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G. Giappichelli Editore

Rettificazione di sesso della persona unita civilmente e transizione verso il matrimonio (di Stefano Troiano, Professore ordinario di Diritto privato – Università degli Studi di Verona)


Con la l. 20 maggio 2016, n. 76, il legislatore ha disegnato una disciplina complessiva delle conseguenze che la rettificazione dell’attribuzione di sesso di uno dei componenti della coppia determina in una coppia unita civilmente e in una coppia coniugata. Nel secondo caso, la rettificazione scioglie il matrimonio, ma, ove i coniugi abbiano espresso la volontà di non sciogliere il matrimonio, si instaura una unione civile tra persone dello stesso sesso. Nel caso di persone unite civilmente, invece, si prevede solo lo scioglimento dell’unione ma non anche la possibilità di proseguire il rapporto, senza soluzione di continuità, nella forma del matrimonio. La Corte costituzionale, nel 2024, ha dichiarato illegittima questa previsione per il vuoto di tutela che essa determina in pregiudizio del diritto inviolabile della persona alla propria identità, e ha stabilito che essa dev’essere intesa nel senso che gli effetti derivanti dallo scioglimento del vincolo sono sospesi per il tempo necessario (centottoanta giorni) a che le parti dell’unione civile, che abbiano manifestato una siffatta volontà davanti al giudice della rettificazione anagrafica, celebrino il matrimonio. Il contributo si interroga sul significato di questa pronuncia, che risulta per molti versi ingegnosa ed equilibrata e che tuttavia non chiarisce i termini della efficacia c.d. “novativa” della vicenda di transizione al matrimonio (o all’unione civile, nell’ipotesi speculare dei coniugi): nondimeno, la questione è di sicuro rilievo posto che dal corretto inquadramento di tale aspetto senza dubbio dipende l’effettiva idoneità di tale vicenda a garantire, senza cesure, l’auspicata continuità di vita e di affetti, anche sul piano dei rapporti patrimoniali tra le parti.

Rectification of the sex of the person party to a civil union and transition to marriage

With Law No 76 of 20 May 2016, the Italian legislature drew up a comprehensive regulation of the consequences that the rectification of the gender attribution of one of the couple’s members determines in a civil union and in a married couple. In the latter case, the rectification dissolves the marriage, but where the spouses have expressed the will not to dissolve the marriage, a civil union between persons of the same sex is established. In the case of persons parties to a civil union, on the other hand, only the dissolution of the union is foreseen, but not the possibility of continuing the relationship, without interruption, in the form of marriage. The Constitutional Court, in 2024, declared this provision illegitimate due to the lack of protection that it determines to the detriment of the person’s inviolable right to his own identity, and established that it is to be understood in the sense that the effects deriving from the dissolution of the bond are suspended for the time necessary (one hundred and eighty days) for the parties to the civil union, who have manifested such a will before the civil registration rectification judge, to celebrate the marriage. The essay investigates the meaning of this ruling, which is in many ways ingenious and balanced, but which does not clarify the terms of the so-called ‘novative’ effects of the event of transition to marriage (or to the civil union, in the specular case of the spouses): nevertheless, the question is of certain importance, given that the correct framing of this aspect undoubtedly affects the effective suitability of this transition to guarantee, without interruption, the desired continuity of life and affection, also in terms of the property relations between the parties.

SOMMARIO:

1. Premessa. L’impianto normativo disegnato dalla legge n. 76/2016 - 2. Lo scioglimento automatico dell’unione civile a seguito della sentenza di rettificazione dell’attribuzione di sesso - 3. Il nodo interpretativo centrale sollevato dall’art. 1, comma 26, legge n. 76/2016: il vulnus al diritto alla continuità familiare - 4. La soluzione prospettata da Corte cost. 22 aprile 2024, n. 66: infondata è la censura relativa alla contrarietà all’art. 3 Cost. - 5. … fondata invece quella per contrarietà all’art. 2 Cost., dalla quale discende la conseguenza, ricavabile in via additiva, della sospensione dello scioglimento per il tempo necessario alla celebrazione del matrimonio - 6. La perdurante (contenuta ma effettiva) differenziazione tra unione civile e matrimonio - 7. Un nodo ancora da sciogliere: l’effettiva portata novativa della transizione verso, rispettivamente, il matrimonio o l’unione civile - NOTE


1. Premessa. L’impianto normativo disegnato dalla legge n. 76/2016

Con le norme contenute nei due commi 26 e 27 della legge 20 maggio 2016, n. 76, il legislatore ha disegnato una disciplina complessiva delle conseguenze che la rettificazione dell’attribuzione di sesso di uno dei componenti della coppia determina, rispettivamente, in una coppia unita civilmente e in una coppia coniugata.

Tuttavia, sebbene il fatto che dà origine alla vicenda sia il medesimo, le conseguenze giuridiche individuate sono state, nei due casi, alquanto diverse: nel primo, la sentenza di rettificazione determina lo scioglimento dell’unione senza che si contempli la possibilità per le parti di continuare il rapporto in altra forma (comma 26); nel secondo, invece, alla sentenza di rettificazione consegue sì lo scioglimento del matrimonio, ma ad esso può accompagnarsi, ove i coniugi abbiano espresso la volontà di non sciogliere il matrimonio, l’automatica instaurazione, tra gli stessi, di una unione civile tra persone dello stesso sesso (comma 27): il vincolo può permanere, dunque, seppure in altra forma.

L’introduzione di questa seconda previsione ha rappresentato il coronamento di una complessa evoluzione del quadro normativo, che ha visto succedersi negli anni importanti interventi tanto del legislatore quanto delle Corti superiori, a tutti i livelli [1], e che nell’introduzione dell’istituto dell’unione civile tra persone dello stesso ha trovato infine l’attesa soluzione di sistema, fino a quel momento negata. Si è raggiunto, così, un esito che nel complesso, e fatti salvi i nodi ancora aperti di cui si dirà più avanti, è di certo positivamente apprezzabile, e al conseguimento del quale ha concorso in misura decisiva anche l’attenzione riservata al tema dalla dottrina più avvertita. Fondamentale è stato, in quest’ambito, il contributo di Salvatore Patti, al quale queste pagine sono dedicate, alla sua finissima sensibilità dovendosi non solo i primi pioneristici studi tesi a ricostruire lo stato giuridico della persona transessuale in una dimensione sistematica coerente con i valori costituzionali [2] ma anche innumerevoli altre riflessioni che hanno costantemente illuminato, e spesso anticipato, l’evoluzione del dibattito [3].

Sulla regola contenuta nel citato comma 26 per il caso omologo della rettificazione di sesso di una persona unita civilmente, si sono invece da subito appuntate le critiche di svariati commentatori, che hanno adombrato sia una possibile disparità di trattamento tra coppie coniugate e coppie unite civilmente [4] sia una compressione del diritto di quest’ultime alla continuità degli affetti nella delicata situazione innescata dalla rettificazione di sesso di una di esse.

A dirimere i dubbi è, infine, giunto il più recente arresto della Corte costituzionale in materia dell’aprile 2024 [5]: un intervento che, come si dirà, si lascia apprezzare sia per l’ingegnosità della soluzione proposta, sia per il punto fermo che essa ribadisce sul tema della complessa interrelazione tra gli istituti dell’unione civile, da un lato, e del matrimonio, dall’altro. Non mancano, tuttavia, anche alcune riserve di carattere più generale, che attengono alla mancata considerazione (ed omessa correzione in via interpretativa) di quella che appare come una debolezza di fondo dell’impianto normativo, tale tanto per i coniugi quanto per gli uniti civilmente: il riferimento è alla portata “novativa” della vicenda di transizione, rispettivamente, all’unione civile o al matrimonio che emerge dai commi 26 e 27, come attuati dal legislatore delegato e interpretati ora dal giudice delle leggi, dipendendo dal corretto inquadramento di tale aspetto l’effettiva idoneità di tale vicenda a garantire, senza cesure, l’auspicata continuità di vita e di affetti, anche, come si dirà, sul piano dei rapporti patrimoniali.

Ma andiamo con ordine, iniziando dal riepilogare il contenuto della regola su cui si è concentrata l’attenzione della Corte.


2. Lo scioglimento automatico dell’unione civile a seguito della sentenza di rettificazione dell’attribuzione di sesso

La disposizione di cui al comma 26, completando il quadro delle cause di scioglimento dell’unione civile che si apre con il comma 22, individua, dunque, quale causa di scioglimento la sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso di una delle parti dell’unione.

La previsione ricalca fedelmente, in questa parte del suo contenuto, quella dettata per il matrimonio dall’art. 4 della legge 14 aprile 1982, n. 164, e successivamente riprodotta nell’art. 31, comma 6, d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150 [6]. Il legislatore del 2016 ha dunque in questo caso optato non per la tecnica del mero rinvio, impiegata nel comma 23 con riguardo ad altre cause di scioglimento, bensì per quella della integrale (e pressoché testuale) riproduzione, all’interno della stessa legge sulle unioni civili, della disciplina matrimoniale che si intende richiamare.

Manca, invece, nel citato comma 26, l’ulteriore previsione che chiude il menzionato art. 31, comma 6, d.lgs. n. 150/2011, ovvero quella secondo la quale, per il caso del matrimonio, a seguito del predetto scioglimento del rapporto “si applicano le disposizioni del codice civile e della legge 1° dicembre 1970, n. 898”.

Non è richiamato, pertanto, l’art. 3, n. 2, lett. g, legge div., che parimenti regola le conseguenze della rettificazione di sesso nel matrimonio, prevedendo che «lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio può essere domandata da uno dei coniugi … nei casi in cui … è passata in giudicato sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso a norma della l. 14 aprile 1982, n. 164», né può ritenersi che tale norma possa trovare applicazione estensiva in forza del comma 20 dell’art. 1, legge n. 76/2016 [7].

Ne discende, per l’unione civile, una netta semplificazione dei termini del problema, rispetto a quanto invece può e deve dirsi per la materia del matrimonio [8], codificandosi, per l’unione civile, la soluzione comunque prevalsa in via interpretativa anche in materia di matrimonio, ossia quella dell’automaticità dello scioglimento [9], che prescinde dalla domanda di parte [10]. Anche nell’unione civile sussiste, infatti, la medesima ragione che, secondo l’interpretazione prevalsa pure in giurisprudenza, è da ravvisare alla base dell’automatico operare dello scioglimento nel matrimonio: se nel matrimonio tale ragione consiste nell’inammissibilità di un vincolo matrimoniale che, in attesa della (soltanto eventuale) domanda di divorzio, finirebbe per perdurare tra due persone (divenute, a seguito della rettificazione) dello stesso sesso, a parti invertite deve dirsi che è inammissibile la permanenza di una unione civile tra persone (divenute) di sesso diverso. Come evidenzia la denominazione stessa dell’istituto (“unione civile tra persone dello stesso sesso”), in modo del tutto speculare rispetto al matrimonio, che richiede l’alterità di sesso tra i coniugi, così l’unione civile richiede, quale presupposto inderogabile, l’identità di sesso tra le due parti, sia al momento della costituzione sia nel successivo svolgimento del rapporto.

Maggiormente problematica è, invece, l’individuazione del momento in cui può dirsi avere luogo lo scioglimento dell’unione civile, il riferimento alla “sentenza di rettificazione” – in assenza del rinvio alla predetta disciplina del matrimonio – prestandosi tanto ad un’interpretazione che lo ricolleghi all’efficacia della sentenza (ossia al deposito del suo dispositivo) quanto a quella che lo riconnetta, per contro, al passaggio in giudicato della sentenza medesima.

Il mancato rinvio all’art. 3, n. 2, lett. g, legge div. impedisce di ravvisare nella più specifica norma del divorzio (che ha espressamente riguardo al passaggio in giudicato della sentenza) un argomento per sostenere che lo scioglimento diviene effettivo solo alla data in cui la sentenza di rettificazione passa in giudicato. Ciò nonostante, pur nell’impraticabilità del menzionato argomento, questa rimane la soluzione più corretta, non potendosi negare che l’importanza degli effetti che discendono dallo scioglimento dell’unione civile, per la loro diretta incidenza sullo stato familiare delle parti del­l’unione, non è compatibile con la provvisorietà degli effetti di una sentenza non passata in giudicato e richiede, per contro, la definitività propria di quest’ultimo [11].

Aperte rimangono poi le questioni consequenziali allo scioglimento automatico dell’unione, quale, ad esempio, quella riguardante l’eventuale riconoscimento del diritto alla corresponsione di un assegno periodico e del connesso obbligo di prestare idonea garanzia reale o personale qualora esista pericolo di inadempimento. Su tutte tali questioni, escluso che la competenza a decidere possa essere riconosciuta al giudice della rettificazione, non rimane che ritenere comunque necessaria una domanda giudiziale rivolta al giudice che in astratto sarebbe competente per lo scioglimento, ancorché in questo caso l’effetto in sé dello scioglimento si sia già prodotto automaticamente in forza della sentenza di rettificazione [12].

Si è già osservato che il comma 26 della legge n. 76/2016, come non contiene alcun rimando alla legge div. (lacuna colmabile nei termini appena visti), neanche fa rinvio, però, al codice civile. Potrebbe dunque sorgere il dubbio se la rettificazione determini, oltre allo scioglimento dell’unione, anche gli effetti che il codice civile ricollega allo scioglimento del matrimonio, primo fra tutti lo scioglimento del regime patrimoniale. Salvo quanto si dirà più avanti per il caso in cui le parti dichiarino di voler transitare verso il matrimonio, la risposta deve essere, di massima, positiva e discende dalla circostanza che la norma rilevante a tale fine, ossia l’art. 191 cod. civ. [13], deve intendersi implicitamente contenuta nel rinvio (espresso, e quindi rispettoso di quanto il comma 20 della legge n. 76/2016 richiede per l’applicabilità delle norme del codice civile) che il comma 13 compie al regime legale della comunione dei beni tra coniugi [14].


3. Il nodo interpretativo centrale sollevato dall’art. 1, comma 26, legge n. 76/2016: il vulnus al diritto alla continuità familiare

Ma torniamo al nodo interpretativo centrale che il comma 26 ha sollevato, ossia quello della distanza esistente tra la disciplina in esso dettata per l’unione civile e quella che il comma immediatamente successivo stabilisce per il matrimonio.

Come si è chiarito, infatti, nell’unione civile la rettificazione di sesso di una delle parti determina esclusivamente lo scioglimento automatico del rapporto, senza residui ulteriori: senza, in particolare, che si contempli alcuna possibilità per le parti di continuazione del rapporto di coppia in altra forma.

A seguito dello scioglimento dell’unione civile, nessuno ostacolo impedisce alle parti di unirsi in matrimonio: esse hanno infatti riacquistato lo stato libero con il passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione, e, allo stesso tempo, sempre a seguito della rettificazione, soddisfano ormai anche il requisito inderogabilmente previsto per il matrimonio dell’alterità di sesso. Un eventuale successivo matrimonio interverrà, però, quando il precedente rapporto si è ormai definitivamente interrotto, e non potrà quindi mai sanare con effetto retroattivo la soluzione di continuità prodottasi rispetto al pregresso vincolo di unione civile.

Ciò, come si è anticipato, si pone in netta contrapposizione rispetto alla soluzione che il comma 27 adotta per il matrimonio, rispetto al quale si consente ai coniugi di continuare il rapporto di coppia nella diversa forma dell’unione civile tra persone dello stesso sesso, prevedendosi altresì che questa si instauri in via automatica alla sola condizione che le parti manifestino, con una dichiarazione resa congiuntamente dinnanzi al giudice in udienza, la volontà “di non sciogliere il matrimonio”: formulazione in negativo, questa, che, in sede di attuazione della delega, è stata poi sciolta in positivo, avendosi avuto cura di precisare, non senza una buona dose di libertà nella traduzione, che i coniugi devono manifestare al giudice la volontà “di costituire l’unione civile” (art. 31, comma 4-bis, d.lgs. n. 150/2011, come introdotto dal d.lgs. n. 5/2017 in attuazione della legge n. 76/2016) [15].

All’indomani dell’entrata in vigore della legge del 2016, chi scrive ebbe modo, insieme ad altri [16], di evidenziare l’irragionevolezza della regola di cui al comma 26 e della disparità di trattamento che ne discende rispetto al matrimonio, precisando però che tale diverso trattamento non potesse essere considerato irragionevole, sotto il profilo della violazione del principio di eguaglianza, nella parte in cui la norma omette di prevedere che la rettificazione determini la conversione automatica dell’unione civile in matrimonio [17]. Attesa la diversità esistente tra matrimonio e unione civile, e in particolare la minore intensità del vincolo nascente dall’unione civile rispetto a quello matrimoniale [18], l’equi­parazione delle due situazioni, con la previsione anche per l’unione civile di una sua conversione automatica nel matrimonio, sarebbe stata, invero, irragionevole. Mentre, infatti, si può giustificare la scelta di convertire il matrimonio in un vincolo di minore intensità e di più ridotta estensione, in quanto tale già compreso nel più ampio contenuto di diritti e di obblighi che caratterizza il matrimonio, la conversione automatica dell’unione civile in un vincolo di intensità maggiore [19] non avrebbe trovato una giustificazione razionale [20].

Si era nondimeno rilevato come anche per l’unione civile, in quanto formazione sociale di natura familiare [21] in cui i singoli individui svolgono la propria personalità (art. 2 Cost.), e connotata da una natura solidaristica non dissimile da quella propria del matrimonio (quale comunione spirituale e materiale di vita), si ponesse l’esigenza, costituzionalmente meritevole di protezione, di tutelare i diritti già maturati dagli interessati nel rapporto di coppia e di bilanciare quindi questo interesse con quello a garantire l’esclusività del modello omosessuale dell’istituto (così come, a parti invertite, il comma 27 dell’art. 1, legge n. 76/2016, individua il punto di bilanciamento tra la garanzia del modello eterosessuale del matrimonio e l’interesse dei coniugi alla continuità del rapporto affettivo). Se, per le ragioni dette, tale bilanciamento non poteva essere realizzato prevedendo la conversione automatica dell’unione civile in matrimonio, esso avrebbe però potuto essere perseguito con una modalità diversa, quale quella di prevedere [22] un diverso meccanismo di “transizione” non automatica, ma comunque agevolata, verso il matrimonio, che consentisse agli uniti civilmente, una volta acquisito il requisito della diversità di sesso, di optare per il matrimonio, con una nuova manifestazione di volontà, dunque, ma resa all’interno di un procedimento semplificato che non li obbligasse a subire necessariamente lo scioglimento, medio tempore, del rapporto precedente.

Da questo punto di vista, si era dunque sostenuto che la norma si potesse prestare ad una valutazione di illegittimità costituzionale [23], nella misura in cui sacrifica irragionevolmente l’interesse delle parti unite civilmente alla continuità del rapporto, creando una ingiustificata “interruzione della preesistente dimensione relazionale” [24].

Alcuni autori [25] avevano allora formulato l’auspicio di un intervento correttivo affidato al legislatore delegato: un intervento che, in ipotesi, avrebbe potuto essere operato prevedendo che, ove nel corso del giudizio di rettificazione riguardante due persone unite civilmente il giudice avesse accertato la loro volontà di non sciogliere l’unione, l’effetto della rettificazione (conseguente al passaggio in giudicato della sentenza) fosse sospeso fino alla data della celebrazione del matrimonio tra le parti, alla condizione, però, che il matrimonio venisse celebrato entro e non oltre un termine congruo dal predetto passaggio in giudicato (un termine, dunque, che fosse pari al minor termine necessario per legge per la celebrazione del matrimonio) [26].

L’auspicio è rimasto però disatteso in quanto il legislatore delegato, come già aveva fatto anche la disciplina provvisoria dettata dal d.P.C.M. 23 luglio 2016, n. 144 [27], si è disinteressato della questione, con la conseguenza che il d.lgs. 19 gennaio 2017, n. 5, attuativo della delega in materia di stato civile di cui alla legge n. 76/2016, non ha introdotto alcuna più specifica disposizione al riguardo [28], lasciando invariato il già lacunoso dato normativo [29].


4. La soluzione prospettata da Corte cost. 22 aprile 2024, n. 66: infondata è la censura relativa alla contrarietà all’art. 3 Cost.

Il mancato intervento del legislatore delegato ha, dunque, perpetuato il problema, che, probabilmente perché ritenuto non risolvibile per via puramente interpretativa [30], è giunto infine, dopo ben otto anni, all’attenzione della Corte costituzionale con la citata pronuncia n. 66/2024.

Per la verità, già nel 2023 la Corte era stata investita dal Tribunale di Lucca [31] di una censura di legittimità costituzionale del citato comma 26 della legge (insieme anche ad altre disposizioni della medesima) nella parte in cui stabilisce, appunto, che la sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso determina l’automatico scioglimento dell’unione civile, senza dare possibilità alle parti di evitare la cessazione del rapporto manifestando la loro volontà di proseguirlo nelle forme del matrimonio. Tuttavia, in quell’occasione la Consulta aveva respinto la questione con una declaratoria di inammissibilità [32] fondata su ragioni eminentemente processuali, ossia sul difetto di rilevanza delle questioni sollevate a motivo della loro mancanza di attualità e di concretezza [33].

La nuova occasione veniva offerta, nel maggio 2023, dal Tribunale di Torino, il quale sollevava nuovamente la questione, invocando sia la violazione dell’art. 2 che dell’art. 3 Cost. Questa volta, recependo nella sostanza quanto già era stato proposto dalla dottrina richiamata nel precedente paragrafo, la censura viene accolta dalla Corte costituzionale soltanto relativamente all’art. 2 Cost., mentre viene respinto, perché infondato, il dubbio sollevato relativamente all’art. 3 Cost., ossia in ordine alla disparità di trattamento che il comma 26 produrrebbe nei confronti dei componenti dell’unione civile rispetto ai coniugi.

L’argomento che viene speso per sostenere l’infondatezza della censura relativa alla violazione del principio di eguaglianza verte sulla distanza, netta ancorché breve, interposta dal legislatore tra i due vincoli (unione civile e coniugio) e i relativi istituti, che hanno, ricorda la Corte, diversa copertura costituzionale [34], discipline distinte e solo parzialmente sovrapponibili e fondamenti giuridici non assimilabili: due istituti, dunque, che rappresentano «fenomeni distinti, caratterizzati da differenti panorami normativi» [35], e che corrispondono a situazioni caratterizzate da «obiettiva eterogeneità» [36]. Di qui l’impossibilità di dedurre dalla loro (pur innegabile) affinità «l’impellenza costituzionale di una parità di trattamento».

Il presupposto è, dunque, lo stesso da cui ha preso le mosse il legislatore del 2016 e che viene qui riconfermato nella sua tenuta, ossia quello della distinzione sostanziale tra matrimonio e unione civile, e la loro mutua esclusività, in quanto fonte di un vincolo (sì di natura familiare, ma) necessariamente intercorrente tra persone di sesso diverso, il primo, e ineluttabilmente intercorrente tra persone di uguale sesso, la seconda.


5. … fondata invece quella per contrarietà all’art. 2 Cost., dalla quale discende la conseguenza, ricavabile in via additiva, della sospensione dello scioglimento per il tempo necessario alla celebrazione del matrimonio

La Consulta ha ritenuto invece fondata la censura di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 26, legge n. 76/2016, sollevata in riferimento all’art. 2 Cost. Posta la considerazione dell’unione civile come formazione sociale «connotata da una natura solidaristica non dissimile da quella propria del matrimonio, in quanto comunione spirituale e materiale di vita, ed esplicazione di un diritto fondamentale della persona, quello di vivere liberamente una condizione di coppia, con i connessi diritti e doveri», la mancata previsione di uno strumento che, a seguito della rettificazione di attribuzione di sesso di una delle parti, consenta a queste di conservare la continuità della predetta comunione di vita nel passaggio al matrimonio, determina «un vuoto di tutela», a causa del venir meno – nelle more della celebrazione del matrimonio – del complessivo regime di diritti e doveri di cui le parti erano titolari in costanza dell’unione civile [37].

Questo vuoto di tutela pregiudica, in particolare, «il diritto inviolabile della persona alla propria identità, di cui pure il percorso di sessualità costituisce certa espressione, e comporta un sacrificio integrale del pregresso vissuto», esponendo i componenti della coppia, nel tempo necessario alla sua ricostituzione della coppia secondo nuove forme legali, ad «eventi destinati a precludere in modo irrimediabile la costituzione del nuovo vincolo». Aggiunge la Corte: «L’individuo non deve essere altrimenti posto, in modo drammatico, nella condizione di dover scegliere tra la realizzazione della propria personalità, di cui la perseguita scelta di genere è chiara espressione ed alla quale si accompagna l’automatismo caducatorio del vincolo giuridico già goduto, e la conservazione delle garanzie giuridiche che al pregresso legame si accompagnano, e tanto a detrimento della piena espressione della personalità» [38].

Orbene, non potendosi, per le differenze esistenti tra i due vincoli, semplicemente estendere al caso di specie la regola dettata per le coppie unite in matrimonio, omologando le due situazioni, ossia prevedere che l’unione civile possa in forma semplificata tramutarsi in matrimonio mediante la mera manifestazione di volontà delle parti di rimanere legalmente unite resa innanzi al giudice della rettificazione anagrafica (com’è previsto invece dall’art. 31, comma 4-bis, d.lgs. n. 150/2011 per le coppie coniugate), la soluzione deve essere tale da approntare uno strumento di tutela che precluda, negli effetti, l’automatismo solutorio dell’unione.

Con indubbia creatività, questo strumento viene dalla Corte individuato, in via additiva, nella sospensione degli effetti derivanti dallo scioglimento del vincolo [39] per il tempo necessario a che le parti dell’unione civile, che abbiano congiuntamente manifestato una siffatta volontà davanti al giudice della rettificazione anagrafica entro l’udienza di precisazione delle conclusioni, celebrino il matrimonio [40], e, più in particolare, per il termine di centottanta giorni a far data dalle pubblicazioni fissato dall’art. 99, comma 2, cod. civ. per la celebrazione del matrimonio. Detto termine, secondo la soluzione proposta dalla Corte, deve intendersi, però, decorrere, nel caso in esame, non dalle pubblicazioni, bensì dal passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione del sesso, che resta sospesa nel suo decorso limitatamente all’effetto dell’automatismo solutorio del vincolo [41].

Più precisamente, a detta della Corte, qualora l’attore e l’altra parte dell’unione rappresentino personalmente e congiuntamente al giudice, fino all’udienza di precisazione delle conclusioni, l’inten­zione di contrarre matrimonio, il giudice dovrà disporre la sospensione degli effetti derivanti dallo scioglimento del vincolo fino alla celebrazione del matrimonio e comunque non oltre il termine di centottanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione [42]. Detta sentenza, con l’acclusa dichiarazione del giudice di sospensione limitatamente agli effetti dello scioglimento del vincolo, dovrà altresì essere annotata a margine dell’atto di matrimonio a cura del competente ufficiale dello stato civile, una volta che questi abbia ricevuta la comunicazione del relativo passaggio in giudicato. Di qui l’illegittimità costituzionale anche dell’art. 70-octies, comma 5, d.P.R. n. 396/2000, nella parte in cui non prevede tale obbligo di annotazione [43].

È intuitivo che, qualora il matrimonio fosse poi celebrato prima della scadenza del termine anzidetto, lo scioglimento dell’unione civile dovrebbe intendersi decorrere già dalla data della celebrazione [44].


6. La perdurante (contenuta ma effettiva) differenziazione tra unione civile e matrimonio

La soluzione escogitata dalla Corte costituzionale appare, nell’insieme, e al netto di alcune forzature, rispettosa della corretta impostazione del rapporto tra gli istituti dell’unione civile e del matrimonio che è, ancora oggi, possibile ricavare dal complesso quadro normativo che governa questa materia.

Esso è, in particolare, conforme alla scelta legislativa di fondo tesa a mantenere una certa, sia pure contenuta, distanza tra i due istituti, una distanza che si risolve, in definitiva, nell’attribuzione al­l’unione civile di effetti di minore intensità e soprattutto, occorre aggiungere, meno invasivi della sfera di libertà di ciascuno degli uniti civilmente.

In contrario, si è messo in dubbio che la soluzione propugnata dalla Corte fosse l’unica costituzionalmente percorribile, osservandosi come le effettive discrepanze sostanziali tra l’unione civile e il matrimonio, che la stessa Consulta in sintesi riepiloga, siano in realtà minime e comunque non costituiscano indici legali sufficientemente forti da rendere costituzionalmente inaccettabile la soluzione opposta, ossia quella della mera estensione all’unione civile della stessa regola prevista per il matrimonio [45]. Alcune di queste sono, peraltro, si osserva ulteriormente, differenze che sono andate attenuandosi nel tempo, com’è vero, in particolare, per quelle riguardanti lo scioglimento del vincolo, dopo che i numerosi interventi di riforma della disciplina del divorzio succedutisi negli ultimi anni hanno semplificato sotto svariati profili il procedimento che può condurre al divorzio, profondamente riducendo la, pur in origine significativa, distanza sul punto [46] tra matrimonio e unione civile [47].

Sono tutte osservazioni pertinenti, ma che, a ben vedere, non consentono di ignorare il dato di fondo, ossia che, pur ravvicinandosi sempre più sensibilmente i due paradigmi, il complesso normativo continua ad attribuire all’unione civile caratteri di intensità ed estensione minori, con scelte di differenziazione mirata che non possono ritenersi tutte in blocco discriminatorie, e la cui concreta ragionevolezza si deve piuttosto misurare rispetto alla specifica finalizzazione di ciascuna a valorizzare diritti o libertà fondamentali degli uniti civilmente [48]. È il caso, ad esempio, della mancata previsione dell’obbligo di fedeltà, la quale, come è stato ben detto, ha «una rilevante ragione giustificativa nel rispetto della libertà sessuale e personale dell’unito civilmente» [49]. O, ancora, la differenza relativa alla facoltà di risoluzione del vincolo per volontà unilaterale dell’unito civilmente (art. 1, comma 22), la quale «esprime la scelta della nuova legge di rispettare la libertà personale degli uniti civilmente», non potendo un rapporto in cui si realizza la vita intima della persona essere coattivamente mantenuto contro la sua volontà [50].

Altre differenze possono risultare invero, assai meno giustificabili (ad es. quella relativa alla mancata previsione del legame di affinità) e potrebbero essere sospettate di incostituzionalità, ma ciò non toglie che quelle menzionate, ed altre ancora [51], siano per contro differenze che rispondono a legittime scelte legislative [52], sino ad oggi ritenute sempre coerenti con il sistema costituzionale, ed anzi di esso fedelmente attuative [53], e di cui l’interprete deve quindi tenere conto [54].

Non sembra dunque possibile ritenere che tutte queste siano differenze discriminatorie, e che dunque sia la stessa scelta di distinguere tra i due istituti a dover essere messa in discussione [55]. Né, aggiungiamo, si può argomentare in tal senso facendo leva sulla progressiva diffusione del paradigma del matrimonio omosessuale in una parte sempre più significativa del panorama europeo ed, anzi, mondiale, posto che, come riconosciuto dalla Corte EDU [56], ciò non toglie che si tratti pur sempre di una scelta discrezionale di ciascuno Stato [57], ancorché minoritaria.

Se dunque, come pare preferibile, si rimane fermi sul presupposto che una distanza obiettiva sussiste ed è (di massima) legittima, non costituendo una ingiustificata disparità di trattamento, è, allora, ragionevole convincersi della ragionevolezza della persistente differenza – che la Corte costituzionale ha preservato – tra costituzione “semplificata” dell’unione civile (vincolo più tenue) con dichiarazione resa di fronte al giudice della rettificazione e costituzione “aggravata” del matrimonio (vincolo più intenso), mediante un separato e successivo atto celebrativo.

In ogni caso, questa soluzione differenziata fornisce alle parti dell’unione civile uno strumento che, sia pure non identico a quello a disposizione dei coniugi nella stessa ipotesi e più disagevole, è comunque capace di tutelare in pari modo il loro, senz’altro meritevole, interesse a rimanere vincolati ad un rapporto familiare funzionalmente equipollente a quello precedente senza soluzione di continuità (salvo quanto tra poco si dirà).


7. Un nodo ancora da sciogliere: l’effettiva portata novativa della transizione verso, rispettivamente, il matrimonio o l’unione civile

Vi è, tuttavia, ancora un nodo da sciogliere, che non sembra essere stato affrontato dalla Corte.

La soluzione individuata dalla Consulta è stata apprezzata perché particolarmente ingegnosa sul piano pratico-applicativo, in quanto consente, come si è detto, di dare continuità alla comunità familiare, evitando, attraverso il congegno della sospensione degli effetti dello scioglimento fino alla costituzione del matrimonio (e al costo quindi di accettare una sia pur temporanea e condizionata unione civile “eterosessuale”), la cesura netta del rapporto, con un congegno funzionalmente equipollente a quello previsto, nella stessa ipotesi, ai coniugi.

L’affermazione, però, è solo parzialmente vera, perché, com’è stato acutamente osservato da alcuni commentatori [58], neanche la soluzione approntata dal combinato disposto del comma 27 e dell’art. 31, comma 4-bis, d.lgs. n. 150/2011 per il matrimonio, per la verità garantisce a tutti gli effetti la continuità del rapporto.

La regola, per come precisata in sede di attuazione, è, infatti, nel senso che i coniugi che vogliono continuare il rapporto nelle forme dell’unione civile devono “costituire” l’unione civile, dichiarando – sia pure in forma semplificata e in sede giudiziale – la volontà di creare, dunque, un rapporto “nuovo”. Sembra realizzarsi, allora, una vicenda propriamente novativa [59], come parrebbe confermato dalla duplice circostanza che le parti sono ammesse a rendere in tale atto anche le eventuali dichiarazioni riguardanti il regime patrimoniale (il che parrebbe presupporre che il precedente regime si sia estinto) e che il tribunale ordini all’ufficiale dello stato civile di iscrivere l’unione nei registri dello stato civile e non invece di annotare, a margine dell’atto di matrimonio, il suo mutamento in unione civile [60]. Il predetto comma 4-bis va, d’altronde, letto congiuntamente al successivo comma 6, a cui non apporta deroga e che, come detto, ricollega alla sentenza di rettificazione l’effetto dello scioglimento del matrimonio, l’estinzione, quindi, del rapporto.

Se ciò è vero, la garanzia che questa regola offre alle parti è dunque quella non già di evitare la cesura del rapporto, che comunque c’è, ma di assicurare che tra l’estinzione del rapporto precedente e la costituzione di quello nuovo vi sia perfetta consecutività, che non vi siano, cioè, intervalli di tempo in mezzo [61]. Il che, detto in parole povere, protegge le parti da un unico rischio, quello di dover subire, nelle more della costituzione del nuovo rapporto, le conseguenze dell’eventuale decesso dell’altro componente (con conseguente sua esclusione dalla successione, legittima o necessaria, di questi e dai diritti previdenziali) o quelle della eventuale costituzione di un diverso vincolo con un terzo [62]. Il carattere novativo della vicenda di transizione non impedisce, invece, alle parti di subire le conseguenze dello scioglimento del regime patrimoniale: e così, ove esse fossero in regime di comunione dei beni, si applicherebbe in ogni caso l’art. 191 cod. civ. (attivandosi il regime dei rimborsi e delle restituzioni di cui al successivo art. 192 cod. civ. e, più in generale, il procedimento diretto alla divisione della massa comune) e potrebbero sì “ripristinare” tale regime in sede di costituzione del nuovo rapporto (unione civile o matrimonio che sia), ma con un oggetto che non sarebbe più coincidente [63].

Il problema, tuttavia, non è di poco conto, in quanto la sua esistenza sottopone la coppia a conseguenze gravose e certamente indesiderabili, che, pur essendo di natura patrimoniale, sono comunque in grado di incidere sulla scelta personalissima delle parti, non potendosi di certo escludere che esse possano costituire una remora, per il singolo componente della coppia, a sottoporsi al procedimento per la rettificazione.

È certo, però che, se avesse voluto dare peso a questo ordine di problemi, la Consulta avrebbe dovuto accedere ad una soluzione diversa da quella individuata. Non avrebbe potuto, infatti, limitarsi a sindacare la ragionevolezza della regola di “scioglimento mero del rapporto senza residui” contemplata nel comma 26, per allinearla in via di interpretazione additiva a quella disposta dal comma 27 per le coppie coniugate, ma avrebbe, più in radice, dovuto vagliare la legittimità costituzionale della stessa previsione di scioglimento “novativo” prevista nel comma 27 (come precisata e integrata dall’art. 31, comma 4-bis, d.lgs. n. 150/2011), per affermarla o, all’opposto, per evitarla, proponendone un’inter­pretazione correttiva.

Si tratta, allora, forse, di un’occasione perduta, perché, se avesse affrontato di petto la questione, la Corte avrebbe potuto anche chiarire, per l’appunto, qual è la reale portata novativa della vicenda estintivo-costitutiva declinata nelle norme in questione.

Non è, infatti, da escludere che, in via di interpretazione costituzionalmente conforme [64], il citato combinato disposto del comma 27 e dell’art. 31, comma 4-bis, d.lgs. n. 150/2011 potesse – e tuttora possa – essere letto nel senso che esso non comporta tutte le conseguenze proprie dello scioglimento del matrimonio (o dell’unione civile, nel caso di cui al comma 26), ma solo alcune, e che, in particolare, esso non determina lo scioglimento della comunione o del diverso regime patrimoniale vigente tra le parti [65]. Solo una tale interpretazione consente infatti, di rimuovere anche questa – non meno irragionevole e rilevante – compressione indiretta del diritto dei coniugi/uniti civilmente allo sviluppo della propria personalità [66].

Alla luce di queste considerazioni, la pronuncia n. 66/2024 non sembra dunque ancora in grado di porre la parola “fine” a questo importante capitolo, e lascia ancora spazio per futuri ripensamenti.


NOTE

[1] V. Cass., ord. 6 giugno 2013, n. 14329, Corte cost. 11 giugno 2014, n. 170, Cass. 21 aprile 2015, n. 8097, nonché Corte europea dei diritti dell’uomo (Grande Chambre), 16 luglio 2014, Hämäläinen c. Finlandia.

[2] S. Patti-M.R. Will, La rettificazione di attribuzione di sesso: prime considerazioni, in Riv. dir. civ., 1982, vol. II, 730; S. Patti, Aspetti oggettivi e soggettivi dell’identità sessuale, in Riv. crit. dir. priv., 1984, 335 ss.; Id., Verità e stato giuridico della persona, in Riv. dir. civ., 1988, I, 245 ss.; Id., voce Transessualismo, in Dig. IV, sez. civ., XIX, Torino, 1999, 427 ss.

[3] V. S. Patti, Rettificazione di sesso e trattamenti chirurgici, in Fam. pers. succ., 2007, 28 ss.; Id., I diritti delle persone omosessuali e il mancato riconoscimento del matrimonio contratto all’estero, in Fam. pers. succ., 2012, 456 ss.; Id., Il divorzio della persona transessuale in Europa, in Riv. crit. dir. priv., 2012, 163 ss.; Id., Un ben motivato rinvio alla Corte costituzionale in materia di divorzio ‘automatico’ della persona transessuale, in Corr. giur., 2013, 1519 ss.; Id., Il divorzio della persona transessuale: una sentenza di accoglimento che non risolve il problema, in Foro it., 2014, 2685 ss.; Id., Divorzio della persona transessuale e protezione dell’unione “ancorché non più matrimoniale”, in Corr. giur., 2015, 1048 ss.; Id., Trattamenti medico-chirurgici e autodeterminazione della persona transessuale. A proposito di Cass., 20.7.2015, n. 15138, in Nuova giur. civ. comm., 2015, 11, 643 ss.; Id., Mutamento di sesso e “costringimento al bisturi”: il Tribunale di Roma e il contesto europeo, in Nuova giur. civ. comm., 2015, 1, 39 ss.; Id., Il transessualismo tra legge e giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (e delle Corti costituzionali), in Nuova giur. civ. comm., 2016, 1, 143 ss.

[4] V. F. Azzarri, voce Unioni civili e convivenze, in Enc. dir., Annali, Milano, 2017, 997 ss.; e Id., voce Unioni civili (diritto civile), in Enc. dir., I Tematici, IV, Famiglia, a cura di F. Macario, Milano, 2022, 1329 ss.

[5] Corte cost. 22 aprile 2024, n. 66, su cui v., sin d’ora, i commenti di F. Azzarri, Il termine finale di efficacia dell’unione civile tra persone non più dello stesso sesso, «o sia L’inutile precauzione», in Nuova giur. civ. comm., 2024, 5, 1513 ss.; E. Giacobbe, Rettificazione di attribuzione di sesso e scioglimento dell’unione civile: differenziare equiparando, in Dir. pers. fam., 2024, 3, 977 ss.; G. Mingardo, Affermazione di genere e scioglimento imposto dell’unione civile. Nota a Corte cost., sentenza n. 66 del 2024, in Osserv. cost., 4, 2024, 67 ss.; I. Pistolesi, Unioni civili e convivenze: la legge n. 76 del 2016 alla prova della giurisprudenza, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, 2024, 92 ss.

[6] Senza modifiche, salva la sostituzione del verbo «provoca» con il verbo «determina»: espressione, quest’ultima, che ritroviamo anche nel comma 26.

[7] A tale estensione osta il valore significativo che riveste l’omissione selettiva compiuta dal legislatore rispetto alla legge sul divorzio, lì dove, nei commi 22-26, ha limitato il rinvio a tale legge solo ad alcune disposizioni, chirurgicamente escludendo le altre, spesso, come proprio con riguardo alle cause di scioglimento, selezionando all’interno del medesimo articolo alcuni numeri o commi. Per approfondimenti v. S. Troiano, Commi 22-23-24, in Le unioni civili e le convivenze. Commento alla legge n. 76/2016 e ai d.lgs. n. 5/2017; d.lgs n. 6/2017; d.lgs n. 7/2017, a cura di C.M. Bianca, Giappichelli, Torino, 2017, 353 ss. Un’eventuale estensione si porrebbe, dunque, in contrasto con la volontà della legge, resa palese dalle scelte compiute dal legislatore storico, e rifluita nella ratio obiettiva sottesa a questa parte della legge n. 76/2016, di non operare una piena equiparazione tra unione civile e matrimonio in materia di scioglimento del vincolo.

[8] Sulla quale si rinvia a S. Troiano, Commi 26-27, in Le unioni civili e le convivenze. Commento alla legge n. 76/2016 e ai d.lgs. n. 5/2017; d.lgs n. 6/2017; d.lgs n. 7/2017, a cura di C.M. Bianca, cit., 420 ss.

[9] V. F. Lume, sub Art. 1, co. 26, in Commentario breve al diritto di famiglia a cura di A. Zaccaria, Appendice di aggiornamento, Cedam, Padova, 2016, 26.

[10] Diversamente, sul punto della domanda di parte, F. Tommaseo, Profili processuali della legge sulle unioni civili e le convivenze, in Fam. e dir., 2016, 994.

[11] Sugli argomenti a fondamento di questa conclusione v. C.P. Guarini, Vicende estintivo-costitutive di “matrimonio” e “unione civile” a seguito di rettificazione anagrafica di sesso, in Unioni civili e convivenze di fatto, L. 20 maggio 2016, n. 76, a cura di M. Gorgoni, Santarcangelo di Romagna, 2016, 139.

[12] Tale soluzione, che potrebbe apparire preclusa dal mancato rinvio, nel comma 26, all’art. 3, n. 2, lett. g, legge div. (e a tutta la legge div.), può trovare fondamento nel più generale rinvio che il comma 25, legge n. 76/2016 opera agli artt. 8, 9 e 9-bis legge div. Così anche C. Rimini, Art. 1, 26° comma, in Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze, a cura di S. Patti, Zanichelli, Bologna, 2020, 395.

[13] La quale prevede che la comunione dei beni si scioglie per lo scioglimento del matrimonio.

[14] C. Rimini, Art. 1, 26° comma, cit., 370 s.

[15] Si è già avuto modo di osservare come questa precisazione abbia alterato il significato della norma primaria, tradendone il senso, posto che «tra la volontà di non sciogliere il matrimonio e quella di costituire una unione civile, vi è un evidente scarto, essendo ben possibile che i coniugi non vogliano sciogliere il matrimonio ma neanche vogliano costituire un’unione civile, trattandosi di istituto simile ma non identico, stanti le diverse conseguenze giuridiche che esso comporta e il diverso riconoscimento sociale di cui gode» (S. Troiano, Commi 26-27, cit., 426).

[16] V., in particolare, C. Rimini, Art. 1, 26° comma, cit., 396 s., che aveva denunciato l’inaccettabile disparità di trattamento insita in questa disciplina. Di trattamento difficilmente giustificabile discorreva anche C.M. Bianca, Diritto civile, 2.1., La famiglia, a cura di M. Bianca e P. Sirena, VII ed., Giuffrè, Milano, 2023, 345.

[17] Di diverso avviso B. De Filippis, Unioni civili e contratti di convivenza, Cedam, Padova, 2016, 160 s., il quale aveva individuato direttamente l’irragionevole disparità di trattamento nella circostanza che non fosse stata prevista per le parti dell’unione civile una facoltà analoga a quella prevista per i coniugi, e quindi, che non fosse stata data rilevanza ad una loro eventuale volontà di non sciogliere l’unione civile al fine di instaurare automaticamente il matrimonio. Di irragionevolezza ha parlato anche A. Ambrosi, Unioni civili e costituzione, in Nuova giur. civ. comm., 2016, II, 1684. V. anche A. Musio, Unioni civili e questioni di sesso tra orgoglio e pregiudizi, in Nuova giur. civ. comm., 2017, II, 736, che ha intravisto in tale disparità di trattamento un’ulteriore e poco ragionevole “anomalia di sistema”, frutto di un pregiudizio del legislatore.

[18] Resa palese da una molteplicità di scelte normative, prima fra tutte quella che esclude l’obbligo reciproco di fedeltà o quella che ammette lo scioglimento (con domanda giudiziale o con accordo reso dinanzi al Sindaco ovvero raggiunto a seguito di negoziazione assistita) decorsi solo tre mesi dalla dichiarazione, anche unilaterale, di voler sciogliere l’unione.

[19] Secondo A. Figone, Divorzio e scioglimento dell’unione civile, in Fam. dir., 2021, 67 ss., la diversità di disciplina che oppone il comma 26 al comma 27 «dimostra come, nell’intento del legislatore, l’unione civile rappresenti un vincolo in qualche modo inferiore rispetto al matrimonio, escludendosi la conversione della prima nel secondo, ma non l’opposto». V. anche R. Fadda, Le unioni civili e il matrimonio: vincoli a confronto, in Nuova giur. civ. comm., 2016, II, 1394 s.

[20] Rilevava al riguardo C.P. Guarini, op. cit., 140, come «l’automatico transito da unione civile a matrimonio determinerebbe ope legis la sostituzione di una situazione caratterizzata da un vincolo giuridico “meno intenso” con una in cui il legame giuridico è più stringente. Potrebbe quindi non essere così irragionevole che tale circostanza giustifichi la scelta di differenziare le due “nuove” situazioni che, per quanto simili, appaiono di verso opposto e non propriamente omogenee».

[21] Sebbene il legislatore abbia tentato di evitare i riferimenti lessicali al concetto di “famiglia” nella trama della legge n 76/2016, l’unione tra persone dello stesso sesso si presta anch’essa, al pari del matrimonio, ad una qualificazione in termine di unione familiare, soprattutto perché la sostanza del vincolo che nasce dall’unione civile è indiscutibilmente quella di una comunione universale di vita e di affetti, in termini non sostanzialmente dissimili dal matrimonio. V., per tutti, T. Auletta, Disciplina delle unioni non fondate sul matrimonio: evoluzione o morte della famiglia? (l. 20 maggio 2016, n. 76), in Nuove leggi civ. comm., 2016, 400 s. e G. Ferrando, Art. 1, 20° comma, in Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze, a cura di S. Patti, cit., 890 s. In senso contrario v., però, G. De Cristofaro, Nuovi modelli familiari, matrimonio e unione civile: fine della partita?, in Familia, 2019, 134 ss.

[22] Come da qualcuno era stata invero proposto: in particolare, C.P. Guarini, op. cit., 141.

[23] Dubbio sollevato, in particolare, da C.P. Guarini, op. cit., 141 e rilanciato, tra gli altri, da S. Troiano, Commi 26-27, cit., 419 e C. Rimini, Art. 1, 26° comma, cit., 395.

[24] Così, sempre, C.P. Guarini, op. cit., 141.

[25] In particolare, C.P. Guarini, op. cit., 141.

[26] La soluzione (proposta da C.P. Guarini, op. cit., 141) non andava esente, tuttavia, da profili problematici, in particolare perché, richiedendo una modifica della disciplina della celebrazione del matrimonio, sembrava esorbitare dai limiti della delega (conferita solo per il “necessario coordinamento”: cfr. comma 28, lett. c, legge n. 76/2016): S. Troiano, Commi 26-27, cit., 419, nt. 22.

[27] Regolamento recante disposizioni transitorie necessarie per la tenuta dei registri nell’archivio dello stato civile, c.d. decreto-ponte.

[28] Mentre si è occupato, invece, di regolare in maniera particolareggiata il procedimento, previsto dal comma 27, per la costituzione dell’unione civile a seguito di rettificazione di sesso di persona coniugata. V., sul punto, a S. Troiano, Unioni civili e ordinamento dello stato civile dopo il d.lgs. 19 febbraio 2017, n 5 (seconda parte), in Studium iuris, 2017, 1131.

[29] Lacuna sottolineata da L. Balestra, Unioni civili e convivenze di fatto: la legge – unioni civili, convivenze di fatto e modello matrimoniale: prime riflessioni, in Giur. it., 2016, 1771.

[30] Ma v., in senso diverso, L. Lenti, Diritto della famiglia, Giuffrè, Milano, 2021, 747, ad avviso del quale un’interpretazione costituzionalmente orientata del comma 26 avrebbe potuto consentire di pervenire a una soluzione ragionevole, senza necessità di un intervento né del legislatore né del giudice delle leggi.

[31] Trib. Lucca 14 gennaio 2022, in IUS Famiglie (https://www.ius.giuffrefl.it) 17 maggio 2022 con nota di G. Montalcini, Rettificazione di sesso e mancata conversione in matrimonio dell’unione civile: una questione di legittimità costituzionale. Per altri commenti v. G.U. Rescigno, Inammissibili le questioni di legittimità costituzionale su cambio di sesso e conversione dell’unione civile in matrimonio, in Giur cost., 2022, 2967, e A. Spangaro, L’influenza della sentenza di rettificazione di sesso sull’unione civile: la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, co. 26, L. 76/2016, in giustiziacivile.com, 19 aprile 2022, nonché infra, sub nota 33.

[32] Corte cost. 27 dicembre 2022, n. 269, in Nuova giur. civ. comm., 2023, 1, 617 ss.

[33] Argomentazioni reputare non irresistibili, se non pretestuose, da F. Azzarri, Rettificazione di sesso e scioglimento imposto dell’unione civile: un’occasione mancata per la Consulta, in Nuova giur. civ. comm., 2023, 1, 610 ss.

[34] Mentre infatti il matrimonio, «inteso quale unione tra persone di sesso diverso», è riconducibile, secondo la giurisprudenza della stessa Corte costituzionale, all’art. 29 Cost. (Corte cost. n. 170/2014, punto 5.2. del Considerato in diritto; e Corte cost. n. 138/2010, punto 9 del Considerato in diritto), l’unione civile trova invece protezione costituzionale nell’art. 2 Cost., in quanto formazione sociale all’interno della quale l’individuo afferma e sviluppa la propria personalità.

[35] V. punto 3.1.2. della motivazione.

[36] Punto 3.1.4. della motivazione, ove si evidenzia come l’unione civile produca «effetti, pur molto simili, ma non del tutto coincidenti e, in parte, di estensione ridotta rispetto a quelli nascenti dal matrimonio, e ricompresa nel più ampio spettro di diritti ed obblighi da questo originati».

[37] V. punto 4. della motivazione.

[38] Punto 4.3. della motivazione.

[39] La sospensione riguarda solo l’effetto della sentenza di rettificazione consistente nello scioglimento dell’unione civile, rimanendo impregiudicato, ed immediatamente operante, ogni altro effetto ad essa ricollegato. Ne consegue che, per il tempo della sospensione, si ha un eccezionale prolungamento del rapporto di unione civile ancorché tra due persone di sesso differente. V., sul punto, E. Bilotti, La Corte costituzionale e la differenza tra il matrimonio e l’unione civile: rapporti distinti che condividono la “sostanza familiare”?, in Fam. dir., 2025, 117, per il quale, se il matrimonio non viene più celebrato o se viene celebrato dopo i centottanta giorni, lo scioglimento dell’unione civile deve comunque intendersi prodotto ex tunc.

[40] Punto 4.5. della motivazione.

[41] «La sospensione di tale effetto lascia alle parti la facoltà di procedere alla celebrazione del matrimonio, [provvedendo alle richieste pubblicazioni] nel contempo conservando agli uniti civilmente la tutela propria del rapporto già goduto e riconosciuto nell’ordinamento nelle more della celebrazione del matrimonio».

[42] Punto 5. della motivazione.

[43] V. Punto 7. della motivazione.

[44] Così già C.P. Guarini, op. cit., 141.

[45] F. Azzarri, Il termine finale di efficacia dell’unione civile ecc., cit., 1116 s. V. anche G. Mingardo, op. cit., 80 e I. Pistolesi, op. cit., 110, che critica l’effetto paradossale della sentenza, ossia quello di introdurre una nuova disuguaglianza nel rimuoverne una precedente.

[46] Come l’assenza, nell’unione civile, dell’istituto della separazione personale, e la previsione di una modalità di scioglimento su iniziativa unilaterale di una sola parte, sulle quali v. S. Troiano, Commi 22-24, cit., 369.

[47] Il riferimento è non solo alla drastica riduzione dei tempi che devono oggi intercorrere tra separazione e divorzio, nonché alle varie forme di divorzio semplificato su base consensuale che sono state introdotte, ma anche, se non soprattutto, alla ormai (a seguito del d.lgs. n. 149/2022) ammessa possibilità di cumulo delle domande di separazione e divorzio (v. Cass. 16 ottobre 2023, n. 28727).

[48] Come scrive C.M. Bianca, Comma 1, in Le unioni civili e le convivenze. Commento alla legge n. 76/2016 e ai d.lgs. n. 5/2017; d.lgs. n. 6/2017; d.lgs. n. 7/2017, a cura di C.M. Bianca, cit., 3, la disciplina normativa dell’unione civile può essere «divergente rispetto a quella matrimoniale senza che perciò stesso se ne ravvisi un profilo di incostituzionalità», a condizione che essa, come hanno avvertito Corte EDU e Corte costituzionale, «tuteli i diritti fondamentali e la vita familiare delle parti», dovendo la legittimità costituzionale essere verificata «con riguardo alle singole norme e … esclusa quando la mancanza di una rilevante ragione giustificativa ne comporti la irragionevolezza di carattere discriminatorio». Sulle differenze di disciplina tra i diversi istituti v. anche E. Bilotti, Convivenze, unioni civili, genitorialità, adozioni, in Dir. fam. pers., 2017, 907 ss.

[49] C.M. Bianca, Comma 1, cit., 4: «Trattandosi di una libertà fondamentale della persona la sua maggiore tutela rispetto a quella riconosciuta ai coniugi non presenta carattere discriminatorio».

[50] Sempre C.M. Bianca, Comma 1, cit., 5.

[51] Sull’omessa estensione della disciplina dell’adozione piena v. T. Auletta, Il diritto di famiglia, VI ed., Giappichelli, Torino, 2022, 13.

[52] Per T. Auletta, Il diritto di famiglia, cit., 13, tali differenze trovano fondamento «nell’intento del legislatore di salvaguardare la centralità del vincolo matrimoniale e la tutela privilegiata della famiglia legittima, sul presupposto che altrimenti risulterebbe violato il dettato dell’art. 29 Cost.». Per R. Fadda, Le unioni civili e il matrimonio: vincoli a confronto, cit., 1392, la differenziazione si fonda sulla «valenza collettiva e solidaristica» del contenuto del matrimonio, «consistente essenzialmente in un impegno riferito ai bisogni del gruppo familiare e non del singolo componente della coppia»

[53] V. le già ricordate pronunce della Corte cost. n. 138/2010 e n. 170/2014.

[54] V. T. Auletta, Il diritto di famiglia, cit., 30, che ricorda come la Corte cost. abbia affermato che la soluzione normativa trova fondamento nella nozione di matrimonio fatta propria, all’epoca, dal costituente nel contesto dell’art. 29 Cost. e non si pone in contrasto con l’art. 3 Cost. perché le regole suddette non danno luogo ad un’irragionevole discriminazione, in quanto le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee a quelle fondate sul matrimonio.

[55] V. invece, in questo senso F. Azzarri, Il termine finale di efficacia dell’unione ecc., 1119, il quale critica la fondatezza della interpretazione originalista dell’art. 29 C., che la pronuncia del 2024 invece implicitamente conferma, «la quale poggia sull’idea che la norma costituzionale abbia recepito il paradigma civilistico del matrimonio vigente al tempo in cui la Carta è stata scritta». Critica, da diversa prospettiva, la scelta del legislatore del 2016 anche E. Giacobbe, Rettificazione di attribuzione di sesso e scioglimento dell’unione civile ecc., cit., 990 s., per la quale, diversamente dalla disparità in tema di filiazione, le differenze di regolamentazione relative al rapporto personale di coppia rappresentano «una ingiustificata disparità di trattamento tra legami affettivi del tutto equipollenti», quando sarebbe invece «auspicabile che il diritto non si occupasse degli affetti, ove liberamente nutriti tra soggetti adulti e consenzienti». Piuttosto, preso atto anche del crescente “affievolimento” del vincolo coniugale, la soluzione «più franca e leale, e certamente maggiormente in linea con l’art. 3 cost.» sarebbe quella di «equiparare … differenziando solo ove gli interessi coinvolti siano quelli dei figli, e non già differenziare equiparando».

[56] V. Corte EDU 24 giugno 2010, Schalk Kopf c. Austria, con un principio che è stato poi ribadito anche da Corte europea dei diritti dell’uomo, 14 dicembre 2017, Orlandi e Altri c. Italy. È un quadro, però, occorre precisarlo, basato sull’inter­pretazione di norme di principio affatto generali (quelle contenute negli artt. 8 e 14 CEDU) e che ben potrebbe mutare: in questo senso va accolto il monito di S. Patti, La famiglia: dall’isola all’arcipelago?, in Riv. dir. civ., 2022, 521, il quale, muovendo dal rilievo che «sia il linguaggio e l’insieme delle fonti internazionali che quello delle Corti sovranazionali non discrimina tra varie forme di famiglia», osserva come anche per questo motivo queste distinzioni dovrebbero, in ultima analisi, «scomparire nel linguaggio del legislatore». Prefigura questo esito, pur non condividendolo, anche G. De Cristofaro, Nuovi modelli familiari, matrimonio e unione civile ecc., cit., 151.

[57] C.M. Bianca, Comma 1, cit., 3, nt. 7: «Per volontà del Parlamento l’Italia ha tuttavia fatto la propria scelta. Si tratta di una scelta che rientra nell’ambito di discrezionalità degli Stati membri espressamente riconosciuto dalla CEDU e rispondente alla raccomandazione della nostra Corte costituzionale. Appare quindi arbitrario contestarne la legittimità costituzionale».

[58] In particolare, C. Rimini, Art. 1, 27° comma, in Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze, a cura di S. Patti, cit., 407. Il punto è condiviso da E. Giacobbe, Rettificazione di attribuzione di sesso e scioglimento dell’unione civile ecc., cit., 988.

[59] Reputa, però, meramente descrittivo il riferimento alla novazione E. Bilotti, La Corte costituzionale e la differenza tra il matrimonio e l’unione civile ecc., cit., 11, nt. 9.

[60] C. Rimini, Art. 1, 27° comma, cit., 407. Nello stesso senso E. Giacobbe, Rettificazione di attribuzione di sesso e scioglimento dell’unione civile ecc., cit., 988.

[61] Rileva M. Gattuso, Scioglimento dell’unione, in G. Buffone-M. Gattuso-M.M. Winkler, Unione civile e convivenza, Giuffrè, Milano, 2017, 381 che «un vincolo cessa e l’altro si instaura in modo assolutamente contestuale».

[62] Per E. Giacobbe, Rettificazione di attribuzione di sesso e scioglimento dell’unione civile ecc., cit., 988, la tutela si arresta «alle conseguenze di un subitaneo decesso dell’altra parte al momento del passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione di sesso, ed alla eventuale volontà di contrarre un nuovo vincolo con un soggetto terzo, che viene paralizzata proprio dall’automaticità della instaurazione della unione civile».

[63] La nuova comunione comprenderebbe infatti solo i nuovi acquisti, non quelli che erano comuni nel vigore del precedente regime di comunione, i quali, a seguito dello scioglimento, sarebbero al più, se non ancora divisi, da considerare in comunione ordinaria e quindi, ai fini del nuovo regime, beni personali ex art. 179, lett. a, cod. civ.

[64] Nonché in linea con quanto deciso della stessa Corte nella sent. n. 170/2014, lì dove richiedeva di “tenere in vita” il rapporto.

[65] Che l’estinzione di un rapporto giuridico non debba per forza comportare l’estinzione di tutte le relazioni giuridiche che dallo stesso dipendono è confermato, nel contesto della disciplina della novazione dell’obbligazione, dalla possibilità, che l’art. 1232 cod. civ. riconosce alle parti dell’obbligazione novata, di convenire nel senso di mantenere per il nuovo credito le garanzie (privilegi, pegno e ipoteche) che lo assistevano.

[66] A questo stesso risultato giunge anche E. Bilotti, La Corte costituzionale e la differenza tra il matrimonio e l’unione civile ecc., cit., 119, proponendo un’interpretazione non rigorosamente formalistica dell’art. 191 cod. civ., da ritenersi inapplicabile quando gli uniti civilmente (o i coniugi, nel caso speculare) manifestino la volontà di continuare il rapporto nella forma del matrimonio (o, rispettivamente, dell’unione civile).