Jus CivileISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

Contratti digitali e mercati delle piattaforme. Un promemoria per il civilista (di Carmelita Camardi)


Questo studio si propone di ricostruire i modelli contrattuali che si sviluppano nelle piattaforme di intermediazione commerciale, con riferimento ai rapporti tra utenti e piattaforme e ai rapporti tra fornitori e consumatori, indagando altresì la peculiare interferenza tra gli scambi commerciali e la circolazione dei dati personali. L’Autrice si concentra sui recenti provvedimenti dell’UE e su quelli ancora in fieri che dovrebbero fornire un assetto più equilibrato dei suddetti rapporti, rilevando nella normativa esaminata una nuova versione del “diritto privato regolatorio”, propria dell’economia data driven.

Digital contracts and platform markets. a memorandum for a civil law specialist

The essay aims to analyse the contractual models used in the online digital platforms, with reference to the relationships between users and online services providers and between suppliers and consumers, also investigating the interference between commercial exchanges and personal data circulation. The Author focuses on recent EU regulations, including the new Digital service and digital market Acts still in  progress, that should provide a safer and more open digital space, noting in these Acts a new version of the "private regulatory law", typical in the data driven economy.

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Carmelita Camardi - Contratti digitali e mercati delle piattaforme. Un promemoria per il civilista

COMMENTO

Sommario:

1. Il contratto telematico agli esordi. - 2. Contratto in generale e contratto telematico. Continuità e rotture. - 3. Una nuova frontiera per il diritto contrattuale: l’economia dei dati. - 4. Contratti e intermediazione tra domanda e offerta. Le piattaforme. - 5. Diritto dei contratti e diritto dei “dati”. Interferenze e problemi. - 6. I modelli di contratti nell’economia delle piattaforme. a) I rapporti orizzontali B&c e il nuovo modello di scambio fra beni e dati. b) I contratti peer to peer. c) I contratti di fornitura di beni o servizi peer to peer, ma diretti dal gestore della piattaforma. - 7. Contratti verticali tra piattaforma e utenti. Temi e problemi. - 8. Il Regolamento 2019/1150 (UE), del 20 giugno 2019 per la promozione di equità e trasparenza (solo) per gli utenti commerciali dei servizi di intermediazione online. - 9. Il Digital services Act e il rapporto tra piattaforme, anche “molto grandi”, e utenti. Trasparenza e accountability. - 10. Segue. Il Digital Market Act. Piattaforme gatekeeper e mercato. - 11. Contrattualizzazione dei rapporti tra piattaforme e utenti. Le forme dell’economia data driven nel modello europeo.


1. Il contratto telematico agli esordi.

Sebbene non abbia mai mancato di rilevare come la realtà virtuale non sia un mero duplicato della realtà materiale dei rapporti interpersonali, sottolinenandone più volte il carattere rivoluzionario se non antagonista, la letteratura giuridica ha tuttavia prevalentemente affrontato la disciplina del fenomeno dilagante della realtà virtuale, e ora digitale, attraverso un rassicurante meccanismo di trasposizione di schemi qualificativi e di istituti consolidati nella realtà materiale. Non si è trattato di una scelta casuale né meramente intenzionale, quanto piuttosto di una scelta che non lasciava nessuna alternativa, se non quella del tutto inaccettabile prospettata da chi –come i fautori della netiquette- riteneva che non vi fosse bisogno alcuno di regolare con norme i rapporti fra cibernauti. Il fatto nuovo, infatti, chiama in causa il principio della completezza dell’ordinamento, e l’interprete non può sottrarsi alla fatica di trovare la soluzione del caso all’interno del sistema di cui dispone e con i concetti che riempiono il suo tools box, fino a quando il legislatore non riprende in mano il potere e l’autorità di fare nuove norme[1]. Ciò che va riferito per gran parte al legislatore europeo, che proprio nel mondo di Internet ha affermato con maggior vigore che in altri settori di competenza dei Trattati la sua capacità di superare le barriere nazionali e accorciare quella prima distanza che la realtà virtuale ha opposto ai legislatori: la sua deterritorialità e la vocazione a sfuggire le giurisdizioni territoriali. Sennonchè, come noto, anche la legislazione europea diviene in non pochi casi tributaria degli schemi e degli istituti tradizionali, atteso che –quantomeno nelle Direttive ma talvolta anche per i Regolamenti- è necessario o non si può escludere un processo di trasposizione e di adattamento della regola europea negli ordinamenti interni, e di qui –per l’appunto- negli schemi e istituti della tradizione materiale. Certamente, il diritto dell’internet ha rapidamente preso il sopravvento e affermato la sua “originalità” con fonti e istituti propri[2], inconsuete o sconosciuti rispettivamente nel diritto privato tradizionale, ma ciononostante la costitutiva generalità e astrattezza degli istituti del diritto civile non ha mai interrotto quel fenomeno [continua ..]


2. Contratto in generale e contratto telematico. Continuità e rotture.

Nella materia contrattuale il processo di riadattamento della dogmatica negoziale al contratto telematico e la lettura stessa del contratto on line alla luce di quella dogmatica, hanno conosciuto esempi emblematici nella letteratura che ha riscritto il diritto contrattuale on line secondo la sequenza formativa del contratto contenuta nel libro IV del codice civile, “normalizzando” così il commercio elettronico e i suoi scambi a partire dalla fase della formazione, della conclusione, della esecuzione, attraverso la verifica della disciplina dei vizi, come delle clausole vessatorie, della sua efficacia e del recesso, e perfino della responsabilità precontrattuale[1]. I nuovi soggetti degli scambi telematici introdotti dalle prime Direttive europee, dal service provider in tutte le sue declinazioni legate alla varietà dei servizi della società dell’informazione, agli utenti navigatori e consumatori, hanno trovato lo statuto dei loro diritti ed obblighi nella riproduzione negli scambi in rete della disciplina dei contratti B&B e B&C, a sua volta governata dalle Direttive consumeristiche intese a regolare il mercato unico digitale e dai Regolamenti finalizzati all’implementazione dello stesso contro comportamenti opportunistici degli operatori nazionali[2]. La letteratura sul contratto telematico e sulla sua prevalente declinazione consumeristica non richiede di essere ripercorsa in questa sede, salvo che per i più recenti epigoni cui si farà cenno a breve. Ciò che interessa mettere in evidenza oggi, dopo più di un ventennio dai primi studi sistematici sul contratto virtuale, è ancora l’idea per la quale il contratto on line, se lo si guarda come (mero) atto oneroso di scambio tra un operatore professionista e un consumatore o altro operatore, avente ad oggetto un bene o servizio, una volta assorbita la novità della sua conclusione “a distanza” unitamente alla moltiplicazione esponenziale del numero di transazioni anche transfrontaliere, si presenta come fenomeno che porta a compimento un processo di oggettivazione e proceduralizzazione del contratto che trova origine già nell’assetto economico del mercato off line. Le metafore degli scambi senza accordo e dei contratti muti, ampiamente utilizzati per i contratti telematici, trovano origine nella standardizzazione dei rapporti contrattuali e nello strutturarsi del potere [continua ..]


3. Una nuova frontiera per il diritto contrattuale: l’economia dei dati.

In questa chiave, infatti, la dimensione microeconomica del contratto telematico non è più sufficiente a comprendere giuridicamente le dinamiche del mercato digitale, le quali si muovono in stretta connessione con il consolidamento di un modello produttivo tipicamente digitale, quello cosiddetto data driven, o altrimenti definito dell’economia dell’attenzione, o ancora dell’economia collaborativa (definizione –quest’ultima- propria della recente strategia normativa dell’Unione europea), e da ultimo dell’economia delle piattaforme. La pluralità delle definizioni mette in evidenza, da punti di vista diversi ma collegati, la complessità di questo modello organizzativo e il suo duplice volto. Da un lato, quello di essere pur sempre un modello di distribuzione di risorse che struttura e implementa l’incontro tra prestatori di beni e servizi e acquirenti o utenti degli stessi. Dall’altro, quello di essere in ragione di ciò anche modello che stimola la produzione di un’altra ricchezza, veicolata attraverso i medesimi scambi: la ricchezza costituita dalla massa di informazioni che vengono disseminate dagli attori dello scambio prima, durante e dopo la conclusione dei singoli contratti, e poi raccolte[1]. Il singolo contratto non è più soltanto lo strumento per una transazione economica, ma diventa l’occasione di rilascio di informazioni, di dati personali, acquisiti certamente dalla controparte contrattuale per l’esecuzione del contratto, ma soprattutto raccolti e archiviati dal nuovo soggetto che rende possibile lo svolgimento degli scambi, la “piattaforma”, tecnicamente soggetto terzo rispetto alle parti, ma “padrone” dell’interfaccia tecnologica nella quale quegli scambi si svolgono, spesso senza altra alternativa. Ne consegue ancora che il singolo contratto fra professionista e consumatore per la fornitura di un bene di consumo si pome come frammento di un sistema più complesso, nel quale spicca l’attività di intermediazione tra domanda e offerta svolta professionalmente dalla piattaforma digitale. L’interesse che tale fenomenologia suscita nel giurista, dunque, supera la dimensione sopra evidenziata della disciplina applicabile al contratto telematico, e approda ad una dimensione problematica che coinvolge fortemente il tema della circolazione dei dati, e ancora una volta da un [continua ..]


4. Contratti e intermediazione tra domanda e offerta. Le piattaforme.

Le piattaforme sono dunque luoghi di incontro virtuali, marketplaces digitali che raccolgono gruppi e categorie variegate di agenti economici, intermediandone il rapporto e predisponendo le infrastrutture e le condizioni affinchè l’offerta incontri la domanda. La differenza operativa con il sistema autonomo degli scambi di e-commerce tradizionale sta nel fatto che in tali casi il cliente acquista il bene o il servizio direttamente sul sito web del venditore, sul modello dello scambio atomistico, concludendo una transazione anonima e astratta all’esito tutt’al più di un “giro” virtuale inteso a verificare caratteristiche e qualità del bene, oltre che le istruzioni informative di legge messe a disposizione dal fornitore per il pagamento, la consegna etc. Con l’accesso alla piattaforma viceversa il cliente non si limita alla compilazione immediata dell’ordine di acquisto, ma è posto nelle condizioni di elaborare –se vuole- una scelta meditata confrontando le diverse offerte, comparandone le condizioni, selezionando filtri di individuazione del prodotto, leggendo le recensioni degli altri clienti, lasciando commenti, domande, impressioni e quant’altro la piattaforma gli consente di fare attraverso tutti gli strumenti di assistenza predisposti per la navigazione finalizzata all’acquisto. Fino alla conclusione dell’acquisto e alla redazione immediata o successiva di un feed back, che è la premessa per altri successivi accessi di verifica anche non finalizzati all’acquisto[1]. Dal lato opposto del mercato, i gruppi di venditori espongono nelle vetrine virtuali prodotti e servizi, in un contesto ove la comparazione sulle modalità dell’offerta e la qualità del prodotto costituisce un potente incentivo alla competizione, dove lo sforzo innovativo è compensato dai vantaggi che la piattaforma mette in palio per chi mostra capacità di attrazione della clientela e incremento delle vendite comprovate dai feed back dei navigatori. La facilitazione dell’incontro tra domanda e offerta prevede anche l’intervento combinato di altri intermediari, che possono offrire servizi correlati all’acquisto, dal pagamento all’assicurazione, alla fornitura di garanzie supplementari per i difetti sul bene, all’assistenza generica del cliente per tutto quanto possa occorrergli nella fase post-vendita e in occasione [continua ..]


5. Diritto dei contratti e diritto dei “dati”. Interferenze e problemi.

Si è già anticipato quale possa essere l’interesse ad una considerazione dell’economia delle piattaforme nel contesto di una riflessione sui contratti di scambio nel mercato digitale, e lo si è fatto con riferimento al tema della interferenza tra sistemi di circolazione on line di beni e servizi e sistemi di circolazione dei dati personali. Occorre adesso svolgere questo tema più specificamente. La delineazione dei modelli delle piattaforme di e-commerce, di sharing economy, o dei social network ha messo in evidenza due livelli di attività. Il primo legato allo svolgimento di transazioni economiche contrattuali, B&c, B&b o peer to peer; il secondo limitato all’attività di mera navigazione, ovvero di fruizione gratuita di servizi, o ancora di acquisizione di informazioni e di contenuti. I due livelli di attività non sono sempre nettamente separabili, spesso anzi coesistono e si intrecciano in proporzione variabile, atteso che tutti i modelli di piattaforma trovano ragione della loro esistenza proprio nella capacità di offrirsi innanzitutto come luogo di approdo e di navigazione, indipendentemente dalla conclusione di un contratto di acquisto di beni o servizi. Ma questa capacità non è neutra né irrilevante: essa piuttosto costituisce un mezzo essenziale per lo svolgimento di un’attività economica riconosciuta come oggetto delle libertà fondamentali dell’Unione europea e destinataria di una disciplina specifica che riproduce per essa, all’uopo riadattandola, la tecnica moderna della regolazione, all’insegna di un insieme di principi che conformano l’attività e stabiliscono regole imperative di bilanciamento degli interessi coinvolti. Si tratta –con ogni evidenza- dell’attività di raccolta ed elaborazione dei dati personali di tutti i soggetti attori delle relazioni che la piattaforma ospita e coordina, cioè dell’effetto tipico della natura digitale dell’interfaccia: la capacità di raccogliere informazioni anche personali da tutti i “passi” e i “movimenti” che clienti e operatori commerciali svolgono durante la navigazione, opportunamente tracciati e sollecitati con tecniche estrattive alle quali difficilmente si può sfuggire. La nota metafora letteraria della “sorveglianza” lascia trapelare l’idea di una [continua ..]


6. I modelli di contratti nell’economia delle piattaforme. a) I rapporti orizzontali B&c e il nuovo modello di scambio fra beni e dati. b) I contratti peer to peer. c) I contratti di fornitura di beni o servizi peer to peer, ma diretti dal gestore della piattaforma.

Non si dispone di una disciplina sistematica della rete. A dispetto della qualificazione della propria attività regolatoria spesso in termini di “strategia”, anche l’Unione europea sembra inseguire la velocità dell’economia digitale nel suo trasformarsi continuo senza riuscire a coglierne sistematicamente tutti i profili[1]. Al giurista non rimane che disarticolare la complessa architettura della Rete e affrontare la ricostruzione dei singoli pezzi con tutti gli strumenti di cui dispone.   a) I rapporti orizzontali B&c e il nuovo modello di scambio fra beni e dati   Cominciando dal tema dei rapporti concernenti i servizi cosiddetti sottostanti, va da sé che i rapporti di scambio consistenti nell’acquisto di beni o servizi on line ricadono nell’ambito di applicazione delle discipline europee ed interne che nel corso degli ultimi venti anni hanno delineato il sistema dell’e-commerce. Dalla disciplina di cui alla prima Direttiva 2000/31/CE sui servizi della società dell’informazione [2], fino a quella introdotta dalle varie Direttive consumeristiche[3], i cui contenuti si inquadrano per gran parte in quel processo di trasposizione e adattamento del modello ordinario di contratto allo schema del contratto telematico, attraverso accorgimenti tecnici intesi a riprodurre nel secondo gli elementi costitutivi del primo, sotto il profilo della validità e dei contenuti. La recentissima Direttiva 2019/2161[4], sulla modernizzazione dei diritti dei consumatori è intervenuta fra l’altro a modificare quelle già introdotte in materia di clausole abusive, pratiche commerciali scorrette, indicazione dei prezzi, rafforzando gli obblighi informativi anche a carico delle piattaforme, specie con riferimento alla possibilità che l’operatore che offre beni e servizi per il suo tramite sia o meno un professionista (circostanza che l’acquirente consumatore deve conoscere al fine di stabilire la disciplina applicabile al contratto, il diritto dei consumi o il diritto comune). In questo contesto, l’altrettanto recente Direttiva 2019/770 ha introdotto una disciplina ad hoc per i beni e servizi digitali in senso proprio, oggetto di fornitura da parte di un operatore nei confronti di un consumatore, assegnando a quest’ultimo i rimedi per i difetti di conformità del bene o servizio, fino a quel momento accordata [continua ..]


7. Contratti verticali tra piattaforma e utenti. Temi e problemi.

Le considerazioni precedenti hanno avuto ad oggetto i rapporti (definiti sottostanti) tra prestatore (professionale o meno) del servizio e fruitore costituiti per il tramite della piattaforma. È giunto il momento di considerare adesso la posizione della piattaforma e la natura dei rapporti che essa stabilisce con i suoi fruitori, coloro i quali vi si iscrivono o vi accedono per offrire o domandare un servizio. È il tema della definizione giuridica dei caratteri di codesta intermediazione, cioè della ricostruzione dei servizi che la piattaforma offre, del ruolo che svolge –o meno- nella organizzazione dell’attività dei fruitori, della natura contrattuale o meno delle condizioni che essa pone unilateralmente per accedere ai servizi che offre, e senza i quali spesso gli scambi che in essa si svolgono non potrebbero svolgersi altrimenti. Non si dispone di una disciplina unitaria delle piattaforme di intermediazione, sia per la diversità dei modelli organizzativi che la prassi ha rivelato, sia perché la costitutiva dimensione transnazionale e globale di questi soggetti ha obiettivamente ostacolato la messa in moto di un assetto regolativo in grado di superare le barriere geonormative e prima ancora di mettere a fuoco in maniera unitaria il tipo di problemi che la crescita a dismisura del fenomeno ha generato. Va perciò dato atto all’Unione europea di aver negli ultimi anni inaugurato una più coraggiosa strategia regolativa, non ancora del tutto attuata, ma progettata comunque in un’ottica intesa a governare il potere di mercato assunto da soggetti pur sempre privati, ma divenuti poi detentori –nel contesto dell’economia digitale senza frontiere e data driven- di un potere di influenza e condizionamento che fa dubitare della efficienza regolativa dei paradigmi privatistici. Una prima definizione delle piattaforme tecnologiche, quando ancora il linguaggio comune non utilizzava questo termine, è quella che si ritrova nella citata Direttiva sul commercio elettronico 2000/31 del giugno 2000, comunemente nota come Direttiva sul commercio elettronico. E’ qui che si formalizza la prima definizione dei “servizi della società dell’informazione”, identificati in relazione non tanto alle caratteristiche tipologiche del servizio fornito, quanto prevalentemente in relazione alle modalità di erogazione utilizzate, individuandosi tale [continua ..]


8. Il Regolamento 2019/1150 (UE), del 20 giugno 2019 per la promozione di equità e trasparenza (solo) per gli utenti commerciali dei servizi di intermediazione online.

Il primo dato da registrare concerne la ridefinizione delle piattaforme come “servizi di intermediazione on line”, rientranti nella più ampia categoria dei servizi della società dell’informazione, ma connotati dal consentire “agli utenti commerciali di offrire beni o servizi ai consumatori, con l’obiettivo di facilitare l’avvio di transazioni dirette tra tali utenti commerciali e i consumatori”, compito da svolgere in base a rapporti contrattuali (art.2, punto 2, lett.a,b,c). Ad essi sono affiancati espressamente i motori di ricerca on line, definiti come “un servizio digitale che consente all’utente di formulare domande al fine di effettuare ricerche, in linea di principio, su tutti i siti web … sulla base di una interrogazione su qualsiasi tema sotto forma di parola chiave, richiesta vocale, frase o di altro input, e che restituisce i risultati in qualsiasi formato…”. Il regolamento si applica esclusivamente ai rapporti tra i gestori dei servizi e gli utenti commerciali, i quali “offrono i loro beni o servizi a consumatori nell’Unione”: dunque commercio elettronico, store di applicazioni, servizi di social media in cui sono attivi utenti commerciali e consumatori, ma non si applica ai mercati on line peer to peer, né a quelli business to business, nei quali non entrano in gioco i consumatori. Per la regolazione di questi mercati bisogna ancora attendere il Digital service Act e il regolamento gemello, il Digital Market Act, ancora in fase di elaborazione da parte dell’Unione europea. L’art.2, n.2, lett.c) del Regolamento individua i servizi di intermediazione on line anche in base alla circostanza per cui essi sono forniti per il tramite di rapporti contrattuali con gli utenti commerciali, mentre il n.10 dell’art.2 definisce i termini d’uso delle piattaforme, chiamandoli “termini e condizioni” (indipendentemente dal titolo o dalla forma), caratterizzandoli per essere “determinati unilateralmente” dal fornitore del servizio, e specificando che l’unilateralità della determinazione consegue ad una valutazione complessiva, in seno alla quale eventuali circostanze di negoziazione fra le parti non sono determinanti. Queste precisazioni, apparentemente superflue, rappresentano una prima risposta al tema affrontato nel precedente paragrafo, sebbene nell’ambito dei rapporti tra [continua ..]


9. Il Digital services Act e il rapporto tra piattaforme, anche “molto grandi”, e utenti. Trasparenza e accountability.

Il Digital services Act, denominato “legge sui servizi digitali”, interviene a modifica della Direttiva 2000/31 sul commercio elettronico, della quale comunque intende conservare i principi fondamentali, specie in merito alla (ir)responsabilità delle piattaforme circa la moderazione dei contenuti memorizzati e ospitati; riconoscendo comunque l’inadeguatezza della disciplina[1] sia con riferimento al problema del controllo dei contenuti illegali, sia con riferimento alla trasformazione del ruolo delle piattaforme come fin qui indicato[2]. Il primo dato da registrare, dunque, è la definizione della piattaforma di intermediazione, non più limitata a quelle che agevolano le transazioni commerciali da parte di un professionista verso un consumatore, ma definitivamente allargata a qualunque “prestatore di servizi di hosting che, su richiesta di un destinatario del servizio, memorizza e diffonde al pubblico informazioni”, mentre il servizio di intermediazione è ridefinito con riguardo alle tre classiche funzioni di trasporto e memorizzazione di dati già individuate dalla Direttiva sul commercio elettronico (art.2, lett. f, h). La lett. q definisce infine le "condizioni generali" come “tutte le condizioni, le modalità o le specifiche, comunque denominate e indipendentemente dalla loro forma, che disciplinano il rapporto contrattuale tra il prestatore e il destinatario dei servizi intermediari”, quest’ultimo individuato come “qualsiasi persona fisica o giuridica che utilizza il servizio intermediario in questione” (lett.b). Si è voluto mettere in risalto il carattere astratto e generale di queste definizioni, rispetto a quelle già menzionate nel Regolamento 2019/1150, per valorizzare la nuova strategia regolativa dell’UE, intesa non più a governare soltanto il mercato tradizionale degli scambi di beni e servizi, diretti o intermediati, ma a comprendere –disvelandolo- l’insieme delle relazioni che si sviluppano intorno e in ragione della predisposizione di informazioni e contenuti di qualunque natura destinati al pubblico, resa possibile dalle piattaforme a richiesta di qualunque destinatario dei loro servizi di hosting. Nessuna esenzione da questa disciplina, dunque, per nessuna piattaforma di intermediazione, quale che sia l’oggetto dell’attività di hosting svolta o intermediata, per lo meno quando la [continua ..]


10. Segue. Il Digital Market Act. Piattaforme gatekeeper e mercato.

A completare l’approccio regolatorio appena delineato, il secondo Regolamento[1] muove i passi da una constatazione assai semplice, quella per cui “poche grandi piattaforme online si accaparrano la quota maggiore del valore complessivo generato”. Esse agiscono come punti di accesso nel rapporto tra utenti commerciali e consumatori, creando effetti negativi di dipendenza oltre che di contendibilità dei servizi di base, nonché pratiche sleali. Un effetto di concentrazione, consolidata e duratura, che richiede un più marcato intervento in chiave antitrust, nella direzione della equità, lealtà e contendibilità dei mercati digitali[2]. L’intervento, che l’Unione configura come esclusivo della propria competenza e senza possibilità per gli Stati di imporre con qualunque mezzo ulteriori obblighi aventi le stesse finalità, è rigorosamente limitato sul piano soggettivo, alle piattaforme definibili come “gatekeeper”, e sul piano oggettivo solo ai “servizi di piattaforma di base forniti o offerti dai gatekeeper a utenti commerciali stabiliti nell'Unione o a utenti finali stabiliti o situati nell'Unione” (art.1 DMA). La qualifica di gatekeeper è attribuita in presenza del raggiungimento di prefissate soglie di fatturato e di utenti, confermato in un certo periodo di tempo; ovvero a seguito di una valutazione tecnica che la Commissione svolge sull’impatto di mercato della piattaforma, sulla presenza di eventuali effetti lock-in o di barriere all’ingresso (art.2); il tutto all’esito di un procedimento di designazione della qualifica regolato analiticamente e condotto in contraddittorio con la piattaforma (artt.15 ss.). Quanto ai servizi di base, essi coincidono con quelli forniti dalle più diffuse piattaforme di intermediazione, social network, motori di ricerca, servizi pubblicitari e di cloud elencati analiticamente nelle definizioni dei punti 2 e seguenti dell’art.2[3]. Circoscritto il perimetro entro il quale il regolamento opera, i limiti del presente contributo non permettono di esporre le analitiche previsioni che individuano obblighi e divieti di comportamento per i gatekeeper (artt.5, 6). Basti comprendere che tali obblighi mettono in forma di norme antitrust buona parte dei comportamenti che di fatto i gatekeeper hanno tenuto in spregio sia delle norme poste a tutela dei dati personali, sia delle norme [continua ..]


11. Contrattualizzazione dei rapporti tra piattaforme e utenti. Le forme dell’economia data driven nel modello europeo.