Jus CivileISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

Il ruolo della solidarietà familiare tra nullità canonica e cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario. Note critiche in merito a Corte di Cassazione, Sezioni unite civili, 31 marzo 2021, n. 9004 (di Simona Attollino)


L’Autore esamina la sentenza della Corte di Cassazione n. 9004/2021 che riguarda i rapporti tra giudizio di divorzio e delibazione della sentenza di nullità canonica. L’articolo ripercorre la giurisprudenza in materia e valorizza il principio di diritto della recente pronuncia secondo cui la sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio non sospende il ricorso sulla parte della sentenza di divorzio che si occupa dell'assegno divorzile: i due procedimenti sono, infatti, autonomi e tra i due non sussiste un rapporto di pregiudizialità.

The relationship between the divorce judgment and the exequatur of ecclesiastical judgments of nullity of marriage. Critical considerations on the ruling of Court of Cassation, 31 March 2021, no. 9004

The aim of the article is to analyze the case decided by the Italian Court of Cassation no. 9004/2021 about the relationship between the divorce judgment and the civil recognition (“delibazione”) for a declaration of marriage nullity. The paper than focuses on the guidelines of the jurisprudence, highlighting the legal principle of the recent judgement: declaration of marriage nullity shall not suspend the divorce judgement on economic iussues.

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SOMMARIO:

1. Introduzione. - 2. Il contrasto giurisprudenziale e l’ordinanza di rimessione. - 3. Il principio di diritto della sentenza n. 9004/2021. - 4. Natura ed effetti delle sentenze di nullità e divorzio. - 5. Ultrattività dei negozi (matrimoniali) invalidi in relazione ai principi di solidarietà sociale e familiare. - 6. La laicità dell’ordine matrimoniale e gli obblighi concordatari: brevi notazioni conclusive.


1. Introduzione.

L’esperienza giuridica dimostra che il fattore religioso rappresenta un proficuo punto di osservazione per considerare le vicende legate all’evoluzione del matrimonio e della famiglia, attraversati trasversalmente dagli alterni rapporti tra ordini distinti, Stato e Chiesa. La luce della religione si imbatte sul prisma dell’istituto matrimoniale, impattando diversamente a seconda della considerazione che di tale variabile si è data nelle diverse tappe dell’evoluzione sociale e giuridica del matrimonio e della sua crisi. Storicamente, infatti, la disciplina giuridica della famiglia risente di un forte radicamento nella religione: nasce sul terreno di consuetudini forgiate a livello sociale, ma coltiva le sue dinamiche nella sede giudiziaria, confermando il noto brocardo da mihi factum, dabo tibi ius, inteso nell’accezione contemporanea come individuazione, a partire dal fatto, della regola giusta per il caso concreto. Tanto è vero che, come è stato autorevolmente sostenuto, il diritto di famiglia è il campo in cui si verifica una intensa trasfusione dell’etica nell’orbita del diritto[1]. Altrettanto evidente è il condizionamento che la diarchia giurisdizionale di Stato e Chiesa sul matrimonio canonico trascritto ha assunto nella prassi processuale, con particolare riferimento allo storico tema del rapporto tra nullità matrimoniale in sede canonica e giudizio di divorzio in sede civile[2]. L’interesse per la citata questione non si è mai sopito, anche in ragione della sua rilevanza tecnica e applicativa, al punto da rappresentare l’oggetto di una ricca produzione giurisprudenziale, oggi sfociata nella pronuncia delle Sezioni Unite Civili della Suprema Corte di Cassazione n. 9004 del 31 marzo 2021[3], su cui s’incentra la presente riflessione.   [1] In questi termini, ancora attuali le considerazioni di Biondo Biondi, Il diritto romano, Cappelli, Bologna, 1957, p. 310. Sul tema, cfr., altresì, Arturo Carlo Jemolo, Il matrimonio, 3a ed., Utet, Torino, 1957, pp. 21-27; Giuseppe Dalla Torre, Matrimonio e famiglia tra laicità e libertà religiosa, in www.statoechiese.it, n. 22, 2018, pp. 1-21; Id. Il matrimonio tra diritto e legge. Sondaggi nella storia, in Myriam Tinti (a cura di), Famiglia e diritto nella Chiesa, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2014, p. 39 ss. [2] Per una ricostruzione in chiave [continua ..]


2. Il contrasto giurisprudenziale e l’ordinanza di rimessione.

Con la sentenza in commento i giudici della nomofilachia intervengono a dirimere il contrasto giurisprudenziale sorto in merito all’efficacia preclusiva alla prosecuzione del giudizio sulle pronunce accessorie al divorzio (e in particolare sul riconoscimento e la determinazione dell’assegno divorzile), in seguito all’intervenuta delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio. Nel dettaglio, se la nullità del matrimonio, dichiarata con sentenza ecclesiastica successivamente delibata dalla Corte d’appello (con sentenza passata in giudicato) sia idonea a incidere sul giudicato interno nel giudizio di cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario in cui sia stata già pronunciata sentenza parziale sullo status (o il capo autonomo non sia stato impugnato in sede di gravame), precludendo al giudice civile il potere di regolare, secondo la disciplina della legge n. 898 del 1970 e successive modificazioni, i rapporti patrimoniali tra gli ex coniugi. La questione risulta di particolare interesse, dal momento che, nell’ambito di una tematica che la giurisprudenza ha più volte affrontato nei suoi aspetti maggiormente conosciuti, essa riguarda un caso particolare, ma non infrequente nella prassi giudiziaria: l’ipotesi, cioè, dell’intangibilità del giudicato sulla cessazione degli effetti civili del matrimonio in presenza di un giudizio ancora pendente per l’accertamento e la determinazione dell’assegno divorzile ex art. 5, sesto comma, della legge n. 898 del 1970 e delle altre pronunce accessorie, in relazione all’intervenuto giudicato sull’invalidità originaria del vincolo matrimoniale ottenuto in sede canonica. In punto di fatto, la vicenda aveva avuto origine da un matrimonio concordatario celebrato sul finire degli anni Settanta e naufragato con un divorzio pronunciato dal Tribunale di Lucca. Il marito aveva proposto gravame avverso la sentenza di primo grado impugnando il solo capo della decisione avente a oggetto l’obbligo impostogli di corresponsione dell’assegno in favore della ex moglie; sulla questione di status si era formato, invece, il giudicato. Nel corso del giudizio dinanzi alla Corte di Cassazione avverso la sentenza di rigetto pronunciata dalla Corte di appello di Firenze nel 2013, l’ex marito aveva chiesto che fosse dichiarata la cessazione della materia del contendere, sul [continua ..]


3. Il principio di diritto della sentenza n. 9004/2021.

Nella cornice del dibattito interpretativo così sommariamente tratteggiato, le Sezioni unite valorizzano l’orientamento criticato dal remittente e ritenuto asseritamente minoritario. Come è stato autorevolmente sostenuto, infatti, l’ordinanza n. 1882 del 2019 si distingue per il maggior “rigore processualistico al servizio di interessi di carattere sostanziale”[1] e ciò induce il Supremo Consesso a condividerne l’iter motivazionale, a discapito di quanto sostenuto dall’ordinanza di rimessione. Pertanto, “in tema di divorzio, il riconoscimento dell’efficacia della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio religioso, intervenuto dopo il passaggio in giudicato della pronuncia di cessazione degli effetti civili ma prima che sia divenuta definitiva la decisione in ordine alle relative conseguenze economiche, non comporta la cessazione della materia del contendere nel giudizio civile avente a oggetto lo scioglimento del vincolo coniugale, il quale può dunque proseguire ai fini dell’accertamento della spettanza e della liquidazione dell’assegno divorzile”. L’enunciato dei giudici della nomofilachia, oltre a distinguersi per chiarezza espositiva al pari del complessivo impianto motivazionale della pronuncia, protende verso l’enucleazione di un ordine matrimoniale illuminato dal principio di laicità dello Stato. Si muove, inoltre, nell’ottica di preservare la coesistenza e la complementarità degli ordinamenti, giacché tenta di coniugare le pretese delle parti in causa nel circuito processuale, complessivamente inteso, creando quell’auspicata comunicabilità tra i giudizi, civile e canonico, seppure nella loro ontologica diversità. L’ammissibilità della prosecuzione dinanzi al giudice civile dell’esame sulla spettanza e sulla liquidazione dell’assegno divorzile, nonostante l’intervenuta delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità matrimoniale, rende, infatti, la (in)validità del matrimonio tecnicamente estranea al giudizio di scioglimento del rapporto, salvo che la questione pregiudiziale venga sollevata ai sensi dell’art. 34 c.p.c. in sede di accertamento incidentale ovvero che non sia stata ancora pronunciata sentenza sullo status. Il superamento del meccanismo preclusivo riespande il sindacato del giudice statuale sulle questioni [continua ..]


4. Natura ed effetti delle sentenze di nullità e divorzio.

La sentenza n. 9004/2021 è l’ultima occasione per ripercorrere le trame di una tematica che, da sempre, è stata l’oggetto dell’interesse tanto della giurisprudenza di legittimità, quanto della dottrina ecclesiasticista: quella dei rapporti tra giudizio di nullità del matrimonio religioso e giudizio di divorzio. Le Sezioni Unite ritengono, infatti, di impostare la problematica sollevata dall’ordinanza di rimessione ricostruendo lo stato dell’arte giurisprudenziale sul punto, al fine d’individuare le ragioni sottese all’affermazione dell’intangibilità del giudicato di divorzio da parte del provvedimento di delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità. I giudici apicali muovono dalla decaduta riserva di giurisdizione a favore dei Tribunali ecclesiastici, allineandosi a quanto già espresso dalle medesime Sezioni Unite della Cassazione[1] quando, mediante un’opera di comparazione giuridicamente ineccepibile tra il testo dall’Accordo stipulato tra la Santa Sede e la Repubblica italiana nel 1984 e il Concordato del 1929, si impose il superamento della riserva quale una delle caratteristiche più salienti del nuovo negoziato[2]. L’assunto è stato successivamente sostenuto da un solido e accorto orientamento giurisprudenziale[3] che ha risolto il concorso tra la giurisdizione ecclesiastica e quella civile secondo il criterio della prevenzione in favore della giurisdizione civile, facendone discendere ulteriori postulati di carattere pratico-operativo[4]. Tra questi, la circostanza che il giudicato di divorzio non impedisse la delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità, ma al contempo non potesse ritenersi travolto dalla stessa. Prendendo le mosse da tale ultima affermazione, originariamente giustificata con l’osservazione che, in assenza di un’espressa domanda di nullità, il giudicato di divorzio contenesse una valutazione meramente implicita di validità del matrimonio, nei limiti di un accertamento incidentale, la sentenza in commento ne esamina funditus la portata. In effetti, nel corso dell’evoluzione giurisprudenziale, il profilo in esame è stato chiarito nel senso che, non potendo la predetta valutazione aver luogo in via incidentale, ma dovendo la questione di nullità essere decisa necessariamente con efficacia di giudicato, l’esistenza e la [continua ..]


5. Ultrattività dei negozi (matrimoniali) invalidi in relazione ai principi di solidarietà sociale e familiare.

Una prima interessante prospettiva di analisi muove dal contesto normativo nell’ambito del quale la pronuncia delle Sezioni Unite si inserisce. Uno scenario, come noto, oramai proteso a riconoscere dignità giuridica al fenomeno della pluralizzazione delle manifestazioni affettive e attento a regolamentare tutte le fasi della relazione, dalla sua nascita, alla sua consacrazione sino alla sua eventuale disgregazione, a prescindere dal modello legale utilizzato[1]. Sino a pochi anni orsono, lo spettro di indagine era rimasto circoscritto al solo paradigma eterosessuale di cui, tra l’altro, si occupa la sentenza in commento, sulla base di una consolidata e ultramillenaria nozione di matrimonio[2], che legava a doppio filo l’impianto della famiglia legittima all’atto matrimoniale in senso stretto e si era affermata nella tradizione giuridica, prima ancora che codicistica e costituzionale, sino a quando, a partire dagli anni Cinquanta, i profondi mutamenti delle strutture sociali e della coscienza collettiva hanno reso più rapida l’evoluzione delle forme di vita familiare[3]. Il culmine della crisi del sistema familiare si era già raggiunto nella stagione delle riforme post-codicistiche - dalla legge n. 898/1970 sul divorzio, alla riforma organica n. 151/1975, sino alla legge n. 194/1978 sull’interruzione di gravidanza: un primo segnale del graduale superamento della visione meramente istituzionalistica della famiglia che, oltre il dato formalistico (l’atto di matrimonio), decide di valorizzare soprattutto il concreto svolgimento della vita di coppia (il rapporto)[4]  e la sua funzione[5]. Nel panorama contemporaneo, torna ad assumere un ruolo decisivo la giurisprudenza che sollecitando, più che in altre fasi storiche, il costante adeguamento della disciplina vigente al mutevole clima sociale, accompagna l’approvazione della legge n. 76/2016, cosiddetta Cirinnà, in tema di regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze[6]. La stessa giurisprudenza apicale che fa da scenario alla pronuncia in commento aveva, infatti, valorizzato una concezione di famiglia di stampo aperto e pluralistico, irriducibile alle opposte concezioni religiose, ontologicamente concentrate sull’intangibilità dell’atto negoziale fondativo del rapporto. Oggi, la sentenza n. 9004/2021 si inserisce in questo solco interpretativo, [continua ..]


6. La laicità dell’ordine matrimoniale e gli obblighi concordatari: brevi notazioni conclusive.