Jus CivileISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

Dal sistema alla lettera e ritorno: riflessioni sul modello franco-italiano di arricchimento senza causa (di Stefano Deplano. Professore associato di Diritto privato – Università degli Studi della Campania)


Il contributo indaga le linee evolutive dell’azione di ingiustificato arricchimento nel sistema ordinamentale italo-europeo, interrogandosi su quali riflessioni solleciti la recente formalizzazione dell’istituto avvenuta in Francia con l’entrata in vigore dell’art. 2, Ordonnance n. 2016-131 del 10 febbraio 2016. Il rimedio è analizzato in rapporto alla tutela del consumatore, ai rapporti di convivenza ed alla tutela dell’immagine. Compito dell’interprete è adeguare l’apparato rimediale agli interessi qualificati nel caso concreto, in prospettiva funzionale, ed alla luce dei princípi di proporzionalità e ragionevolezza.

From the system to the letter and return: reflections on the franco-italian model of enrichment without cause

The contribution analyzes the unjustified enrichment in the Italian-European legal system in comparison with the discipline of enrichissement injustifié introduced by the Ordonnance n. 2016-131 of 10 February 2016.

The task of the interpreter is to adapt the remedies to the different protection needs expressed by the interests involved in the light of the principles of proportionality and reasonableness.

Keywords: Italian-european legal system – unjustified enrichment – systematic interpretation – principles of reasonableness and proportionality.

SOMMARIO:

1. Dalla lettera al sistema: genesi e sviluppo dell’enrichissement sans cause nell’esperienza giuridica francese. Una questione di metodo. - 2. Dal sistema alla lettera: l’Ordonnance n. 2016-131 del 10 febbraio 2016 e la «consécration d’un acquis». - 3. Recepimento e formalizzazione del modello franco-italiano di arricchimento senza causa. Una «promessa mancata»? - 4. Dalla lettera al sistema: «giusta causa» dell’arricchimento tra interpretazione sistematica e prospettiva rimediale. - 5. Segue. Rilievo del binomio interesse protetto/rimedio in rapporto al caso concreto. Oltre il rilievo del dato formale. - 6. Segue. (In)giustificato arricchimento tra conviventi e princìpi di ragionevolezza e proporzionalità. - 7. Considerazioni conclusive.


1. Dalla lettera al sistema: genesi e sviluppo dell’enrichissement sans cause nell’esperienza giuridica francese. Una questione di metodo.

Nonostante la temperie culturale in cui venne redatto il Code Napoleon fosse profondamente influenzata dal giusnaturalismo e dal giuspositivismo [1], il legislatore del 1804 non disciplinò un’azione – forse più di altre ispirata all’equità – orientata a riparare ad un enrichissement sans cause. La ragione di tale opzione legislativa è stata autorevolemente identificata [2] nel peso attribuito alla rielaborazione delle acquisizioni medievali svolta da Pothier [3]. A giudizio della dottrina maggioritaria [4] questo Autore, assunta a riferimento la condictio indebiti, reputava che la gestione di affari altrui presupponesse un animus aliena negotia gerendi ma che, anche in difetto di quest’ultimo, l’azione potesse comunque trovare un fondamento in factum ed in virtú della regola pretoria secondo la quale neminem aequum est cum detrimento alterius locupletari [5]. La sovrapposizione tra concezione oggettiva e soggettiva dell’azione di gestione di affari altrui è, del resto, ben testimoniata dal disposto della formulazione originaria dell’art. 1375 Code a mente della quale «le maitre dont l’affaire a été bien administrée» è tenuto a rimborsare al gestore le spese effettuate: questa disposizione – come osservato [6] – formalizza la descritta commistione tra negotiorum gestio ed ingiustificato arricchimento posto che la concezione classica della gestione di affari «prescinde totalmente dall’utilità della gestione, ma si accontenta che [quest’ultima] sia stata utilmente intrapresa, mentre l’azione di arricchimento fa riferimento all’utilità effettivamente conseguita, ovvero all’utiliter gestum» [7]. La questione, all’apparenza di puro sapore dottrinale, si sarebbe ben presto rivelata di notevole rilievo pratico: le sollecitazioni provenienti dalla prassi, in concomitanza al crescere dei trasferimenti di ricchezza non giustificati e connessi al maggior sviluppo raggiunto dai traffici e dalla vita di relazione [8], misero le Corti transalpine davanti alla questione della configurabilità di un generale divieto di arricchirsi a danno altrui in difetto di una valida ragione giuridica. La giurisprudenza si caratterizzò, da principio, per un approccio a tale questione secondo una prospettiva [continua ..]


2. Dal sistema alla lettera: l’Ordonnance n. 2016-131 del 10 febbraio 2016 e la «consécration d’un acquis».

Benché l’enrichissement sans cause fosse parte integrante del diritto vivente francese da oltre un secolo, la formalizzazione dell’istituto ha avuto luogo soltanto in virtù dell’entrata in vigore dell’art. 2, Ordonnance n. 2016-131 del 10 febbraio 2016 portant réforme du droit des contrats, du régime général et de la preuve des obligations il quale ha modificato l’art. 1303 e introdotto gli artt. 1303-1, 1303-2, 1303-3, 1303-4 Code. Già ad un’esame prima facie emerge un’evoluzione rispetto al passato: al fine di realizzare il definitivo superamento del concetto di «causa» [1], la Reforme ha attribuito all’enrichissement la qualifica di «injustifié» [2]. Pare allora corretto ritenere che l’intervento legislativo si connoti, in parte, per disciplinare sedimentati orientamenti giurisprudenziali e, per altra parte, per realizzare alcune modifiche rispetto al passato [3]. Aspetti di sicura continuità tra orientamenti pretori e littera legis, ad esempio, si osservano in rapporto al fondamento dell’istituto ed alla sua natura di azione sussidiaria. Appare infatti evidente che il legislatore del 2016 abbia confermato la posizione giurisprudenziale secondo cui l’arricchimento è «injustifié» qualora non vi sia alcuna norma o atto di autonomia privata che lo giustifichi [4]. L’art. 1303-1 Code, tuttavia, non formalizza tale regola in termini generali ma si limita a stabilire che l’obbligo indennitario non sorge se l’arricchimento del terzo deriva dall’animus donandi dell’impoverito [5] ovvero dall’adempimento di una obligation [6]. Il combinato disposto degli artt. 1303-3 e 1303 Code, in secondo luogo, prescrive la regola della sussidiarietà dell’azione [7]. Argomentando a partire dalla disposizione da ultimo citata, in particolare, la dottrina attribuisce all’enrichissement injustifié natura di quasi contratto e, in chiave applicativa, reputa che tale azione non possa trovare applicazione qualora concorra con la ripetizione dell’indebito [8] o con la gestione di affari altrui [9]. Profili di discontinuità, per contro, si osservano in rapporto a tre profili di disciplina. L’art. 1303-4 Code, anzitutto, detta criteri di calcolo dell’indennizzo dovuto [continua ..]


3. Recepimento e formalizzazione del modello franco-italiano di arricchimento senza causa. Una «promessa mancata»?

Al pari di quanto osservato rispetto al Code, neanche il codice civile italiano del 1865 prevedeva una specifica disciplina dell’azione generale di arricchimento [1]. L’interpretazione evolutiva conseguente al progressivo declinare dell’École de l’Exégèse, tuttavia, non tardò a ripercuotersi anche di là dai confini francesi: sia per il prestigio tributato alla dottrina d’Oltralpe [2] sia per un’oggettiva contiguità tra le due compilazioni normative, l’azione in discorso venne progressivamente accolta anche dalla giurisprudenza e della letteratura giuridica italiana, pur in difetto di una disciplina tipica. Si trattò, tuttavia, di un processo caratterizzato da incertezze e forti contrasti [3]. È stata la giurisprudenza delle Corti torinesi ad aver riconosciuto per prima diritto di cittadinanza all’azione, sancendo che «[essa] è […] applicata in tutti i casi in cui vi sia la locupletazione di una parte a spese di un’altra e la legge positiva non appresti un rimedio giuridico speciale, affine di costringere chi si arricchì a risarcire quatenus locupletior factus sit il danno risentito dall’attore» [4] per poi specificare che «l’obbligazione corrispondente all’azione di versione utile non dipende da vincoli contrattuali, ma unicamente e direttamente dalla legge che non permette l’indebito arricchimento a danno altrui» [5]. In linea di continuità con questo indirizzo si pone anche la Cassazione fiorentina secondo cui l’azione «ha oggidì acquistato gran larghezza e si applica in tutti i casi in cui vi sia ingiusta locupletazione di una parte in danno di un’altra e la legge positiva non appresti altro rimedio giuridico speciale affine di costringere chi ingiustamente si arricchisca a risarcire» [6]. All’orientamento favorevole a riconoscere la vigenza di un divieto di ingiustificato arricchimento si oppose – al pari di quanto osservato in relazione all’esperienza francese – un indirizzo di segno contrario, maggiormente fedele al dato letterale. Quest’ultimo, in assenza di una disciplina specifica, imponeva requisiti particolari ai fini dell’ammissibilità dell’azione o, nelle ipotesi più radicali, ne negava in toto la configurabilità. Secondo quanto [continua ..]


4. Dalla lettera al sistema: «giusta causa» dell’arricchimento tra interpretazione sistematica e prospettiva rimediale.

Non tipizzare in maniera analitica e dettagliata la «giusta causa», ovvero il presupposto applicativo dell’istituto disciplinato dall’art. 2041 cod. civ. rappresenta il frutto di una scelta non casuale: la Relazione al codice civile dà conto che tale concetto «non è stato e non poteva essere chiarito legislativamente» [1] così verosimilmente attuando una direttiva di metodo esplicitata già nella Relazione della Commissione reale al progetto preliminare del codice civile del 1936 ove si affermava che questo sintagma costituisce «uno di quei precetti ampi ed elastici che è bene siano formulati in un codice, appunto per la loro elasticità, la quale permette di ricondurre sotto di essi nella pratica applicazione della legge una quantità di casi, che il legislatore non sarebbe in grado di prevedere singolarmente». Per quanto la disposizione fosse finalizzata a non limitare la portata applicativa della norma è stato l’approccio metodologico adottato dagli interpreti, forse eccessivamente formalista, a concorrere a realizzare l’effetto opposto. La questione, allora, deve essere posta proprio sul piano del metodo [2]. Occorre, in altri termini, considerare anche la «giusta causa» di cui all’art. 2041 cod. civ. alla stregua di una clausola generale relativamente alla quale, per definizione, «è incerto il parametro di valutazione» sì che «occorre un ulteriore procedimento per attribuirle un significato chiaro e, in conseguenza, per individuare e applicare la norma» [3]. Al pari della «buona fede» [4], del «danno ingiusto» [5], dell’«ordine pubblico» [6], anche l’art. 2041 cod. civ. merita di essere considerato una fattispecie aperta che necessita di «un’opera di concretizzazione realizzata attraverso una ricognizione di valori che le clausole generali individuano» [7]. La posizione metodologica intesa a considerare la «giusta causa» dell’arricchimento alla stregua di una clausola generale si è invero sviluppata in dottrina in tempi non risalenti [8] al fine di rinvenire il fondamento e l’àmbito di applicazione dell’istituto. Non totalmente convincenti, tuttavia, sono state le ricadute pratiche tratte da questa impostazione, acutamente definita [continua ..]


5. Segue. Rilievo del binomio interesse protetto/rimedio in rapporto al caso concreto. Oltre il rilievo del dato formale.

Esemplificativo del rilievo riconosciuto agli interessi protetti nell’interpretazione in chiave applicativa della clausola generale è un provvedimento giurisdizionale recentemente emanato dalla sezione terza della Corte di Cassazione [1]. La questione è originata da causa instaurata da un consumatore per fare accertare la nullità/inesistenza di un contratto per la fornitura di energia elettrica in ragione della mancata formazione dell’accordo. Ciò sul presupposto che la sottoscrizione apposta sul contratto era stata grossolanamente falsificata. Sulla base del contratto così sottoscritto una nuova società aveva iniziato a somministrare l’energia elettrica alla parte attrice, applicandole condizioni contrattuali meno vantaggiose di quelle praticate in virtù del rapporto di consumo precedentemente in essere. In primo grado era stato accertato che nulla fosse dovuto dal consumatore – nemmeno a titolo di ingiustificato arricchimento – per la fornitura ricevuta da parte della società la quale, per contro, era anche stata condannata alla restituzione di quanto indebitamente percepito (nonché al risarcimento dei danni non patrimoniali cagionati). In sede di appello, tuttavia, questa decisione era stata riformata sul presupposto che l’eccezione riconvenzionale di arricchimento senza causa proposta dalla società fosse stata rigettata illegittimamente: il giudice di prime cure avrebbe errato nell’applicare l’art. 57, comma 1, cod. cons. (nel testo anteriore alle modifiche apportate dal d.lgs. 21 febbraio 2014, n. 21, venendo in rilievo fatti avvenuti prima del 13 giugno 2014). In particolare avrebbe mal interpretato detta norma statuendo che – nel caso di specie – il consumatore non sarebbe stato tenuto né al pagamento del corrispettivo né alla corresponsione di un indennizzo ex art. 2041 cod. civ. Tanto perché dal tenore letterale del comma 1, art. 57, cod. cons. («il consumatore non è tenuto ad alcuna prestazione corrispettiva in caso di fornitura non richiesta») – secondo il giudice del gravame – deriverebbero due conseguenze logiche: ad essere “non richieste” sarebbero la nuova società fornitrice e le condizioni contrattuali dalla prima applicate, non già la fornitura in sé; la disposizione esonererebbe il consumatore soltanto [continua ..]


6. Segue. (In)giustificato arricchimento tra conviventi e princìpi di ragionevolezza e proporzionalità.

L’indirizzo interpretativo volto a considerare, sulla base di un’interpretazione teolologicamente orientata, la «giusta causa» dell’arricchimento in prospettiva rimediale appare una tendenza giurisprudenziale in via di progressivo consolidamento. La ricostruzione sarebbe tuttavia incompleta se non si desse conto del referente assiologico in rapporto al quale la clausola generale è orientata, ovvero i princìpi costituzionali, internazionali ed europei che caratterizzano il vigente sistema ordinamentale. Àmbito di verifica privilegiato di tale affermazione è rappresentato dagli statuti normativi applicabili alle attribuzioni patrimoniali effettuate dai conviventi more uxorio [1]. Ipotesi verosimilmente neanche considerata dal legislatore del 1942 [2], ma alla quale – proprio in ragione della natura “aperta” che caratterizza le clausole generali – da tempo gli interpreti tendono ad applicare il rimedio disciplinato dall’art. 2041 cod. civ. [3] a condizione che ricorrano determinati presupposti. Le prestazioni a contenuto patrimoniale effettuate dai conviventi hanno natura e funzione assai differenziata sí che l’analisi qualificatoria non può prescindere, in nessun caso, dalle circostanze che caratterizzano il caso concreto. Dette prestazioni, ad esempio, possono essere destinate a soddisfare esigenze di natura meramente personale di un solo convivente (si pensi all’acquisto di gioielli) ovvero al ménage quotidiano della coppia. In quest’ultimo caso potrebbero essere indirizzate all’acquisto di beni che si consumeranno nel corso della convivenza (ad esempio una vacanza oppure beni alimentari di prima necessità) ovvero durevoli (si pensi ad un immobile ad uso abitativo) [4]. Prescindendo dalla questione – sollevata in dottrina – della necessaria identificazione del titolo dell’attribuzione di volta in volta considerata [5], in chiave pratico-applicativa il problema sorge quando, all’esito della convivenza, un partner agisce in giudizio per ottenere la restituzione di quanto prestato a vantaggio dell’altro durante lo svolgersi del rapporto affettivo: l’interprete, senza poter fare riferimento al quadro normativo derivante dal matrimonio, dall’unione civile o dal contratto di convivenza [6], è comunque tenuto ad identificare [continua ..]


7. Considerazioni conclusive.