Il saggio affronta le problematiche connesse all’inserimento di clausole di sostenibilità nei contratti e negli atti statutari. Il riconoscimento su larga scala, nazionale ed europea, del principio di sviluppo sostenibile e l’affermazione dei suoi corollari normativi amplifica gli effetti del paradigma della sostenibilità nell’area dell’autonomia privata.
Alla luce di una cornice regolatoria sempre più definita e capillare, l’elaborato esamina le varie tipologie di clausole di sostenibilità, provando ad elaborare una prima classificazione. L’analisi è compiuta sia sul piano funzionale e strutturale delle clausole sia sul piano applicativo. Gli esiti della ricerca conducono ad una primaria ripartizione: clausole di sostenibilità c.d. contrattuali e clausole di sostenibilità c.d. statutarie. All’interno delle due macrocategorie, il saggio mira a fornire i criteri valutativi per una distinzione più accurata.
Infine, la classificazione così proposta enuclea interrogativi sulla natura delle clausole e sulle conseguenze derivanti da un loro inadempimento, in virtù del quadro normativo europeo.
The essay deals with the issues related to the inclusion of sustainability clauses in contracts and articles of association. The broad national and European recognition of the principle of sustainable development and the establishment of its normative corollaries amplifies the effects of the sustainability paradigm in the area of private autonomy.
In the light of an increasingly well-defined and comprehensive regulatory framework, the paper examines the various types of sustainability clauses, attempting to draw up an initial classification. The analysis is carried out both on the functional and structural level of the clauses and on their application. The results of the research lead to a primary distinction between so-called contractual sustainability clauses and so-called statutory sustainability clauses. Within the two macro-categories, the essay aims to provide evaluative criteria for a more accurate distinction.
Finally, the classification thus proposed raises questions on the nature of the clauses and the consequences of their non-fulfilment under the European regulatory framework.
Sommario:
1. Introduzione. Il diritto privato nel mercato sostenibile - 2. Autonomia contrattuale e principio di sviluppo sostenibile - 3. Contratti “verdi” e clausole di sostenibilità. Aspetti generali - 4. Un catalogo delle clausole di sostenibilità - 5. Esigenze di bilanciamento e bisogni di specificazione contrattuale: i problemi delle clausole di sostenibilità - 6. L’applicazione degli standard «ESG» - 7. Osservazioni conclusive tra verità e bugie - NOTE
“Chi non conosce la verità è soltanto uno sciocco; ma chi, conoscendola, la chiama bugia è un malfattore”. Sono parole che Bertold Brecht fa riecheggiare tra le pagine della sua opera “Vita di Galileo”, attribuendone la paternità alla mente brillante del filosofo e matematico.
La verità di oggi è che si sta vivendo una crisi diversa rispetto a tutte le precedenti. In un unico momento storico si sommano gli effetti disastrosi della crisi climatica con le fratture e le discriminazioni sociali unitamente alla povertà diffusa su scala globale. Verità non nuova ma scomoda e carica di interrogativi.
Il diritto non può esimersi dalla responsabilità di agevolare la transizione verso orizzonti più equi, inclusivi e sostenibili. D’altronde, l’evolversi dei fenomeni sociali ed economici non è mai stato senza riflessi sulle dinamiche del diritto. Le categorie giuridiche, pur nella loro integrità concettuale, richiedono un riadattamento che sappia rispondere agli interrogativi dell’oggi [1].
Cambiamento climatico, scarsità della biodiversità e delle risorse naturali, discriminazioni sociali, povertà, mancato accesso alla giustizia ed all’istruzione, sfruttamento delle minoranze culturali sono tra le principali sfide della contemporaneità e richiedono una adeguata risposta giuridica. La formula identificativa utilizzata per ricomprendere queste impellenti istanze è il concetto polisemico di sostenibilità [2].
Il percorso di riconoscimento del principio di sviluppo sostenibile è stato lento e tortuoso ma, dopo una prima fase di interventi – principalmente – di soft-law e di regole non vincolanti [3], ha visto la diffusa affermazione del paradigma della sostenibilità [4] anche sul piano del diritto positivo. Difatti, oggi il principio di sviluppo sostenibile è stato inserito all’interno di numerose norme nazionali ed internazionali, che gli attribuiscono effettiva vincolatività e gli conferiscono concretizzazione [5].
L’affermazione, su scala internazionale, europea e nazionale, del principio è, dunque, dato di fatto inequivocabile. Esso incide anzitutto sull’azione pubblica. Ma anche, profondamente, sul mercato, come conformato dall’autonomia dei privati [6]. Nell’ambito della teoria generale del contratto e dei suoi istituti irrompe, così, il principio di sviluppo sostenibile [7].
La sua positivizzazione segna un mutamento netto nel modello socio-economico. In effetti, il prisma della sostenibilità si tiene su tre pilastri: tutela dell’ambiente, esigenze economiche ed istanze sociali (in chiave transgenerazionale).
Emerge una concezione dello sviluppo sostenibile che mira ad affrontare trasversalmente le molteplici sfide del quadro economico-giuridico mondiale: tutela dell’ambiente e crescita economica vanno oggi intesi come linee d’azione interconnesse e affini. Centrale, dunque, è il bisogno di un equo contemperamento tra le esigenze di sviluppo del mercato e la necessità di garantire accesso concreto e diffuso alle risorse naturali, in una prospettiva di lungo termine.
In questo percorso, il ruolo dell’Unione Europea è stato (e lo è tuttora) determinante e ha trainato l’evoluzione normativa anche nei singoli Stati membri. A conferma di ciò, la produzione legislativa europea in materia di mercato sostenibile è sempre più ampia e capillare [8].
In linea più generale, l’Unione pone la sostenibilità (specialmente nell’accezione di sviluppo eco-sostenibile) al centro delle sue politiche di azione [9]. Ciò si evince dalla lettura dei pilastri normativi del diritto europeo. Lo esplicita, infatti, l’art. 3 TUE [10] ed anche il TFUE, all’art. 11, contiene un riferimento al c.d. sviluppo sostenibile. L’art. 37 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea prevede che «un livello elevato di tutela dell’ambiente e il miglioramento della sua qualità devono essere integrati nelle politiche dell’Unione e garantiti conformemente al principio dello sviluppo sostenibile».
La sostenibilità è promossa su più piani di intervento, ovvero quello economico, quello sociale e quello ambientale (triplice dimensione della sostenibilità) [11]. Il tutto si traduce nel contesto europeo nella costituzione di un nuovo modello di mercato [12], quello del mercato unico sostenibile. Non più soltanto un livello “istituzionale” di politiche di azione, ma ora anche un evidente livello “privatistico” delle regole che si esplicano nei rapporti tra imprese e tra persone.
Affiora così una ratio generale di market shaping a favore di un sistema socio-economico sostenibile [13]. In questo quadro, sul piano negoziale, si registra la diffusione progressiva di clausole di sostenibilità, dotate di una evidente funzione di indirizzamento delle attività dei privati verso obiettivi di interesse collettivo espressi a livello regolatorio [14]. Su questo si tornerà dopo.
L’opzione di sistema adottata rimarca l’esigenza, oggi più attuale che mai, di un superamento dei dettami del principio del massimo profitto [15] e del dogma del “breve termine” [16], a favore di un modello caratterizzato da prioritari obiettivi di lungo termine [17] (quali, su tutti, la tutela ambientale, la lotta alla povertà e alle discriminazioni sociali e il rispetto delle generazioni future).
È innegabile, dunque, che questo processo di positivizzazione della sostenibilità produca effetti considerevoli sul versante dell’autonomia privata e dell’attività di impresa. Ed è in merito a ciò che si proverà a riflettere nei prossimi paragrafi.
La sostenibilità, nella sua accezione di driver delle politiche pubbliche e delle scelte private, manifesta il dichiarato intento di trasformare il tradizionale sistema economico – fondato sulla massimizzazione del profitto nel breve termine – in un modello a lungo termine basato su una prospettiva ecologica, inclusiva e transgenerazionale [18]. Prospettiva che trova conferma nella tendenza del mercato (sia nelle scelte degli operatori [19] sia nelle preferenze dei consumatori [20]) e negli interventi del legislatore nazionale ed europeo. La sostenibilità non è più formula programmatica ma sta trovando diffusamente positivizzazione ed applicazione concreta. Nel nostro ordinamento, al fianco della recente riforma costituzionale, l’art. 3-quater cod. amb. già offre una importante positivizzazione del principio di sviluppo sostenibile, sancendo al comma 1 che ogni attività umana giuridicamente rilevante «deve conformarsi al principio dello sviluppo sostenibile, al fine di garantire che il soddisfacimento dei bisogni delle generazioni attuali non possa compromettere la qualità della vita e le possibilità delle generazioni future».
Nonostante ciò, il tessuto normativo europeo non è ancora organico e capillare. Per tale ragione, l’autonomia privata conserva appieno la sua capacità di indirizzare l’andamento del mercato [21], di assumere iniziative (economiche e non solo), di compiere decisioni in merito ai mezzi più opportuni per il raggiungimento degli scopi perseguiti dalle parti, in quanto continua a preservare la sua posizione di «fattore interno dell’ordine giuridico» [22].
I mutamenti dinanzi ai quali essa è posta, però, sono radicali. Invero, il principio di sviluppo sostenibile e la tutela degli interessi delle generazioni future “minacciano” il tradizionale paradigma contrattuale sia sul terreno degli effetti sia sul campo dei limiti.
Sul terreno degli effetti, la presenza di nuovi titolari di situazioni giuridiche soggettive estranee al regolamento contrattuale ma in qualche modo condizionanti (si pensi alle generazioni future [23]) riguarda chiaramente il dettato dell’art. 1372 cod. civ [24] e la necessità di una analisi evolutiva degli effetti del contratto in simili casi. Analisi che supererebbe il senso di questo studio e che, perciò, viene solo accennata.
Il presente punto di osservazione è un altro, invece, e guarda al piano dei limiti dell’autonomia. È dato di fatto e di diritto che l’autonomia privata sia subordinata a dei limiti (negativi) di liceità. Ma non è di ciò che si vuole discutere. Il punto critico attiene all’esistenza anche di limiti (positivi) di conformazione [25]. Ragionando in termini generali, l’esistenza del limite implica logicamente l’effetto conformativo al divieto prescritto.
Le regole della sostenibilità sembrano strutturate proprio su questa concezione del limite [26]. Un limite che funge non solo da confine di liceità, ma anche da incentivo verso specifiche condotte [27].
In effetti, la programmazione economica e le scelte di politica legislativa hanno da sempre introdotto limiti positivi all’esercizio della autonomia privata. Tradizionalmente, simili limiti assumono sia natura economica, quali condizionamenti finalizzati a specifici fini generali del mercato, sia natura giuridica, volti a regolare la libertà di iniziativa economica privata [28]. Dei limiti giuridici se ne occupa il legislatore, mentre è affidata all’autonomia privata la determinazione di quelli economici.
Oggi tutela ambientale e sostenibilità intergenerazionale sono interessi prioritari e costituzionalmente protetti [29]. Bisogna, allora, domandarsi in che modo la sostenibilità interagisca con il piano dell’autonomia contrattuale.
Dinanzi alle impellenze della sostenibilità e in attesa di un quadro regolatorio armonioso, dottrina autorevole si è spinta ad affermare che «l’interesse ambientale penetra e colora la causa del contratto, enfatizzando il profilo della doverosità dell’uso razionale delle risorse naturali a vantaggio anche delle generazioni future» [30]. Il contratto che diviene così “contratto ecologico” [31], nel quale l’elemento causale è arricchito da profili di doverosità, solidarietà sociale e utilizzo razionale delle risorse [32]. Indubbiamente apprezzabile è l’intento di questa impostazione, meno condivisibili e più scivolosi, invece, appaiono gli esiti.
Difatti, non è priva di rilievi critici l’ipotesi di un cambio di paradigma dell’intera disciplina contrattuale nella prospettiva ecologica [33], che andrebbe ad imporre anche una funzionalizzazione del contratto alla disciplina a tutela dell’ambiente [34], nonché una ridefinizione dei criteri di interpretazione [35]. Un azzardo eccessivo che trasformerebbe il contratto in un regolamento ontologicamente aperto alla gestione collettiva dei beni ed alla realizzazione di interessi generali [36].
Nella prospettiva di questo studio, si ritiene più opportuno, invece, ragionare in quali termini la categoria contrattuale si trasforma, nella convinzione che, con gli strumenti predisposti dall’autonomia privata ed entro i confini del sistema normativo, essa non necessiti di una totale riedificazione ma possa essere orientata in favore delle istanze di sostenibilità qui prese in considerazione [37].
Può osservarsi che, in virtù del riconoscimento transnazionale del principio di sviluppo sostenibile, esso si proietta ad entrare anche nella disciplina del contratto, da un lato, come limite di liceità dei contratti attraverso la clausola di ordine pubblico (economico) [38], dall’altro, come obiettivo positivo di conformazione negoziale e del mercato attraverso diverse modalità di contrattualizzazione. Ed è appunto sulle clausole di sostenibilità che qui ci si vuole soffermare [39].
La sostenibilità, nella sua connotazione positiva di principio ordinatore del mercato [40], si candida ad entrare nel campo dell’autonomia privata attraverso particolari clausole [41], la cui natura risulta ancora notevolmente eterogenea. Queste clausole vengono oggi raggruppate entro la definizione di clausole di sostenibilità.
Sono tali tutte quelle previsioni che comprendono profili etici, di tutela ambientale e di inclusione sociale. Diverse sono le tipologie e la loro funzione varia a seconda dell’inserimento della clausola all’interno di un regolamento negoziale (clausole contrattuali di sostenibilità) o all’interno di un atto costitutivo societario (clausole statutarie di sostenibilità) [42].
Per quel che riguarda le clausole contrattuali, esse non sempre sono ricollegabili all’oggetto in senso stretto del rapporto negoziale ma regolano aspetti ad esso talvolta contermini [43] però direttamente incidenti sull’equilibrio del contratto [44].
Il panorama è ampio ed in evoluzione. Da un lato contratti che prevedono specificatamente prestazioni di protezione ambientale o di inclusione sociale [45], dall’altro, contratti che prevedono clausole contrattuali di sviluppo sostenibile o indicatori e standard di sostenibilità a cui si parametrano aspetti del regolamento contrattuale [46].
Senza dubbio, la principale diffusione di contratti aventi prestazioni [47] o contenenti clausole di sostenibilità si è avuta nell’ambito dell’attività privata di impresa [48]. Gli obiettivi di produzione e consumo sostenibili, “goals” di sostenibilità specificatamente individuati dall’Agenda 2030, si inseriscono sempre più nei vari modelli economico-giuridici, non solo nei settori più tradizionalmente legati ai profili di tutela ambientale ma anche in quei mercati non originariamente sensibili.
La diffusione di contratti “verdi” è trasversale [49]. È chiaro che, ad oggi, si attesta un livello di consapevolezza differente in quei settori tradizionalmente legati alle vicende della sostenibilità, come il mercato energetico. Ciò è confermato dal crescente ricorso da parte delle imprese a contratti di fornitura di energia rinnovabile o alla sempre maggiore diffusione dei contratti di vendita di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili (comunemente definiti come «power purchase agreement» o semplicemente PPA [50]).
In generale, però, quasi tutti i settori di mercato si orientano a obiettivi di sostenibilità. Ne sono una prova, ad esempio, i contratti del commercio equo-solidale [51], i contratti di filiera [52] dotati di clausole che prevedono molteplici tipologie di prestazioni a tutela dell’ambiente e della collettività sociale [53] ed i contratti del settore agro-alimentare [54].
Altro settore fortemente influenzato dal principio di sviluppo sostenibile è quello del tessile. Infatti, i contratti della industria tessile, particolarmente attenzionati dal legislatore europeo, sono sempre più indirizzati verso una produzione sostenibile [55].
L’elenco variegato delle tipologie contrattuali che presentano clausole di sostenibilità aderisce alle nuove direttive del mercato sostenibile. Sono queste clausole che, di fatto, si fanno «veicolo di istanze sociali e strumento di salvaguardia di interessi generali» [56]. Come già accennato, questi mutamenti potrebbero creare una distorsione nel tradizionale paradigma contrattuale [57]. Infatti, per un verso, l’autonomia privata, in quanto capacità di regolare i propri interessi, non ammette facilmente processi etero-integrativi. Per altro verso, l’attività di impresa tradizionalmente mira alla massimizzazione del profitto [58].
È, però, vero che l’attuale prassi contrattuale – specialmente quella di impresa – già comprende esempi consistenti di richiami agli obiettivi di sviluppo sostenibile [59] o di specifiche clausole di sostenibilità [60].
La virtuosità etica delle clausole di sostenibilità, al pari delle esternalità positive di carattere economico e sociale derivante dall’introduzione di obiettivi di sostenibilità nel contratto, è fuori discussione. Ciò che va indagato è il campo dei profili di criticità (giuridica) di queste particolari clausole.
La menzionata eterogeneità delle clausole di sostenibilità impone all’interprete un tentativo di classificazione.
Innanzitutto, è necessario intendersi sulla rilevanza (giuridica) che si vuole attribuire alle clausole di sostenibilità. Non sono clausole meramente stilistiche né, tantomeno, possono intendersi come modelli di etero-regolazione (per principi) degli interessi privati. Sono da considerarsi piuttosto come clausole contrattuali “innovative” che necessitano di specifici criteri di quantificazione ed indicizzazione, come si proverà a dimostrare nei paragrafi successivi.
Chiarito preliminarmente ciò, occorre distinguere le clausole di sostenibilità c.d. statutarie dalle clausole di sostenibilità c.d. contrattuali.
Le prime sono previsioni inserite all’interno degli statuti o degli atti costitutivi delle società [61] e sono finalizzate ad obiettivi di sostenibilità e responsabilità sociale di impresa [62]. Nel mercato interno, queste clausole sono impiegate sia dalle cc.dd. società benefit [63] sia dalle società con scopo di lucro, a cui non si applica la disciplina di cui all’art. 1, comma 376 ss., legge n. 208/2015.
Le clausole statutarie di sostenibilità operano su vari profili dell’attività di impresa: definiscono policy di condotta degli amministratori, limitazioni del potere gestorio e linee direttive dell’attività economica [64]. In via generale, esse possono agire sia delimitando l’oggetto sociale sia perimetrando le modalità di conseguimento dello stesso.
L’indirizzo dell’oggetto sociale può avvenire attraverso limitazioni positive dell’attività o tramite limiti negativi. Nel primo caso, ad esempio, è diffuso nel mercato energetico il ricorso a clausole che impongono il solo utilizzo di energia rinnovabile per le attività di impresa. Nel secondo, invece, una ipotesi ricorrente nelle disposizioni statutarie è la previsione del divieto di utilizzare imballaggi di plastica. L’impossibilità di inserire vincoli ideali [65] e la tendenza ad operare prettamente sul piano dei limiti negativi dell’attività e non della gestione societaria, fanno emergere una certa rigidità di simili clausole [66].
La perimetrazione delle modalità di conseguimento dell’oggetto sociale è rimessa, invece, a clausole che prevedono «l’enunciazione dei principi etico-sociali che dovranno informare l’operato dell’organo amministrativo ovvero la definizione delle linee di condotta del medesimo organo, sia in forma impositiva che in forma preclusiva rispetto all’adozione di determinate strategie o categorie di operazioni» [67].
Nella prassi societaria, ad oggi, le clausole statutarie di sostenibilità più diffuse sono le clausole di destinazione degli utili per fini di sostenibilità [68], le clausole di limitazione del potere gestorio (operanti entro la cornice delimitata dal disposto dell’art. 2384 cod. civ.), le clausole di c.d. corporate purpose [69], le clausole di valutazione dell’operato degli amministratori [70] e le clausole di gradimento dei soci [71]. Di particolare interesse sono, inoltre, le clausole che prevedono obblighi “esterni”, quali le clausole che impongono l’integrazione degli interessi degli stakeholder nelle attività di impresa o le clausole che sanciscono obblighi di consultazione con soggetti terzi e comitati indipendenti per decisioni di notevole rilevanza [72]. Proprio queste ultime clausole, rispecchiando appieno la ratio della recente Direttiva (UE) 2024/1760 [73], sono destinate a trovare una sempre maggiore collocazione all’interno della strutturazione dell’attività di impresa (come, peraltro, auspicato dall’art. 18 della direttiva in materia di modelli di clausole contrattuali tipo [74]).
Le clausole cc.dd. contrattuali di sostenibilità, invece, sono previsioni inserite all’interno del regolamento contrattuale e possiedono finalità differenti [75].
A tal fine, appare utile elaborare un tentativo di catalogazione sulla base della funzione espressa dalla clausola. Nella cornice di una casistica estremamente variegata e difficilmente inquadrabile in insiemi uniformi, è comunque possibile individuare le principali categorie di clausole negoziali, ovvero le clausole di preferenza, le clausole che impongono standard di produzione o di qualità dei servizi offerti, le clausole che richiedono il rispetto di specifici indicatori etici e sostenibili, le clausole di destinazione che vincolano le parti a particolari target di sostenibilità, le clausole di recesso o le clausole risolutive per ragioni etiche o sociali [76], le clausole penali [77].
Nell’ipotesi di clausole di preferenza, molto diffuse nei contratti di filiera [78], sono previsti diritti di prelazione per le imprese fornitrici che rispettano standard elevati di sostenibilità economica ed ambientale [79].
Le clausole che introducono standard sostenibili delle performance contrattuali sono clausole cha parametrano prestazioni contrattuali ad indicatori di sostenibilità. Sulle modalità di indicizzazione di queste clausole si tornerà successivamente. Esse possono ritrovarsi in una formula contrattuale, più nota alla prassi, che prende il nome di contratto di rendimento energetico (o anche, Energy Performance Contract). Con tale contratto, «un soggetto “fornitore” (Energy Saving Company o ESCo) s’impegna, con mezzi finanziari propri o di terzi, a compiere una serie di servizi e interventi integrati, diretti a riqualificare e migliorare l’efficienza di un sistema energetico (un impianto o un edificio) di proprietà di altro soggetto (cliente o “beneficiario”), verso un corrispettivo commisurato all’entità dei risparmi energetici attesi» [80]. Questi contratti sono corredati da molteplici clausole negoziali che impongono standard sulle modalità di produzione e sulla qualità dei servizi offerti. Sono previste anche forme convenzionali di controllo periodico del raggiungimento degli obiettivi prefissati [81].
Invece, per quanto attiene alle clausole di conformazione a specifici standard ecologici, queste impongono alle parti contrattuali specifici standard di adempimento. Si rinvengono, ad esempio, nel contratto di green franchising secondo cui le «società affilianti (.) mettono a disposizione dei propri affiliati anche il proprio know-how in termini di riduzione delle emissioni inquinanti e (.) prevedono nei propri codici di condotta il rispetto da parte degli affiliati di determinati standard ecologici» [82].
Si vanno progressivamente diffondendo anche le clausole di conformazione contenute nelle locazioni immobiliari “verdi” [83] e nei contratti di mobilità sostenibile [84]. Si pensi, inoltre, agli standard internazionali ISO 26000 che mirano ad una maggiore integrazione di criteri ambientali, di sostenibilità economica e di uguaglianza di genere all’interno dei regolamenti contrattuali tra le varie imprese di filiera [85].
In forte espansione è l’inserimento all’interno dei contratti di mutuo di clausole di destinazione a obiettivi di sostenibilità (ecologica, economica e sociale) che impongono al mutuatario l’impiego di una parte del finanziamento per la realizzazione di specifici target [86], il cui mancato adempimento incide sull’assetto complessivo del contratto [87]. Le applicazioni sono svariate: clausole che richiedono al mutuatario di utilizzare una parte del finanziamento per l’acquisto di materiali eco-compatibili, clausole che obbligano il mutuatario a stipulare contratti di fornitura con le comunità locali, clausole che richiedono investimenti sul rendimento energetico del progetto finanziato.
Se si guarda, infine, all’ambito applicativo, è possibile individuare tre principali classi di clausole: le clausole di sostenibilità ambientale (come quelle che prevedono obblighi di riduzione delle emissioni nocive o di gestione responsabile dei rifiuti), le clausole di sostenibilità sociale (ovvero, ad esempio, le clausole che impegnano le parti a pratiche che favoriscono l’inclusione sociale o il rispetto dei diritti fondamentali delle minoranze) e le clausole di sostenibilità economica (come le clausole che garantiscono un giusto compenso ai fornitori o favoriscono nella scelta della parte contraente le comunità locali).
La contrattualizzazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile, di inclusione sociale e di tutela degli ecosistemi e della biodiversità suggerisce due primari profili di indagine. A monte, il problema del bilanciamento tra principi ed interessi contrastanti sotteso ad ogni rapporto contrattuale. A valle, il problema della genericità degli obiettivi di sostenibilità e la necessità di trasformarli in regole di comportamento precise.
L’esistenza delle clausole di sostenibilità, in effetti, non può prescindere da un’opera di contemperamento tra i principi in gioco. Questo perché in tutti i contratti supra citati, il principio di libertà di iniziativa economica privata [88] si scontra con le esigenze di tutela ambientale e sociale [89]. Da un lato, quindi, interessi economici e produttivi, dall’altro, esigenze di carattere ecologico e sociale. Principi che, alla luce della recente riforma costituzionale, trovano piena collazione nel sistema interno [90].
Il concetto tridimensionale della sostenibilità produce, al di fuori delle ipotesi in cui risulta evidente la gerarchia tra i principi in contrasto, un costante bisogno di bilanciamento, condotto secondo criteri di valutazione che seguono una logica di comparazione proporzionale. Né un’arida contrapposizione [91] né, tantomeno, un bilanciamento “ineguale” a sfavore delle esigenze produttive [92], ma un processo di contemperamento che trova nelle clausole contrattuali di sostenibilità un corretto equilibrio.
Bisogna domandarsi, però, se questo corretto contemperamento tra principi avvenga sempre. A titolo esemplificativo, si pensi ad un contratto tra una impresa che opera nel settore agro-alimentare ed una piccola impresa fornitrice che prevede che il prodotto agricolo fornito debba rispettare dei limiti quantitativi di pesticidi. O si ipotizzi il caso di un grande industria del tessile che su alcuni prodotti richiede alle imprese, per accedere ai contratti di filiera, l’utilizzo di materiali sostenibili e, ad oggi, estremamente costosi. Sono queste opzioni equilibrate?
Negli esempi qui riportati, manca un effettivo equilibrio. Difatti, i pesticidi, seppur limitatamente, continuerebbero ad essere utilizzati; la c.d. fast-fashion continuerebbe a produrre danni all’ambiente e l’accesso alle filiere equo-solidali non sarebbe egualmente “sostenibile” – in termini di costi – per tutti gli operatori. Le piccole imprese rischierebbero così di veder ricadere su se stesse gli oneri della sostenibilità.
Il bilanciamento richiesto impone, quindi, anche una riflessione su una corretta allocazione dei rischi imprenditoriali connessi alla transizione verde [93]. Le clausole di sostenibilità possono essere utili strumenti di gestione dei costi e dei rischi nell’ipotesi in cui le parti giungano ad un corretto bilanciamento degli interessi in gioco.
Altrimenti, esse potrebbero nascondere rapporti di forza, di dipendenza economica e sfavorire, così, la reale costituzione di un ordine giuridico ed economico sostenibile [94].
Sorge naturale chiedersi quale sia il giusto equilibrio. O se esso non fosse possibile, quale scelta vada compiuta a monte.
La correttezza del bilanciamento presuppone la validità del criterio di valutazione impiegato [95]. Esso andrebbe ricercato all’interno del sistema ordinamentale e dovrebbe esprimere una regola di razionalità capace di contemperare le contrapposte prerogative e realizzare un rapporto armonioso tra ambiente e sviluppo.
In questo senso, il sistema stesso offre una interessante chiave di lettura. Infatti, il codice dell’ambiente, al comma secondo dell’art. 3-quater, attribuisce priorità gerarchica, nel bilanciamento tra principi, all’interesse ambientale (ampiamente inteso) [96]. Priorità che è frutto, però, di un iter discrezionale di valutazione.
Sul versante negoziale, in risposta a quanto si diceva supra, si può affermare che l’interesse ambientale, certamente prioritario, non funzionalizza l’intera attività di impresa [97] ma ne definisce le strutture [98]. Pertanto sul piano dei rapporti e degli interessi sottesi, nella contrapposizione tra principi non esiste tirannica primazia dell’interesse ambientale ma occorre introdurre un equilibrato contemperamento [99] con la libertà di iniziativa economica [100]. Progresso produttivo e esigenze ecologiche possono coesistere anche all’interno di modelli di massimizzazione del profitto [101].
L’equilibrio tra principi confliggenti, difatti, andrebbe trovato ponendo al centro la persona – con le sue prerogative personalistiche, economiche e sociali – nel contesto di un mercato rinnovato da obiettivi ecologici e programmi a lungo termine [102]. La ricerca del giusto contemperamento è questione rimessa alle scelte del legislatore per quel che riguarda la definizione di criteri generali di bilanciamento; mentre è affidata alla discrezionalità delle parti ed all’autonomia dei privati la determinazione dell’equilibrio sotteso alle clausole di sostenibilità.
L’efficacia di simili clausole all’interno dell’attuale sistema del diritto contrattuale europeo [103] pone, tra l’altro, problemi di individuazione di standard ermeneutici condivisi. In effetti, la tipica (e voluta) genericità di molti degli obiettivi inseriti nelle clausole di sostenibilità richiede l’introduzione di strumenti interpretativi uniformi [104].
Sul punto, si prova ora a chiarire. La disciplina del mercato sostenibile è stata caratterizzata, soprattutto nel periodo iniziale, da schemi programmatici e da normative per principi [105] a cui si affiancano, oggi, regole sempre più dettagliate e settoriali. La voluta ampiezza degli obiettivi di sviluppo sostenibile, in assenza di norme ancillari ben determinate, esige una accurata attività interpretativa [106], rispettosa dei nuovi confini dell’autonomia privata espressi dalla riforma costituzionale. L’interprete è così posto dinanzi all’esigenza di disporre di criteri obiettivi di valutazione (quantitativa e qualitativa) dell’agire dei privati [107].
È indispensabile, allora, che la contrattualizzazione del prisma della sostenibilità passi da una sua quantificazione in standard specifici, idonei a determinare i confini delle clausole di sostenibilità ed a verificare le eventuali ipotesi di inadempimento contrattuale [108]. In linea di principio, la vaghezza definitoria andrebbe esclusa. In questo caso, ancor più, essa rappresenterebbe un ostacolo alla realizzazione stessa degli obiettivi di sostenibilità [109].
La definizione di simili criteri e strumenti differisce a seconda dei settori industriali e produttivi considerati e degli obiettivi da raggiungere. Ad esempio, l’individuazione di criteri aridamente quantitativi mal si concilia con gli aspetti dimensionali della sostenibilità connessi alla tutela dei diritti fondamentali, alla lotta alle discriminazioni sociali ed alle disparità di genere (il piano c.d. sociale della sostenibilità) [110].
Significativamente diverso è il discorso per i profili più strettamente economici, in cui si stanno sviluppando diversi standard di valutazione delle prestazioni contrattuali.
Dunque, solo attraverso un processo di adattamento del mercato e di attiva partecipazione da parte degli operatori, gli indici legati alle diverse prospettive della sostenibilità potranno, sul piano micro-economico, trovare maggiore collocazione in varie tipologie contrattuali e, sul piano macro-economico, incidere di più sull’andamento del mercato [111].
La questione da affrontare, quindi, concerne il superamento della tendenziale contraddizione tra formule programmatiche ed esigenze di specificazione contrattuale. A ciò si aggiunge anche la complessità nel riuscire a conciliare l’interesse della collettività (e delle generazioni future) con gli assetti tendenzialmente utilitaristici ed “egoistici” dei privati [112].
I problemi delle clausole di sostenibilità, come detto, sono principalmente problemi di individuazione degli strumenti tecnici di quantificazione e qualificazione delle prestazioni e degli obiettivi di sostenibilità. Una simile esigenza non può che essere perseguita attraverso l’individuazione di standard di concretizzazione dei target di sostenibilità [113].
Una prima soluzione potrebbe essere offerta dall’utilizzo di clausole contrattuali indicizzate a obiettivi di sostenibilità (le cc.dd. clausole sustainaibility-linked) [114]. Ipotesi ad oggi largamente esplorata nella prassi, specialmente quella di impresa [115].
Queste clausole «gravano le parti di obblighi, principali o secondari, di carattere ambientale o sociale nell’esecuzione di una prestazione» [116]. L’obiettivo di sostenibilità, quindi, può presentarsi sia come oggetto della prestazione contrattuale sia come parametro valutativo di adempimento.
Certo è che l’ipotesi di clausole contrattuali indicizzate a valori di sostenibilità sia di maggiore criticità rispetto ai casi in cui è il regolamento contrattuale stesso a prevedere specifiche prestazioni sostenibili o socialmente utili.
Ad oggi, l’indicizzazione di queste clausole fa spesso utilizzo dei cc.dd. standard «ESG» [117].
In linea del tutto generale, con essi si intendono tutti quei parametri standardizzati utili a valutare le performance ambientali, sociali e di governance di una determinata attività di impresa. Nell’ambito della direttiva (UE) 2022/2464 circa la rendicontazione societaria di sostenibilità [118], l’Unione Europea ha dato inizio al progetto finalizzato all’elaborazione dei cc.dd. «sustainability reporting standards» [119], sul modello degli standard elaborati dall’International Sustainability Standards Board [120].
Da una genesi strettamente legata alla rendicontazione non finanziaria delle imprese, questi standard trovano ora ampia collocazione in contesti negoziali molto eterogenei [121].
Le maggiori difficoltà interpretative interessano quelle clausole contrattuali che non prevedono come prestazione principale un obiettivo di sostenibilità, ma calibrano la valutazione dell’esatto adempimento di alcune prestazioni in base ad indici ESG.
Le ipotesi più ricorrenti sono quelle che riguardano l’indicizzazione del valore di una prestazione pecuniaria all’andamento di uno standard ESG. In queste circostanze, il «valore dell’asset di riferimento – per esempio, un finanziamento bancario, una garanzia, un prestito obbligazionario – è fatto oscillare in relazione al raggiungimento di prefissati obiettivi di sostenibilità» [122].
Sono le parti stesse a definire i parametri di valutazione delle prestazioni [123], indicativi degli obiettivi di sostenibilità perseguiti con quello specifico regolamento contrattuale.
Spesso questi schemi negoziali prevedono un sistema premiale in relazione al raggiungimento di target di sostenibilità nel corso del rapporto [124]. Si pensi, a titolo esemplificativo, alle ipotesi di tassi di interesse agevolati nei contratti di finanziamento laddove si dovesse raggiungere obiettivi, contrattualmente individuati, di sostenibilità [125]. In queste particolari tipologie contrattuali, le parti definiscono i criteri tecnici di misurabilità e gli eventuali fattori variabili connessi ai target di sostenibilità.
Gli esempi degli standard qui riportati stabiliscono un primo livello di generale condivisione di indicatori di sostenibilità.
Alla luce di quanto detto finora, la sostenibilità è al centro di un ampio processo di concretizzazione contrattuale. Ciò non basta e non esaurisce le questioni aperte [126]. È elemento noto che essa abbia trovato definitiva positivizzazione nell’ordinamento europeo e nazionale. Meno consolidato, invece, è il ruolo della sostenibilità nelle scelte dei singoli. La tendenza contrattuale qui osservata, però, rafforza l’idea di una sostenibilità come fattore che orienta l’agire dei privati e modella i regolamenti contrattuali [127].
Il percorso argomentativo qui tracciato aspira ad inserirsi – senza alcuna ambizione di completezza o definitività – nel ben più ampio ed articolato problema della sostenibilità nel campo del diritto privato.
In considerazione di quanto sopra esposto, si possono, quindi, trarre alcune riflessioni conclusive all’esito dello studio.
Il paradigma della sostenibilità si muove su due piani confinanti. Esso, infatti, interviene sia sul piano delle fonti sia su quello dei rapporti.
Sul piano delle fonti, specialmente in ambito europeo, l’ampliarsi della disciplina a tutela delle esigenze di sostenibilità (concetto inteso oramai nella sua massima estensione) esplicita una chiara ratio del legislatore europeo e positivizza, nella gerarchia delle fonti, nuovi interessi di carattere generale, transgenerazionale e globale [128].
Sul piano dei rapporti privatistici, come si è provato a dimostrare, la sostenibilità si manifesta attraverso l’inserimento di apposite clausole nello scheletro del regolamento contrattuale o all’interno degli atti statutari. Tenendo da parte i profili di liceità del limite espresso dal principio di sviluppo sostenibile nell’ambito dell’agire dei privati (imprese, su tutti), la contrattualizzazione dei profili positivi del paradigma della sostenibilità [129] accentua l’esigenza negoziale di comprendere i suddetti interessi generali nelle trame della regolazione di interessi, di regola, personalistici. Esigenza, talvolta obbligata, talora volontariamente scelta.
Ed è proprio quest’ultima ipotesi, quella dell’introduzione volontaria di clausole di sostenibilità nei regolamenti contrattuali, ad indicare un netto cambio di rotta. L’opzione a favore di contratti conformi agli obiettivi di sostenibilità produce, difatti, notevoli esternalità positive a favore del benessere dell’intera collettività [130].
La ratio generale di sostenibilità indicata dal legislatore europeo (piano delle fonti) viene applicata prospetticamente dagli stessi operatori nella predisposizione dei regolamenti contrattuali che animano l’andamento del mercato di oggi (piano dei rapporti).
Le clausole di sostenibilità esprimono appieno la capacità dell’autonomia privata di intercettare le dinamiche del mercato e di sopperire ad una struttura giuridica non ancora così salda.
Esse esplicitano, inoltre, due aspetti critici centrali nella costruzione di un ordine economico e giuridico sostenibile.
Il primo attiene all’esigenza di compiere un adeguato bilanciamento tra il paradigma costituzionale della sostenibilità e gli altri interessi e principi contrapposti. La contrapposizione tra principi astratti è affare della politica. Il bilanciamento tra principi positivizzati è, invece, questione del diritto. In quest’ultimo caso, il criterio di equilibrio, se ricercato al di fuori del sistema, si trasforma in regola di ragionevolezza e diviene, di nuovo, una scelta di politica (del diritto). Se esso, invece, viene trovato all’interno del sistema (si pensi al principio espresso dall’art. 3-quater cod. amb.) diviene regola di razionalizzazione dei principi applicabili.
Dunque, l’opzione di contemperamento va estrapolata dalle norme che compongono l’ordinamento, interno ed europeo. Una opzione che predilige la razionalità del sistema e pone, al centro di un rinnovato orizzonte costituzionale, la persona, con i suoi diritti patrimoniali e sociali.
Il secondo aspetto, invece, riguarda il bisogno di predisporre criteri negoziali di valutazione dei target di sostenibilità contenuti nelle clausole. Il ricorso a pratiche di indicizzazione contrattuale e la contrattualizzazione degli standard ESG segnano un primo, quanto marcato, passo in avanti.
L’indifferenza generale alle istanze impellenti della nostra società sembra, difatti, lasciare spazio al tempo dell’agire positivo. O, almeno, è quanto si spera [131]. Il sostegno del diritto privato risulta indispensabile in questo delicato processo di transizione.
Sono queste verità, come si diceva in apertura, su cui non si può più tacere. Riprendendo le parole di Brecht, un giorno, chissà se la storia definirà l’attuale società come sciocca per aver ignorato questa impellente verità o come malfattrice per aver coltivato una evidente bugia.
Nell’attesa del conto finale, meglio iniziare ad imbandire la tavola.
[1] Sulla c.d. crisi delle tradizionali categorie civilistiche, N. Lipari, Le categorie del diritto civile, Giuffrè, Milano, 2013. Contrario, invece, ad una crisi delle categorie ed a favore di un ripensamento evolutivo di esse, A. Gentili, Crisi delle categorie e crisi degli interpreti, in Riv. dir. civ., 4, 2021, 633 ss.
[2] Riguardo all’evoluzione del concetto di sostenibilità, F. Ekardt, Sustainability. Transformation, Governance, Ethics, Law, Springer, Cham, 2020; U. Grober, Deep roots: A conceptual history of “sustainable development” (Nachhaltigkeit), in WZB Discussion Paper, 2007; M.G. Lucia-S. Duglio-P. Lazzarini (a cura di), Verso un’economia della sostenibilità. Lo scenario e le sfide, Franco Angeli, Milano, 2018, spec. 9 ss.; V. Barral, Sustainable Development in International Law: Nature and Operation of an Evolutive Legal Norm, in Eur. Jour. Intern. Law, 2012, 381 ss. La sostenibilità, in linee generali, può intendersi come «a durable and equitable condition of humanity within the ultimate limits set by the functioning of essential natural systems that sustain life on Earth: the biosphere – whole and home of human life – and its protective shield, the atmosphere», così C. Voigt, Sustainable development as a Principle of International Law. Resolving Conflicts between Climate Measures and WTO Law, M. Nijhoff, 2009. Sui significati polivalenti del concetto di sostenibilità, L. Valera, La sostenibilità: un concetto da chiarire, in Econ. dir. agroalim., 2012, spec. 40 ss.
[3] In via di sintesi, può dirsi che esso deve le sue origini, a livello internazionale, ai lavori condotti nel quadro della United Nations Conference on the Human Environment tenutasi a Stoccolma nel giugno del 1972 e che si concluse con la c.d. «Stockholm Declaration». Il documento era costruito intorno, da un lato, alla tutela delle generazioni future e, dall’altro, al bilanciamento tra esigenze economiche di sviluppo e bisogni di protezione ambientale. La prima definizione di sviluppo sostenibile a livello internazionale è contenuta all’interno del celebre report «Our Common Future» della World Commission on Environment and Development (WCED) del 1987. Lo sviluppo sostenibile viene definito come «[…] development that meets the needs of the present without compromising the ability of future generations to meet their own needs» (WCED, Our Common Future, 37). Altro momento determinante nell’ambito di questo complesso itinerario è rappresentato dalla «Rio Declaration on Environment and Development» del 1992. La dichiarazione a elaborava una serie di principi indirizzati ad un piano di azione antropocentrico e trasversale. A settant’anni dalla nascita delle Nazioni Unite, è stata adottata la c.d. Agenda 2030. Essa si compone di 17 obiettivi prioritari di sostenibilità (i cc.dd. OSS) e 169 obiettivi correlati volti a costituire un nuovo quadro globale per lo sviluppo sostenibile e da realizzarsi, congiuntamente da tutti gli stati, entro il 2030. Per una analisi “privatistica” degli obiettivi contenuti nell’Agenda 2030 R. Michaels-V. Ruiz Abou-Nigm-H. van Loon (a cura di), The Private Side of Transforming our World – UN Sustainable Development Goals 2030 and the Role of Private International Law, Intersentia, Cambridge, 2021.
[4] Il dibattito dottrinario sul significato da attribuire alla formula sfumata e polisemica della sostenibilità è animato ed in evoluzione. Favorevole ad una ricostruzione della formula come paradigma (normativo), ovvero espressiva di un insieme di «conoscenze culturali di orientamento» della società contemporanea, V. Carriello, Per un diritto costituzionale della sostenibilità (oltre la “sostenibilità ambientale”), in Riv. ODC, 2, 2022, 413 ss.; spec. 421.
[5] Nel nostro ordinamento è il caso della riforma costituzionale che ha interessato gli artt. 9 e 41 Cost. Il progetto di legge costituzionale C. 3156, approvato dall’Assemblea del Senato in un testo unificato (S. 83 e abbinati) il 9 giugno 2021, ha modificato sia l’art. 9 sia l’art. 41 Cost. con l’obiettivo di introdurre la tutela dell’ambiente nelle loro previsioni, in aggiunta a quanto già previsto (a seguito della riforma del 2001) dall’art. 117 Cost. che riserva alla competenza statale gli interventi legislativi in materia ambientale e di protezione dell’ecosistema. La legge costituzionale 11 febbraio 2022 n. 1 recante “Modifiche agli articoli 9 e 41 della Costituzione in materia di tutela dell’ambiente” è stata pubblicata nella Gazzetta ufficiale n. 44 del 22 febbraio 2022. Per una analisi della riforma costituzionale, C. Camardi, Diritto civile e nuovi valori costituzionali. Qualche suggestione da recenti riforme, in questa Rivista, 2023, 557 ss.; R. Montaldo, La tutela costituzionale dell’ambiente nella modifica degli artt. 9 e 41 Cost.: una riforma opportuna e necessaria?, in federalismi.it, 13, 2022, 187 ss.; M. Del Frate, La tutela dell’ambiente nel riformato art. 41, secondo comma, Cost.: qualcosa di nuovo nell’aria?, in Dir. rel. ind., 3, 2022, 907 ss.; G. Santini, Costituzione e ambiente: la riforma degli artt. 9 e 41 cost., in Quad. Cost., 2021, 467 ss., 473 ss.; P. Marchetti, Il bicchiere mezzo pieno, in Riv. soc., 2021, 336 ss.; M. Cecchetti, La revisione degli articoli 9 e 41 della Costituzione e il valore costituzionale dell’ambiente: tra rischi scongiurati, qualche virtuosità̀ (anche) innovativa e molte lacune, in Quad. cost., 2021, 285 ss.
Si deve osservare che oggi 156 testi costituzionali su 193 paesi appartenenti all’ONU prevendono disposizioni a tutela dell’ambiente. Per una panoramica complessiva sul quadro costituzionale globale, si rimanda a D. Amirante, Costituzionalismo ambientale. Atlante giuridico per l’Antropocene, Il Mulino, Bologna, 2022.
[6] In merito alle interazioni tra categorie civilistiche tradizionali e questioni di sostenibilità intergenerazionale, E. Caterini, Sostenibilità e ordinamento civile, ESI, Napoli, 2018; G. Perlingieri, «Sostenibilità», ordinamento giuridico e «retorica dei diritti». A margine di un recente libro, in Foro nap., 2020, 101 ss.; C. Mignone, Diritti e sostenibilità. Una ricostruzione per immagini, in Actual. jur. iberoam., 14, 2021, 208 ss.; G. Vettori, Verso una società sostenibile, in Pers. merc., 3, 2021, 463 ss.
[7] In senso critico ad un utilizzo della locuzione “sviluppo sostenibile”, S. Latouche, Il paradosso dell’Economia ecologica e lo sviluppo sostenibile come ossimoro, Intervento del 30 settembre 1998 al Seminario internazionale di studio dell’ Università di Padova, (disponibile online al seguente link: www.edscuola.it).
[8] Basta pensare, limitatamente alla prospettiva del presente studio, al Regolamento (UE) 2020/852 (c.d. Regolamento tassonomia verde), in cui vengono definiti i criteri (art. 3) per stabilire se una specifica attività economica possa considerarsi ecosostenibile. Sulla base delle indicazioni fornite nel Regolamento, difatti, è ora possibile valutare il grado di ecocompatibilità di ogni investimento (art. 1). Viene anche introdotto, all’art. 17, il principio di non arrecare danno all’ambiente, rafforzato dal nuovo art. 2-bis del regolamento (UE) 2019/2088 con cui si definisce lo speculare principio di non causare danni significativi all’ambiente (il c.d. «do not significant harm principle»).
[9] Come si legge già nel preambolo del TUE, l’Unione si prefigge l’obiettivo di «promuovere il progresso economico e sociale dei loro popoli, tenendo conto del principio dello sviluppo sostenibile nel contesto della realizzazione del mercato interno e del rafforzamento della coesione e della protezione dell’ambiente […]». In merito agli sviluppi del mercato sostenibile e per ulteriori approfondimenti, D. Imbruglia, Mercato unico sostenibile e diritto dei consumatori, in Pers. merc., 3, 2021, spec. 501 ss.
Più in generale, sul concetto di economia sociale di mercato e sulla parabola evolutiva avvenuta in Europa, v., ex multis, M. Libertini, A “Highly Competitive Social Market Economy” as a Founding Element of the European Economic Costitution, in Concor. merc., 2011, 491 ss.; Id., Economia sociale di mercato e responsabilità sociale e responsabilità sociale di impresa, in Oriz. dir. comm., 2013, 1 ss.; A. Somma, Alle radici del diritto privato europeo. Giustizia sociale, solidarietà e conflitto nell’ordine proprietario, in Riv. crit. dir. priv., 2010, 39 ss.; P. De Pasquale, Libera concorrenza ed economia sociale nel Trattato di Lisbona, in Dir. pub. comparato ed europeo, 2009, 1, 81 ss.; L. Cruciani, L’Europa dopo Lisbona: il modello liberista e il modello sociale, in Riv. crit. dir. priv., 2007, 1, 143 ss.; C. Joerges-F. Rodl, “Social Market Economy” as Europe’s Social Model?, in Eui WP, 8, 2004, 1 ss.; M. Ferrarese, Le istituzioni della globalizzazione, Il Mulino, Bologna, 2000.
Per quanto attiene l’interazione con il nostro ordinamento, N. Irti, L’ordine giuridico del mercato, Laterza, Bari, 1998; G. Benedetti, Il diritto comune dei contratti e degli atti unilaterali tra vivi a contenuto patrimoniale, II ed., Jovene, Napoli, 1997, spec. 146 ss. Sulla dimensione regolatoria del diritto privato europeo, si rimanda a A. Gentili, Il diritto regolatorio, in Riv. dir. banc., 2020, 23 ss.; A. Zoppini, Diritto privato vs diritto amministrativo (ovvero alla ricerca dei confini tra Stato e mercato), in Riv. dir. civ., 2013, 517 ss.; L. Nivarra, Al di là del particolarismo giuridico e del sistema: il diritto civile nella fase attuale dello sviluppo capitalistico, in Riv. crit. dir. priv., 2012., 172; Id., Diritto privato e capitalismo, ESI, Napoli, 2010.
[10] A livello europeo, «la nozione descrittiva di sostenibilità trova la sua traduzione prescrittiva nel principio dello sviluppo sostenibile (artt. 3 e 21 TUE, 11 TFUE, 37 Carta UE)», così M. Pennasilico, Economia circolare e diritto: ripensare la sostenibilità, in Pers. merc., 1, 2021, spec. 714.
[11] In merito alla c.d. «triple bottom line», si rimanda in particolare agli studi di John Elkington (cfr. J. Elkington, Towards the Sustainable Corporation Win-Win-Win Business Strategies for Sustainable Development, in California Management Review, 1, 1994, 90 ss.; Id, Cannibals With Forks: The Triple Bottom Line of 21st Century Business, Capstone, Oxford, 1997; Id, The Zeronauts: Breaking the Sustainability Barrier, London, Routledge, 2012).
[12] Tradizionalmente il mercato è concepito in quattro differenti significati: mercato come luogo, come ideologia, come istituzione e come paradigma di azione sociale. Sul punto, si rimanda a M.R. Ferrarese, Diritto e mercato. Il caso degli Stati Uniti, Giappichelli, Torino, 1992, spec. 20 ss. Per una valutazione di una prospettiva favorevole al mercato in ottica liberale e liberista si rimanda a, ex multis, M. Friedman, Efficienza economica e libertà, Vallecchi, Firenze, 1967; A.O. Hirschmann, Le passioni e gli interessi. Argomenti politici in favore del capitalismo prima del suo trionfo, Feltrinelli, Milano, 1979. Per una versione critica di questa impostazione, invece, R. Dahl, La democrazia economica, Il Mulino, Bologna, 1989; W. Röpke, Democrazia ed economia. L’umanesimo liberale nella civitas humana, Il Mulino, Bologna, 2004; J.P. Fitoussi, La democrazia e il mercato, Feltrinelli, Milano, 2004; L. Berti, Il mercato oltre le ideologie, Università Bocconi ed., Milano, 2006. Sul mercato come istituzione, su tutti, A. Sen, Etica ed economia, Laterza, Bari, 1988. Infine, in merito al mercato come paradigma d’azione, L. Von Mises, L’azione umana. Trattato di economia, Soveria Mannelli, Rubettino, 2016.
[13] Cfr. N. Lipari, Spunti per un diritto civile dell’ambiente, in Riv. dir. civ., 2, 2024, spec. 220 ss.
[14] Il richiamo è agli studi della economia comportamentale. Cfr. C.R. Sunstein, Effetto nudge. La politica del paternalismo libertario, Università Bocconi ed., Milano, 2015; R. Thaler-C.R. Sunstein, Nudge. La spinta gentile. La nuova strategia per migliorare le nostre decisioni su denaro, salute, felicità, trad. it. a cura di A. Oliveri, Feltrinelli, Milano, ult. ed., 2014. In argomento sul versante negoziale, A. Zoppini, Contratto ed economia comportamentale, in Enc. Dir., I Tematici, Giuffrè, Milano, 2022, 316 ss.; V. Roppo, “Behavioural Law and Economics”, Regolazione del mercato e sistema dei contratti, (Relazione al Convegno Oltre il soggetto razionale. Fallimenti cognitivi e razionalità limitata nel diritto privato, Università Roma Tre, 19 aprile 2013), in Riv. dir. priv., 2013, 167 ss.; A. Gentili, Il ruolo della razionalità cognitiva nelle invalidità negoziali, in Riv. dir. civ., 2013, 1105 ss. ed ivi per ulteriore bibliografia.
[15] Cfr. M. Friedmann, The Social Responsibility of Business is to Increase its Profits, in An Introduction to Business Ethics, a cura di G.D. Chrissides e J.H. Keler, International Thomson Business Press, London, 1993. Alla visione di una massimizzazione del profitto, paradigma economico in cui il ruolo del diritto è limitato alla regolazione dello scambio, si sono contrapposte posizioni marcatamente divergenti. Infatti, «la Scuola storica di economia ha disatteso il postulato del profitto come fine esclusivo, la Scuola neoclassica ha riconosciuto che spesso solo lo Stato può assicurare le condizioni per un sistema di concorrenza perfetta, la Scuola marxiana ha negato la tendenza del capitalismo all’equilibrio raccomandando la pianificazione, la scuola keynesiana ha sostenuto la necessità, per un livello ottimale, che lo Stato intervenga a sostegno della domanda, anche attraverso la diretta gestione dell’impresa», così A. Gentili, Il diritto regolatorio, in Riv. dir. banc., 2020, 26-27.
[16] Sulle implicazioni tra diritto privato e modello capitalistico, L. Nivarra, Diritto privato e capitalismo, cit., spec. 22 ss.
[17] In merito alle criticità della prospettiva di una sostenibilità economica di impresa fondata sul lungo termine ma non equilibrata con le altre confliggenti istanze (di sostenibilità sociale ed ambientale), si rimanda a M. Stella Richter jr., Long-termism, in Riv. soc., 1, 2021, 19 ss. L’A. osserva criticamente che «[l]a sostenibilità socio-ambientale non va necessariamente insieme con quella economico-finanziaria, né per riconciliare le due cose è sufficiente invocare la formula del lungo termine» (31), poiché «[.] non c’è necessaria correlazione (e tantomeno equivalenza) tra long-termism e cura degli interessi dei (diversi possibili) stakeholders» (47).
[18] «Si tratta di sciogliere il nodo gordiano che si radica nell’esigenza di garantire una tutela immediata a interessi proiettati nel futuro», così N. Lipari, Spunti per un diritto civile dell’ambiente, cit., spec. 218.
[19] Per provare a superare i complessi problemi del c.d. greenwashing, è stata approvata la Direttiva (UE) 2024/825 del 28 febbraio 2024, che modifica le direttive 2005/29/CE e 2011/83/UE per quanto riguarda la responsabilizzazione dei consumatori per la transizione verde mediante il miglioramento della tutela dalle pratiche sleali e dell’informazione. In materia e per ulteriori approfondimenti, A. Troisi, La comunicazione ambientale: il greenwashing dietro la sostenibilità, in Analisi giur. econ., 2022, 353 ss.; F. Bertelli, I green claims tra diritti del consumatore e tutela della concorrenza, in Contr. e impr., 1, 2021, 286 ss. Più in generale, C. Granelli, Pratiche commerciali scorrette: le tutele, in Enc. Dir., I tematici – Il contratto, 2021, 825 ss.
[20] Cfr. L Fait-E.D. Groh-H. Wetzel, “I take the green one”: The choice of regional green electricity contracts in the light of regional and environmental identity, in Energy policy, 2022, 163 ss.
[21] È pacifico che il contratto è lo strumento attraverso cui l’operazione economica trova concretizzazione e formalizzazione giuridica (cfr. V. Roppo, Contratto, in Trattato di diritto privato, a cura di G. Iudica e P. Zatti, II ed., Cedam, Padova, 2011).
[22] Così, N. Irti, L’ordine giuridico del mercato, cit., spec. 36.
[23] «Intergenerational justice is a specific variation of social justice and closely linked with environmental sustainability in both the theoretical discourse and practical application»; così C. Poncibò, The Contractualisation of Environmental Sustainability, in ERCL, 12, 4, 2016, spec. 339. Il tema della giustizia intergenerazionale è stato da primo affrontato da Rawls, anche nella prospettiva intra-generazionale e di giustizia sociale. (cfr. J. Rawls, A Theory of Justice, Harvard University Press, Cambridge, MA, 1971).
[24] Sul punto, autorevole dottrina ha avuto modo di affermare che l’ambiente è «il necessario contesto entro il quale è possibile leggere il modo d’essere del soggetto anche nella sua dinamica negoziale, nessun rapporto contrattuale è pensabile entro l’ottica riduttiva di una pattuizione anelastica, perché questa va necessariamente letta (e, in ipotesi, ridimensionata) in funzione delle sue ricadute non solo sui soggetti contraenti, ma anche su tutti coloro che dai riflessi di quel contratto vengono incisi o anche soltanto sfiorati». Si continua, dicendo che quando il contratto afferisca a profili ambientali, sul piano degli effetti, «deve escludersi che gli effetti di quell’atto possano essere limitati alle parti contraenti e che solo ad esse possa essere riservata la tutela riferita ai suoi effetti» (cfr. N. Lipari, Introduzione, in Benessere e regole dei rapporti civili, cit., 471 ss.). Si veda anche Id., Spunti per un diritto civile dell’ambiente, cit., spec. 215 ss.
[25] A favore di limiti positivi nel campo della autonomia privata in relazione alle esigenze di sostenibilità e di protezione dell’ecosistema A. Stevignon, Le climat et le droit des obligations, LGDJ, Paris, 2022, spec. 295 ss.; 340 ss.
[26] «La domanda essenziale è così enunciabile: se la nostra civiltà tecnica (o forse, più schiettamente, lo sviluppo delle imprese) incontri, o possa incontrare, un limite di ‘sostenibilità’» [cfr. N. Irti, Lettera aperta sul potere planetario dell’insostenibile, 1 (contributo consegnato in occasione del convegno “Dottrine generali della sostenibilità”, tenutosi presso l’Università di Viterbo il 24-26 ottobre 2024)].
[27] Non si può, d’altronde, dimenticare il paradigma dell’art. 41 Cost. e dei limiti da esso indicati che rispondono ad una esigenza conformativa del mercato ad interessi generali. In argomento, si è affermato che «la feconda indeterminatezza delle due clausole generali, l’utilità sociale e la funzione sociale, contenute negli artt. 41, comma 2, e 42, comma 2, cost., consente al legislatore una strategia conformativa dell’agire d’impresa e della proprietà orientata alla sostenibilità ambientale» (cfr. R. Bifulco-A. D’Aloia, Le generazioni future come nuovo paradigma del diritto costituzionale, in Id. (a cura di), Un diritto per il futuro. Teorie e modelli dello sviluppo sostenibile e della responsabilità intergenerazionale, Jovene, Napoli, 2008, spec. XXVI).
Inoltre, autorevole dottrina, in merito alla rilevanza degli interessi generali e della clausola di utilità sociale dell’art. 41 Cost., parlava di “contenuto” e “limite”: l’interesse di grado superiore nelle attività dei privati, non delimita soltanto «il contenuto della situazione in cui si inserisce», ma anche «il limite alla garanzia costituzionale dell’iniziativa economica privata, che è assoluta fin quando non sorga in contrasto con quegli interessi fondamentali» (cfr. M. Nuzzo, Utilità sociale e autonomia privata, rist., ESI, Napoli, 2011, spec. 83).
[28] Sul punto, si è detto che «i limiti positivi che possono essere posti all’iniziativa privata [.] appaiono essenzialmente di due tipi: a) di natura economica e sono quei condizionamenti di fatto dell’iniziativa economica [.] che tendono a caratterizzare in un certo modo il mercato[.]; b) di natura giuridica [.] che tendono a regolare e non limitare la libertà di iniziativa economica privata» (cfr. G.B. Ferri, Ordine pubblico, buon costume e teoria del contratto, cit., spec. 244).
[29] Sugli effetti nel versante civilistico della riforma costituzionale degli artt. 9 e 41, si rinvia a C. Camardi, Diritto civile e nuovi valori costituzionali. qualche suggestione da recenti riforme, cit.; M. Meli, In tema di ricadute privatistiche della riforma degli artt. 9 e 41 Cost., in Riv. crit. dir. priv., 2022, 549 ss.; E. Pellecchia, Ambiente, generazioni future, imprese sostenibili: riflessioni a margine della modifica degli artt. 9 e 41 Cost., in Riv. dir. agrario, 2022, 71 ss. Sulla distinzione tra interesse ambientale incomprimibile e comprimibile, si rimanda alle osservazioni contenute in M. Pennasilico, Ambiente ed iniziativa economica: quale “bilanciamento”, in NLCC, 1, 2024, spec. 70 ss.
[30] M. Pennasilico, Sviluppo sostenibile, legalità costituzionale e analisi “ecologica” del contratto, in Pers. merc., 1, 2015, spec. 46.
[31] Si rimanda alle proposte argomentative fornite in M. Pennasilico, Sviluppo sostenibile e “contratto ecologico”: un altro modo di soddisfare i bisogni, in Rass. dir. civ., 4, 2016, 1291 ss.; Id., Contratto e uso responsabile delle risorse naturali, in Rass. dir. civ., 3, 2014, 767 ss.; Id., L’uso responsabile delle risorse naturali e il “contratto ecologico”, in Id., Manuale di diritto civile dell’ambiente, ESI, Napoli, 2014, 166 ss.
[32] Per una potenziale categorizzazione, in questi termini, del contratto sostenibile, M. Giorgianni, Il contratto «sostenibile». Riflessioni attorno a una categoria controversa, in Comp. dir. civ., 2, 2021, 755 ss.
[33] Si condividono, pertanto, le osservazioni critiche secondo cui «il fatto che il diritto dell’ambiente sia una legislazione in magna pars per principi e che questi vestano poi i panni di vere e proprie norme di condotta non scompagina di per sé il contratto come autoregolamento di privati interessi: almeno ogni qual volta il valore «ambiente» [.] sia riprodotto in una norma imperativa pre-costruttiva della regola contrattuale sub artt. 1339 e 1419, comma 2, cod. civ. 10, costituisca la (discussa) ratio di nullità testuali ex art. 1418, comma 3o, sul genere per intendersi degli artt. 46, comma 1o, d.p.r. 6.6.2001, n. 380 e 10 l. 21.11.2000, n. 353, sia per finire trasfuso nel limite dell’ordine pubblico»; così S. Pagliantini, Sul c.d. contratto ecologico, in NGCC, 2, 2016, spec. 338).
[34] «Il rilievo centrale che l’ordinamento italo-europeo riconosce alla tutela dell’ambiente e allo sviluppo sostenibile tende a “funzionalizzare” il rapporto tra contratto e diritto dell’ambiente: il primo diventa funzionale alla realizzazione degli obiettivi del secondo, con conseguenze rilevanti anche sul piano dell’interpretazione e dell’integrazione del regolamento contrattuale»; così M. Pennasilico, Sviluppo sostenibile e “contratto ecologico”: un altro modo di soddisfare i bisogni, cit., spec. 1304.
[35] Lo stesso Autore, in altro scritto, ha proposto, in aggiunta, di sollecitare criteri di interpretazione ecologicamente orientati ai bisogni di sostenibilità (cfr. M. Pennasilico, Contratto e promozione dell’uso responsabile del-le risorse naturali: etichettatura ambientale e appalti verdi, in Benessere e regole dei rapporti civili, cit., spec. 259 ss.).
[36] Con il corollario che il contratto è oggi «è fonte non semplicemente di rapporti giuridici patrimoniali, ma di rapporti giuridici patrimoniali sostenibili» (cfr. M. Pennasilico, Ambiente e mercato, in Manuale di diritto civile dell’ambiente, cit., spec. 166). In questa direzione si è detto che il «contratto «sostenibile» si inserisce in una diversa visione, in linea con la funzione sociale del diritto privato, che poggia non tanto sui diritti, quanto piuttosto sui «doveri sociali e ambientali» delle parti fra loro e verso l’intera comunità e intende assegnare una «finalità redistributiva» ai rapporti contrattuali», così M. Giorgianni, Il contratto «sostenibile» nel contesto del Green Deal europeo, in Corso interdisciplinare “Scienze delle sostenibilità”, a cura di L. de Santoli, F. Manes, G. Senatore, Sapienza Università, Roma, 2022, spec. 68.
[37] L’orientamento del presente studio tende ad opporsi a considerazioni come quella secondo cui «la nozione stessa di contratto (art. 1321 c.c.) è insufficiente, se non integrata dai principi di solidarietà e di sostenibilità nell’uso responsabile delle risorse naturali, sì che il contratto oggi è fonte non semplicemente di rapporti giuridici patrimoniali, ma di rapporti giuridici patrimoniali sostenibili» (cfr. M. Pennasilico, Sviluppo sostenibile e “contratto ecologico”: un altro modo di soddisfare i bisogni, cit., spec. 1306). Come l’Autore spiega «il “contratto ecologico” è, dunque, strumento elettivo nella costruzione di un’altra economia, un’economia “circolare” e “della condivisione”, solidale e sostenibile, nella quale il consumatore o l’utente non chiede semplicemente un bene o un servizio, ma attraverso quel bene o quel servizio, dal quale dipende la qualità della vita non soltanto attuale ma anche futura, chiede di vivere attivamente un’esperienza, di sperimentare una relazione negoziale equa, di instaurare un’interazione sociale e ambientale autentica» (1322). Puntualizzazioni corrette ma che non necessariamente impongono una nuova categoria del contratto. L’impianto codicistico, infatti, ha saputo affrontare già in passato sfide e cambiamenti rilevanti e si mostra, anche in questo caso, capace di poter accogliere anche le influenze e trasformazioni connesse al cambiamento climatico ed alla sostenibilità.
[38] Favorevoli ad una simile ricostruzione, N. Lipari, Spunti per un diritto civile dell’ambiente, cit., spec. 221 ss.; M. Libertini, Gestione “sostenibile” delle imprese e limiti alla discrezionalità imprenditoriale, in Contr. impr., 1, 2023, 72 ss., 78 ss. Quest’ultimo ritiene, difatti, che «la tutela dell’ambiente è indicata come avente un immediato valore di principio giuridico vincolante, e come tale dovrà essere presa in considerazione anche nell’applicazione delle clausole generali contenute nella legislazione. Potrà dunque essere richiamata [.] nella ricostruzione della nozione di ordine pubblico economico [.]» (spec. 72). Sulla nascita del concetto di ordine pubblico economico, si rimanda, anche per ulteriori sviluppi e riferimenti, a G. Farjat, L’ordre public èconomique, Librairie Gènèrale de droit e de jurisprudence, Paris, 1963. Una prima analisi sul concetto dell’ordre public économique nell’ambito del contratto illecito del codice civile francese, in relazione alle prime tendenze del modello economico capitalistico, è presente G. Ripert, Aspects juridiques du capitalisme moderne, Librairie Générale de Droit et de Jurisprudence, Paris, 1946, spec. 238 ss.; Id., Le Régime démocratique et le droit civil moderne, Librairie Générale de Droit et de Jurisprudence Paris, 1948, 257 ss.). Per una panoramica dell’esperienza della prima dottrina francese, A. Angelini, Ordine pubblico economico e costituzione economica: l’esperienza francese, in Studi parlam., 1999, 101 ss. Una prima posizione critica nella nostra dottrina sulla declinazione economica della clausola di ordine pubblico nella duplice prospettiva di protezione e direzione si rinviene in G. B. Ferri, L’ordine pubblico economico (a proposito di una recente pubblicazione), in Riv. dir. comm., I, 1963, 494 ss. Già favorevoli, invece, ad una simile ricostruzione della categoria, seppur in contesti applicativi differenti, M. Bessone, Economia del diritto ed ordine pubblico economico a tutela dei consumatori, in Giur. it., 4, 1984, 92 ss.; P. Rescigno, In pari causa turpitudinis, Cedam, Padova, 1966, 197 ss. Per una analisi dell’attuale conformazione dell’ordine pubblico economico, A. Federico, Illiceità contrattuale e ordine pubblico economico, II ed., Giappichelli, Torino, 2018.
Non si può, d’altronde, dimenticare il paradigma dell’art. 41 Cost. e dei limiti da esso indicati che rispondono ad una esigenza conformativa del mercato ad interessi generali. Per un approfondimento sul rapporto tra limite espresso dall’ordine pubblico c.d. ecologico e regole positive che incidono sulla formulazione del regolamento contrattuale, A. Stevignon, Le climat et le droit des obligations, LGDJ, Paris, 2022, spec. 290 ss.
[39] Sulla tutela ambientale non come limite all’attività privata ma come «fondamento positivo di un intero sistema di rapporti», N. Lipari, Ancora su persona e mercato, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2014, 430 ss. Sui limiti (positivi e negativi) all’attività d’impresa, M. Libertini, Gestione “sostenibile” delle imprese e limiti alla discrezionalità imprenditoriale, cit., 54 ss.
[40] Si richiama il concetto di diritto come “struttura conformatrice”, ovvero «insieme di norme che conferisce ad un mercato (e non al mercato, in senso naturale e universale) la sua propria e storica fisionomia» (N. Irti, L’ordine giuridico del mercato, cit., spec. 38).
[41] Per uno studio dettagliato dei profili tecnico-applicativi delle diverse (e più recenti) ipotesi di clausole contrattuali, si rimanda a M. Confortini (a cura di), Clausole negoziali. Profili teorici e applicativi di clausole negoziali tipiche e atipiche, vol. III, ult. ed., Utet, Milano, 2024.
[42] Si è messo in rilievo che queste clausole possono essere sia direttamente inglobate all’interno del regolamento contrattuale sia essere previste in altri documenti o testi ad esso riferibili e collegati. Si è detto, sul punto, che esse «appear in a contractual provision or by reference to another document such as standard terms and conditions, codes of conduct, internal policies, global or domestic initiatives concerning social corporate responsibility»; così C. Poncibò, op.cit., spec. 346.
[43] Simili clausole (le cc.dd. sustainability contractual clauses) sono da considerarsi come «provisions in business contracts that cover social and environmental issues which are not directly connected to the subject matter of the specific contract» (cfr. K.P. Mitkidis, Sustainability Clauses in International Supply Chain Contracts: Regulation, Enforceability and Effects of Ethical Requirements, in Nordic Journal of Commercial Law, 2014, spec. 5).
[44] Sia, ovviamente, ben chiaro che sempre più spesso gli obiettivi di sostenibilità sono proprio parte dell’oggetto stesso del contratto. Sul ricorso a clausole contrattuali che positivizzano obiettivi di sostenibilità, già The Institute of Commercial Law and International Association for Contract and Commercial Management, Triple Bottom Line: The Use of Sustainability and Stabilization Clauses in International Contracts, Pace University, New York, 2011.
[45] La funzione del contratto, si è sostenuto, «si evolve dalla tradizionale funzione di scambio o circolazione di beni individuali a quella di godimento e gestione condivisa di beni comuni» (cfr. M. Pennasilico, Sviluppo sostenibile e “contratto ecologico, cit., spec. 1305). Sul ruolo del contratto nella gestione dei cc.dd. beni comuni, tra cui l’ambiente, A. Nervi, Beni comuni e ruolo del contratto, in Rass. dir. civ., 2014, 180 ss.
[46] A riguardo si veda K.P. Mitkidis, Using Private Contracts for Climate Change Mitigation, in GroJIL, 2, 2014, spec. 75 ss.; Id., Enforcement of sustainability clauses in supply chains by third parties, in Law and Responsible Supply chain Management, a cura di V. Ulfbeck, A. Andhov e K. Mitkidis, Routledge, Londra, 2019, 65 ss.
[47] In merito alle prestazioni cc.dd. sostenibili ed alla loro natura patrimoniale, si veda S. Pagliantini, Sul c.d. contratto ecologico, cit., spec. 343. L’Autore denota che il «contratto il quale, se da un lato è percorso da un valore non patrimoniale che talora ne indirizza la funzione, dall’altro, col fatto di operarne una sussunzione incipiente, nella sostanza lo patrimonializza». In senso diametralmente opposto M. Pennasilico, Contratto e uso responsabile, cit., 768 ss.; Id., Sviluppo sostenibile e “contratto ecologico, cit., spec. 1306 ss.
[48] Cfr. S. Landini, Clausole di sostenibilità nei contratti tra privati. Problemi e riflessioni, in Dir. pub., 2, 2015, spec. 626.
[49] C. Pilia, Contractual autonomy and new green economy, in CEDR-JRL, 1, 2021, spec. 13 ss.
[50] Per una analisi dettagliata di questa tipologia contrattuale e delle clausole solitamente previste, si rimanda a P. Mastromarini-G. Bernardini, Il contratto di vendita dell’energia elettrica (Power Purchase Agreement), in L. De Matteis (a cura di), I contratti tipici nel settore delle energie rinnovabili, Cedam, Padova, 2022, 225 ss.
[51] Sul punto, la comunicazione della Commissione, «Contribuire allo sviluppo sostenibile: il ruolo del commercio equo e solidale e dei programmi non governativi in ambito commerciale a garanzia della sostenibilità» già considerava il commercio equo e solidale come strumento di mercato estremamente utile «nel dare risalto a questioni quali la responsabilità e la solidarietà, producendo un impatto su altri operatori e generando altri sistemi di sostenibilità» [cfr. Commissione UE, COM(2009) 215, 5]. Su questo indirizzo le politiche dell’Unione sono sempre state più attente a questo aspetto del mercato sostenibile. In merito ai «gruppi di acquisto solidale», M. Pennasilico, Sviluppo sostenibile e “contratto ecologico, cit., spec. 1314 ss.
[52] Le Nazioni Unite avevano già sollecitato, a livello internazionale, una maggiore attenzione da parte del settore industriale alle esigenze di sostenibilità sul piano dei contratti di filiera e dei codici di condotta (cfr. UN Global Compact Office and Business for Social Responsibility, Supply Chain Sustainability: A Practical Guide for Continuous Improvement, New York, 2010). Da ultimo, la Direttiva europea sulla rendicontazione non finanziaria (nota anche come Supply Chain Act) impone nuovi obblighi di valutazione dei rischi ambientali e sociali per l’intera catena di fornitura (Direttiva (UE) 2022/2464 del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 dicembre 2022 che modifica il regolamento (UE) n. 537/2014, la direttiva 2004/109/CE, la direttiva 2006/43/CE e la direttiva 2013/34/UE per quanto riguarda la rendicontazione societaria di sostenibilità).
[53] In argomento, F. Cafaggi, Regulation through contracts: Supply-chain contracting and sustainability standards, in ERCL, 12(3), 2016, 218 ss.
[54] Un settore che si è dimostrato ricettivo delle nuove esigenze di sostenibilità anche in ambito contrattuale è quello della filiera agro-alimentare. I contratti del mercato agro-alimentare sono sempre più permeati di valori, indici e clausole di sostenibilità, rendendoli un particolare ed interessante caso di studio ai fini delle prospettive qui assunte. Per una valutazione dell’attuale assetto del mercato agroalimentare (sostenibile), si rimanda a S. Manservisi, Verso un uso sostenibile dell’energia, il miglioramento dell’efficienza energetica e la creazione di modelli di produzione di consumo sostenibili anche nel settore alimentare, in Riv. dir. agr., 2017, 297 ss.; M. Mauro, Contratti della filiera agroalimentare: squilibrio ed effettività dei rimedi, in Pers. merc., 2016, 17 ss.; M. Tamponi, Proprietà e green economy: diritto dominicale, ambiente e risorse naturali, in Dir. agroalim., 2016, 431 ss.; A. Jannarelli, Cibo e diritti. Per un’agricoltura sostenibile, Giappichelli, Torino, 2015.
[55] La sostenibilità nel campo del tessile è stata incentivata dalla «Strategia dell’UE per prodotti tessili sostenibili e circolari» del 30 marzo 2022 (cfr. COM(2022) 141 final).
[56] Cfr. S. Landini, op. cit., spec. 612. Sul tema, si richiama anche B. Lomfeld, Sustainable contracting: How standard terms could govern markets, in Reshaping Markets: Economic Governance, the Global Financial Crisis and Liberal Utopia, a cura di B. Lomfeld, A. Somma e P. Zumbansen, Cambridge University Press, Cambridge, 2016, spec. 265). Sulla natura “mista” comprensiva di interessi della collettività e di aspetti personalistici delle parti contrattuali, C. Poncibò, op. cit., 346 ss.
[57] In merito al superamento del principio di relatività nel segno del c.d. contratto sostenibile, M. Giorgianni, Climate Change e analisi ecologica del diritto. L’apporto del comparatista all’emergenza climatica, in BioLaw Jour., 2, 2023, 96 ss.
[58] «La logica dell’impresa è la logica del profitto: essa è stata concepita e costruita in funzione di questo scopo: il quale, appunto, ne determina la struttura e ne governa il funzionamento» (cfr. N. Irti, Lettera aperta sul potere planetario dell’insostenibile, cit., 2). L’A. ritiene che le due logiche (“del profitto e della salvezza ecologica”) non possono coesistere salvo che non si muti lo scopo stesso dell’attività di impresa (7-8). A fianco di ciò, si registra l’espansione di imprese sensibili a obiettivi di sviluppo sostenibile e di inclusione sociale, sia per scelte volontarie sia soprattutto per obblighi di legge. Per un approfondimento sul tema del rapporto tra attività di impresa e obiettivi etici e sostenibili, G. Conte, L’impresa responsabile, Giuffrè, Milano, 2016; M. Libertini, Impresa e finalità sociali. Riflessioni sulla teoria della responsabilità sociale dell’impresa, in Riv. soc., 2009, 1 ss.; V. Buonocuore, Etica degli affari e impresa etica, in Giur. comm., I, 2004, 181 ss.; S. Janjuha-Jivraj, The Sustainability of Social Capital within Ethnic Networks, in Journ. Bus. Ethics, 2003, 31 ss.; H.J. L. Van Luijk, Business Ethics in Western and Northern Europe: A Search for Effective Alliances, in Journ. Bus. Ethics, 1997, 1579 ss.
[59] Per una analisi più generale sul rapporto tra prassi economica e norme imperative di mercato, L. Rossi Carleo, Il mercato tra scelte volontarie e comportamenti obbligatori, in Eur. dir. priv., 2008, 157 ss.
[60] In questa ottica, si è parlato di un diritto contrattuale orientato alla sostenibilità («‘sustainability adjusted’ contract law») in cui i paradigmi e obiettivi diventano elementi intrinseci del regolamento contrattuale («[.] we mean a contract law in which, the pursuance of sustainability goals is regarded as one of the ordinary tasks of contract law»). Cfr. V. Ulfbeck-O. Hansen, Sustainability Clauses in an unsustainable Contract Law?, cit., spec. 192.
[61] Per un più accurato approfondimento si rimanda a M. Cian, Clausole statutarie per la sostenibilità dell’impresa: spazi, limiti e implicazioni, in Riv. soc., 2-3, 2021, 475 ss.; M. Stella Richter jr., Long-termism, cit., spec. 24 ss.; Id., Il “successo sostenibile” del codice di corporate governance e le possibili modificazioni statutarie conseguenti, in Vita not., 2, 2021, 739 ss.; S.A. Cerrato, Appunti per una via italiana all’ESG. L’impresa costituzionalmente solidale (anche alla luce dei nuovi artt. 9 e 41, comma 3, Cost.), in An. giur. econ., 1, 2022, 67 ss.; U. Tombari, Riflessioni sullo «statuto organizzativo» dell’«impresa sostenibile» tra diritto italiano e diritto europeo, ivi, 135 ss.
[62] Nell’orientamento del Comitato Interregionale dei Consigli Notarili delle Tre Venezie, si legge che queste clausole sono «tutte le clausole statutarie che costituiscono espressione di ideali collettivi, valori sociali e principi etici, quali la protezione dell’ambiente, la promozione del lavoro, la cura e il benessere dei dipendenti e della collettività, e in generale di un impegno di salvaguardia dei diversi interessi non economici implicati nell’attività di impresa» (Comitato Interregionale dei Consigli Notarili delle Tre Venezie, Orientamenti societari, ESG e clausole di sostenibilità, 2023, A.B. 1, consultabile online al link: www.notaitriveneto.it).
[63] Cfr. M. Stella Richter jr.-M.C. Sertoli, Tendenze e prospettive delle società benefit, in An. giur. econ., 1, 2022, 213 ss.
[64] Cfr. A. Pisani Tedesco, Strumenti privatistici per la sostenibilità ambientale e sociale, Giappichelli, Torino, 2024, spec. 14 ss.
[65] Si tratterebbe di vincoli societari inammissibili rispettato al dettato dell’art. 2247 cod. civ. in tema di contratto di società.
[66] «Quanto ai limiti, sono determinati dalla possibilità di operare, per questa via, solo sul piano del perimetro dell’iniziativa economica e talvolta di operare esclusivamente in termini negativi [.]senza poter invece tenere conto degli interessi degli stakeholders che si manifestano su piani diversi» (M. Cian, Clausole statutarie per la sostenibilità dell’impresa: spazi, limiti e implicazioni, cit., spec. 489).
[67] Comitato Interregionale dei Consigli Notarili delle Tre Venezie, Orientamenti societari, cit.
[68] Si tratta di clausole di etero-destinazione degli utili, la cui legittimità è sottoposta alla condizione che le somme etero-destinate ad obiettivi di sostenibilità siano secondarie ed inferiori rispetto alla quota auto-destinata all’attività di impresa. Sui limiti delle quote di etero-destinazione degli utili, Cass. civ., sez. I, 11 dicembre 2000, n. 15599, in Foro It., 2001, fasc. 1, 1932, con nota di L. Nazzicone.
[69] Queste clausole mirano ad indirizzare la mission aziendale oltre ai fini tradizionalmente previsti ed a favore di obiettivi sostenibili. Sul punto e sulla possibilità di ricavare profitto perseguendo il paradigma della sostenibilità, C. Mayer, Prosperity. Better business makes the greater good, Oxford University Press, Oxford, spec. 109 ss. (trad. it. Prosperità. Dal profitto al benessere, Ayros, Milano, 2021). In senso più critico, U. Tombari, Corporate purpose e diritto societario: dalla “supremazia degli interessi dei soci” alla libertà di scelta dello “scopo sociale”?, in Riv. soc., 1, 2021, 6 ss.; G. Ferrarini, An Alternative View of Corporate Purpose: Colin Mayer on Prosperity, ivi, 1, 2020, 37 ss.
[70] Introducono forme di valutazione periodica delle performance aziendali da parte di esperti esterni indipendenti con meccanismi premiali in base ai risultati ottenuti in ambito sociale e ambientale.
[71] Esse prevedono l’inserimento di specifici requisiti etici o sostenibili per l’assunzione di nuove partecipazioni sociali.
[72] Poste Italiane S.p.A. ha avviato il progetto “Insieme 24 SI” che prevede forme di coinvolgimento diretto di stakeholder e soggetti interessati per la promozione di idee condivise in campo ESG (cfr. www.posteitaliane.it).
[73] Direttiva (UE) 2024/1760 del 13 giugno 2024, relativa al dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità e che modifica la direttiva (UE) 2019/1937 e il regolamento (UE) 2023/2859). In particolare, infatti, la direttiva, che offre un’ampia definizione di stakeholder al par. 1, lett. n dell’art. 1, prescrive attività di consultazione e confronto con i soggetti portatori di interessi, a norma di quanto disposto dall’art. 13 (rubricato come “Dialogo significativo con i portatori di interessi”). I portatori di interessi divengono, in questo modo, soggetti titolari di specifici diritti aventi rilevanza nell’ambito delle relazioni aziendali. Sul tema, G. Bevivino, Nuovi inputs euro-unitari. La sostenibilità come ponderazione normativa degli interessi di share-holders e stakeholders, in An. giur. econ., 1, 2022, 115 ss.
[74] L’approvazione di clausole statutarie sostenibili tipiche dovrà avvenire entro il 26 gennaio 2027 ed è finalizzata ad elaborare schemi contrattuali per la prevenzione, l’arresto e la riparazione degli effettivi negativi dell’attività di impresa.
[75] Come già messo in rilievo in K. Peterková, Purpose of sustainability contractual clauses, in Trends and future of sustainable development, a cura di H. Lakkala e J. Vehmas, Finland Futures Research Centre, University of Turku, 2013, spec. 371 ss.
[76] Le clausole convenzionali di recesso e le clausole risolutive espresse possono essere attivate quando una delle parti contrattuali non rispetta i principi etici, gli standard di sostenibilità o le prestazioni ecologiche stabiliti.
[77] Nella prassi bancario-finanziaria, si ricorre spesso a clausole che prevedono penalità a carico della parte inadempiente laddove non siano rispettati specifici standard di sostenibilità dal contratto. Si pensi alla clausola penale per mancato adempimento di obiettivi di efficientamento energetico che prevede sanzioni pecuniarie o aumento dei tassi di interesse nel caso di contratto di finanziamento.
[78] Cfr. L. Miller, ‘Ethical Clauses’ in Global Value Chain Contracts: Exploring the Limits of Freedom of Contract, in Contents of Commercial Contracts: Terms Affecting Freedoms, a cura di P.S. Davies e M. Raczynska, Hart Publishing, Oxford, 2020,. 163 ss.
[79] Sulla efficacia dei patti di stabilità nella contrattazione di filiera, si rimanda a F. Pistelli, Efficacia e opponibilità dei patti di sostenibilità, in Nuovo dir. civ., 1, 2014, 93 ss. e ivi per ulteriori approfondimenti.
[80] Cfr. M. Pennasilico, Sviluppo sostenibile e “contratto ecologico, cit., spec. 1316. In argomento, si rimanda a V. Cappelli, Contratto e principio dello sviluppo sostenibile. Il caso degli “Energy Performance Contracts”, in Riv. quadr. dir. amb., 3, 2019, 18 ss.; M.G. Cappiello, Contratto di rendimento energetico e tutela dei terzi, in Riv. quadr. dir. amb., 2, 2018, 34 ss.; L. Parola-T. Arnoni-S. Granata, I contratti di efficienza energetica. Profili regolamentari e prassi, in Contratti, 2015, 517 ss.; M. Maugeri, Il contratto di rendimento energetico e i suoi «elementi minimi», in NGCC, II, 2014, 420 ss.
[81] Forme di auto-controllo nell’ambito dei contratti di impresa sono ben note alla prassi e solitamente prevedono «clausole che consentono e addirittura impongono ai contraenti, periodicamente o una tantum, la verifica dei risultati conseguiti rispetto ad un predeterminato programma; e altre che prevedono il progressivo ed automatico adeguamento di elementi giuridici o economici dell’intesa» (cfr. V. Pescatore, Forme di controllo, rapporti tra imprenditori e ordine pubblico economico, in Obb. cont., 3, 2012, spec. 167). Più in generale, sul tema, N. Irti, Due temi di governo societario (responsabilità «amministrativa» – codici di autodisciplina), in Giur. comm., I, 2003, 693 ss.
[82] S. Landini, op. cit., spec. 62.
[83] Si pensi alle novità introdotte dalla Direttiva (UE) 2024/1275 sulla prestazione energetica nell’edilizia. Secondo la direttiva, entro il 2030 tutte le nuove costruzioni edilizie nel territorio dell’Unione dovranno essere a “zero emissioni”, mentre entro il 2050 dovranno adeguarsi tutti gli edifici (pubblici e privati). a
[84] In merito ai contratti di mobilità urbana sostenibile, D. A. Hensher, The case for negotiated contracts under the transition to a green bus fleet, in Transportation Research – Part A, 2012, 255 ss.
[85] Nel dettaglio, come si legge, si vuole promuovere il ricorso a questi nuovi assetti contrattuali (cfr. «to promote social responsibility in its value chain, an organization should: integrate ethical, social, and environmental and gender equality criteria, and health and safety, in its purchasing, distribution and contracting»; ISO 26000, par. 6.6.6.2).
[86] Una ricostruzione in merito a target di sostenibilità nei contratti di finanziamento alle imprese è rinvenibile in A. Chiloiro, ESG e sostenibilità nelle operazioni di finanziamento all’impresa, in An. giur. econ., 1, 2022, 263 ss.
[87] È da farsi una precisazione: le clausole di destinazione a vincoli di sostenibilità inserite all’interno dei contratti di mutuo sono da distinguersi dai c.d. green loan, ovvero operazioni di finanziamento totalmente destinate a progetti ecologici e sostenibili. La fetta di mercato dei mutui verdi sta ampliandosi notevolmente a livello internazionale e sono stati elaborati diversi documenti di soft-law che stabiliscono principi generali di queste specifica fattispecie contrattuale. Tra i recenti interventi, APLMA, LMA, LSTA, Green Loan Principles, febbraio 2023 (disponibile online www.lsta.org). In generale sui contratti di mutuo verdi, per un’analisi comparativa, si rimanda a P. de Gioia Carabellese-S. Davini, Contratti di finanziamento internazionale e clausole di sostenibilità ambientale, anche nel common law inglese, in Amb. dir., 3, 2022, spec. 4 ss.
[88] Sulla c.d. libertà economica, M. Libertini, Sulla nozione di libertà economica, in Contr. e impr., 4, 2019, 1255 ss. Per una analisi generale della questione, si rimanda a P. Barile, Il soggetto privato nella Costituzione italiana, Cedam, Padova, 1953, spec. 241 ss.; F. Santoro Passarelli, L’autonomia dei privati nel diritto dell’economia, in Dir. econ., 1956, 1213 ss. e L. Ferri, Autonomia privata, libera iniziativa economica e programmazione, in Arch. giur., 1968, 233 ss. Per una ricostruzione favorevole all’ esistenza nel nostro sistema di un fondamento costituzionale dell’autonomia privata, P. Barcellona, Diritto privato e processo economico, ESI, Napoli, 1973, spec. 235 ss.; O. Prosperi, Forme complementari e atto recettizio, in Riv. dir. comm., I, 1976, 197 ss.; G. Benedetti, Il diritto comune dei contratti e degli atti unilaterali tra vivi a contenuto patrimoniale, II ed., Jovene, Napoli, 1997, spec. 126 ss. Per una posizione, invece, critica sul tema, F. Gazzoni, Atipicità del contratto, giuridicità del vincolo e funzionalizzazione degli interessi, in Riv. dir. civ., I, 1978, 93 ss.; L. Mengoni, Autonomia privata e costituzione, in Id., Metodo e teoria giuridica, vol. I, a cura di C. Castronovo, A. Albanese e A. Nicolussi, Giuffrè, Milano, 2011, 101 ss.
[89] Cfr. M. Pennasilico, La “sostenibilità ambientale” nella dimensione civil-costituzionale: verso un diritto dello “sviluppo umano ed ecologico”, in Riv. quad. dir. amb., 3, 2020, 43 ss.
[90] Esempio di questa contraddizione è il “caso Ilva”, dove le esigenze ambientali e di salute pubblica trovavano nella libertà di impresa un antagonista di pari forza (costituzionale). Gli esiti della celebre sentenza della Corte costituzionale, che ha respinto i dubbi di legittimità sul d.l. 3 dicembre 2012, n. 207 (c.d. decreto “salva Ilva”, convertito con modifiche in legge 24 dicembre 2012, n. 231) ed ha messo in evidenza la naturale tensione tra esigenze produttive e bisogni ecologici, non hanno risolto definitivamente i problemi di bilanciamento qui considerati (cfr. Corte cost. 9 maggio 2013, n. 85, in Foro it., 2014, I, 441 ss., con nota di R. Romoli). Per approfondimenti, C. Romeo-A.V. Salamino, Bilanciamento tra tutela della salute e sviluppo economico: il caso Ilva, in Giur. it., 2019, 2228 ss.; M. Odoni, Il caso “Ilva” davanti alla Corte europea dei diritti umani: tutela “par ricochet” dell’ambiente o tutela “par double ricochet” della salute pubblica?, in Diritti umani e diritto internazionale, 17 ss.; A. Consiglio, Cambiamento climatico, ambiente e impresa sostenibile: un approfondimento sul caso Ilva, in Labour & Law Issues, 2022, 36 ss. In merito al giudizio di bilanciamento tra interessi relativi all’attività di impresa e istanze di sostenibilità ambientale si rinvia a M. Renna, Attività di impresa, sostenibilità ambientale e bilanciamento tra diritto alla salute e iniziativa economica privata, in Contr. impr., 2, 2022, 538 ss.
[91] «Il concetto di sviluppo sostenibile porterebbe a pensare non in una logica di gerarchia dei valori e dei principi, ma in una logica di complessità di valori e principi che devono trovare un coordinamento secondo il criterio ordinante della proporzionalità» (cfr. S. Landini, op. cit., spec. 618).
[92] In questo senso, M. Luciani, Diritti sociali e livelli essenziali delle prestazioni pubbliche nei sessant’anni della corte costituzionale, in Rivista AIC, 3, 2016, 13. In particolare, l’Autore ritiene che «il bilanciamento dovrebbe farsi fra entità omogenee. Non si dovrebbe bilanciare, dunque, direttamente fra diritti sociali ed esigenze di bilancio, bensì fra diritti sociali e diritti sociali [.]; qualora questo non fosse tecnicamente possibile e si procedesse a bilanciare direttamente le ragioni finanziarie e quelle dei diritti sociali il bilanciamento in questione dovrebbe essere “ineguale”, nel senso che l’efficienza economica deve comunque cedere, ancorché nei limiti del rispetto dei comuni princìpi di proporzionalità e non-eccessività». Sui profili più strettamente ecologici, M. Pennasilico, Ambiente ed iniziativa economica: quale “bilanciamento”, cit., spec. 70 ss. e 83 ss.
[93] Come si usa dire la sostenibilità ha un costo (cfr. H. Sanderson, Il prezzo della sostenibilità. Vincitori e vinti nella corsa globale all’auto elettrica, trad. it., Post ed., Padova, 2023). In generale, sui costi transattivi legati alla contrattazione tra imprese, si rimanda per approfondimenti a R. Cooter-U. Mattei-P.G. Monateri-R. Pardolesi-T. Ulen, Il mercato delle regole. Analisi economica del diritto civile, I e II, Il Mulino, Bologna, 1999, 151 ss.
[94] Il contratto si mostrerebbe, così, come strumenti incapace di guidare la transizione verde a causa dei costi economici e sociali troppo elevati. Sul contratto come strumento “incompleto” di allocazione dei costi transattivi, per una valutazione generale si rinvia a A. Schwartz-R. Scott, Contract Theory and the Limits of Contract Law, in Yale Law Journal, 2003, spec. 594 ss.; D. Friedman, L’ordine del diritto. Perché l’analisi economica può servire al diritto, Il Mulino, Bologna, 2004, spec. 305 ss.; G. Bellantuono, I contratti incompleti nel diritto e nell’economia, Cedam, Padova, 2000; A. Fici, Il contratto «incompleto», Giappichelli, Torino, 2005.
[95] A proposito del problema della “misura della sostenibilità” si rinvia alle lucide osservazioni contenute in N. Irti, Lettera aperta sul potere planetario dell’insostenibile, cit. In particolare, L’A. nel domandarsi «[.] chi e come accerta il grado di sostenibilità? chi e come lo impone alle attività economiche?» ritiene indispensabile l’individuazione di una “tecnica del misuratore” («la tecnica serve a misurare la sostenibilità, e dunque a segnare il confine tra il permesso e il vietato[.]»,9) e di un “soggetto impositore” (un c.d. potere planetario).
[96] In materia ambientale il diritto «si trova di fronte ad interessi contrapposti – generalmente l’interesse individuale allo svolgimento di una determinata attività e l’interesse della collettività a restare indenne dalle conseguenze nocive di quella attività – e deve determinare le linee di risoluzione del conflitto assegnando un ordine di rilevanza ai diversi interessi» (cfr. S. Patti, La tutela civile dell’ambiente, Cedam, Padova, 1979, spec. 4).
[97] Sui rischi di una funzionalizzazione “sostenibile” dell’attività di impresa, S.A. Cerrato, Appunti per una via italiana all’ESG. L’impresa costituzionalmente solidale (anche alla luce dei nuovi artt. 9 e 41, comma 3, Cost.), cit., 67 ss.; P.M. Sanfilippo, Tutela dell’ambiente e “assetti adeguati” dell’impresa: compliance, autonomia ed enforcement, in Riv. dir. civ., 2022, 993 ss.
[98] Cfr. N. Irti, Lettera aperta sul potere planetario dell’insostenibile, cit., 8 ss.
[99] In riferimento ai profili connessi ad un bilanciamento “equiponderale” di interessi tradizionalmente antagonisti si rimanda a M. Pennasilico, Ambiente ed iniziativa economica: quale “bilanciamento”, cit., 49 ss.
[100] A queste conclusioni, giunge la Corte costituzionale nella citata sentenza sul “caso Ilva”. La Corte ritiene, infatti, che vada raggiunto «ragionevole bilanciamento» tra i vari diritti fondamentali (nel caso di specie, diritto alla salute e diritto di iniziativa economica privata), i quali devono rapportarsi in un dialogo di integrazione reciproca, per evitare che uno di essi possa espandersi a tal punto da divenire «“tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona» (cfr. Corte cost. 9 maggio 2013, n. 85, cit., § 9). Conclusioni lievemente sconfessate nella sentenza successiva della Corte costituzionale (cfr. Corte cost. 9 maggio 2013, n. 85, n. 58, con nota a commento, Cavanna, Vicenda Ilva e bilanciamento dei diritti fondamentali: nota alla sentenza della Corte Costituzionale n. 58/2018, in Ambiente & sviluppo, 2018, 385 ss.) nella quale il diritto alla vita ed alla salute non possono essere posti sullo stesso piano di interessi meramente economici.
[101] Il punto di compromesso va ricercato in un approccio antropocentrico. Antropocentrismo da intendersi non solo nella sua dimensione sociale ed intergenerazionale, ma anche nella prospettiva individualista e mercantile tipica dello sviluppo umano. Impostazione accolta, seppur attraverso un criterio di primazia ecologica, da ultimo, in M. Pennasilico, Ambiente ed iniziativa economica: quale “bilanciamento”, cit., 86 ss.; Id., La transizione verso il diritto dello sviluppo umano ed ecologico, in A. Buonfrate-A. Uricchio (a cura di), Trattato breve di diritto dello sviluppo sostenibile, Wolters Kluwer, Milano, 2023, 37 ss.
[102] Il riferimento, in particolare, è al c.d. “eco-antropocentrismo” sollecitato da Latouche, secondo il quale l’ordine giuridico, economico e sociale andrebbe orientato all’esigenza primaria di preservare la biodiversità e di limitare i danni derivanti dal cambiamento climatico, senza compromettere le altrettanto centrali necessità produttive e di mercato (cfr. S. Latouche, Breve trattato sulla decrescita serena, Bollati Boringhieri, Torino, 2008, 120 ss.).
[103] Sulla “corrosione” del tradizionale paradigma del contratto a causa dell’introduzione di previsioni contrattuali legate al principio di sviluppo sostenibile, V. Ulfbeck-O. Hansen, Sustainability Clauses in an unsustainable Contract Law?, in ERCL, 16(1), 2020, spec. 190 ss.
[104] In merito ai limiti legati alla genericità delle clausole di sostenibilità, V. Ulfbeck-O. Hansen-A. Andhov, Contractual enforcement of CSR clauses and the protection of weak parties in the chain, in Law and Responsible Supply chain Management, cit., spec. 49 ss.
[105] La regolamentazione per principi, tipica del mercato sostenibile, non va confusa con una regolazione del mercato mediata da interventi di soft-law e provvedimenti delle Autorità indipendenti. Difatti, grazie ad un costante ed incentivante sviluppo della normativa europea in materia, la disciplina nazionale si sta gradualmente adeguando. Non solo il codice dell’ambiente ma, in generale, sempre maggiori testi legislativi richiamano esplicitamente criteri quantitativi o indicatori di sostenibilità. In merito, si è correttamente distinto che la «regolamentazione fissa, una tantum, almeno fino a riforma, le regole astratte basilari. E quindi i principi che reggono l’insieme e le singole materie. Norme, come si usa dire, di hard Law. La regolazione fissa con continuità di intervento le regole concrete di dettaglio. [.]. Regole di soft Law» (cfr. A. Gentili, Il diritto regolatorio, cit., spec. 32 ss.). Per una posizione nettamente contraria all’impiego di una legislazione per principi e clausole generali, i quali minano la tradizionale prevedibilità del diritto, si rinvia a N. Irti, Un diritto incalcolabile, Giappichelli, Torino, 2016, spec. 18 ss.
[106] Sul ruolo dell’interpretazione giudiziale in ambiti regolati da principi e sulla distinzione con discipline marcatamente positivizzate, si rimanda a R. Dworkin, The Model of Rules, in Taking the Rights Seriously, cit., 14 ss.; A. Pintore, Norme e principi, una critica a Dworkin, Giuffrè, Milano, 1982, spec. 19 ss.; U. Scarpelli, Dalla legge al codice, dal codice ai principi, in Riv. filos., 1987, 3 ss.; R. Alexy, Concetto e validità del diritto, Giappichelli, Torino, 1997, 129 ss.; R. Guastini, Teoria e dogmatica delle fonti, in Trattato diritto civile e commerciale, diretto da A. Cicu e G. Messineo e continuato da L. Mengoni, Giuffrè, Milano, 1998, spec. 272 ss.; G. Pino, I principi tra teoria della norma e teoria dell’argomentazione giuridica, in Dir. e quest. pub., 2011, spec. 75 ss.; A. Falzea, I principi generali del diritto, in Id., Ricerche di teoria generale del diritto e di dogmatica giuridica, I, Giuffrè, Milano, 1999, 337 ss. Per una panoramica più ampia, si veda A. Gentili, Senso e consenso. Storia teoria e tecnica dell’interpretazione dei contratti, Giappichelli, Torino, 2015.
[107] È necessario «riempire di contenuti quantitativi il termine sostenibilità al fine di governare anche problemi giuridici come quello della misura dell’adempimento in caso di ‘clausole di sostenibilità’ contenute nei contratti tra privati e quello della correttezza nell’uso degli ‘environmental claims’» (cfr. S. Landini, Clausole di sostenibilità nei contratti tra privati, cit., spec. 614).
[108] Relativamente alla questione della “misurabilità” dello sviluppo economico sostenibile, si è osservato che «ogni meditato discorso sulla sostenibilità, che non voglia scadere a divulgazione o stanco lamento sui nostri tempi, ha bisogno di almeno due concetti: dimensione e misura: dove il primo indica l’ambito spaziale [.] e il secondo esprime la calcolata mediazione tra esigenze e pretese contradditorie» (cfr. N. Irti, Lettera aperta sul potere planetario dell’insostenibile, cit., spec. 6).
[109] Si deve, in ogni modo, considerare la natura particolare delle clausole di sostenibilità e degli obiettivi da esse inquadrati. Anche una eventuale indicizzazione in valori precisi, in effetti, potrebbe subire una necessaria modifica nel corso dell’evoluzione scientifica nel settore applicativo della stessa. In questa direzione, si dovrebbe ammettere, come si è attentamente osservato, che «nell’interpretare una clausola introduttiva di un’obbligazione di tenere una data condotta qualificata come eco-sostenibile e contenente indici ecologici per valutare la sua esatta esecuzione, sarà sempre possibile adeguare detta clausola alle circostanze concrete, ai fini del rispetto dell’economia del contratto attraverso, un’interpretazione secondo buona fede» (cfr. S. Landini, op. cit., spec. 636).
[110] L’identificazione di criteri e indicatori idonei a valutare profili personalistici e legati allo sviluppo umano risulta di maggiore complessità. Nonostante ciò, si è cercato di tracciare alcuni modelli tra cui, ad esempio, quello elaborato nel 1990 all’interno del Rapporto sullo Sviluppo Umano dell’United Nations Development Program (UNDP), che prende il nome di «Indice di Sviluppo Umano (ISU)». Il c.d. ISU è costruito sul concetto di sviluppo umano, inteso come «un processo di ampliamento delle scelte degli individui, quali la possibilità di condurre una vita lunga e in salute, di avere un adeguato livello di istruzione e un livello di vita accettabile». È stato poi integrato da ulteriori criteri di sostenibilità, sia di stretta tutela ambientale sia di carattere sociale e intergenerazionale. Per una ricostruzione più organica, V. Costantini-S. Monni, L’Indice di Sviluppo Umano Sostenibile: un indicatore per coniugare crescita, sostenibilità umana e ambientale, in Diario eur., 2, 2008, 82 ss.; M. Pennasilico, Sviluppo sostenibile, legalità costituzionale e analisi “ecologica” del contratto, cit., spec. 41 ivi per ulteriori riferimenti.
[111] Per una puntuale analisi ricostruttiva, si rinvia a F. Pistelli, L’indicizzazione del regolamento contrattuale, Università degli studi di Trento, Trento, 2023, spec. 82 ss. L’Autore attentamente denota che un passaggio fondamentale in questa prassi negoziale sia stato il «progressivo ampliamento dei soggetti interessati – o autorizzati, nel caso di Stato ed enti pubblici – all’utilizzo dei meccanismi di indicizzazione» (83).
[112] Sul contratto come strumento di «contenimento dell’utile egoistico a vantaggio del giusto solidaristico», E. Caterini, Sostenibilità e ordinamento civile. Per una riproposizione della questione sociale, ESI, Napoli, 2019, 90 ss.
[113] Dottrina straniera ha, sul punto, elaborato un primo tentativo di schematizzazione degli standard di sostenibilità, introducendo il concetto di «Global Sustainability Terms» (cfr. B. Lomfeld, Sustainable contracting: How standard terms could govern markets, cit., spec. 260 ss.). Si tratta di standard generali di sostenibilità potenzialmente applicabili ad ogni regolamento contrattuale. L’utilizzo di standard di sostenibilità adattabili a differenti tipologie contrattuali è visto come uno strumento di soft-law che andrebbe ad incidere sull’assetto contrattuale voluto dalle parti e proietterebbe il regolamento in una prospettiva aderente al principio di sviluppo sostenibile. Il contratto, in questa ottica, verrebbe sottoposto a vincoli esterni, eterodeterminati sulla base di standard collettivi, che ne determinano il contenuto stesso del regolamento posto in essere dalle parti, attraverso un processo di uniformazione.
[114] Cfr. F. Pistelli, L’indicizzazione del regolamento contrattuale, cit., spec. 88. Queste clausole trovano una corrispondenza speculare nei cc.dd. «Corporate Social Responsibility terms» che riguardano più specificatamente le regole contrattuali in merito ai profili di responsabilità sociale dell’impresa. Per una analisi più accurata del tema, si rimanda, ex multis, V. Ulfbeck-A. Andhor-K. Mitkidis (a cura di), Law and Responsible Supply Chain Management. Contract and Tort Interplay and Overlap, Routledge, London-New York, 2019; A. Beckers, Enforcing Corporate Social Responsibility Codes, Bloomsbury, Oxford, 2015; K.P. Mitkidis, Sustainability Clauses in International Business Contracts, cit.; A. Rühmkorf, Corporate Social Responsibility, Private Law and Global Supply Chains, Edward Elgar Publishing, Cheltenham, 2015.
[115] In generale, in riferimento al ricorso all’indicizzazione oltre i cc.dd. mercati regolamentati, entro cui tradizionalmente il fenomeno si colloca, v. A. Zoppini, Diritto privato generale, diritto speciale, diritto regolatorio, in Ars Interpretandi, 2021, 37 ss.; A.M. Benedetti, Mercati regolati, Giuffrè, Milano, 2014; V. Roppo, Il contratto del duemila, Giappichelli, Torino, 2013; M. Maugeri-A. Zoppini (a cura di), Funzioni del diritto privato e tecniche di regolazione del mercato, Bologna, Il Mulino, 2009. Per una valutazione del tema in relazione ai profili del mercato dell’energia, G. Bellantuono, Contratti e regolazione nei mercati dell’energia, Il Mulino, Bologna, 2009.
[116] F. Pistelli, L’indicizzazione del regolamento contrattuale, cit., spec. 90.
[117] L’acronimo richiama ai tre pilastri della sostenibilità: ambientale (Environment), sociale (Social) e di governance (Governance). Sull’impatto degli standard ESG nell’attività e contrattazione di impresa, si rimanda a R. Rolli, L’impatto dei fattori ESG sull’impresa. Modelli di governance e nuove responsabilità, Il Mulino, Bologna, 2021.
[118] Direttiva (UE) 2022/2464 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 14 dicembre 2022 che modifica il regolamento (UE) n. 537/2014, la direttiva 2004/109/CE, la direttiva 2006/43/CE e la direttiva 2013/34/UE per quanto riguarda la rendicontazione societaria di sostenibilità (la c.d. Corporate Sustainability Reporting Dircetive).
[119] Come si legge nella direttiva, tale elaborazione prende spunto da «i principi e i quadri esistenti includono quelli elaborati dalla Global Reporting Initiative, dal Sustainability Accounting Standards Board, dall’International Integrated Reporting Council, dall’International Accounting Standards Board, dalla Task Force on Climate-Related Financial Information, dal Carbon Disclosure Standards Board e dal CDP, noto in precedenza come Carbon Disclosure Project» (cfr. considerando 43 della direttiva). Il primo schema di standard di sostenibilità per la rendicontazione non finanziaria delle imprese elaborato dal European Financial Reporting Advisory Group (EFRAG) prevede tre grandi insiemi di indicatori: quello ambientale, quello sociale e quello di governance. Nel primo, sono indicati vari settori applicativi divisi in “cambiamento climatico”; “inquinamento”; “acqua e risorse marine”; “biodiversità ed ecosistemi”; “utilizzo delle risorse e economia circolare”. In ambito sociale invece, il riferimento è al “lavoro autonomo”; ai “lavori nella filiera produttiva”; “alle comunità vulnerabili”; ai “consumatori ed utenti finali”. Infine, l’insieme dedicato ai profili di governance prevede, ad ora, gli indici in merito alla c.d. business conduct. La bozza con i relativi documenti di supporto è consultabile online al seguente link: www.efrag.org.
[120] Questi standard di sostenibilità (i cc.dd. «International Sustainability Standards») sono stati promossi da IFRS Foundation e International Accounting Standards Board nel corso della COP26 a Glasgow e mirano a sviluppare standard per una linea globale di informativa sulla sostenibilità; soddisfare le esigenze di informazione degli investitori; consentire alle imprese di fornire informazioni sempre più complete sulla sostenibilità e facilitare l’interoperabilità con informazioni di altro tipo e caratteristiche.
[121] L’utilizzo di standard sociali o ambientali è ormai estremamente diffuso in ambito creditizio e finanziario. L’elaborazione di vari indici green connessi ai rischi sociali o all’impatto ambientale di specifiche attività è diventato un tratto caratteristiche di determinati settori. Si pensi alla diffusione di vari indici generali, usati come criteri di valutazione per le strategie di investimento e di project financing sostenibili. A titolo esemplificativo, basti citare gli indici: “S&P Green Bond Index”, “S&P Green Project Bond Index” e “S&P 500 Environmental & Social Socially Responsible Index”. Per un’analisi più accurata del fenomeno, si veda M. Migliorelli-P. Dessertine (a cura di), The Rise of Green Finance in Europe, Palgrave, London, 2019.
[122] F. Pistelli, L’indicizzazione del regolamento contrattuale, cit., spec. 91.
[123] In gergo tecnico, si definiscono «key performance indicators». L’individuazione di questi criteri, liberamente scelti dalle parti in relazione al tipo di attività, al settore di mercato di riferimento e alla grandezza del progetto imprenditoriale connesso. Questi servono a valutare l’esatto adempimento delle prestazioni sostenibili («sustainability performance targets») dedotte in contratto. L’utilizzo di questi indicatori di valutazione è molto diffuso nei finanziamenti erogati a favore di imprese che si impegnano a realizzazione di target di inclusione sociale, tutela ambientale e protezione della biodiversità. Elementi fondamentali nella definizione degli indicatori sono la loro misurabilità attraverso criteri quantitativi e la tracciabilità del raggiungimento del target di sostenibilità. Inoltre, si tenga conto anche della rilevanza, più o meno centrale, che la realizzazione di prestazioni sostenibili abbia nella più ampia attività di impresa svolta.
[124] «[.] la clausola prevede una fase di follow-up, ossia di riscontro sui risultati rag-giunti durante il periodo di riferimento. Questa fase si connota per la centralità dell’obbligo informativo e di collaborazione che vincola le parti fra loro stesse e verso il mercato» (F. Pistelli, L’indicizzazione del regolamento contrattuale, cit., spec. 93)
[125] Il settore dei cc.dd. investimenti sostenibili, attenzionato anche dal legislatore europeo, è in grande fermento e prevede diverse tipologie negoziali che includono standard e parametri di sostenibilità. Si passa da investimenti socialmente responsabili ai c.d. impact investing che prevedono obiettivi di impatto sociale o ambientale; da investimenti c.d. value-based a schemi di investimento specificatamente basati su criteri ESG.
[126] Si pensi, oltre alle menzionate criticità, al problema dell’utilizzo di indicatori di sostenibilità nell’ambito dei cc.dd. enviromental claims. Il problema qui si ricollega anche al più ampio tema del c.d. greenwashing. Come già si è osservato, «[.] lo stesso termine ‘sostenibile’, se non viene ancorato a standard misurabili e condivisi dalla comunità internazionale, rischia di essere un mero luogo comune con una forza attrattiva per i consumatori, ingannevole in quanto non rispondente alle loro aspettative di migliorare in concreto l’ambiente e la sua vivibilità» (cfr. S. Landini, op. cit., spec. 631).
[127] Per una valutazione del principio di sviluppo sostenibile come principio ordinatore del sistema, si rimanda a A. Buonfrate, Principi del nuovo diritto dello sviluppo sostenibile: la complessità assiologica del sistema di tutela ambientale conformato agli obiettivi di Agenda 2030 e del Green Deal europeo, Wolters Kluwer, Milano, 2020, passim.
[128] Ciò si inserisce perfettamente in quell’indirizzo di politica legislativa sul piano europeo in cui «la legge si fa anch’essa fluida» e si arricchisce di «premesse storico-politiche e motivazioni sociologiche e indicazione di scopi» (cfr. N. Irti, Diritto senza verità, Laterza, Roma-Bari, 2011, spec. 68).
[129] Cfr. N. Lipari, Ancora su persona e mercato, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2014, 430. L’Autore ritiene che sia limitante ragionare intorno all’interesse ambientale quale limite (negativo) ma sia necessario considerarlo come «fondamento positivo di un intero sistema di rapporti». In altro suo scritto, l’A. ribadisce che «l’interesse ambientale diventa un limite interno allo sviluppo economico e quindi all’attività di impresa e all’autonomia negoziale» (cfr. N. Lipari, Spunti per un diritto civile dell’ambiente, cit., spec. 225).
[130] Riguardo al rapporto tra etica e diritto dell’imprenditore, con osservazioni applicabili anche al contesto del mercato sostenibile, V. Buonocore, Diritto ed etica dell’imprenditore. L’uomo economico europeo, in Studi in onore di Giuseppe Benedetti, cit., spec. 111 ss.
[131] Per una nozione di sostenibilità come istanza generale, transgenerazionale e solidaristica si rimanda con spunti e prospettive differenti, a G. Alpa, Solidarietà. Un principio normativo, Il Mulino, Bologna, 2022; D. Porena, Il principio di sostenibilità. Contributo allo studio di un programma costituzionale di solidarietà intergenerazionale, Giappichelli, Torino, 2018; A. D’Aloia, op. cit., 331 ss.; P. Lombardi, Ambiente e generazioni future: la dimensione temporale della solidarietà, in federalismi.it, 1, 2023, 94 ss.; L.A. Stout, Cultivating Conscience. How Good Laws Make Good People, Princeton University Press, Princeton-Oxford, 2015, passim; S. Rodotà, Solidarietà. Un’utopia necessaria, Laterza, Roma-Bari, 2014; F. Fracchia, La tutela dell’ambiente come dovere di solidarietà, in Dir. econ., 3-4, 2009, spec. 493 ss. Sul tradizionale contrasto tra logica di mercato e spinte solidaristiche, v. G. Resta, Gratuità e solidarietà: fondamenti emotivi e irrazionali, in Riv. crit. dir. priv., 2014, 25 ss., spec. 57 ss.