Jus CivileISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

Gli effetti economici delle crisi coniugali (di Enrico Quadri)


Il lavoro affronta, in una prospettiva generale ed introduttiva, il tema delle conseguenze economiche della crisi coniugale. Vengono individuati, alla luce delle più recenti ricostruzioni della giurisprudenza, i principi di fondo e le finalità che la regolamentazione della materia deve soddisfare, con particolare attenzione alla esigenza di salvaguardare la parità dei coniugi. Vengono anche indicate possibili prospettive di intervento legislativo, soprattutto con riferimento alla disciplina del divorzio.

The economic effects of marital crises

The paper focuses, in a general and introductory perspective, on economic consequences of marital crisis. In the light of the most recent case law, it identifies basic principles and aims that the regulation of the matter must meet, with particular attention to the need to safeguard equality of the spouses. Possible perspectives of legislative intervention are also indicated, especially with reference to divorce law.

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Enrico Quadri - Gli effetti economici delle crisi coniugali

SOMMARIO:

1. Premessa. Intervento giudiziale in tema di assegno di divorzio ed esigenze di riforma in materia di rapporti patrimoniali nella famiglia. - 2. Principio costituzionale di parità e rapporti patrimoniali nella famiglia. - 3. Il sistema complessivo dei rapporti patrimoniali nella famiglia e le sue criticità. - 4. Possibili rimedi tra principio contributivo e regime patrimoniale. - 5. Crisi familiare e autonomia degli interessati in campo patrimoniale. - 6. Assetti economici conseguenti alla crisi familiare e salvaguardia della parità delle parti. - 7. Oltre l’attuale disciplina?


1. Premessa. Intervento giudiziale in tema di assegno di divorzio ed esigenze di riforma in materia di rapporti patrimoniali nella famiglia.

L’attualità della tematica che questo corso propone come oggetto di riflessione emerge a tutto tondo dalla lettura delle indicazioni programmatiche offerte nella sua “Presentazione”. Traspare da esse, infatti, la consapevolezza del fermento giurisprudenziale che caratterizza, da qualche tempo, nel fruttuoso dialogo tra i giudici di legittimità e di merito, la materia degli aspetti patrimoniali della famiglia. Un fermento di cui, invero, le indicazioni in questione finiscono col far cogliere, sia pure in filigrana, le reali motivazioni, laddove, nel rapportare l’intensa opera della giurisprudenza al contesto normativo, da una parte, non si manca di accennare espressamente a talune sue possibili prospettive de iure condendo; dall’altra, si evidenziano le tensioni sistematiche innescate dalle ancora recenti svolte legislative che hanno inciso sulla conformazione stessa della fenomenologia familiare. In effetti, circa l’urgenza di ragionare sul tema, non si può fare a meno, in via preliminare, di sottolineare come, a fronte dell’impetuoso vento di riforma che ha investito la generalità delle altre problematiche familiari, sembri fare singolare contrasto la sostanziale staticità del quadro che l’ordinamento offre con riguardo, appunto, al regime dei rapporti patrimoniali nella famiglia. Qui il tempo sembra essersi fermato e, nonostante i diversi decenni trascorsi dalla riforma del diritto di famiglia e da quella del divorzio, assordante è stato il silenzio del legislatore, ogni anelito di cambiamento in materia essendo restato confinato, appunto, al solo intervento giurisprudenziale. Certo, interventi come quello delle Sezioni Unite con la sua sentenza n. 18287 del luglio 2018 in tema di assegno divorzile, con il loro spessore sistematico, possono indubbiamente contribuire a soddisfare – anche attraverso gli sviluppi delle relative direttive di fondo e le precisazioni da parte della successiva giurisprudenza (e si ricordino, in particolare, le significative indicazioni contenute nella corposa ordinanza n. 21926 del 2019, che della decisione delle Sezioni Unite ha costituito una sorta di interpretazione autentica) – quell’esigenza di, almeno tendenziale, certezza, la quale, non pare quasi il caso di sottolinearlo neppure, particolarmente avvertita si presenta quando in gioco sono relazioni, come quelle familiari, in cui gli aspetti economici intersecano [continua ..]


2. Principio costituzionale di parità e rapporti patrimoniali nella famiglia.

Ogni riflessione circa gli obiettivi complessivamente da perseguire in materia di rapporti patrimoniali nella famiglia pare dover muovere dal richiamo delle finalità della riforma del 1975, quali identificate dalla Corte costituzionale nella fase conclusiva della sua elaborazione (n. 187 del 1974). Il compito del legislatore veniva con chiarezza individuato nella necessità di “procedere ad una piena attuazione del principio costituzionale della parità giuridica dei coniugi anche sotto il profilo dei rapporti patrimoniali”. Di conseguenza, il valore da tenere sempre presente come fondamentale non può che essere quello, scolpito nell’art. 29 Cost., della “eguaglianza dei coniugi”, evidentemente da attualizzare promuovendo una loro piena e sostanziale parità anche sotto il profilo economico, a salvaguardia di un effettivo rispetto della dignità di entrambi. E, al riguardo, non si può fare a meno di rilevare, da una parte, come quasi ovunque sia stata proprio l’esigenza di realizzare una sempre più piena eguaglianza tra i coniugi a propiziare la ridefinizione, sul piano giuridico, degli assetti patrimoniali della famiglia; dall’altra, come sembri sostanzialmente pacifico che ciò irrinunciabilmente comporti – quale indefettibile riflesso di quell’integrazione delle sfere esistenziali che rappresenta l’essenza stessa del fenomeno matrimoniale – la necessità di assicurare reciprocamente alle parti un’adeguata partecipazione a quanto complessivamente costruito insieme, dal punto di vista economico, durante la realizzata comunità di vita. Né può ritenersi affermazione azzardata quella secondo cui sarebbe consentito rilevare, negli ordinamenti a noi vicini, una diffusa tendenza a dare risalto ad una simile istanza partecipativa e perequativa. Sono state le stesse Sezioni Unite ad individuare una simile tendenza, proprio quale espressione di una diffusamente ricercata “pari dignità degli ex coniugi”: con ciò lasciando intendere come il relativo obiettivo sia da realizzare quale risultato finale dell’accennato intreccio dell’operatività del regime patrimoniale matrimoniale e di quello post-matrimoniale, in una prospettiva complessivamente realizzativa – appunto attraverso la valorizzazione della “preminenza della funzione perequativa” – [continua ..]


3. Il sistema complessivo dei rapporti patrimoniali nella famiglia e le sue criticità.

Alla luce di quanto sin qui osservato, risulta chiaro come una riflessione sul nostro diritto patrimoniale della famiglia, finalizzata ad evidenziarne le criticità da risolvere sul piano esegetico o con la promozione di interventi legislativi, non possa che seguire un itinerario che trascorra dal regime patrimoniale operante nella fase fisiologica dell’esperienza familiare a quello destinato a conformare gli assetti economici nella relativa patologia. Quanto alla fase fisiologica, costituisce osservazione corrente come – tanto nel nostro, quanto nella generalità degli ordinamenti a noi più vicini – l’obiettivo della parità tra i protagonisti dell’esperienza familiare sia stato perseguito sviluppando l’intervento legislativo essenzialmente su due livelli. Al primo livello si colloca, in tale prospettiva, il regime contributivo, quale insieme di direttive inderogabili, mentre al secondo livello si collocano le regole proprie del regime patrimoniale – di carattere, invece, tendenzialmente derogabile – destinate ad operare subordinatamente alle prime, in ordine all’acquisto, alla gestione ed alla distribuzione finale dei beni. L’ancora vigente sistema delineato nel 1975 si caratterizza, così, da una parte, per la previsione del regime contributivo, quale tratteggiato negli artt. 143, comma 3, e 144 cod. civ., avente, secondo una ricostruzione rimasta ineguagliata per la sua incisività, la funzione di “integrare nei rapporti patrimoniali l’ordinamento solidale, affidato alla determinazione congiuntiva e all’attuazione disgiuntiva dell’indirizzo familiare”. Dall’altra, per l’introduzione, quale regime patrimoniale “legale”, della “comunione dei beni”, in quanto regime ritenuto più rispondente all’obiettivo di realizzare in maniera ottimale il principio della parità delle parti, attraverso una soddisfacente perequazione delle rispettive situazioni patrimoniali. Non è da nascondere come il carattere “legale” conferito, in sede di riforma, al regime di “comunione dei beni” abbia finito col condizionare fortemente, da noi, la configurazione del regime contributivo, inducendo a trascurare l’opportunità di una sua più puntuale articolazione, secondo quanto risulta significativamente avvenuto in altri ordinamenti (come, in [continua ..]


4. Possibili rimedi tra principio contributivo e regime patrimoniale.

Non pare consentito, in questa sede, di andare al di là di un mero (e sommario) catalogo di possibili vie di uscita, ipotizzabili a fronte delle diffusamente avvertite problematicità caratterizzanti, nella sua complessiva articolazione, l’attuale sistema dei rapporti patrimoniali nella famiglia. Al riguardo, ovviamente, non si può mancare di conferire una fondamentale rilevanza all’insistente richiamo, ora operato dalle Sezioni Unite, alla “rete di diritti e doveri fissati dall’art. 143 cod. civ.”, significativamente assunti quale “perfetta declinazione” del “modello costituzionale dell’unione coniugale, incentrata sulla pari dignità dei ruoli che i coniugi hanno svolto nella relazione matrimoniale”. Proprio in una simile prospettiva, allora, pare innanzitutto imporsi, anche solo attraverso un più corretto impiego dello strumentario esegetico, la promozione di una, per così dire, “riscoperta” del “principio contributivo” e delle sue potenzialità operative, quale guida sicura per quei bilanciamenti degli interessi di volta in volta coinvolti, tanto nel corso dell’esperienza di vita familiare, quanto nel momento del passaggio dalla vita comune a quella separata. Non si dimentichi, in effetti, come sia proprio all’inderogabile operatività delle sue direttive che si ritiene unanimemente restare demandato, a prescindere dal regime patrimoniale – correntemente definito in termini di “secondario”, appunto in contrapposizione, come accennato, a quello “primario imperativo”, costituito dal regime contributivo –  in concreto funzionante tra le parti, il conseguimento degli essenziali ed irrinunciabili obiettivi di solidale eguaglianza, in attuazione del principio costituzionale di parità, di cui all’art. 29 Cost. E, in proposito, il pensiero – anche alla luce di modelli sperimentati in ordinamenti a noi vicini (e spesso richiamati come possibile modello per il nostro) – corre quasi inevitabilmente (almeno) ad un possibile ripensamento delle attuali soluzioni interpretative in ordine a problematiche quali, in particolare, quella della responsabilità per le obbligazioni contratte per il soddisfacimento di necessità familiari e quella del regime della casa familiare, nel nostro ordinamento, come l’esperienza insegna, troppo [continua ..]


5. Crisi familiare e autonomia degli interessati in campo patrimoniale.

Ma, ovviamente, è nel momento della crisi che sono destinati a venire al pettine i nodi legati alla realizzazione del valore di parità nei rapporti patrimoniali coniugali. Come si è già accennato, in effetti, ogni carente operatività, sotto tale profilo, del regime patrimoniale nella fase fisiologica della convivenza risulta destinata a proiettare il soddisfacimento delle eventualmente insoddisfatte relative esigenze perequative sul piano delle valutazioni concernenti gli assetti economici delle parti in occasione, appunto, della crisi della comunione di vita. La riflessione qui pare dover investire due problematiche, peraltro strettamente connesse tra loro, tanto dal finire col presentarsi sostanzialmente interdipendenti. Da una parte, la perimetrazione della portata da riconoscere all’autonomia degli interessati nella regolamentazione dei propri rapporti patrimoniali nella prospettiva della crisi familiare. Dall’altra, la definizione dell’equilibrio che, negli assetti economici conseguenti alla crisi familiare, sia comunque (e, quindi, inderogabilmente) da garantire. Quanto al primo profilo, il tema tocca i meccanismi di controllo dell’autonomia in questione. Tema, invero, da affrontare con urgenza, in considerazione della rinnovata attenzione, ormai anche a livello di iniziative di intervento legislativo, per la controversa materia dei c.d. “accordi prematrimoniali” (PP.DD.LL. nn. 2669 della XVII legislatura e 244 della XVIII legislatura, nonché art. 1, lett. b, D.D.L. n. 1151 della XVIII legislatura). E pare il caso di sottolineare come proprio con la delimitazione della portata da riconoscere all’autonomia degli interessati nella regolamentazione dei propri rapporti patrimoniali, nella fisiologia e nella patologia dell’esperienza familiare, risulta chiamata inevitabilmente a confrontarsi pure la riflessione in ordine agli indirizzi da imprimere alla disciplina del fenomeno successorio in considerazione dell’attuale realtà dei rapporti familiari, con particolare riguardo, anche in proposito, alla sfera di autonomia da riconoscere agli interessati nella relativa dinamica (in un’ottica, cioè, di diffusamente auspicato superamento della rigidità delle attuali regole codicistiche in materia di patti successori e di tutela dei legittimari). Nota è la radicale posizione della nostra giurisprudenza in ordine agli accordi [continua ..]


6. Assetti economici conseguenti alla crisi familiare e salvaguardia della parità delle parti.

Risulta palese come, anche nell’ottica della dianzi delineata esigenza di controllo dell’autonomia degli interessati nella regolamentazione dei propri rapporti patrimoniali in vista della (definitiva) crisi familiare, finisca con l’assumere preliminare rilievo l’individuazione di quale debba essere l’equilibrio che, negli assetti economici conseguenti alla crisi, sia comunque da garantire. Il nocciolo della questione sembra qui concentrarsi in una inevitabile opzione: quella tra il considerare l’esperienza familiare, e specificamente matrimoniale, alla stregua di una tendenzialmente irrilevante parentesi nella vita di due “persone singole”, secondo la prospettiva in tema di assegno di divorzio fatta propria, nel 2017, dalla prima sezione della Cassazione (e strisciantemente ancora presente – come si è accennato all’inizio delle presenti considerazioni – in talune esternazioni più recenti della stessa sezione); ovvero, almeno ove una simile esperienza sia realmente consistita – per usare le parole impiegate dalle Sezioni Unite nella loro ormai lontana pronuncia n. 11490 del 1990 – in “una vera comunione di vita e di interessi”, l’assumerla come base di partenza, per consentire a ciascuna delle parti un successivo autonomo percorso esistenziale. Il riferimento al “tenore di vita”, quale espressione concreta della condivisa integrazione delle sfere personali e patrimoniali in cui si risolve il dovere di contribuzione, ha rappresentato, per quasi trent’anni, nella giurisprudenza, la via attraverso cui mettere in condizione l’ex coniuge di partecipare a quanto realizzato in campo economico durante la convivenza familiare. Ma si è trattato di una via solo traversa (le Sezioni Unite parlano di “modo riflesso”), fin troppo facilmente imputabile di occultare una sistematicamente inconcepibile “ultrattività” del vincolo. E ciò anche solo per la difficoltà di operare, in tale prospettiva, una chiara e convincente distinzione rispetto all’assegno di mantenimento, quale attribuibile, secondo l’impostazione consolidata della giurisprudenza in materia, in conseguenza della separazione personale dei coniugi sulla base del presupposto, in tale fase – allo stato della legislazione ancora necessitata, in considerazione delle condizioni persistentemente richieste per il [continua ..]


7. Oltre l’attuale disciplina?