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G. Giappichelli Editore

Revoca della condizione testamentaria «per condotta incompatibile del disponente»? (di Giuseppe Portonera, Assegnista di ricerca in Diritto privato – Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano)


Una recente sentenza della Cassazione ha per oggetto un caso in cui un testatore ha istituito eredi universali due nipoti, con condizione sospensiva di assistenza e di cura. L’evento dedotto in condizione non si verifica, però, in quanto ad impedirne l’avveramento è lo stesso testatore. Il problema risolto dai giudici della Cassazione è relativo alla conciliazione tra la mancata realizzazione di questo evento – ove la si faccia dipendere da una scelta del testatore – con la mancata revoca, anche solo tacita, della disposizione testamentaria. Si è statuito che, in questo caso, è la condizione a doversi ritenere revocata, sicché la disposizione testamentaria è efficace. L’autore critica questa soluzione, argomentando nel senso opposto dell’inefficacia dell’istituzione ereditaria, in quanto sospensivamente condizionata a un evento non realizzatosi. La condizione testamentaria di assistenza esprime infatti una logica di tipo remuneratorio, onde, mancando obiettivamente la ragione che stava a monte dell’attribuzione ereditaria (la prestazione delle cure), quest’ultima non si giustifica più. La sentenza offre peraltro l’abbrivo per svolgere un ragionamento intorno a due profili di sicuro interesse dogmatico: da una parte, la possibilità di ammettere (e in che misura) una circolazione normativa tra la disciplina del contratto e quella del testamento; dall’altra, i rapporti tra l’interpretazione cosiddetta conservativa del testamento e i processi di ricostruzione della volontà del de cuius.

Can a Testamentary Condition Be Revoked Due to the Testator's Incompatible Conduct?

The article discusses a recent Supreme Court ruling concerning a testamentary provision where a testator appointed two nephews as universal heirs, contingent upon their providing care and assistance to the testator. The condition was not fulfilled due to actions by the testator himself, prompting the Supreme Court to address the reconciliation of this non-fulfillment, which was dependent on the testator’s choice, with the testamentary provision’s non-revocation. The Court determined that the conditional aspect should be deemed revoked, thereby validating the testamentary disposition. The author critiques this decision, arguing that the testamentary institution should be deemed ineffective because it hinged on an event that did not occur. The condition of providing care follows a retributive logic: since the underlying justification for the inheritance (the provision of care) is objectively absent, the attribution itself loses its foundation. Furthermore, the ruling stimulates discussion on two doctrinally significant aspects: firstly, the potential normative circulation between contract law and testamentary law, and secondly, the implications for interpreting testamentary intentions amidst the evolution of the testator’s will.

Cass. civ., sez. II, 18 settembre 2024, n. 25116

Ove il testatore, dopo avere apposto alla disposizione testamentaria una condizione sospensiva, dipendente anche dalla sua volontà, ne impedisca l’avveramento, la disposizione, se non revocata, resta pienamente efficace.

SOMMARIO:

1. Il caso. Istituzione di erede sotto condizione di assistenza in favore del de cuius. Mancato avveramento della condizione e mancata revoca della disposizione testamentaria - 2. Assenza di una disciplina specifica per l’ipotesi di una condotta del disponente «incompatibile» con l’avveramento della condizione. Testamento e contratto (sull’art. 1324 cod. civ. e sul negozio giuridico) - 3. Questione dell’estensibilità della disciplina di cui all’art. 1359 cod. civ. Esclusione dell’analogia legis o iuris - 4. Interpretazione c.d. conservativa del testamento e ricostruzione della volontà del testatore. Argomenti dalla comparazione giuridica e dalla giurisprudenza di legittimità. Osservazioni conclusive - NOTE


1. Il caso. Istituzione di erede sotto condizione di assistenza in favore del de cuius. Mancato avveramento della condizione e mancata revoca della disposizione testamentaria

Un uomo istituisce come eredi universali due nipoti, precisando nella scheda testamentaria che «chiede loro che si impegn[i]no ad accudir[lo] in [sua] vita natural durante» presso un comune espressamente indicato. Apertasi la successione, il testamento viene impugnato dagli altri successibili, i quali allegano l’inadempimento dell’obbligo di assistenza da parte dei nipoti istituiti eredi. Questi ultimi, di converso, affermano che l’adempimento era divenuto impossibile per decisione del testatore, giacché questi si sarebbe rifiutato di trasferirsi nel comune indicato nella scheda testamentaria, e perciò di essere assistito [1]. Il problema, come si intuisce, è relativo alla conciliazione tra la mancata realizzazione di questo evento – ove si attribuisca rilievo al suo nesso di causalità con una scelta del testatore – con la mancata revoca della disposizione testamentaria. In primo grado, il Tribunale ha risolto il problema qualificando la richiesta del de cuius quale «mero desiderio, privo d’efficacia condizionante», peraltro reputando che non si sarebbe giunti a una diversa conclusione là dove lo si fosse considerato come onere, trattandosi di un adempimento originariamente possibile ma successivamente divenuto impossibile per volontà del testatore. La Corte d’Appello ha confermato la sentenza, ma con diversa e più esatta motivazione quanto alla qualificazione giuridica, giacché non si trattava di mero desiderio privo di rilevanza giuridica, né di onere, bensì di condizione sospensiva (art. 633 cod. civ.). Che non si tratti di mero desiderio è suggerito dalla stessa formulazione testuale della disposizione («chiede loro che si impegn[i]no»), mentre che non si possa fare riferimento alla figura dell’onere lo si ricava seguendo la giurisprudenza e la dottrina maggioritarie, per le quali l’onere costituisce una limitazione dell’attribuzione principale, mentre la condizione ha l’effetto di rendere incerta la stessa attribuzione. Nel caso di specie, il fatto che la richiesta di assistenza era destinata a ricevere soddisfazione durante la vita del testatore ha aggiunto un ulteriore elemento di chiarezza, giacché l’adempimento dell’onere si rivolge verso un momento successivo all’apertura della successione, tipicamente concretizzandosi nel perseguimento [continua ..]


2. Assenza di una disciplina specifica per l’ipotesi di una condotta del disponente «incompatibile» con l’avveramento della condizione. Testamento e contratto (sull’art. 1324 cod. civ. e sul negozio giuridico)

È noto che il legislatore storico, precisando all’art. 633 cod. civ. che «le disposizioni a titolo universale o particolare possono farsi sotto condizione sospensiva o risolutiva», ha risolto i dubbi interpretativi che si erano formati sul testo della norma previgente (art. 848 cod. civ. 1865), la quale si limitava a stabilire che «la disposizione a titolo universale o particolare può farsi anche sotto condizione». Posta sullo sfondo della tradizione romanistica, infatti, quest’ultima norma veniva interpretata nel senso di escludere l’apposizione di condizioni risolutive, in omaggio a una lettura del concetto del semel heres semper heres che faceva coincidere l’istituzione ereditaria con l’acquisizione di uno stato personale immutabile [6]. Nel diritto moderno, e già sotto il codice del 1865, tale concetto ha trovato accoglimento nel più ridotto significato dell’irretrattabilità dell’accettazione ereditaria [7], a fronte peraltro del giusto rilievo attribuito agli effetti retroattivi dell’avveramento della condizione risolutiva [8], in forza dei quali l’erede istituito si considera come se non lo fosse mai stato, perciò attribuendogli ex tunc il diverso ruolo di amministratore dei beni medesimi [9]. Di converso, non si sono mai avute riserve sull’ammissibilità della condizione sospensiva, che subordina l’efficacia del testamento o di una singola disposizione all’avveramento di un fatto futuro ed incerto, solitamente – ma non esclusivamente, come subito si vedrà – posteriore all’apertura della successione, quale strumento che il testatore può impiegare per determinare più compiutamente le ultime sue volontà [10]. Proprio a tale tipo va ricondotta la condizione, c.d. di assistenza, venuta in rilievo nel caso di specie. Si è, invero, dubitato della validità di questa condizione, sul presupposto dell’ineffi­cacia del testamento sino all’apertura della successione, onde la deduzione in condizione di un evento che, a quella data, è già perfetto (l’assistenza o si è verificata o non si è verificata) dovrebbe ricadere nella nozione di impossibilità ex art. 634 cod. civ. [11]. Dottrina maggioritaria e giurisprudenza hanno però superato queste obiezioni: per un verso, il [continua ..]


3. Questione dell’estensibilità della disciplina di cui all’art. 1359 cod. civ. Esclusione dell’analogia legis o iuris

Fatta questa premessa, e tornando al caso in esame, può ricordarsi che l’art. 1359 cod. civ. (il quale esibisce, invero, profili di incertezza quanto alla sua ricostruzione teorica e ai modi della sua applicazione [26]), segue l’enunciazione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede, in pendenza della condizione, a carico di colui che si è obbligato o che ha alienato un diritto sotto condizione sospensiva, ovvero lo ha acquistato sotto condizione risolutiva (art. 1358 cod. civ.). A fronte di questo «obbligo secondario di omissione», quale rovescio dell’obbligo positivo di prestazione che vieta perciò ogni contegno contrario all’ordinato svolgimento dell’attività di prestazione [27], il legislatore ha predisposto un meccanismo che si potrebbe dire di tutela in forma specifica dell’interesse del creditore [28], giacché l’operatività della finzione è volta ad attribuire a quest’ultimo proprio l’utilità che egli avrebbe conseguito nel caso di adempimento dell’obbligo della controparte. È questo nucleo funzionale dell’art. 1359 cod. civ. a renderne perplessa l’applicazione al caso di specie. Per un verso, la Corte d’appello ha omesso di considerare che è in un certo qual modo paradossale immaginare che il soggetto beneficiario dell’assistenza possa avere un interesse addirittura «contrario» alla sua erogazione, né tale contrarietà pare possa comprendersi alla luce del più complessivo programma negoziale: mentre dal contratto non è possibile liberarsi unilateralmente, onde frustrarne la realizzazione mercé una condotta maliziosa può rappresentare il modo di eliminare un vincolo che non si reputa più conforme ai propri interessi, il testamento è atto sempre revocabile, sicché il testatore – che comunque non subisce in alcun caso un effetto a lui sfavorevole – può disfarsene ogni qualvolta lo reputi non più corrispondente all’assetto che egli intende dare ai suoi interessi per quando non sarà più in vita. Per altro verso, la condizione di assistenza in favore del de cuius resiste a un’assimilazione tout court alla condizione potestativa in senso proprio, giacché le cure da prestare al testatore paiono rilevare non come atto, onde sarebbe [continua ..]


4. Interpretazione c.d. conservativa del testamento e ricostruzione della volontà del testatore. Argomenti dalla comparazione giuridica e dalla giurisprudenza di legittimità. Osservazioni conclusive

A ben vedere, il fatto che il documento che racchiude il testamento olografo sia rimasto inalterato è pesato, in modo preponderante, nella decisione della Cassazione, il cui filo logico può essere così svolto: se il testatore avesse cambiato idea anche rispetto all’istituzione dei nipoti come eredi universali, avrebbe revocato la disposizione testamentaria, anche solo attraverso contegni non formali, e quindi ad esempio per distruzione o cancellazione o attraverso l’apposizione di espressioni che avrebbero comunicato l’intenzione revocatoria [39]. Poiché ciò non è avvenuto, la Cassazione ha ritenuto di potersi volgere a un’interpretazione del testamento in ottica di sua conservazione. Com’è noto, anche in questo caso si riproducono le tensioni relative al fondamento e ai limiti di una circolazione normativa tra la disciplina del contratto e quella del testamento, sebbene l’opinione maggioritaria in dottrina si pronunci per l’applicabilità della regola dell’art. 1367 cod. civ. all’interpre­tazione del testamento [40]. L’interpretazione c.d. conservativa viene infatti spiegata non soltanto quale criterio ermeneutico, bensì quale concretizzazione di «un motivo ispiratore di tutto il sistema del negozio» [41] e, nell’ambito normativo del testamento, viene ricollegata alla «formula, variamente intesa, del favor testamenti»: il quale non può ovviamente «rendere esistente la disposizione che non esiste né valida la disposizione nulla», ma viene solitamente fatto operare nel senso di attribuire il massimo effetto utile alla disposizione di ultima volontà, sul presupposto per cui questa non può essere rinnovata (in testamentis plenius voluntates testantium interpretantur) [42]. «La vocazione testamentaria, quando ne siano certe l’esistenza e validità», si è precisato, «deve avere effetto a preferenza della vocazione legittima: se la disposizione del testatore è suscettibile di più significati, uno dei quali inutile, l’inter­prete deve eliminare il senso inutile e intendere la disposizione nel senso in cui può avere effetto, appunto perché è già stata accertata, con gli strumenti dell’interpretazione soggettiva, la volontà di fare una disposizione [continua ..]


NOTE