Jus CivileISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

Ancora sul cognome: due luoghi comuni e due proposte per una riforma annunciata (di Luciano Olivero)


L’articolo analizza il tema della trasmissione del cognome ai figli, ancora sospeso, in Italia, tra riforme abbozzate in Parlamento e nuove sentenze annunciate della Corte costituzionale. Diverse ragioni lasciano presagire, sul modello di quando accaduto in altri ordinamenti europei, che l’assetto normativo che alla fine si sedimenterà si fonderà sull’autonomia privata e stabilirà, come regola residuale, il doppio cognome, verosimilmente in ordine alfabetico. Lo scritto analizza criticamente l’eccesso di fiducia riposto sull’autonomia dei privati e, inoltre, stigmatizza le esternalità negative che il criterio alfabetico avrebbe sulla ricchezza del patrimonio onomastico italiano, che verrebbe depauperata col trascorrere delle generazioni. Vengono dunque proposti due sistemi alternativi fondati, il primo, sul criterio statistico della prevalenza del cognome meno diffuso e, il secondo, sul criterio della prevalenza del cognome del genitore avente il medesimo genere del figlio. In forza di tale criterio, di cui vengono ricostruite le origini storiche e culturali, si dovrebbe attribuire ai figli il cognome paterno e, alle figlie, il cognome materno.

Again on the surname: two common places and two proposals for an announced reform

This paper analyzes the problem of the transmission of parents’ surname to children, still suspended, in Italy, among reforms drafted in Parliament and new sentences announced by the Constitutional Court. Several reasons suggest, similarly to the model in force in other European systems, that the future regulatory framework will be based on private autonomy and will establish, as a residual rule, the double surname, probably in alphabetical order. The paper critically analyzes the excess of trust placed on the autonomy of individuals and, moreover, stigmatizes the negative externalities that the alphabetical criterion would have on the Italian onomastic variety. Two alternative systems are therefore proposed: the first is based on the statistical criterion of the prevalence of the less common surname; the second, on the criterion of the prevalence of the surname of the parent having the same gender as the child. According to this criterion, whose historical and cultural origins are reconstructed, the sons would inherit the paternal surname and the daughters the maternal one.

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Luciano Olivero - Ancora sul cognome: due luoghi comuni e due proposte per una riforma annunciata

SOMMARIO:

1. Due luoghi comuni. - 2. Le riforme straniere e i d.d.l. italiani. - 3. Alla vigilia di un nuovo intervento delle corti: l’ordinanza n. 18/21 della Consulta. - 4. Le insidie dell’autonomia e i guasti dell’alfabeto. - 5. Due proposte.


1. Due luoghi comuni.

Oggetto di queste riflessioni è un luogo comune[1], anzi due; ed entrambi promettono di rifondare di qui a breve la disciplina italiana dei cognomi. L’uno sostiene che spetti ai genitori decidere il cognome per il figlio in nome di un’istanza egualitaria; l’altro, che in nome di un’istanza identitaria spettino ad ogni figlio due cognomi. In ordine alfabetico, ovviamente. Vi è forse qualcosa al mondo di più neutrale? E chi non ha imparato, fin dalla prima elementare, che l’appello si fa dall’A per scendere alla Z? Risolte, con l’autonomia, le differenze tra i genitori; risolte, con l’alfabeto, le precedenze fra i cognomi, i patri-arcaismi della tradizione potrebbero finalmente abbandonarsi. Ognuno avrebbe allora ciò che vuole, senza nulla togliere a nessuno: un figlio a cui trasmettere il cognome, le madri come i padri; ed un cognome in cui veder riflessi entrambi i rami di cui ogni figlio è frutto. Libertà di scelta e doppio cognome in ordine alfabetico: ma è davvero questa la panacea di tutti i mali? E come si combinano l’autonomia, il doppio cognome e l’alfabeto? Le questioni aperte sono più d’una, come le ragioni che nel nostro ordinamento spingono verso l’autonomia e il doppio cognome. Esse emergeranno nel corso della trattazione, come i dubbi che suscitano. Partiamo però dalle certezze. La prima delle quali attiene all’aspirazione egualitaria che sta alla base della riforma dei cognomi: che tale sia l’obiettivo è indubbio, ossia spianare le differenze tra i genitori; ma che l’automatica attribuzione del cognome paterno, le cui radici affondano nel lontano passato, sia una manifestazione della soggezione muliebre alla supremazia maritale è un’affermazione tanto ricorrente quanto inesatta. Intendiamoci: non perché non siano esistite quella soggezione e quella supremazia. Ma perché pare più logico supporre che la consuetudine del cognome paterno si sia ab antiquo fissata nella coscienza collettiva non per prevaricare ma per bilanciare – appunto con l’evidenza sociale del nome – l’oggettiva imperscrutabilità del rapporto di derivazione biologica dal padre. Rapporto che è invece indubitabile, per la visibilità della gravidanza e l’assistenza di terzi al parto, dal lato delle madri[2]. Vero è, allora, che [continua ..]


2. Le riforme straniere e i d.d.l. italiani.

In Francia e in Belgio, dunque, era costume[1] che i figli portassero il solo cognome paterno, come in Italia. E come in Italia e altrove in Europa quella regola ha preso ad essere stigmatizzata per la sua ineguaglianza di genere (e poi, almeno in Francia, per altre ragioni legate al controverso impoverimento del patrimonio onomastico nazionale causato dell’estinzione dei cognomi delle famiglie prive di eredi maschi)[2].   Volendo stabilire l’eguaglianza attraverso la libertà, i francesi prima (a partire dal 2002)[3] e i belgi poi (a partire dal 2014)[4] si sono così trovati d’accordo nel lasciar decidere i privati. E non essendo adusi – come noi – ad anticipare la scelta del nome al momento di costituire la famiglia, hanno posposto la decisione alla nascita, consentendo a padre e madre tutte le soluzioni possibili a partire dai loro cognomi, così da poter dare al figlio di un Durand e da una Peeters – per riprendere l’esempio “ufficiale” della circolare belga del 30 maggio 2014 – 1) o il solo cognome Durand; 2) o solo Peeters; 3) o Durand Peeters; 4) o Peeters Durand[5]. Entro questa cornice i due sistemi hanno poi fissato alcuni corollari – come il limite di due cognomi a figlio; la necessaria corrispondenza del cognome tra tutti i fratelli; e, soprattutto, il criterio residuale dell’ordre alphabetique (con le diversità che vedremo tra breve). I quali – ecco l’aspetto più rilevante ai nostri fini – per imitazione o per spontanea convergenza hanno già formato l’oggetto di ripetuti disegni di riforma italiani, intonati anch’essi al gran principio della libertà di scelta dei genitori[6]. Disegni che in un caso sono giunti davvero vicini a farsi legge col d.d.l. S.1628, di cui non sarà inutile ripercorrere brevemente la parabola e i successivi sviluppi[7]. Riuniti in sé diversi progetti di legge e un ampio consenso, tale d.d.l. aveva dunque già ottenuto il via libera alla Camera nel settembre 2014 (sull’onda della condanna dell’Italia per opera della Corte EDU: cfr. infra § 3), per poi smarrirsi in commissione al Senato; e ripigliare però nuovo slancio per effetto, questa volta, della nostra Consulta (con la “storica” sentenza n. 286/16, su cui dovremo tornare). Tant’è che assai probabilmente sarebbe divenuto legge se lo [continua ..]


3. Alla vigilia di un nuovo intervento delle corti: l’ordinanza n. 18/21 della Consulta.

In attesa del legislatore, infatti, la disciplina italiana dei cognomi ha preso a riplasmarsi sotto la spinta delle Corti; ma con una buona dose d’inevitabile improvvisazione, giacché quegli interventi, più che tracciare un quadro di riforma organico, già rifinito in tutti i suoi dettagli, si sono via via adeguati al modo stesso in cui le istanze egualitarie delle singole vicende si venivano imponendo all’attenzione dei giudici. I quali, almeno fino al febbraio scorso, avevano potuto decidere (o deciso di decidere) senz’altra preoccupazione se non il “caso concreto”, mostrando ancora di confidare, per tutto il resto, nel doveroso intervento della politica. Velocemente ricordo infatti che tra il 2014 e il 2016 il nostro sistema di devoluzione dei cognomi è stato scosso da due decisive pronunce, la prima proveniente dalla Corte europea dei diritti dell’uomo[1]. La quale, investita della medesima vertenza su cui la Corte costituzionale si era dichiarata impotente otto anni prima (per il carattere troppo manipolativo della decisione richiesta), è pervenuta a condannare l'eccessiva rigidità del sistema italiano nella celebre decisione relativa a una coppia di coniugi milanesi che, per omaggiare la memoria del nonno materno e non lasciarne estinguere il cognome[2], aveva pervicacemente e – per quel che più interessa – concordemente chiesto di poter trasmettere alla figlia il solo cognome della madre. Era quindi destino che anche in Italia il grande argomento per smantellare il vecchio sistema onomastico facesse leva sulla concorde volontà dei genitori e, dunque, sul principio della loro autonomia, croce e delizia, come si è visto, delle riforme europee. Ed era altresì inevitabile che quella condanna venisse a convincere la Consulta a dismettere l’atteggiamento prudente che fino ad allora ne aveva guidato le pronunce, nel 1988[3] e ancora nel 2006[4], allorché, pur rilevando nell’automatica trasmissione del cognome paterno uno strappo all’eguaglianza, si era appunto fermata dinanzi alla molteplicità delle soluzioni possibili per svecchiare il sistema, in nome della discrezionalità del Parlamento. Rotti ora gli indugi, l’occasione propizia per un intervento risolutivo veniva offerta da un nuovo caso che a costruirlo in vitro non avrebbe potuto valorizzare meglio, e in un solo colpo, [continua ..]


4. Le insidie dell’autonomia e i guasti dell’alfabeto.

Ritorniamo da capo e ai luoghi comuni che si candidano a riformare – come si vede – la disciplina dei cognomi. Come detto in premessa, pensare che l’autonomia o il criterio alfabetico siano la panacea di tutti i mali è una convinzione piuttosto ingenua. Soprattutto, è un approccio miope, che considera solo i vantaggi nell’immediato e trascura le ripercussioni nel lungo periodo; il quale, tuttavia, è la dimensione temporale in cui i cognomi hanno da sempre esplicato il loro ruolo. Fin da quando – collassato da gran tempo il sistema onomastico romano e impostosi il nome unico per tutto l’alto medioevo – a partire dall’XI secolo i cognomi rinacquero poco a poco. Dapprima come appellativi ancora individuali, tratti da un patronimico (Leonardo di Angelo), un toponimo (Leonardo del ponte), un mestiere (Leonardo il maestro), un matronimico (Leonardo di Agnese), un soprannome (Leonardo il bruno). E poi, superata questa fase embrionale, essi si fecero davvero ereditari, trasmettendosi di generazione in generazione (a tutti gli Angeleri, i Daponte, i Magistri, gli Agnesi e i Bruno) a prescindere dal matronimico o dal patronimico in senso proprio, dal mestiere svolto, dai tratti fisici, dal luogo di residenza e così via[1]. Ora, nei secoli in cui si fissarono, quei cognomi assorbirono l’eredità della storia pregressa (non foss’altro perché moltissimi di essi erano derivati da etimi a loro volta germanici, latini, greco-bizantini o di origine religiosa)[2]; e nei secoli seguenti non smisero mai di ramificarsi e moltiplicarsi seguendo la «complessità e varietà delle nostre storie politico-culturali e dialettali»[3]. Il risultato è l’enorme ricchezza del patrimonio dei cognomi italiani, che conta ben più di 300 mila forme. Ciascuna di esse rappresenta, nella prospettiva individuale, un elemento dell'identità personale. Ma nel loro insieme esse formano un tratto identitario del nostro Paese; quasi un aspetto del suo patrimonio immateriale[4]. Il quale, allora, andrebbe preservato contro i rischi di un impoverimento indotto dalla legge d’inerzia o da modifiche affrettate, secondo una preoccupazione ben avvertita in altri ordinamenti[5]; mentre in Italia, salvo qualche accenno del tutto sporadico[6], è rimasto sorprendentemente assente dal dibattito politico e giuridico sul tema. La radicale [continua ..]


5. Due proposte.