Con la l. 20 maggio 2016, n. 76, il legislatore ha disegnato una disciplina complessiva delle conseguenze che la rettificazione dell’attribuzione di sesso di uno dei componenti della coppia determina in una coppia unita civilmente e in una coppia coniugata. Nel secondo caso, la rettificazione scioglie il matrimonio, ma, ove i coniugi abbiano espresso la volontà di non sciogliere il matrimonio, si instaura una unione civile tra persone dello stesso sesso. Nel caso di persone unite civilmente, invece, si prevede solo lo scioglimento dell’unione ma non anche la possibilità di proseguire il rapporto, senza soluzione di continuità, nella forma del matrimonio. La Corte costituzionale, nel 2024, ha dichiarato illegittima questa previsione per il vuoto di tutela che essa determina in pregiudizio del diritto inviolabile della persona alla propria identità, e ha stabilito che essa dev’essere intesa nel senso che gli effetti derivanti dallo scioglimento del vincolo sono sospesi per il tempo necessario (centottoanta giorni) a che le parti dell’unione civile, che abbiano manifestato una siffatta volontà davanti al giudice della rettificazione anagrafica, celebrino il matrimonio. Il contributo si interroga sul significato di questa pronuncia, che risulta per molti versi ingegnosa ed equilibrata e che tuttavia non chiarisce i termini della efficacia c.d. “novativa” della vicenda di transizione al matrimonio (o all’unione civile, nell’ipotesi speculare dei coniugi): nondimeno, la questione è di sicuro rilievo posto che dal corretto inquadramento di tale aspetto senza dubbio dipende l’effettiva idoneità di tale vicenda a garantire, senza cesure, l’auspicata continuità di vita e di affetti, anche sul piano dei rapporti patrimoniali tra le parti.
With Law No 76 of 20 May 2016, the Italian legislature drew up a comprehensive regulation of the consequences that the rectification of the gender attribution of one of the couple’s members determines in a civil union and in a married couple. In the latter case, the rectification dissolves the marriage, but where the spouses have expressed the will not to dissolve the marriage, a civil union between persons of the same sex is established. In the case of persons parties to a civil union, on the other hand, only the dissolution of the union is foreseen, but not the possibility of continuing the relationship, without interruption, in the form of marriage. The Constitutional Court, in 2024, declared this provision illegitimate due to the lack of protection that it determines to the detriment of the person’s inviolable right to his own identity, and established that it is to be understood in the sense that the effects deriving from the dissolution of the bond are suspended for the time necessary (one hundred and eighty days) for the parties to the civil union, who have manifested such a will before the civil registration rectification judge, to celebrate the marriage. The essay investigates the meaning of this ruling, which is in many ways ingenious and balanced, but which does not clarify the terms of the so-called ‘novative’ effects of the event of transition to marriage (or to the civil union, in the specular case of the spouses): nevertheless, the question is of certain importance, given that the correct framing of this aspect undoubtedly affects the effective suitability of this transition to guarantee, without interruption, the desired continuity of life and affection, also in terms of the property relations between the parties.
1. Premessa. L’impianto normativo disegnato dalla legge n. 76/2016 - 2. Lo scioglimento automatico dell’unione civile a seguito della sentenza di rettificazione dell’attribuzione di sesso - 3. Il nodo interpretativo centrale sollevato dall’art. 1, comma 26, legge n. 76/2016: il vulnus al diritto alla continuità familiare - 4. La soluzione prospettata da Corte cost. 22 aprile 2024, n. 66: infondata è la censura relativa alla contrarietà all’art. 3 Cost. - 5. … fondata invece quella per contrarietà all’art. 2 Cost., dalla quale discende la conseguenza, ricavabile in via additiva, della sospensione dello scioglimento per il tempo necessario alla celebrazione del matrimonio - 6. La perdurante (contenuta ma effettiva) differenziazione tra unione civile e matrimonio - 7. Un nodo ancora da sciogliere: l’effettiva portata novativa della transizione verso, rispettivamente, il matrimonio o l’unione civile - NOTE
Con le norme contenute nei due commi 26 e 27 della legge 20 maggio 2016, n. 76, il legislatore ha disegnato una disciplina complessiva delle conseguenze che la rettificazione dell’attribuzione di sesso di uno dei componenti della coppia determina, rispettivamente, in una coppia unita civilmente e in una coppia coniugata. Tuttavia, sebbene il fatto che dà origine alla vicenda sia il medesimo, le conseguenze giuridiche individuate sono state, nei due casi, alquanto diverse: nel primo, la sentenza di rettificazione determina lo scioglimento dell’unione senza che si contempli la possibilità per le parti di continuare il rapporto in altra forma (comma 26); nel secondo, invece, alla sentenza di rettificazione consegue sì lo scioglimento del matrimonio, ma ad esso può accompagnarsi, ove i coniugi abbiano espresso la volontà di non sciogliere il matrimonio, l’automatica instaurazione, tra gli stessi, di una unione civile tra persone dello stesso sesso (comma 27): il vincolo può permanere, dunque, seppure in altra forma. L’introduzione di questa seconda previsione ha rappresentato il coronamento di una complessa evoluzione del quadro normativo, che ha visto succedersi negli anni importanti interventi tanto del legislatore quanto delle Corti superiori, a tutti i livelli [1], e che nell’introduzione dell’istituto dell’unione civile tra persone dello stesso ha trovato infine l’attesa soluzione di sistema, fino a quel momento negata. Si è raggiunto, così, un esito che nel complesso, e fatti salvi i nodi ancora aperti di cui si dirà più avanti, è di certo positivamente apprezzabile, e al conseguimento del quale ha concorso in misura decisiva anche l’attenzione riservata al tema dalla dottrina più avvertita. Fondamentale è stato, in quest’ambito, il contributo di Salvatore Patti, al quale queste pagine sono dedicate, alla sua finissima sensibilità dovendosi non solo i primi pioneristici studi tesi a ricostruire lo stato giuridico della persona transessuale in una dimensione sistematica coerente con i valori costituzionali [2] ma anche innumerevoli altre riflessioni che hanno costantemente illuminato, e spesso anticipato, l’evoluzione del dibattito [3]. Sulla regola contenuta nel citato comma 26 per il caso omologo della rettificazione di sesso di una persona unita civilmente, si sono invece [continua ..]
La disposizione di cui al comma 26, completando il quadro delle cause di scioglimento dell’unione civile che si apre con il comma 22, individua, dunque, quale causa di scioglimento la sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso di una delle parti dell’unione. La previsione ricalca fedelmente, in questa parte del suo contenuto, quella dettata per il matrimonio dall’art. 4 della legge 14 aprile 1982, n. 164, e successivamente riprodotta nell’art. 31, comma 6, d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150 [6]. Il legislatore del 2016 ha dunque in questo caso optato non per la tecnica del mero rinvio, impiegata nel comma 23 con riguardo ad altre cause di scioglimento, bensì per quella della integrale (e pressoché testuale) riproduzione, all’interno della stessa legge sulle unioni civili, della disciplina matrimoniale che si intende richiamare. Manca, invece, nel citato comma 26, l’ulteriore previsione che chiude il menzionato art. 31, comma 6, d.lgs. n. 150/2011, ovvero quella secondo la quale, per il caso del matrimonio, a seguito del predetto scioglimento del rapporto “si applicano le disposizioni del codice civile e della legge 1° dicembre 1970, n. 898”. Non è richiamato, pertanto, l’art. 3, n. 2, lett. g, legge div., che parimenti regola le conseguenze della rettificazione di sesso nel matrimonio, prevedendo che «lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio può essere domandata da uno dei coniugi … nei casi in cui … è passata in giudicato sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso a norma della l. 14 aprile 1982, n. 164», né può ritenersi che tale norma possa trovare applicazione estensiva in forza del comma 20 dell’art. 1, legge n. 76/2016 [7]. Ne discende, per l’unione civile, una netta semplificazione dei termini del problema, rispetto a quanto invece può e deve dirsi per la materia del matrimonio [8], codificandosi, per l’unione civile, la soluzione comunque prevalsa in via interpretativa anche in materia di matrimonio, ossia quella dell’automaticità dello scioglimento [9], che prescinde dalla domanda di parte [10]. Anche nell’unione civile sussiste, infatti, la medesima ragione che, secondo l’interpretazione prevalsa pure in giurisprudenza, è da ravvisare alla base dell’automatico operare dello [continua ..]
Ma torniamo al nodo interpretativo centrale che il comma 26 ha sollevato, ossia quello della distanza esistente tra la disciplina in esso dettata per l’unione civile e quella che il comma immediatamente successivo stabilisce per il matrimonio. Come si è chiarito, infatti, nell’unione civile la rettificazione di sesso di una delle parti determina esclusivamente lo scioglimento automatico del rapporto, senza residui ulteriori: senza, in particolare, che si contempli alcuna possibilità per le parti di continuazione del rapporto di coppia in altra forma. A seguito dello scioglimento dell’unione civile, nessuno ostacolo impedisce alle parti di unirsi in matrimonio: esse hanno infatti riacquistato lo stato libero con il passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione, e, allo stesso tempo, sempre a seguito della rettificazione, soddisfano ormai anche il requisito inderogabilmente previsto per il matrimonio dell’alterità di sesso. Un eventuale successivo matrimonio interverrà, però, quando il precedente rapporto si è ormai definitivamente interrotto, e non potrà quindi mai sanare con effetto retroattivo la soluzione di continuità prodottasi rispetto al pregresso vincolo di unione civile. Ciò, come si è anticipato, si pone in netta contrapposizione rispetto alla soluzione che il comma 27 adotta per il matrimonio, rispetto al quale si consente ai coniugi di continuare il rapporto di coppia nella diversa forma dell’unione civile tra persone dello stesso sesso, prevedendosi altresì che questa si instauri in via automatica alla sola condizione che le parti manifestino, con una dichiarazione resa congiuntamente dinnanzi al giudice in udienza, la volontà “di non sciogliere il matrimonio”: formulazione in negativo, questa, che, in sede di attuazione della delega, è stata poi sciolta in positivo, avendosi avuto cura di precisare, non senza una buona dose di libertà nella traduzione, che i coniugi devono manifestare al giudice la volontà “di costituire l’unione civile” (art. 31, comma 4-bis, d.lgs. n. 150/2011, come introdotto dal d.lgs. n. 5/2017 in attuazione della legge n. 76/2016) [15]. All’indomani dell’entrata in vigore della legge del 2016, chi scrive ebbe modo, insieme ad altri [16], di evidenziare l’irragionevolezza della regola di cui al comma 26 e della [continua ..]
Il mancato intervento del legislatore delegato ha, dunque, perpetuato il problema, che, probabilmente perché ritenuto non risolvibile per via puramente interpretativa [30], è giunto infine, dopo ben otto anni, all’attenzione della Corte costituzionale con la citata pronuncia n. 66/2024. Per la verità, già nel 2023 la Corte era stata investita dal Tribunale di Lucca [31] di una censura di legittimità costituzionale del citato comma 26 della legge (insieme anche ad altre disposizioni della medesima) nella parte in cui stabilisce, appunto, che la sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso determina l’automatico scioglimento dell’unione civile, senza dare possibilità alle parti di evitare la cessazione del rapporto manifestando la loro volontà di proseguirlo nelle forme del matrimonio. Tuttavia, in quell’occasione la Consulta aveva respinto la questione con una declaratoria di inammissibilità [32] fondata su ragioni eminentemente processuali, ossia sul difetto di rilevanza delle questioni sollevate a motivo della loro mancanza di attualità e di concretezza [33]. La nuova occasione veniva offerta, nel maggio 2023, dal Tribunale di Torino, il quale sollevava nuovamente la questione, invocando sia la violazione dell’art. 2 che dell’art. 3 Cost. Questa volta, recependo nella sostanza quanto già era stato proposto dalla dottrina richiamata nel precedente paragrafo, la censura viene accolta dalla Corte costituzionale soltanto relativamente all’art. 2 Cost., mentre viene respinto, perché infondato, il dubbio sollevato relativamente all’art. 3 Cost., ossia in ordine alla disparità di trattamento che il comma 26 produrrebbe nei confronti dei componenti dell’unione civile rispetto ai coniugi. L’argomento che viene speso per sostenere l’infondatezza della censura relativa alla violazione del principio di eguaglianza verte sulla distanza, netta ancorché breve, interposta dal legislatore tra i due vincoli (unione civile e coniugio) e i relativi istituti, che hanno, ricorda la Corte, diversa copertura costituzionale [34], discipline distinte e solo parzialmente sovrapponibili e fondamenti giuridici non assimilabili: due istituti, dunque, che rappresentano «fenomeni distinti, caratterizzati da differenti panorami normativi» [35], e che corrispondono a situazioni [continua ..]
La Consulta ha ritenuto invece fondata la censura di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 26, legge n. 76/2016, sollevata in riferimento all’art. 2 Cost. Posta la considerazione dell’unione civile come formazione sociale «connotata da una natura solidaristica non dissimile da quella propria del matrimonio, in quanto comunione spirituale e materiale di vita, ed esplicazione di un diritto fondamentale della persona, quello di vivere liberamente una condizione di coppia, con i connessi diritti e doveri», la mancata previsione di uno strumento che, a seguito della rettificazione di attribuzione di sesso di una delle parti, consenta a queste di conservare la continuità della predetta comunione di vita nel passaggio al matrimonio, determina «un vuoto di tutela», a causa del venir meno – nelle more della celebrazione del matrimonio – del complessivo regime di diritti e doveri di cui le parti erano titolari in costanza dell’unione civile [37]. Questo vuoto di tutela pregiudica, in particolare, «il diritto inviolabile della persona alla propria identità, di cui pure il percorso di sessualità costituisce certa espressione, e comporta un sacrificio integrale del pregresso vissuto», esponendo i componenti della coppia, nel tempo necessario alla sua ricostituzione della coppia secondo nuove forme legali, ad «eventi destinati a precludere in modo irrimediabile la costituzione del nuovo vincolo». Aggiunge la Corte: «L’individuo non deve essere altrimenti posto, in modo drammatico, nella condizione di dover scegliere tra la realizzazione della propria personalità, di cui la perseguita scelta di genere è chiara espressione ed alla quale si accompagna l’automatismo caducatorio del vincolo giuridico già goduto, e la conservazione delle garanzie giuridiche che al pregresso legame si accompagnano, e tanto a detrimento della piena espressione della personalità» [38]. Orbene, non potendosi, per le differenze esistenti tra i due vincoli, semplicemente estendere al caso di specie la regola dettata per le coppie unite in matrimonio, omologando le due situazioni, ossia prevedere che l’unione civile possa in forma semplificata tramutarsi in matrimonio mediante la mera manifestazione di volontà delle parti di rimanere legalmente unite resa innanzi al giudice della rettificazione anagrafica [continua ..]
La soluzione escogitata dalla Corte costituzionale appare, nell’insieme, e al netto di alcune forzature, rispettosa della corretta impostazione del rapporto tra gli istituti dell’unione civile e del matrimonio che è, ancora oggi, possibile ricavare dal complesso quadro normativo che governa questa materia. Esso è, in particolare, conforme alla scelta legislativa di fondo tesa a mantenere una certa, sia pure contenuta, distanza tra i due istituti, una distanza che si risolve, in definitiva, nell’attribuzione all’unione civile di effetti di minore intensità e soprattutto, occorre aggiungere, meno invasivi della sfera di libertà di ciascuno degli uniti civilmente. In contrario, si è messo in dubbio che la soluzione propugnata dalla Corte fosse l’unica costituzionalmente percorribile, osservandosi come le effettive discrepanze sostanziali tra l’unione civile e il matrimonio, che la stessa Consulta in sintesi riepiloga, siano in realtà minime e comunque non costituiscano indici legali sufficientemente forti da rendere costituzionalmente inaccettabile la soluzione opposta, ossia quella della mera estensione all’unione civile della stessa regola prevista per il matrimonio [45]. Alcune di queste sono, peraltro, si osserva ulteriormente, differenze che sono andate attenuandosi nel tempo, com’è vero, in particolare, per quelle riguardanti lo scioglimento del vincolo, dopo che i numerosi interventi di riforma della disciplina del divorzio succedutisi negli ultimi anni hanno semplificato sotto svariati profili il procedimento che può condurre al divorzio, profondamente riducendo la, pur in origine significativa, distanza sul punto [46] tra matrimonio e unione civile [47]. Sono tutte osservazioni pertinenti, ma che, a ben vedere, non consentono di ignorare il dato di fondo, ossia che, pur ravvicinandosi sempre più sensibilmente i due paradigmi, il complesso normativo continua ad attribuire all’unione civile caratteri di intensità ed estensione minori, con scelte di differenziazione mirata che non possono ritenersi tutte in blocco discriminatorie, e la cui concreta ragionevolezza si deve piuttosto misurare rispetto alla specifica finalizzazione di ciascuna a valorizzare diritti o libertà fondamentali degli uniti civilmente [48]. È il caso, ad esempio, della mancata previsione dell’obbligo di [continua ..]
Vi è, tuttavia, ancora un nodo da sciogliere, che non sembra essere stato affrontato dalla Corte. La soluzione individuata dalla Consulta è stata apprezzata perché particolarmente ingegnosa sul piano pratico-applicativo, in quanto consente, come si è detto, di dare continuità alla comunità familiare, evitando, attraverso il congegno della sospensione degli effetti dello scioglimento fino alla costituzione del matrimonio (e al costo quindi di accettare una sia pur temporanea e condizionata unione civile “eterosessuale”), la cesura netta del rapporto, con un congegno funzionalmente equipollente a quello previsto, nella stessa ipotesi, ai coniugi. L’affermazione, però, è solo parzialmente vera, perché, com’è stato acutamente osservato da alcuni commentatori [58], neanche la soluzione approntata dal combinato disposto del comma 27 e dell’art. 31, comma 4-bis, d.lgs. n. 150/2011 per il matrimonio, per la verità garantisce a tutti gli effetti la continuità del rapporto. La regola, per come precisata in sede di attuazione, è, infatti, nel senso che i coniugi che vogliono continuare il rapporto nelle forme dell’unione civile devono “costituire” l’unione civile, dichiarando – sia pure in forma semplificata e in sede giudiziale – la volontà di creare, dunque, un rapporto “nuovo”. Sembra realizzarsi, allora, una vicenda propriamente novativa [59], come parrebbe confermato dalla duplice circostanza che le parti sono ammesse a rendere in tale atto anche le eventuali dichiarazioni riguardanti il regime patrimoniale (il che parrebbe presupporre che il precedente regime si sia estinto) e che il tribunale ordini all’ufficiale dello stato civile di iscrivere l’unione nei registri dello stato civile e non invece di annotare, a margine dell’atto di matrimonio, il suo mutamento in unione civile [60]. Il predetto comma 4-bis va, d’altronde, letto congiuntamente al successivo comma 6, a cui non apporta deroga e che, come detto, ricollega alla sentenza di rettificazione l’effetto dello scioglimento del matrimonio, l’estinzione, quindi, del rapporto. Se ciò è vero, la garanzia che questa regola offre alle parti è dunque quella non già di evitare la cesura del rapporto, che comunque c’è, ma di assicurare che tra [continua ..]