Il contributo analizza la disciplina dell’abuso di dipendenza nell’ordinamento francese – prima e dopo la ricodificazione del 2016 (sottolineando anche l’influenza esercitata da modelli stranieri e progetti “soft law”) – per apprezzarne, dapprima, l’evoluzione nazionale transalpina e, poi, l’eventuale contributo nella prospettiva di un possibile ripensamento complessivo nell’ambito del sistema giuridico italiano.
The essay examines the regulation of abuse of dependence in the French legal system – before and after the 2016 reform (emphasizing the influence exerted by foreign models and “soft law” projects) – in order to appreciate, first of all, the transalpine national evolution and, then, the possible contribution in the perspective of a possible overall rethinking within the Italian legal system.
Keywords: Reform – French and Italian law – abuse of dependence
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Sommario:
1. Premessa. - 2. La disciplina dell’originario Code Napoléon ed il ruolo del diritto vivente - 3. La riforma dell’art. 1143 cod. civ. - 3.1. Il ruolo dei modelli nazionali stranieri e dei progetti di diritto privato europeo ed internazionale - 3.2. Le diverse tappe del processo di approvazione della riforma francese - 4. L’attuale testo normativo dopo la loi de ratification n. 2018-287 del 20 aprile 2018 - 4.1. Presupposti applicativi - 4.2. Rimedi - 5. L’abuso di dipendenza dopo la riforma: una storia di successo? - 5.1. Dalle (roboanti) dichiarazioni governative alle prime (caute) posizioni giurisprudenziali - 5.2. La disciplina sull’abuso di dipendenza fra limiti (normativi) “interni” ed “esterni” al Code civil - 6. Uno sguardo all’ordinamento italiano - 7. Considerazioni conclusive
L’abus de l’état de dépendance, recentemente consacrato dalla “Ordonnance de réforme du droit des contrats, du régime général et de la preuve des obligations”, si pone in un affollato crocevia di più direttrici dell’odierno dibattito giuridico, sollevando diverse problematiche riguardanti non soltanto numerosi profili di diritto dei contratti, ma anche, fra l’altro, di diritto della concorrenza [1]. Nella consapevolezza pertanto di dover astrattamente inserire ogni ricostruzione complessiva sull’argomento nell’alveo di un ancora più ampio e generale ripensamento sistematico, s’intende limitare la presente riflessione soltanto ai profili strettamente contrattuali. Questi, infatti, si presentano molto controversi poiché richiedono, a loro volta, la considerazione non soltanto di classiche problematiche, già di per sé, particolarmente complesse – come la predeterminazione della rilevanza giuridica (o meno) delle condizioni di debolezza di una parte contrattuale e l’incerto rapporto fra regole di validità e regole di responsabilità – ma anche il coinvolgimento di una pluralità di princìpi del diritto dei contratti – come la tutela della libertà dei contraenti, per un verso, e la tutela della vincolatività del contratto, dell’affidamento e dei terzi, per un altro – caratterizzati spesso da un’evoluzione non indifferente (e non sempre coerente) nell’ambito dei vari sistemi giuridici (nazionali e sovranazionali) [2]. Si mira pertanto a muovere dall’analisi dei caratteri fondamentali della disciplina dell’abuso di dipendenza nell’ordinamento francese – prima e dopo la riforma del diritto delle obbligazioni e dei contratti del 2016 (richiamando anche l’influenza esercitata, nel corso del tempo, da modelli stranieri e progetti di c.d. “soft law”) – per apprezzarne, dapprima, l’evoluzione nazionale transalpina e, poi, l’eventuale contributo nella prospettiva di un possibile ripensamento complessivo nell’ambito del sistema giuridico italiano. [1] Nella letteratura francese (specie successiva alla riforma del 2016) sono numerose le riflessioni che sottolineano l’evidente multidisciplinarietà dell’abuso dello stato di dipendenza. Cfr., ex [continua ..]
In origine, l’abuso dello stato di dipendenza non era disciplinato nel Code Napoléon [1]. Già alla fine del XIX secolo, la giurisprudenza francese di legittimità aveva riscontrato, però, gli estremi della nullità (relativa) [2] con riferimento a contratti di assistenza marittima negoziati in una situazione di pericolo da capitani di navi nell’intento di salvare un’imbarcazione persa in mare [3]. Successivamente, la Corte di Cassazione aveva ammesso anche la nullità di un contratto di lavoro svantaggioso concluso da un lavoratore in evidente stato di necessità derivante dall’urgente bisogno di denaro per affrontare la malattia di un minore [4]. Nonostante il persistente silenzio legislativo – perlomeno nell’ambito del Code civil [5] – l’esigenza di tutela era destinata ad emergere sempre di più, seppur in forme parzialmente diverse, nel diritto vivente. A partire dai primissimi anni 2000, la giurisprudenza di legittimità ha cominciato a riconoscere – sull’onda anche dell’influenza (prevalentemente dottrinale) del c.d. “solidarisme contractuel” (riguardante peraltro, come in Italia, non soltanto la fase della formazione, ma anche, seppure diversamente, quella dell’esecuzione del contratto) [6] – particolare rilevanza allo sfruttamento abusivo dello stato di dipendenza (e non più allo stato di necessità o di pericolo), riconducendo sempre più spesso la fattispecie all’istituto della violenza (e, in particolare, della c.d. “violence économique”) anziché della lesione [7]. Quest’ultima ricostruzione – forse allo scopo d’impedire possibili riflessi negativi sulla sicurezza giuridica – è stata poi precisata tramite l’indicazione di condizioni (sempre di matrice giurisprudenziale) particolarmente stringenti, a partire dall’esigenza, mutuata dalla disciplina generale della violenza come vizio del consenso, di provare sempre, ai fini dell’anullamento dell’accordo, un comportamento attivo da parte dell’altro contraente: «seule l’exploitation abusive d’une situation de dépendance économique, faite pour tirer profit de la crainte d’un mal menaçant directement les intérêts légitimes de la [continua ..]
Nell’odierna (formulazione e) disciplina francese dell’abuso di dipendenza – già parzialmente nota, come si è visto, alla (dottrina e soprattutto alla) giurisprudenza nazionale – confluiscono peraltro significative suggestioni ed indicazioni provenienti dai più recenti modelli stranieri di ricodificazione, dai progetti di diritto privato europeo e di diritto uniforme (v., infra, § 3.1.), ma anche dai progetti nazionali susseguitisi, a partire dagli anni 2000, nelle diverse fasi dell’iter di riforma del Code civil (v., infra, § 3.2.).
L’intera riforma – consapevole, come dimostrato già dal Rapporto ufficiale del Ministro della Giustizia al Presidente della Repubblica, della sopravvenuta crisi di competitività dell’ordinamento francese [1] – mira a potenziare, seppur in osservanza dei principi di buona fede e giustizia contrattuale, soprattutto la sicurezza giuridica e l’attrattività complessiva del sistema [2]. Quest’aspirazione ad una maggior attrattività – “politico-culturale” (tale da riportar il Code civil ad essere “modello” per altri sistemi giuridici stranieri) ed “economica” (così da renderlo nuovamente appetibile come legge applicabile per opera delle parti) [3] – ha sicuramente contribuito a sviluppare nei redattori della riforma un’attenzione particolare nei confronti delle principali previsioni dei più recenti modelli nazionali stranieri di ricodificazione [4] nonché dei progetti di “soft law” europeo ed internazionale [5]. L’odierna disciplina dell’abuso di dipendenza s’inserisce così pienamente nell’alveo delle nuove disposizioni, più o meno direttamente, “ispirate” anche dall’esperienza giuridica straniera. L’influenza maggiore sembra esercitata, nonostante le note premesse giuseconomiche di matrice perlopiù nordamericana [6], dai sistemi giuridici continentali e soprattutto – per ovvie ragioni di carattere, oltre che strettamente giuridico, socio-economico e culturale – dalla disciplina prospettata, anche all’esito della c.d. “Schuldrechtsmodernisierung”, dall’ordinamento tedesco [7]. Nell’ambito dell’odierno art. 138 del BGB – dopo la disciplina generale sulla nullità degli accordi stipulati in contrasto con la legge e con il buon costume – si prevede espressamente la nullità del contratto se prestazione e controprestazione «si pongono in evidente sproporzione» (i) e una delle parti ha sfruttato, per concludere l’accordo, «lo stato di costrizione, l’inesperienza, la mancanza di discernimento o la rilevante debolezza della volontà» dell’altra (ii) [8]. Si tratta di una scelta legislativa (condivisibile o meno, ma) chiara: l’art. 138 (§ 2) del BGB, in presenza dei suddetti [continua ..]
Un’attenzione particolare è stata poi riservata allo stato di dipendenza dei contraenti da tutti i principali progetti francesi di riforma del diritto dei contratti che hanno preceduto l’odierna formulazione dell’art. 1143 del Code civil. Già il primo progetto di riforma – il c.d. “Avant-projet Catala” [1] (2005) – dedicava una disciplina specifica all’argomento, assimilando, anche ai fini più strettamente rimediali, all’ipotesi della violenza «lorsqu’une partie s’engage sous l’empire d’un état de nécessité ou de dépendance, si l’autre partie exploite cette situation de faiblesse en retirant de la convention un avantage manifestement excessif» (art. 1114-3, al. 1) [2]. Si trattava – come sottolineato allora nel Rapporto ufficiale della Commissione al Ministro della Giustizia – di una “innovation réelle” diretta a consacrare, per la prima volta anche a livello legislativo, la rilevanza giuridica dell’abuso di dipendenza [3]. A tal fine, probabilmente anche sulla scia dei primi suddetti progetti di c.d. “soft law”, si richiedeva la verifica dell’eccessivo vantaggio conseguito da un contraente a seguito dell’abusivo sfruttamento della situazione di debolezza (“situation de faiblesse”) derivante da uno stato di necessità o di dipendenza dell’altro contraente [4]. Anche il secondo progetto di riforma – il c.d. “Projet Terré” [5] (2008) – disciplinava, dopo avere stabilito l’irrilevanza generale dello squilibrio tra le prestazioni (laddove non espressamente previsto e regolato dal legislatore), l’abuso dello stato (di necessità o) di dipendenza. Questo secondo progetto [6] non riconduceva più l’istituto – seppur in presenza sostanzialmente dei medesimi presupposti applicativi – ad una nuova forma di violenza, preferendo delineare, invece, una “lésion qualifiée” [7]. Non solo: l’art. 66 del “Projet Terré” consentiva alla parte pregiudicata di conseguire prioritariamente l’adeguamento giudiziale – pur in assenza d’indicazioni chiare su modalità e criteri di revisione contrattuale – al fine di ristabilire l’equilibrio fra le [continua ..]
Neanche la formulazione dell’art. 1143 dell’ordonnance ha rappresentato, però, la fine dell’«epopea» della disciplina dell’abuso di dipendenza nell’ordinamento francese poiché la versione definitiva è frutto delle ulteriori modifiche apportate al testo nell’ambito della successiva loi de ratification n. 2018-287 del 20 aprile 2018 [1]. In quest’occasione, il legislatore francese – posto davanti alla contrapposizione (prevalentemente dottrinale) fra chi suggeriva di «ratifier sans aucune modification» [2] e chi, viceversa, proponeva di «véritablement réformer la réforme» [3] – ha scelto, in effetti, d’intervenire soltanto in alcuni (limitati) settori specifici fra cui, però, proprio la disciplina dell’abuso di dipendenza [4]. A seguito delle persistenti critiche riguardanti la precedente formulazione, ritenuta troppo generica e potenzialmente foriera di situazioni d’incertezza, la loi de ratification del 2018 è tornata così specificamente a rivedere la disciplina dell’abuso di dipendenza, confermando tutti i suddetti presupposti applicativi e precisando, al contempo, la rilevanza esclusiva, ai fini dell’applicazione della norma, della dipendenza di una parte nei confronti della controparte («son cocontractant à son égard») senza riconoscere nessun rilievo alla condizione generale di dipendenza di un contraente nei confronti di terzi [5]. Ne deriva un’inevitabile (ed ulteriore) limitazione dell’ambito applicativo della norma [6] che suggerisce all’interprete di valutare, seppure brevemente, l’odierna complessiva incidenza dei presupposti e delle possibili conseguenze della nuova disciplina del Code civil [7]. [1] Per una visione generale sulla loi de ratification, si rinvia – oltre ai saggi contenuti rispettivamente in Revue des contrats, 2018 (hors-série), Le nouveau droit des obligations après la loi de ratification du 20 avril 2018 (Paris, 7 juin 2018), in Actualité Juridique Contrat, 2018, 251 ss., Dossier – La ‘réforme de la réforme’ du droit des obligations: (I) Le contrat, e (sempre) in Actualité Juridique Contrat, 2018, 303 ss., Dossier – La ‘réforme de la réforme’ du droit [continua ..]
Alla (più recente) limitazione della nuova disciplina soltanto ai rapporti fra contraenti – all’esito, come si è detto, dell’esclusione di ogni rilevanza della violenza esercitata dal terzo [1] – si affiancano, infatti, gli ulteriori (e precedenti) presupposti dello stato di dipendenza (i), della prova dello sfruttamento abusivo della situazione di dipendenza (ii), del carattere determinante della violenza (iii) e del conseguimento di un vantaggio manifestamente eccessivo (iv). Innanzitutto, il presupposto generale dello stato di dipendenza (i) se, per un verso, conferma la scelta di non limitare la disciplina (come pure era stato richiesto, da ultimo, dal Senato nell’iter di approvazione della loi de ratification) alle circostanze di dipendenza “economica” (nell’ambito dei rapporti fra imprese) [2], per un altro, conferma anche l’esclusione, ormai definitiva, di ogni generico richiamo ad un’indistinta “situation de faiblesse” (pur presente, come si è visto, nella maggior parte delle versioni dei precedenti progetti di riforma). Ne deriva un presupposto ancor oggi molto generale, ma forse leggermente più certo del passato [3]. Sembra poi difficile trascurare l’esigenza – pur assai dibattuta nella dottrina francese [4] – di provare specificamente l’abuso della situazione di dipendenza (ii). In alternativa, si rischia, in assenza di una puntuale dimostrazione, di ridurre ogni riferimento all’abuso – di fatto, neutralizzandolo – ad una mera descrizione dello stato di fatto (di dipendenza). Nella stessa direzione sembra militare peraltro l’odierno art. 1168 del Code civil: «le défaut d’équivalence des prestations n’est pas une cause de nullité du contrat». La violenza – così la riforma ricostruisce, come si è detto, lo sfruttamento abusivo da parte di un contraente dello stato di dipendenza dell’altro contraente – dev’essere stata poi determinante per la conclusione dell’accordo («un engagement qu’il n’aurait pas souscrit en l’absence d’une telle contrainte») (iii). Si tratta, con ogni evidenza, di una quaestio facti da sottoporsi, di volta in volta, all’attenzione dell’interprete. Non c’è dubbio pertanto che anche la giurisprudenza – [continua ..]
La disciplina dell’abuso di dipendenza solleva, però, significative problematiche anche sul versante più strettamente rimediale. In particolare, la riconduzione della figura all’alveo dei vizi del consenso – e, in particolare, alla violenza – comporta l’applicazione dell’art. 1131 del Code civil («Les vices du consentement sont une cause de nullité relative du contrat»). Ne deriva l’applicazione delle regole sulla nullità relativa del contratto con riferimento, in particolare, alla legittimazione attiva dell’azione riservata soltanto alla parte che l’ordinamento vuole proteggere (art. 1181 cod. civ.) e al decorso del termine di prescrizione (art. 1144 cod. civ.) [1]. Tale soluzione rimediale – già criticata dalla dottrina (francese e non solo) [2] – non sembra lasciare nessun margine, perlomeno prima facie, alla conservazione (e all’adeguamento) dell’originario contratto, distinguendosi così significativamente, fra l’altro, dai progetti di c.d. “soft law” [3]. Nel caso dell’abuso di dipendenza, infatti, non sembra esser applicabile neanche la disciplina della nullità parziale ai sensi dell’art. 1184 Code civil [4]. Quest’ultima norma statuisce l’invalidità dell’intero contratto laddove la clausola nulla (o le clausole nulle) abbia(no) costituito «un élément déterminant de l’engagement des parties ou de l’une d’elles» come nell’ipotesi (qui considerata) dell’abuso di dipendenza, cui si riconosce, ai sensi dell’odierna formulazione dell’art. 1143, rilevanza giuridica soltanto se determinante ai fini della stipulazione dell’accordo (richiedendosi, fra i suddetti presupposti applicativi, «un engagement qu’il n’aurait pas souscrit en l’absence d’une telle contrainte») [5]. Alcuni studiosi – constatata l’impossibilità di ricorrere, in assenza peraltro di specifiche previsioni legislative, ad ogni rimedio manutentivo dell’originario contratto – hanno allora rivolto lo sguardo al risarcimento del danno, rilevando peraltro come, ai sensi del rinnovato art. 1178 Code civil, «indépendamment de l’annulation du contrat, la partie lésée peut demander réparation du [continua ..]
L’odierno art. 1143 costituisce sicuramente una delle novità più significative, perlomeno nell’originaria intentio legis, della riforma del 2016, rappresentando addirittura una sorta di “norma-manifesto” del rinnovato Code civil [1]. S’intende, infatti, far emergere – per esplicita ammissione governativa [2] – i «valeurs humanistes du droit français» attraverso la predisposizione di «règles équilibrées, à la fois efficaces et protectrices, toujours dans un cadre clair et précis, permettant des anticipations rationnelles des acteurs économiques» [3]. Non stupisce allora – come avvertito dalla dottrina francese già all’indomani dell’approvazione della riforma [4] – la duplice posta in gioco riconducibile al successo (o meno) dell’istituto generale dell’abus de l’état de dépendance: all’indiscutibile rilevanza pratica (perlomeno potenziale) della disciplina si aggiunge la sua collocazione nevralgica nel dibattito teorico generale sul contratto. È stata – almeno finora – “vera gloria”? [1] Sul punto, cfr., ex multis, G. Helleringer, The Anatomy of the New French Law of Contract, in ERCL, 2017, 355 ss., spec. 361; B. Fauvarque-Cosson, The French Contract Law Reform and the Political Process, in ERCL, 2017, 337 ss., spec. 348. [2] L’orientamento risulta chiaro tanto nel Rapporto del Ministero della Giustizia al Presidente della Repubblica quanto nel Rapporto Ufficiale del Consiglio dei Ministri del 10 febbraio 2016 (si tratta di documenti ufficiali reperibili online, cfr. https://www.legifrance.gouv.fr/jorf/id/JORFTEXT000032004539; https://www.gouvernement.fr/conseil-des-ministres/2016-02-10). [3] Così recita testualmente il già richiamato Rapporto Ufficiale del Consiglio dei Ministri del 10 febbraio 2016. [4] Alcuni studiosi pronosticavano alla disciplina dell’abuso di dipendenza un «bel avenir» (M. Mekki, Droit des contrats, cit., 375 ss.; E. Claudel, L’abus de dépendance économique: un sphinx renaissant de ses cendres?, cit., 460 ss.; F. Chénedé, L’équilibre contractuel dans le projet de réforme, cit., 655 ss.), altri dubitano «que ce texte conduise la jurisprudence à se [continua ..]
Nell’ottica di cominciare a considerare l’effettiva portata della novità normativa – dopo averne richiamato presupposti e rimedi – sembra necessario prender in considerazione le prime pronunce giurisprudenziali sull’argomento. Se, infatti, è vero che nell’ambito del Rapporto Ufficiale del Consiglio dei Ministri del 10 febbraio 2016 si sottolinea(va) con enfasi, per esempio, come, all’esito della riforma del 2016, «la cession des droits d’auteur d’un salarié à une entreprise qui n’aurait été obtenue que dans la crainte d’une compression de personnel sera nulle», non è meno vero che la giurisprudenza di legittimità – fermo restando l’ingente numero di problematiche riguardanti i diritti della proprietà intellettuale astrattamente riconducibili nell’alveo della nuova disciplina [1] – aveva già, ben prima dell’entrata in vigore della riforma, finito per ammettere autonomamente l’invalidità per “violenza economica” di numerosi accordi, caratterizzati da un abuso dello stato di dipendenza, nell’ambito del diritto d’autore [2]. Questo dialogo fra legge e giurisprudenza se, per un verso, ha sicuramente agevolato l’introduzione dell’istituto specifico dell’abuso di dipendenza nella riforma del Code civil, per un altro, sembra comportare, perlomeno nei primi anni di applicazione dell’art. 1143, un’interpretazione giurisprudenziale del rinnovato testo normativo che sembra distaccarsi solo minimamente dal diritto vivente precedente. Anzi, talvolta l’entrata in vigore della riforma sembra destinata – come peraltro già rilevato da parte della dottrina francese – a porre dei limiti a talune precedenti “fughe in avanti” della stessa giurisprudenza [3]. Si pensi, per esempio, al caso giurisprudenziale di una proprietaria che, in uno stato di dipendenza psicologica nei confronti del compagno, aveva venduto il proprio immobile ad una coppia di acquirenti. Questi, poco dopo, hanno, a loro volta, trasferito lo stesso immobile al doppio del suo prezzo di acquisto. Successivamente l’originaria proprietaria ha chiesto – prima ancora dell’entrata in vigore della nuova disciplina – la nullità del contratto iniziale (e di quello successivo) per vizio [continua ..]
La disciplina sull’abuso di dipendenza ha dato pertanto veste legislativa ad un diritto vivente ormai da tempo foriero di soluzioni distanti dalla lettera dell’originaria formulazione del Code Napoléon, ma fatica ad ergersi come l’espressione più diretta del solidarismo contrattuale nel diritto vivente per una pluralità di ragioni di carattere, per così dire, “interno” ed “esterno”. Innanzitutto, la giurisprudenza successiva alla riforma – forse anche per evitare di frustrare gli scopi di sicurezza giuridica e maggior attrattività politica, culturale ed economica del diritto francese (anch’essi richiamati, come si è visto, già nel Rapporto del Ministro della Giustizia al Presidente della Repubblica) – ha sostanzialmente preso atto, per un verso, dei numerosi presupposti applicativi della formulazione legislativa della disciplina e, per un altro, dell’apparato rimediale caratterizzato, come si è visto, da soluzioni spesso poco confacenti ad interessi ed esigenze dei contraenti. Inoltre, la nuova disciplina generale dell’abuso di dipendenza non ha stravolto l’attuale panorama contrattuale francese anche per ragioni di carattere “esterno” perché derivanti dall’applicazione di altri (e diversi) istituti. Questa riforma s’inserisce, infatti, in un ordinamento nazionale già decisamente articolato: s’impone pertanto un’attività significativa di coordinamento della disciplina generale dell’abuso di dipendenza con una serie di altre disposizioni, a loro volta, interne ed esterne al Code civil [1]. In primo luogo, si tratta d’individuare, per la nuova normativa, un ambito applicativo distinto da quello riservato alle previsioni generali sul “classico” vizio del consenso della violenza e alla disciplina sulle clausole abusive (di cui rispettivamente all’art. 1140 e all’art. 1171 dell’odierno Code civil) [2]. Come si è detto, infatti, la disciplina dell’abuso di dipendenza nasce e si sviluppa (specie nell’evoluzione giurisprudenziale precedente al 2016-2018) come una sorta di “violenza economica” e, ancora oggi, mantiene rapporti molto stretti con il vizio del consenso “classico” della violenza, di cui finisce per costituire, nell’impianto (anche sistematico) della riforma, una [continua ..]
L’analisi dell’esperienza d’Oltralpe – considerata la formulazione specifica (delle diverse tappe) della réforme e le sue prime applicazioni giurisprudenziali nonché la sua portata complessiva e sistematica nell’ordinamento francese – sembra così permettere di spostare più consapevolmente l’attenzione sulla prospettiva di un eventuale complessivo ripensamento delle problematiche e della disciplina riguardanti l’abuso dello stato di dipendenza nell’ambito del nostro sistema giuridico [1]. Se, per un verso, non c’è dubbio, infatti, che le problematiche affrontate dal legislatore francese siano (comuni e) presenti anche nel nostro ordinamento, per un altro, minori certezze possono aversi circa l’opportunità di recepire – rectius, di imitare [2] – la disciplina generale dell’abuso di dipendenza (così come adottata dalla réforme) in occasione di una possibile ricodificazione italiana [3]. Quest’ultima riflessione deriva, però, non soltanto dalle considerazioni finora svolte con riferimento all’ordinamento francese, ma anche dalle problematiche emergenti da un’analisi (qui necessariamente sommaria) della disciplina del nostro Paese. Come noto, nell’ottica di contrastare l’abusivo sfruttamento di talune (particolari) circostanze, l’ordinamento italiano riconosce che un contratto concluso in una situazione di pericolo e a condizioni inique (art. 1447 cod. civ.) oppure in uno stato di bisogno economico, purché la sproporzione ecceda la metà del valore che la prestazione aveva al tempo dell’accordo (art. 1448 cod. civ.), possa essere rescisso dalla parte svantaggiata [4] (fermo restando la possibilità per il contraente contro il quale è domandata la rescissione di evitarla offrendo, ai sensi dell’art. 1450 cod. civ., una modificazione del contratto tale da ricondurlo ad equità) [5]. Alla disciplina (generale?) del codice civile del ’42 – complessivamente estintiva del rapporto (seppure, come si è detto, con il diritto, riconosciuto al contraente avvantaggiato contro il quale è domandata la rescissione, di offrire una riconduzione del contratto ad equità) – si affianca poi una disciplina speciale [6] – riguardante specificamente l’abuso di [continua ..]