncia, bensì all’ipotesi più stringente del primo comma dell’art. 1104 cod. civ., che espressamente ammette la rinuncia della quota di comproprietà, ipotesi [continua ..]


3. La causa del negozio di rinuncia

Si ritiene che la rinuncia, in quanto atto meramente dismissivo che non realizza di per sé attribuzioni patrimoniali a soggetti terzi [14], debba comunque essere un negozio causale [15]. In particolare, si è sostenuto [16] che la rinuncia abdicativa dovrebbe perseguire, oltre che l’effetto di mera rinunzia della situazione giuridica, anche interessi meritevoli di tutela, essendo altrimenti il negozio, nel caso opposto, radicalmente nullo. Un diverso orientamento [17] ritiene invece che nell’atto in esame la causa, intesa come sintesi essenziale degli effetti, consisterebbe solamente nella mera dismissione del diritto, con la conseguenza che il negozio sarebbe un “nudo patto”, astratto, sempre meritevole di tutela. Corollario di questa tesi sarebbe l’assenza di qualsiasi controllo sulle modalità di esercizio dell’autonomia privata. Secondo tale ricostruzione, quindi, non ci sarebbe necessità di accertare nella rinuncia l’esistenza di una funzione, stante l’assenza di un rapporto di relazione tra due diversi soggetti [18]. Alla luce dell’autorevole orientamento che guarda al diritto di proprietà in un’ottica relazionale anche alla luce della funzione sociale che esso dovrebbe realizzare, sembra opportuno in questa sede tener conto di alcuni spunti che si possono trarre dal parere redatto dall’Avvocatura Generale dello Stato all’Agenzia del Demanio, pur con le sue luci ed ombre, e da alcune recenti decisioni, specialmente di giudici amministrativi [19].


4. Segue: la meritevolezza degli interessi sottesi alla rinuncia al diritto di proprietà

Di recente, l’Avvocatura Generale dello Stato ha reso un interessante parere di massima in cui affronta il tema della rinunciabilità al diritto di proprietà immobiliare (il parere in questione è il n. 37243/17, sez. III, Avv. G. Palatiello) [20]. Con detto parere, rivolto all’Avvocatura Distrettuale di Genova, l’Avvocatura Generale ha affermato che fra le varie facoltà del proprietario, vi è anche quella di rinunciare al diritto dominicale, con l’effetto di provocare l’acquisto automatico (non rifiutabile) ed a titolo originario del bene rinunciato (spesso terreni con evidenti problemi di dissesto geologico e rischio di frane [21], abitazioni pericolanti ed inabitabili prive di alcun valore economico…) allo Stato ai sensi dell’art. 827 [22] cod. civ., con conseguente accollo all’E­rario (con conseguenti profili di responsabilità civile ex artt. 2043, 2051 e 2053 cod. civ. e penale ex art. 449 cod. pen.) di tutti i costi necessari per le opere di consolidamento, demolizione, manutenzione ecc. relativi ai beni stessi. Il tutto, peraltro, senza una previa autorizzazione o quantomeno comunicazione allo Stato. Nel parere si legge che in linea generale la facoltà di rinuncia è insita nella titolarità di ogni diritto [23] e quindi deve intendersi di massima consentita, anche se in alcune pronunce dei T.A.R. (per tutti T.A.R. Puglia, Bari, 17 settembre 2008, n. 2131, Tar Piemonte, sez. I, sentenza 28 marzo 2018, n. 368) si evidenzia che in tutti i casi in cui il codice civile ha espressamente ammesso la rinunzia ad un diritto reale risultano accomunati dal fatto che a fronte della rinuncia la proprietà immobiliare non rimane “acefala”, perché in tali casi la rinunzia provoca l’estinzione del diritto reale minore e la correlativa riespansione della piena proprietà; ovvero, trattandosi di diritti reali minori in comunione, provoca l’accrescimento delle quote altrui sul diritto reale minore. In nessun caso, comunque, “si viene ad avere un bene immobile privo di proprietario”. Perciò, in definitiva, il fatto che la rinunzia ai diritti reali sia espressamente ammessa dal codice civile solo con riferimento a taluni diritti reali ed alla quota di comproprietà indivisa, non consente di presumere che la rinunzia abdicativa ai diritti reali costituisca un istituto [continua ..]


NOTE
Fascicolo 1 - 2022