Jus CivileISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

Le attuali sopravvenienze contrattuali tra diritto vigente e diritto vivente (di Roberto Senigaglia)


Il saggio propone una sintesi del dibattito civilistico, sviluppato nel periodo dell’emergenza pandemica, sui rimedi alle relative sopravvenienze contrattuali. In particolare, vengono affrontati i problemi riguardanti l’impatto dei provvedimenti emergenziali sull’equilibrio economico del contratto e sugli strumenti rimediali più adeguati a far fronte agli interessi sottesi. Il ragionamento considera quindi l’obbligo di rinegoziazione, ravvisando la fonte di quest’ultimo nell’obbligo di buona fede nell’esecuzione del contratto e dunque nella legge. Si affronta, dunque, in chiave critica, la teoria che radica il potere correttivo del giudice, in caso di mancata collaborazione delle parti, nell’equità integrativa del contratto.

The current contractual contingencies between law in the books and law in action

The essay proposes a summary of the debate, arisen in the period of the pandemic emergency, on the remedies accorded to the current contractual contingencies. In particular, it shows the problems concerning the impact of emergency measures on the economic contractual equilibrium and the most appropriate remedies to address the underlying interests. Thus, the renegotiation is considered, by identifying its source in the obligation of good faith in contract performance and therefore in the law. Finally, it is addressed the judge's corrective power on the contract, in the case of the parties' failure to cooperate, according to the supplementary equity.

Roberto Senigaglia - Le attuali sopravvenienze contrattuali tra diritto vigente e diritto vivente

COMMENTO

Sommario:

1. I rapporti contrattuali “messi in crisi” dall’emergenza sanitaria. - 2. Vincolatività del contratto e inadempimento contrattuale. - 3. L’impossibilità sopravvenuta della prestazione. - 4. Rimedi demolitori versus rimedi conservativi del contratto. - 5. I rimedi alla significativa onerosità sopravvenuta della prestazione. - 6. L’obbligo di rinegoziazione tra buona fede ed equità. - 7. Una considerazione finale.


1. I rapporti contrattuali “messi in crisi” dall’emergenza sanitaria.

Il tempo dell’emergenza pandemica da COVID-19, iniziata nel 2020, continua a portare con sé non soltanto disposizioni eccezionali concernenti particolari aspetti di specifiche situazioni, ma pure percorsi ermeneutici volti a individuare le possibili soluzioni giuridiche agli effetti, non soltanto patrimoniali, generati dalle restrizioni via via sancite sui rapporti di diritto privato. L’emergenza economica interessa, evidentemente, anche i rapporti contrattuali[1]; in particolare, possono essere “messi in crisi” i contratti a prestazioni corrispettive ad esecuzione istantanea differita o ad esecuzione periodica o continuata, retti da uno specifico equilibrio economico, quello voluto dalle parti, il quale giustifica la “misura” delle prestazioni reciproche. Ad essere colpito è il sinallagma contrattuale, costituito dal rapporto funzionale tra le prestazioni, che vede ogni prestazione porsi in funzione della controprestazione, nel senso di trovare in quest’ultima la propria giustificazione. Questa cifra funzionale, che pone in rapporto tra loro le prestazioni, edificata dall’assetto di interessi dello specifico contratto, è la ragione dell’esplicazione dell’autonomia contrattuale e quindi della determinazione delle parti a concludere il contratto: valutate le condizioni presenti nel momento delle trattative e della formazione dell’accordo, le parti si vincolano fissando un preciso assetto patrimoniale distribuendo, in capo a ciascuno, diritti e obblighi. Così, guardando a uno dei rapporti più colpiti dagli eventi, con riferimento a un contratto di locazione di un immobile a uso non abitativo il canone è definito, anche dopo ampie trattative, tenendo conto di tutti i contenuti del contratto, non soltanto di quelli attinenti alla materialità dell’oggetto (le caratteristiche strutturali e logistiche dell’immobile oggetto della locazione), ma pure dei costi e dei benefici associati alle altre previsioni contrattuali, ivi comprese quelle sulla durata e sulla distribuzione delle spese in capo alle parti. Ebbene, questo legame funzionale tra le prestazioni può venir meno per effetto di eventi sopravvenuti, non calcolati e non calcolabili al momento della conclusione del contratto. La pandemia da COVID-19 è stata subito annoverata tra queste sopravvenienze[2]. Nello specifico, ad essa sono legati eventi di forza maggiore [continua ..]


2. Vincolatività del contratto e inadempimento contrattuale.

Al cospetto di codeste sopravvenienze e delle relative istanze della parte contrattuale svantaggiata, l’ordinamento e con esso il suo interprete sono stati interpellati per porre soluzioni idonee a realizzare gli interessi delle parti e del mercato in generale. Occorre subito constatare che nonostante la disciplina generale del contratto presente nel nostro Codice civile non abbia conosciuto riforme significative come avvenuto, invece, in altri ordinamenti dell’Europa continentale (il riferimento è, in particolare, alla Germania e alla Francia) ed essendo, quindi, sostanzialmente databile ai tempi dell’entrata in vigore del Codice, il diritto civile si è trovato meno impreparato di quanto si immaginava dinanzi ai disagi generati dalla pandemia. E questo specialmente grazie alla forza assiologica espansiva propria dei principi e delle clausole generali[1]. Talune regole generali del nostro diritto contrattuale, infatti, parrebbero non concedere soluzioni sufficientemente appaganti al contraente che si trovi a patire economicamente gli effetti delle sopravvenienze legate alla pandemia, imprevedibili al tempo della conclusione del contratto stipulato in un momento in cui non vigevano le restrizioni dovute all’emergenza sanitaria. Il riferimento è anzitutto al principio della vincolatività del contratto: se quest’ultimo ha «forza di legge tra le parti e non può essere sciolto se non nei casi stabili dalla legge» (art. 1372 c.c.), la parte che dovesse subire, a causa delle sopravvenienze, un significativo mutamento delle proprie condizioni economiche rispetto a quelle presenti e previste (o prevedibili) al momento della conclusione dell’affare, non potrebbe di sua iniziativa sciogliere il contratto né, tantomeno, modificarne i suoi contenuti patrimoniali. A questa regola si accompagna quella che considera inadempimento ogni forma di inesatta esecuzione della prestazione contrattuale, elevandola a fonte di responsabilità per i danni che ne discendono, a meno che il debitore non provi che la prestazione è divenuta impossibile per causa a lui non imputabile (art. 1218 c.c.). Alla rigidità di queste regole si sono appellati quei giudici che, a fronte delle sopravvenienze dell’emergenza sanitaria, non hanno accordato alcun rimedio alla parte economicamente svantaggiata, specie in termini di ridefinizione delle condizioni economiche del [continua ..]


3. L’impossibilità sopravvenuta della prestazione.

Chiarito l’impatto delle restrizioni sui profili attinenti alla responsabilità per inadempimento, rimane da definire la possibile sorte dei contratti resi disfunzionali dalle sopravvenienze in questione. Ora, il ragionamento sui rimedi messi a disposizione della parte i cui interessi patrimoniali sono pregiudicati dalle sopravvenienze legate alla pandemia da COVID-19 esige un diverso svolgimento a seconda che si tratti di contratti a esecuzione istantanea, specie se differita, oppure di contratti ad esecuzione continuata o periodica. In entrambi i casi occorre, comunque, chiarire quali soluzioni l’ordinamento offra, al di là di quelle espressamente articolate secondo la tecnica della fattispecie. Quanto ai contratti a esecuzione istantanea differita, il mercato ha conosciuto situazioni problematiche relative a contratti stipulati prima dell’emergenza sanitaria o in un periodo in cui erano venute meno le restrizioni impeditive, ma la cui esecuzione cadeva nel periodo in cui non era possibile eseguire la prestazione. In questi casi, essendosi verificata l’impossibilità sopravvenuta della prestazione, stando agli artt. 1463 ss. c.c., è dato ottenere la risoluzione del contratto, ovvero lo scioglimento del rapporto contrattuale. Peraltro, già da tempo la giurisprudenza ha riconosciuto che la fattispecie possa aver luogo non soltanto quando il debitore non possa oggettivamente eseguire la prestazione per causa sopravvenuta a lui non imputabile; ma anche quando pur essendo possibile a quest’ultimo eseguirla sia il creditore a trovarsi nell’impossibilità di riceverla o utilizzarla[1]. Ma anche rispetto a questa situazione, la casistica può presentarsi variegata, potendosi prospettare casi di: a) impossibilità definitiva della prestazione (art. 1463 c.c.). In tale ipotesi il contratto si scioglie di diritto e, se l’altra parte ha già eseguito la sua prestazione, opera l’obbligo restitutorio secondo la disciplina del pagamento dell’indebito (art. 2033 c.c.). Per taluni contratti, la normativa emergenziale ha previsto una diversa distribuzione dei rischi rispetto a quella operata da questa regola generale[2]. È il caso dei contratti di trasporto aereo, ferroviario, marittimo, nelle acque interne o terrestre, dei contratti di soggiorno e di pacchetto turistico, rispetto ai quali l’art. 88 bis del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, [continua ..]


4. Rimedi demolitori versus rimedi conservativi del contratto.

Soltanto nell’ipotesi di impossibilità parziale è riconosciuto alla parte che la subisce il diritto di mantenere in vita il contratto, pretendendo dall’altra parte la corrispondente riduzione della propria prestazione e quindi la rideterminazione della misura delle reciproche prestazioni. Negli altri casi il rimedio espressamente previsto dal legislatore è di tipo demolitorio, avente cioè l’effetto di sciogliere il rapporto contrattuale. Ma potrebbe essere interesse della parte svantaggiata disporre di un rimedio conservativo (o manutentivo) del contratto, volto unicamente a ridefinire i termini economici dello stesso; esigenza, questa, particolarmente avvertita quando la parte è un imprenditore, spinto dall’interesse di neutralizzare il rischio di perdere l’avviamento e di cessare l’attività economica[1]. L’esigenza può sorgere rispetto a casi di impossibilità temporanea in cui permane l’interesse del creditore ad avere la prestazione, ma a condizioni diverse; o di un contratto stipulato nel periodo non emergenziale a esecuzione differita, da eseguirsi in un periodo quando è venuto meno l’impedimento alla prestazione ma permangono ancora numerose restrizioni legate all’emergenza sanitaria. Ma questa esigenza è avvertita specialmente nei contratti di durata ad esecuzione continuata o periodica, conosciuti anche come contratti relazionali, caratterizzati da un rapporto continuativo tra le parti[2]. È il caso, ampiamente conosciuto dalla giurisprudenza di questi tempi, dei contratti di locazione di immobili ad uso non abitativo[3]. La risposta a quell’esigenza è stata da molti individuata nell’art. 1464 c.c., ravvisando nei provvedimenti che hanno sospeso lo svolgimento dell’attività imprenditoriale all’interno degli immobili oggetto della locazione, incidenti non sulla quantità ma sulla qualità delle prestazioni, dei fatti generativi di impossibilità temporanea della prestazione; la quale, rispetto ai contratti di durata, comporta l’applicabilità della disciplina dell’impossibilità parziale[4]. Nello specifico, non potendo il locatore adempiere l’obbligo di mantenere la cosa nello stato «da servire all’uso convenuto» (art. 1575, n. 2, c.c.), il conduttore — a sua volta impedito a servirsi della cosa [continua ..]


5. I rimedi alla significativa onerosità sopravvenuta della prestazione.

La fattispecie dell’eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili conosce un’espressa previsione nell’art. 1467 c.c.; il quale accorda alla parte svantaggiata soltanto un rimedio demolitorio del contratto, ovvero la sua risoluzione. È soltanto all’altra parte che è riconosciuto il potere di evitare lo scioglimento del rapporto contrattuale «offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto»[1]. Stando pertanto a questa previsione normativa, il contraente che lamenta la sopravvenuta eccessiva onerosità della propria prestazione per effetto degli eventi legati alla pandemia da COVID-19 non ha altra soluzione che quella di privarsi del contratto, essendo riconosciuto soltanto all’altra parte il potere di mantenerlo in vita rinegoziando i termini economici. È questa la logica della fattispecie, i cui presupposti sono rigidamente scanditi e non agevolmente ravvisabili, a partire dall’onerosità sopravvenuta, la quale, è sovente significativa anziché eccessiva, ma proprio perché tale pur sempre meritevole di soluzione normativa.  Oltretutto, come dicevamo, non è interesse della parte svantaggiata, specie se si tratta di un imprenditore, sciogliere il rapporto contrattuale, ma piuttosto conservarlo a condizioni diverse, ovvero rinegoziando i suoi termini economici. In sostanza, il rimedio caducatorio, previsto dall’art. 1467 c.c., non è ritenuto soddisfacente. Ma nel nostro ordinamento manca una regola generale espressa che accordi alla parte la cui prestazione sia divenuta significativamente onerosa per effetto di un evento sopravvenuto, eccezionale e imprevedibile, il diritto di ottenere dall’altra parte la rinegoziazione del contratto. E ciò a differenza di quanto è dato constatare in altri ordinamenti europei (si pensi alla Francia[2] o alla Germania[3]), ma anche nelle fonti di soft law riguardanti principi di diritto contrattuale[4]. In questa direzione muovono anche i Principles for the COVID-19 Crisis formulati dall’European Law Institute. Segnatamente, il Principle 13 dispone che «Where, as a consequence of the COVID-19 crisis and the measures taken during the pandemic, performance has become excessively difficult (hardship principle), including where the cost of performance has risen significantly, States [continua ..]


6. L’obbligo di rinegoziazione tra buona fede ed equità.

Nonostante l’assenza di una previsione espressa dell’obbligo di rinegoziazione, il nostro ordinamento è comunque dotato di strumenti normativi capaci di fondarlo, in capo a entrambe le parti, ogni qual volta sopravvengano circostanze non calcolate né calcolabili al momento della conclusione del contratto e che incidano sul sinallagma, sulla sua specifica cifra di equilibrio economico. È noto che tanto la dottrina quanto la giurisprudenza hanno principalmente ravvisato i referenti normativi di questo obbligo nella clausola generale di buona fede contrattuale e nel principio di solidarietà economica, politica e sociale, di cui essa è espressione, sancito dall’art. 2 Cost.[1] È proprio la solidarietà che impone alle parti, in presenza di eventi del tipo di quelli oggetto di queste riflessioni, di non far prevalere, tra gli interessi in gioco, un interesse sull’altro, adottando così un approccio individualistico, ma di attuare un ragionevole bilanciamento tra gli stessi[2]. In quest’ordine di senso, l’obbligo di buona fede esige dalle parti il dovere di comportarsi correttamente, salvaguardando l’interesse dell’altra parte quando ciò non comporti un apprezzabile sacrificio del proprio[3]. E trattandosi di un obbligo fondato sul principio suddetto, esso si pone a fondamento di tutto il rapporto, dal momento delle trattative (art. 1337 c.c.) a quello della esecuzione del contratto (artt. 1175 e 1375 c.c.). Le parti, dunque, essendo obbligate non soltanto a ciò che risulta espressamente dal contratto ma pure, a norma dell’art. 1374 c.c., da tutto quanto discende dalla legge (dagli usi o dall’equità), sono chiamate anche ad adempiere l’obbligo di buona fede nella fase di esecuzione del contratto[4]. E, di conseguenza, anche l’obbligo di rinegoziare i termini del contratto, secondo una logica solidaristica e non egoistica, quando gli eventi sopravvenuti, straordinari e imprevedibili impongono, secondo lealtà e correttezza, condizioni economiche diverse da quelle volute dalle parti al momento della conclusione del contratto[5]. Tant’è che se codeste circostanze fossero state presenti in quest’ultimo momento, le parti sarebbero giunte a definire una cifra diversa dell’equilibrio economico pattuito[6]. Ebbene, se al verificarsi di queste circostanze le parti non adempiono [continua ..]


7. Una considerazione finale.