Il significato di un pollice, verso o all’insù, è incerto dai tempi dell’anfiteatro Flavio; e lo è altrettanto in quelli della comunicazione digitale, che di un pollice stilizzato può servirsi avvalendosi di una emoji: può pertanto accadere che ad un giudice sia chiesto di accertare se l’emoji 👍 valga accettazione di una proposta di contratto oppure no; e anche potrebbe chiedersi se quella contraria, del 👎, sia un suo rifiuto. Domande che non sembrano di poco momento, e che hanno consentito di segnalare a quali condizioni sia possibile attribuire a nuovi segni simbolici come una emoji, o più in generale ad una emoticon, un valore concludente.
The meaning of a thumbs-up or a thumbs-down gesture has been uncertain since the days of the Colosseum; and it is just as uncertain in those of the digital communication, which can make use of a stylized thumb by making use of an emoji: it may therefore happen that a judge is asked to ascertain whether the 👍 emoji is worth acceptance of a contract proposal or not; and also it might be asked whether the 👎 emoji is a refusal of it. Such questions hardly appear to be irrelevant, and they have enabled to point out under which conditions it is possible to attribute to new symbolic signs such as an emoji, or more generally to an emoticon, a legally binding effect.
Sommario:
1. Premessa - 2. Dall’emoticon all’emoji - 3. Giurisprudenza e interrogativi - 4. Idoneità semantica: luoghi e tempi - 5. Momento soggettivo - NOTE
Il significato di un pollice, verso o all’insù, è incerto dai tempi dell’anfiteatro Flavio [1]; e lo è altrettanto in quelli della comunicazione digitale, che di un pollice stilizzato può servirsi avvalendosi di una emoji: può pertanto accadere, e come pure segnalato [2] è accaduto, che ad un giudice sia chiesto di accertare se l’emoji 👍 valga accettazione di una proposta di contratto oppure no; e anche potrebbe chiedersi se quella contraria, del 👎, sia un suo rifiuto. Domande che non sembrano di poco momento, e che offrono il destro per tentare di segnalare a quali condizioni sia possibile attribuire a nuovi segni simbolici come una emoji, o più in generale ad una emoticon, un valore concludente. Di questo tentativo si darà conto a seguire.
Con emoticon, aplografia dei termini inglesi emotional e icon, si indica una sequenza di segni di interpunzione, ed eventualmente anche di lettere dell’alfabeto, numeri o altri simboli e caratteri speciali di una tastiera [3], volta a significare (per lo più) uno stato d’animo mediante la rappresentazione grafica (per lo più) di un’espressione facciale [4], leggibile di traverso rispetto al verso della scrittura [5]. Se ne fa uso essenzialmente per disambiguare l’assenza di tono in comunicazioni che non possono esserne provviste: tra queste, quella mediata dei messaggi scritti digitalmente con un computer [6] o un telefono cellulare. E ciò all’evidente fine, non sempre perseguìto, di evitare fraintendimenti o liti. L’emoticon è pertanto un metasegno, da intendersi come segno simbolico volto a dare informazioni sullo stesso processo comunicativo in corso, supplendo ai tratti paralinguistici (elementi non verbali come, appunto, il tono della voce) e a quelli cinesici (i gesti) assenti nella scrittura analogica o digitale [7]. L’emoji è invece traslitterazione di un termine giapponese, composto dai kanji 絵 (‘e’, per immagine) e 文字 (‘moji’, per lettera), traducibile letteralmente [8] con ‘pittogramma’ e con cui si indica quel simbolo raffigurante (non esclusivamente) un’espressione del volto, (ma anche) una persona o una parte del suo corpo, un animale o una cosa per manifestare emozioni o esprimere concetti [9]; ciascuno di essi è ormai codificato [10] in modo specifico e standardizzato. Si tratta, a tutti gli effetti, dell’evoluzione semiotica e commerciale [11] dell’emoticon: come questa, anche l’emoji può supplire all’assenza di tono della comunicazione non verbale; ma, ancor più di essa, contribuisce all’interpretazione del significato complessivo dello scritto che se ne serve [12], svolgendo una funzione sempre più narrativa [13], pure sostituendosi alle parole [14]. Anche le brevi note (etimologiche) che precedono consentono di supporre che, nella prassi, il valore concludente di una emoticon o di una emoji sia più che potenziale e, semmai, insito. Ciò che, in ragione del loro uso corrente, pressoché epidemico, nella comunicazione digitale, impone anche di [continua ..]
In premessa s’è fatto cenno ad un caso: si tratta di un giudizio sommario civile di primo grado, svolto in Canada e promosso nel 2022 da un compratore di sementi contro un suo abituale fornitore. I due hanno negoziato telefonicamente, a voce e per iscritto, un contratto di acquisto con consegna differita (deferred delivery purchase contract). Nel dettaglio, dopo averne discusso il contenuto a voce, il compratore ha trasmesso al numero di utenza mobile del fornitore la fotografia del testo di contratto, da lui predisposto e sottoscritto in via analogica, facendola seguire dal messaggio testuale «Please confirm flax contract» («Si prega di confermare il contratto per [la fornitura di semi di] lino»). Il fornitore ha risposto al compratore con altro messaggio, privo di parole e contenente la sola emoji del pollice all’insù. Ma le sementi non sono mai state consegnate [16]. Al giudicante viene assegnato il compito di chiarire, per quanto qui di rilievo, (i) se (il disegno digitale di) un pollice all’insù [17] abbia significato univoco o possa averlo assunto a seconda delle circostanze. Interrogativo, questo, sotteso all’idoneità semantica dell’emoji 👍 a concludere un contratto (par. IV); e del tutto analogo a quello che, già nel 2017, è stato posto nell’aula di un tribunale israeliano, rispetto ad altre emoji ed emoticon a proposito della conclusione di un contratto di locazione ad uso abitativo [18]. Al di là del valore dichiarativo attribuibile all’emoji del pollice all’insù nella vicenda appena illustrata, il rinvio ad altri casi è senz’altro utile per agevolare la formulazione di un ulteriore interrogativo: (ii) quello relativo alla possibile rilevanza del momento soggettivo dei contraenti che, nelle loro trattative, abbiano fatto uso di emoji che, per svariate ragioni tecniche [19], sono da loro diversamente visualizzate (par. V) [20]. Si pensi, pertanto, (a) al caso in cui due parti hanno convenuto tra loro la compravendita di una bicicletta, ma nel momento in cui l’acquirente deve indicarne all’alienante il colore, per diversità delle piattaforme da loro utilizzate, e dei rispettivi sistemi operativi, l’emoji della bicicletta blu utilizzata dal primo sia visualizzata come verde dal secondo; e (b) al caso in cui, invece, due parti che utilizzano la [continua ..]
Quanto al primo interrogativo, quello sul (i) significato della emoji 👍 (la risposta del fornitore alla ricezione del testo di contratto e della richiesta di conferma da parte del compratore), il giudice canadese ha fatto a meno di rinvenirlo nella casistica giurisprudenziale israeliana, newyorkese o di qualche sperduto tribunale canadese, che pure le parti litiganti avevano posto alla sua attenzione, e nelle motivazioni della decisione dà conto di aver preferito un «simpler approach», partendo dalla definizione che, di questa specifica emoji, viene data in un vocabolario [24]. Perché, a suo avviso, l’interrogativo da porsi non è tanto (o meglio, soltanto) quale sia il significato del disegno digitale di un pollice all’insù per chi se ne è servito, quanto per chi ne è il destinatario, quale «informed objective bystander» [25] (osservatore obiettivo e informato). Anche nel nostro sistema l’interrogativo, così riformulato, sarebbe ben posto: perché il significato della reazione di un oblato alla ricezione di una proposta di contratto (che si assume essere già completa) non può essere quello che lo stesso oblato ha inteso, soggettivamente, attribuirvi; ma quello su cui la controparte possa invece, oggettivamente, fare affidamento, anche ai sensi dell’art. 1337 cod. civ. Dovendosi le parti comportare secondo buona fede anche nella formazione del contratto, va da sé che il rischio del fraintendimento di un simbolo debba gravare su chi se ne sia servito in modo sprovveduto nella propria dichiarazione, e non su chi, destinatario, si sia ragionevolmente affidato al suo significato oggettivo [26]. Su quello di una emoji, e più precisamente di quella del pollice all’insù, sembrerebbe non discutibile che esso voglia esprimere assenso, approvazione o incoraggiamento [27], e ciò proprio secondo quanto dimostra l’uso quotidiano del gesto che raffigura; eppure, questa affermazione va circostanziata. Perché, se è vero che nell’interpretazione delle parole l’interprete debba risalire al loro senso letterale, non limitandosi ad esso (art. 1362 cod. civ.) [28]; con le emoji, che affiancano le parole, o ne prendono il posto, assume rilievo primario il luogo in cui vengono espresse: tanto più se l’emoji evoca un gesto, anziché una parola [continua ..]
Quanto al secondo e ultimo interrogativo, relativo (ii) alla possibile rilevanza del momento soggettivo dei contraenti nei casi in cui le emoji utilizzate non siano da loro visualizzate allo stesso modo (perché utilizzano diverse piattaforme per comunicare digitalmente ovvero perché, pur facendo uso della medesima piattaforma, uno di loro non ne abbia aggiornato il sistema operativo), i due casi prospettati, a dispetto dell’apparente modernità, echeggiano problemi remoti. Quello della (a) bicicletta presuppone l’utilizzo, da parte dell’acquirente (oblato) e dell’alienante (proponente), di distinte piattaforme; nella specie, si ipotizzi che l’acquirente si decida per l’acquisto di una bicicletta blu e ne trasmetta con il suo iPhone all’alienante, che fa invece uso di un Samsung Galaxy, la relativa emoji. Si rileva, tuttavia, che l’emoji della bicicletta, nonostante sia codificata in modo univoco dal 2010 [46], è visualizzata come colorata di blu soltanto su piattaforme funzionanti con il sistema operativo della Apple; di verde, invece, su tutte quelle coreane della Samsung. Non si tratta di un caso isolato: variazioni (più o meno) minime nella visualizzazione dei formati delle emoji, tra una piattaforma e l’altra, si spiegano spesso con la necessità di evitare azioni risarcitorie da parte di chi ne detiene i rispettivi diritti di proprietà intellettuale; ma tale (comprensibile) esigenza di tutela, ha conseguenze tutt’altro che trascurabili in punto di efficacia ed interpretazione uniforme delle comunicazioni digitali [47]. L’esempio appena accennato rimanda ad un precedente significativo della giurisprudenza prussiana: ci si riferisce al caso discusso dinanzi al Landgericht di Colonia nel 1856 in tema di errata trasmissione telegrafica [48], noto per lo più come apripista della disputa tra volontaristi e dichiarazionisti [49]. Per un errore di trascrizione di un dispaccio, da parte di un impiegato dell’ufficio telegrafico, le istruzioni impartite dal Bank- und Handlungshaus Oppenheim di Colonia (un istituto bancario) allo Handlungshaus Weiller di Francoforte sul Meno (una società di trading), contenevano un ordine di vendere (‘verkaufen’), anziché uno di acquistare (‘kaufen’), titoli azionari austriaci; esclusa, per la legislazione dell’epoca, una [continua ..]