Jus CivileISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

Inadempimento contrattuale e danno non patrimoniale: profili strutturali, evoluzione concettuale e disamina della casistica tra formante giurisprudenziale e rischio di “contaminazioni” metagiuridiche (di Fabrizio Calisai)


Il risarcimento del danno non patrimoniale può essere riconosciuto anche a seguito di un inadempimento contrattuale. Il presente lavoro si propone di analizzare questa recente espansione dell’area del danno non patrimoniale risarcibile, attraverso la disamina della casistica di riferimento, legata soprattutto al rapporto medico-paziente, all’ambito turistico e del lavoro. Emerge un panorama variegato e frammentario, all’interno del quale si riscontrano decisioni dettate dall’effettiva esigenza di tutela di valori di livello costituzionale, ma anche da interferenze metagiuridiche, che rendono difficoltoso offrire una soluzione univoca al problema. Emerge, inoltre, come i valori del mercato e della persona siano ormai destinati a intersecarsi attraverso l’utilizzo dello strumento negoziale.

Breach of Contract and non-pecuniary damage: structural aspects, conceptual evolution and examination of case law, between Jurisprudence and the risk of meta-juridical “contaminations”

Compensation for non-pecuniary damage can also be granted for Breach of Contract. This article aims to analyze the recent expansion of the area of ​​compensable non-pecuniary damage, through the examination of the reference cases, linked above all to the doctor-patient relationship, to tourism and work. A varied and fragmented panorama emerges, within which there are judgments dictated by the effective need to protect constitutional-level values, but also from meta-juridical interferences, which make it difficult to offer a univocal solution to the problem. It also emerges that the values ​​of the market and of the person are now destined to intersect through the contract.

Fabrizio Calisai - Inadempimento contrattuale e danno non patrimoniale: profili strutturali, evoluzione concettuale e disamina della casistica tra formante giurisprudenziale e rischio di “contaminazioni” metagiuridiche

SOMMARIO:

1. Prima (rapida) premessa concettuale: l’inadempimento come mancato rispetto del programma contrattuale. - 2. Seconda (rapida) premessa concettuale: il risarcimento del danno e l’interesse positivo. - 3. Il risarcimento del danno non patrimoniale da inadempimento: profili strutturali e disamina delle fattispecie rilevanti. Il caso del contatto sociale. - 4. (Segue) - Disamina di altre rilevanti fattispecie di danno non patrimoniale da inadempimento. Il danno da vacanza rovinata. - 5. (Segue) - Il danno da perdita di animale di affezione, un caso ancora attuale, aperto e controverso. - 6. Osservazioni conclusive.


1. Prima (rapida) premessa concettuale: l’inadempimento come mancato rispetto del programma contrattuale.

Il contratto, ontologicamente inteso come accordo, incorpora un preciso programma che le parti si impegnano a rispettare per il raggiungimento di finalità inerenti alla loro sfera giuridico-patrimoniale. Per mezzo di pattuizioni che assumono carattere vincolante, ciascun contraente si assicura l’impegno dell’altro per la soddisfazione del proprio interesse. Solamente se il programma funziona, se gli impegni vengono rispettati, l’operazione negoziale sarà funzionale agli interessi delle parti e quindi utile, mentre la mancata attuazione del programma contrattuale costituisce normalmente una fonte di danni per i contraenti[1]. Il profilo della imputabilità, ovvero, la precisa riconducibilità del mancato rispetto del programma contrattuale alla sfera giuridica del contraente, fa assumere a tale evento i chiari profili di un torto, da intendersi - anche in senso empirico - come contegno lesivo dell’interesse di un altro consociato. Da tale contegno scaturisce una responsabilità. Si parla, in questo caso, di torto contrattuale[2] e/o di responsabilità contrattuale. Il torto contrattuale, identificabile quindi con il mancato rispetto del programma, è ciò che si definisce inadempimento e si integra nel momento in cui il soggetto non esegue la prestazione dovuta, la esegue in ritardo o comunque non la esegue sulla base di quanto statuito in termini di modo, tempo e luogo[3]. La problematica dell’inadempimento offre all’interprete un panorama variegato, tutt’altro che lineare[4] e caratterizzato da una spiccata polimorfia. Può, infatti, accadere che la prestazione non venga eseguita e che quindi ci si trovi di fronte a un inadempimento totale, che venga eseguita solamente in parte, in caso di adempimento parziale, oppure che venga eseguita in ritardo o con modalità differenti da quelle pattuite. L’articolo 1218 c.c. enuclea a chiare lettere il principio cardine dell’inadempimento imputabile e della responsabilità contrattuale[5], intesa con l’ampia accezione di responsabilità da obbligazione, che interviene nelle ipotesi in cui tra le parti coinvolte sussiste un rapporto giuridico preesistente[6]. L’inadempimento, consistente nella mancata o inesatta esecuzione della prestazione, si declina attraverso profili e caratteri puramente oggettivi[7]. La responsabilità del contraente inadempiente, che dà [continua ..]


2. Seconda (rapida) premessa concettuale: il risarcimento del danno e l’interesse positivo.

Da ogni forma di inadempimento, anche lieve, deriva, per il contraente in bonis, il diritto di ottenere il risarcimento del danno subìto. In pratica, il risarcimento consegue al fatto obiettivo dell’inadempimento, sia nell’ipotesi in cui il rapporto contrattuale sopravviva, sia nell’ipotesi in cui il torto contrattuale assuma proporzioni tali da integrare i presupposti per il ricorso al rimedio ablativo rappresentato dalla risoluzione[1]. Il mancato rispetto del programma imputabile a uno dei contraenti causa un pregiudizio alla controparte, nel senso che la espone a un peggioramento della propria situazione patrimoniale[2]. La funzione svolta dal risarcimento è proprio quella di porre rimedio a tale situazione, eliminando le conseguenze dannose che sono direttamente collegate all’inadempimento. La tipica forma di risarcimento, ovvero il risarcimento per equivalente, consiste in una reintegrazione del patrimonio del creditore, che si realizza mediante l’attribuzione, al creditore, di una somma di denaro pari al valore della cosa o del servizio oggetto della prestazione non adempiuta[3]. Evidente la differenza rispetto alla seconda forma di risarcimento prevista dall’ordinamento, anch’essa ammessa in ambito contrattuale[4], ossia quella in forma specifica, che mira a far conseguire al creditore l’eadem res dovuta, ovvero, una prestazione del tutto analoga, nella sua specificità ed integrità, a quella cui il debitore era tenuto in base al vincolo contrattuale[5]. Allo stato attuale, si afferma che il risarcimento del danno per equivalente debba avere a oggetto l’interesse positivo, ovvero, debba porre il contraente leso in una situazione economica equivalente a quella in cui si sarebbe trovato se il programma contrattuale fosse stato regolarmente rispettato. Più precisamente, si tratta di fargli conseguire il valore dell’affare sul quale aveva fatto affidamento[6]. L’assunto è pacifico, sia in dottrina[7] che in giurisprudenza[8]. Di conseguenza, sembra che non residui spazio per un risarcimento avente a oggetto l’interesse negativo, volto a porre il contraente leso in una situazione equivalente a quella in cui si sarebbe trovato se non avesse stipulato il contratto[9]. In questo senso, appare prezioso l’insegnamento di un’autorevole dottrina[10], che arriva a escludere il risarcimento dell’interesse negativo per mezzo di [continua ..]


3. Il risarcimento del danno non patrimoniale da inadempimento: profili strutturali e disamina delle fattispecie rilevanti. Il caso del contatto sociale.

L’apertura verso la risarcibilità dei danni non patrimoniali da inadempimento è piuttosto recente. Il discorso sul danno non patrimoniale, derivante dalla lesione di interessi estranei alla sfera patrimoniale[1], nato in una prima fase nell’ambito di fattispecie di responsabilità aquiliana e contrassegnato da progressive aperture, si sposta successivamente verso il terreno dell’inadempimento contrattuale, trovando, a fronte di una iniziale chiusura riconducibile agli studi più datati[2], un terreno fertile sia tra i contributi della dottrina[3] che, come si avrà modo di vedere, tra le pronunce della giurisprudenza. Una prima ricostruzione ermeneutica favorevole alla configurazione del risarcimento del danno non patrimoniale derivante da inadempimento fa leva sulle disposizioni dell’art. 1174 c.c., secondo le quali il rapporto obbligatorio sorgerebbe anche in vista della soddisfazione di un interesse non patrimoniale del creditore[4]. Si osserva anche come, da un punto di vista sia prettamente testuale che sistematico, il concetto di danno debba essere inteso come onnicomprensivo[5] e le locuzioni danno emergente e lucro cessante, che rappresentano le voci del danno risarcibile, non rechino limitazioni di sorta e siano riferibili anche a pregiudizi di natura non patrimoniale[6]. L’orientamento restrittivo scontava i limiti derivanti dall’applicazione, anche in ambito contrattuale, dell’art. 2059 c.c., norma generale situata nel corpo della disciplina relativa all’illecito aquiliano, che ammette il risarcimento del danno non patrimoniale solamente in ipotesi tipiche, previste dalla legge e in particolare nel caso in cui la condotta lesiva integri un illecito penale[7]. Nonostante tale orientamento, nelle pronunce della giurisprudenza si assiste alla nascita di specifiche ipotesi di danno volte a offrire una reintegrazione a vantaggio di un soggetto che non ha ottenuto una prestazione preordinata alla realizzazione di interessi non patrimoniali[8]. Il passo successivo e determinante in materia è dato dalle importanti pronunce della Consulta[9] e della Suprema Corte[10] che svincolano definitivamente il danno non patrimoniale dai limiti normativi dell’art. 2059 c.c., ammettendone la risarcibilità tutte le volte in cui consegua alla lesione di interessi costituzionalmente protetti. Una conferma del principio sopra citato e della lettura costituzionalmente [continua ..]


4. (Segue) - Disamina di altre rilevanti fattispecie di danno non patrimoniale da inadempimento. Il danno da vacanza rovinata.

Per ordine sistematico, in un’ideale linea di continuità con il punto precedente, si evidenzia come, nel corso di un periodo di tempo relativamente breve, si è assistito all’emersione e alla proliferazione di nuove ipotesi di danno non patrimoniale da inadempimento, che hanno preso vita nelle aule dei tribunali. Per esemplificare, si può pensare al danno (non patrimoniale) cagionato allo studente dall’istituto scolastico privato che, non avendo provveduto al conseguimento del requisito della parità scolastica, abbia precluso allo stesso il sostenimento dell’esame di maturità. In casi del genere, si perfeziona una lesione del diritto dell’alunno alla formazione scolastica, come corollario e manifestazione del più ampio diritto allo studio[1]. Recentemente, è stato riconosciuto risarcibile anche il danno non patrimoniale estrinsecantesi nell’impossibilità di acquistare una nuova casa e di realizzare un progetto di vita abitativa subìto dall’attore in conseguenza dell’inadempimento del promittente acquirente che rifiuta di stipulare il contratto definitivo[2]. In caso di contratto di trasporto aereo, obbligo del vettore è quello di tutelare l’integrità psico-fisica del passeggero, non solo quello di trasferirlo da un luogo ad un altro. In conseguenza di ciò, possono trovare accoglimento istanze volte alla tutela di interessi non patrimoniali derivanti dal rapporto contrattuale[3]. Ancora, agli sposi spetta il risarcimento dei danni non patrimoniali subiti in conseguenza della mancata consegna, da parte dei soggetti che hanno curato il servizio fotografico della cerimonia, dei negativi delle fotografie e di alcuni scatti[4], o in conseguenza del pregiudizio morale ed esistenziale patito per la qualità particolarmente scadente del ricevimento nuziale, determinata dalla scarsità del cibo, dalla lentezza del servizio e dalla scortesia e impreparazione del personale in sala[5]. Nell’ambito del rapporto di lavoro, il danno non patrimoniale, inteso come pregiudizio alla persona, assume spesso i contorni del mobbing, chiaramente identificato da una pronuncia della Consulta come «[…] quel complesso fenomeno consistente in una serie di atti o comportamenti vessatori, protratti nel tempo, posti in essere nei confronti di un lavoratore da parte dei componenti del gruppo di lavoro in cui è [continua ..]


5. (Segue) - Il danno da perdita di animale di affezione, un caso ancora attuale, aperto e controverso.

Infine, altro interessante filone giurisprudenziale in materia di danno non patrimoniale è quello rappresentato dalla casistica relativa alla perdita dell’animale d’affezione derivante da inadempimento contrattuale altrui. Sulla base delle risultanze della pronuncia delle Sezioni unite in precedenza citata, la fattispecie non darebbe luogo a un’ipotesi di danno risarcibile, in quanto il pregiudizio conseguente alla morte dell’animale di affezione non appare assolutamente idoneo a generare una lesione di interessi di rango costituzionale[1]. Proprio sulla base di tale assunto, la giurisprudenza ha, in diverse occasioni, negato in maniera perentoria la tutela risarcitoria[2]. Una successiva apertura si riscontra a seguito di una pronuncia di merito, che riconosce ai proprietari il diritto al risarcimento del danno per la morte del loro cagnolino, aggredito e ucciso da un altro cane, mentre si trovava all’interno di una struttura di accoglienza alla quale era stato affidato. In tale ottica, il tribunale ricostruisce il rapporto esistente tra i gestori della struttura e i proprietari del cagnolino e lo inquadra in ambito contrattuale. Più precisamente, la pronuncia parla di «affidamento in custodia del cane», fattispecie tale da generare una sorta di responsabilità ex recepto in capo ai gestori della struttura, che rispondono della morte del cagnolino, aggredito dal loro cane da guardia non adeguatamente sorvegliato. Il Giudice di prime cure arriva così a riconoscere, in capo ai proprietari, il diritto a ottenere anche il risarcimento dei danni non patrimoniali conseguenti alla perdita dell’animale, a essi legato da un «particolare rapporto». Il danno, conseguente a un inadempimento contrattuale, viene considerato risarcibile ex art. 1218 c.c., a prescindere dalla lesione di un interesse costituzionalmente protetto. La pronuncia si discosta in maniera evidente dal dictum delle Sezioni unite e utilizza l’art. 1174 c.c. come base concettuale e come portale di ingresso per il danno non patrimoniale risarcibile, valorizzando e considerando così degno di tutela anche l’interesse non patrimoniale del creditore all’adempimento dell’obbligazione[3]. Su questo punto, la pronuncia di merito dimostra di accogliere i precedenti orientamenti dottrinari[4], tendenti ad ammettere il risarcimento del danno non patrimoniale, proprio sulla base del disposto [continua ..]


6. Osservazioni conclusive.