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G. Giappichelli Editore

Note per uno studio intorno alle vicende dei privilegi generali e alle modificazioni soggettive del debito (di Michele Onorato, Professore associato di Diritto privato – Università degli Studi di Brescia)


L’Autore si sofferma sulle vicende del privilegio in occasione delle modificazioni dell’obbligazione dal lato passivo e, segnatamente, in occasione del subingresso di un soggetto nella titolarità del debito.

Notes for a study on general privileges and subjective modifications of debt

The Author focuses on the events of the privilege in the event of modifications to the obligation on the passive side and, in particular, in the event of the subrogation of a subject into the ownership of the debt.

SOMMARIO:

1. Il tema - 2. Irrilevanza della disciplina relativa alla cessione del credito - 3. L’annosa distinzione tra novazione soggettiva e successione nel debito - 4. La posizione agnostica del codice civile del ’42 - 5. Uguale e stesso - 6. Circolazione dei privilegi e causa del credito - 7. Ragionare al contrario - NOTE


1. Il tema

Cosa accade quando il creditore titolare di privilegio trovi innanzi a sé un nuovo debitore: il privilegio vale anche verso quest’ultimo?

Pensiamo al terzo che assuma il debito avente causa in un rapporto di lavoro: il dipendente che concorra nella ripartizione del patrimonio del terzo assuntore può opporre nei confronti degli altri creditori la prelazione descritta nell’art. 2751-bis, n. 1, cod. civ.?

La risposta ai quesiti non è scontata in quanto una precisa disciplina delle vicende dei privilegi si dà esclusivamente in relazione alle modificazioni del rapporto obbligatorio dal lato del soggetto attivo. L’art. 1263, comma 1, cod. civ. prevede con una chiara formula che il diritto è trasferito al cessionario con i privilegi del cedente, tanto da non sollevare dubbi che il credito si trasmetta uguale a se stesso anche dal punto di vista della prelazione [1].

Meno chiare le vicende del privilegio in occasione delle modificazioni dell’obbligazione dal lato passivo e, segnatamente, in occasione del subingresso di un soggetto nella titolarità del debito [2]. Le disposizioni dedicate a delegazione, espromissione e accollo non fanno cenno al regime delle prelazioni. L’art. 1275 cod. civ. – il quale prevede che «in tutti i casi nei quali il creditore libera il debitore originario, si estinguono le garanzie annesse al credito, se colui che le ha prestate non consente espressamente a mantenerle» – è reputato comunemente inapplicabile alle prelazioni, non potendo queste essere assimilate alle garanzie sotto il profilo semantico e, soprattutto, giuridico [3]. Né si rinvengono disposizioni specifiche all’interno della disciplina generale dei privilegi (artt. 2745 ss. cod. civ.) la quale si limita a stabilire che «il privilegio è accordato dalla legge in considerazione della causa del credito» (art. 2745, comma 1, cod. civ.).

Neanche, infine, sono pertinenti quelle altre disposizioni che pure, sulle prime, parrebbero contigue al nostro tema: non l’art. 1942 cod. civ. il quale prevede che «salvo patto contrario, la fideiussione si estende a tutti gli accessori del debito principale»; non l’art. 1232 cod. civ. il quale prevede che «i privilegi, il pegno e le ipoteche del credito originario si estinguono, se le parti non convengono espressamente di mantenerli per il nuovo credito» (art. 1232 cod. civ.).

A ben vedere in un caso la disposizione non menziona le prelazioni né ha ad oggetto una modificazione del rapporto dal lato passivo (così l’art. 1942 cod. civ.) e, in altro, la disposizione è generalmente reputata inapplicabile al di fuori della novazione oggettiva (art. 1232 cod. civ.) [4].

In assenza di una precisa disciplina legislativa, sarebbe da aspettarsi un qualche letterario o giurisprudenziale.

Ma uno sguardo agli studi giuridici rivela che il tema non è approfondito in indagini monografiche o saggistiche [5] e, più in generale, non è oggetto di particolare attenzione in anni recenti. Esso è stato considerato a modo di corollario nei classici dedicati alle modificazioni del rapporto obbligatorio dal lato passivo restituendo, peraltro, conclusioni per niente univoche.

Qui gli autori hanno collocato la questione delle vicende dei privilegi a valle della annosa distinzione tra novazione soggettiva e successione a titolo particolare nel debito.

E così, nel reputare la rilevanza della distinzione, alcuni hanno affermato che il trasferimento dei privilegi verso il nuovo debitore si realizzerebbe certamente ma, soltanto, nell’ipotesi della successione nel debito, dovendo bensì escludere nella novazione in ragione del necessario effetto estintivo che da questa discende [6]. Il nesso tra la prelazione e la causa dell’obbligazione farebbe sì che l’eventuale effetto novativo non possa che determinare il venir meno anche dei privilegi; viceversa, «nell’ipotesi di assunzione privativa (n.d.r. ossia di successione a titolo particolare nel debito) … la permanenza del legame tra l’obbligazione originaria e la sua causa assicurerà la persistenza del privilegio» [7].

Quelli inclini ad escludere la circolazione dei privilegi hanno invece guardato dal lato della fonte costitutiva della obbligazione del nuovo debitore, osservando che l’atto di assunzione del debito tenderebbe ad una autonomia causale tanto nell’accollo quanto nella delegazione e nella espromissione. Per questa via, essi hanno reputato la intrasmissibilità dei privilegi con il rilievo che il fatto costitutivo del debito del terzo sarebbe differente dal fatto costitutivo del debito originario [8].

Nella giurisprudenza pratica, infine, il tema appare pressoché assente di là della pronuncia, ben risalente, in tema di accollo cumulativo e di altre sparse decisioni in tema di concordato con assunzione.

In materia di accollo cumulativo si ricorda la sentenza n. 2664 del 23 giugno 1977, nella quale la prima sezione della Cassazione ha affermato che il privilegio vantato dal creditore nei confronti del debitore originario non può essere fatto valere verso il terzo accollante. Il che dipenderebbe dalla peculiare disciplina dell’accollo, la quale collega lo statuto della obbligazione dell’accollante al contenuto del negozio di accollo (art. 1273, comma 4, cod. civ.) [9].

Sebbene la motivazione si ponga sulla linea dell’opinione dottrinale da ultimo ricordata, la sentenza è insuscettibile di configurare un orientamento giurisprudenziale decisivo rispetto al nostro tema, sia perché circoscritta al caso specifico dell’accollo cumulativo [10] sia perché, per quanto risulta, isolata.

In materia di concordato con assunzione, si danno invece alcune sentenze, anch’esse risalenti, nelle quali si afferma che l’assunzione non implicherebbe una autonoma causa obligandi. Il credito nei confronti dell’assuntore non sarebbe altro dal credito nei confronti dell’originario debitore, con la conseguenza che i privilegi vantati verso il primo persisterebbero anche verso il secondo [11].

Anche questo orientamento, pure coerente ad alcune opinioni espresse nella letteratura teorica, non sembra idoneo a determinare un insegnamento consolidato né pienamente convincente. La tesi della medesima fonte della obbligazione non appare adeguatamente dimostrata e appare piuttosto come un’applicazione del principio di indifferenza della assunzione concordataria rispetto ai creditori privilegiati [12], principio a sua volta lungi dall’essere dimostrato e, comunque, già equivoco nella sua formulazione. Dire che nel concordato con assunzione l’obbligazione si trasmetterebbe uguale a se stessa nel patrimonio dell’assuntore è più enunciare una soluzione che svolgere una dimostrazione [13]; dal canto suo, il principio di indifferenza del concordato designa una mera esigenza di tutela che, anche laddove risultasse effettivamente codificata, potrebbe essere assicurata senza postulare la eadem causa obligandi [14].


2. Irrilevanza della disciplina relativa alla cessione del credito

In questo quadro, una riflessione sulle vicende dei privilegi in occasione delle vicende del rapporto obbligatorio dal lato passivo appare senza dubbio interessante. Dato che, come vedremo, la questione convoca questioni fondamentali della letteratura civilistica – tra tutte la controversa distinzione tra successione e novazione del debito e, ancora, la relazione tra debito e responsabilità –, conviene avvertire che in questa sede saranno ragionati dei profili di ordine preliminare. Pur rinunziando a una trattazione compiuta del problema e a conclusioni ferme, si può tuttavia provare ad ordinare il discorso ed indicare alcune tracce di indagine dedicate al tema dei privilegi generali. I privilegi speciali, come pure e il pegno e l’ipoteca, sembrano infatti implicare problemi in parte differenti, sicché per essi converrebbe un diverso e, probabilmente, più agevole svolgimento [15].

Così fissato l’ambito del discorso, possiamo innanzitutto escludere che alla soluzione del problema offra un qualche contributo il riferimento alla disciplina delle prelazioni nella circolazione del credito. Nella cessione del credito, le vicende del privilegio sono oggetto di una espressa previsione di legge (art. 1263 cod. civ.), la quale appare inidonea all’applicazione analogica, come pure ad indicare principi o criteri di disciplina. E questo perché la cessione del credito non ha a che fare con la garanzia patrimoniale [16]. In essa rimane invariato il patrimonio verso cui si orienta la prelazione o, meglio, rimane ferma quella peculiare relazione tra obbligazione e patrimonio che è caratteristica della prelazione. Le vicende riguardanti la successione nel credito si mostrano intrinsecamente diverse e, in realtà, irrilevanti rispetto alla questione in esame la quale ruota tutta intorno all’ipotesi in cui a mutare sia il patrimonio responsabile [17].

La prelazione appare un modo di essere di una situazione giuridica rispetto a un patrimonio, una certa collocazione della pretesa creditoria rispetto ad un certo insieme di beni. Essa è volta a regolare un conflitto distributivo e appare tanto connessa alla oggettiva e reciproca posizione dei crediti quanto indifferente alla identità dei creditori concorrenti. Insomma, la prelazione sembra essere una modalità della garanzia patrimoniale e, in quanto tale, sollevare i suoi problemi caratteristici allorquando ad avvicendarsi nel rapporto sia un nuovo debitore. Qui si pone una tipica esigenza di tutela non tanto perché il debito si trasferisce da uno ad altro soggetto ma, piuttosto, perché la pretesa si incardina all’interno di un nuovo patrimonio.


3. L’annosa distinzione tra novazione soggettiva e successione nel debito

Appare invece utile muovere dal dibattito intorno alla distinzione tra novazione soggettiva e successione a titolo particolare nel debito o, se si vuole, dal dibattito intorno alla ammissibilità di quest’ultima. Come già osservato, dai più si ipotizza che la circolazione dei privilegi generali si verifichi esclusivamente nell’ipotesi di tale successione.

Al pari di quello napoleonico, il codice del 1865, contemplava espressamente la sola novazione soggettiva. Da ciò una parte autorevole della dottrina aveva ricavato che non vi fosse uno spazio logico e giuridico riservato dall’ordinamento alla successione particolare nel debito: «assolutamente da escludersi – scrive il Pacchioni – è che persista la identità del debito quando, cambiato il soggetto di esso, viene contemporaneamente cambiata anche la identità del patrimonio che ne costituisce la normale garanzia» [18]. Lo stretto collegamento tra debito e responsabilità patrimoniale precluderebbe il trasferimento dell’uno in presenza di un diverso patrimonio responsabile. L’assumere un nuovo soggetto un debito uguale a quello di un soggetto precedente implicherebbe di necessità una interruzione a dispetto della circostanza che il secondo sia tenuto a ciò cui era tenuto il primo. Pertanto, così conclude l’Autore, «noi neghiamo dunque decisamente che possa aversi cessione dei debiti: l’operazione che va sotto questo nome altro non è che una novazione passiva» [19].

A questa vischiosità nell’ammettere la categoria – che potrebbe apparire innanzitutto concettuale – si combinava quella di altri Autori inclini ad escludere la successione a titolo particolare del debito sulla base di argomenti tipicamente normativi. Tra questi il giovane Rosario Nicolò il quale, di lì a qualche anno, avrebbe partecipato ai lavori di redazione del codice del 1942. Nella celebre monografia del 1936 [20], l’Autore osserva che contro la categoria della successione nel debito non basterebbero argomenti meramente logici, dato che il diritto già conosce il subingresso dell’erede nei debiti del de cuius [21]. A deporre contro l’ammissibilità della successione a titolo particolare nel debito sarebbe bensì che, di là di tali ipotesi eccezionali, non vi sarebbe alcuna norma la quale descriva la successione a titolo particolare nel lato passivo del rapporto obbligatorio. Né sarebbe ipotizzabile il potere dell’autonomia privata di provocare tale successione, in quanto un simile effetto presupporrebbe una disposizione di legge che previamente lo colleghi al negozio delle parti [22]. Non sono quindi ostacoli teorici ad opporsi alla categoria della successione a titolo particolare del debito. Essa sarebbe preclusa da limiti strettamente positivi, ossia dall’assenza di norme che descrivano, in via generale, siffatta vicenda giuridica [23].


4. La posizione agnostica del codice civile del ’42

Come noto, i redattori del codice del 1942 hanno scientemente trascurato la distinzione tra novazione soggettiva e successione con l’idea che definirle giovasse a poco e che occorresse, piuttosto, dedicarsi a regolare gli effetti. Donde la scelta di una disciplina uniforme da applicare ad ogni ipotesi in cui, per qualunque causa, un debitore si avvicendi ad un altro [24].

Con il proposito di tagliar corto, il legislatore ha tuttavia posto una disposizione enigmatica [25] che né prevede né esclude quella distinzione: «quando un nuovo debitore è sostituito a quello originario che viene liberato – recita l’art. 1235 cod. civ. (Novazione soggettiva) – , si osservano le norme contenute nel capo VI di questo titolo», vale a dire quelle dedicate a delegazione, espromissione ed accollo.

E come facilmente pronosticabile le rapide parole della legge – che volevano far giustizia di troppi ragionamenti – non hanno avuto altro effetto che risvegliare una dottrina pensosa e insoddisfatta la quale, dal canto suo, non ha rinunziato ad elaborare «tutta la gamma delle soluzioni concepibili» [26].

Da una parte quelli, e si tratta dei più, che hanno reputato la attualità della distinzione e, quindi, l’ammissibilità della successione a titolo particolare nel debito a dispetto di una formula legislativa abbastanza agnostica [27]. In uno dei più recenti studi monografici sulle modificazioni dal lato passivo del rapporto obbligatorio, si è rilevato come assunzione liberatoria del debito altrui (successione) e assunzione novativa del debito (novazione) non si confondano perché soltanto la prima è volta a conservare la fonte del rapporto [28]. Codesta conservazione non sarebbe esclusa dall’art. 1235 cod. civ. il quale, nel sottoporre la novazione soggettiva alle norme in materia di delegazione, espromissione ed accollo, non ha soppresso la categoria della successione particolare ma stabilito, esclusivamente, che l’una e l’altra sono attratte nel medesimo regime. Ambedue hanno come effetto la liberazione del debitore originario. Nella novazione, la liberazione del debitore originario è il costo che il creditore sostiene per ottenere la nuova obbligazione del terzo assuntore; nella successione particolare, la liberazione del debitore originario è invece il costo che il creditore paga per il subingresso di un nuovo debitore [29].

Dall’altra parte, quelli che hanno letto nel nuovo codice la destituzione della successione a titolo particolare [30]. Si è osservato che, dal punto di vista della disciplina positiva, la sostituzione del debitore determinerebbe una innovazione e non una semplice modificazione, in quanto inciderebbe sul sistema di interessi associato all’obbligazione. Producendo una alterazione essenziale di questo sistema, l’avvicendarsi di un soggetto ad un altro implica una correlativa modificazione del titolo, e con essa, la distanza del nuovo rapporto da quello di cui era parte il precedente debitore [31].

Nel mezzo, una certa varietà di sfumature ed accenti [32], tra cui la tesi che, all’apparenza più in linea con la opzione del legislatore, sembra avere guadagnato maggiori consensi. Si tratta della opinione in base a cui la distinzione sarebbe divenuta un problema quasi ozioso, essendo la novazione soggettiva e la (eventuale) successione nel debito sottoposte alla medesima disciplina ai sensi dell’art. 1235 cod. civ. [33]. Il regime delle eccezioni e delle garanzie sarebbe ormai uniforme, sia quando l’assunzione del debito implichi un effetto novativo sia quando ne determini uno privativo [34].


5. Uguale e stesso

Eppure, ad avviso di molti, la distinzione tra novazione soggettiva e successione del debito conserverebbe la sua irrisolta e problematica rilevanza proprio in relazione alle vicende dei privilegi [35].

Basti ricordare che le disposizioni dedicate a delegazione, espromissione ed accollo regolano sì il regime delle eccezioni e delle garanzie ma nulla prevedono a proposito delle prelazioni.

Del resto, la circostanza che il legislatore abbia posto una disciplina comune ad ogni ipotesi di sostituzione nel debito [36], non significa affatto che le varie ipotesi restino tra loro distinte [37].

Né pienamente convince l’affermazione secondo cui delegazione, espromissione ed accollo, pur integrando la causa principale del debito dell’assuntore, sarebbero ben compatibili con la successione a titolo particolare nel debito [38]. Non si può non convenire che, in tali casi, l’obbligazione del nuovo debitore abbia una fonte almeno in parte diversa da quella precedente, fonte risultante dalla combinazione dell’atto di assunzione e dell’originario fatto costitutivo del debito. Ed è quantomeno da dimostrare che una tale congiunzione di statuti (quello, da un lato, originario e quello, dall’altro, dato dalla delegazione, dalla espromissione o dall’accollo) sia compatibile con una successione, se almeno questa si intenda come permanenza e identità della fonte [39].

Il tema risale inevitabilmente verso la teoria generale.

Possiamo immaginare una alternativa: o gli atti di delegazione, espromissione ed accollo – sovrapponendosi o, comunque, connettendosi alla fonte originaria – sempre implicano un superamento o, almeno, una innovazione di tale fonte, con la conseguenza che la causa [40] del nuovo debito è a rigore differente da quella del precedente [41]; oppure questi atti configurano un mero congegno circolatorio, il quale sposta la fonte dall’esterno e la orienta verso un diverso soggetto, lasciandola al contempo immutata e intonsa. Nella prima prospettiva delegazione, espromissione ed accollo implicherebbero l’assunzione di un debito uguale a quello precedente ancorché ontologicamente distinto da questo; nella seconda prospettiva, si tratterebbe semplicemente dello stesso debito [42].

I fautori dello stesso osservano che la pura trasmissione della situazione giuridica non sarebbe eccentrica rispetto al diritto positivo che già conosce la successione universale nel debito [43]. Nota sin dalla compilazione giustinianea, siffatta successione nel debito realizzerebbe un classico acquisto a titolo derivativo, modalità circolatoria comune sia ai beni sia alle obbligazioni [44]. È interessante rilevare già ora come gli autori inclini ad ammettere la categoria della successione a titolo particolare nel debito reputino, prevalentemente, che la garanzia patrimoniale non sia un elemento costitutivo del rapporto obbligatorio [45]; sul punto torneremo più avanti.

I fautori dell’uguale guardano invece la struttura della obbligazione dal di dentro ricavandone che si tratti di uno statuto unitario e inscindibile, che non tollera sostituzioni di parti a meno di sacrificare la identità del tutto.

Intransigente la pagina di Francesco Carnelutti [46]: «se uno degli elementi del rapporto sono i soggetti, quando uno di essi cambia, il rapporto non è più quello, il che vuol dire che un rapporto si estingue e un altro si costituisce; la successione, come del resto la parola stessa lascia capire, esclude la unità e ne implica invece la duplicità: se un soggetto succede ad un altro anche un rapporto succede ad un altro. Ma quando si deve riconoscere che i rapporti nella successione sono due, anziché uno solo, sembra che il concetto medesimo di successione si dissolva» (p. 189).

Messo tra gli elementi della obbligazione, il soggetto non potrebbe distaccarsi dal rapporto senza portare via con sé qualcosa di essenziale. Non sarebbero ammissibili successioni perché ogni cambiamento sarebbe sempre un divenire, un farsi altro da prima ancorché simigliante al prima. Successione a titolo particolare nel debito si ridurrebbe a una formula ellittica, volta a descrivere l’estinguersi di una situazione giuridica in capo ad un soggetto e il contestuale (ri)costituirsi di una situazione uguale in capo ad un altro [47].


6. Circolazione dei privilegi e causa del credito

A quest’ultimo ragionamento si potrebbe opporre che distinguere tra stesso debito e uguale debito sarebbe fuorviante essendo l’obbligazione una predicazione normativa e, in quanto tale, puramente artificiale. Le vicende di tali predicazioni parrebbero affatto estranee alle modalità con le quali si susseguono gli eventi di natura. L’estinguersi di una obbligazione e il ricostituirsi di una nuova pienamente conforme alla precedente non sarebbe certo come il morire e rinascere di un soggetto vivente o il farsi e disfarsi di cose o il succedersi di accadimenti della storia. Mentre non è pensabile in natura il riprodursi dello stesso ente, questo appare ben possibile nel mondo ideale e logico dell’ordinamento giuridico [48], ove il venir meno e il tornare ancora non conoscerebbero preclusioni. Tra il vecchio e il nuovo non vi sarebbe alcuna distanza, essendo vecchio e nuovo attratti dentro una perfetta continuità normativa. Al punto che avrebbe poco senso separare stesso da uguale perché nelle vicende delle situazioni giuridiche tutto sarebbe immerso e si confonderebbe nel flusso a-temporale e a-storico del diritto [49].

Senonché, è innanzitutto sotto il profilo strettamente normativo che l’avvicendamento nel debito sembra segnare una interruzione. Ferma la teorica capacità del diritto di estinguere un rapporto e di costituirne un altro perfettamente identico, il subentrare nella obbligazione determina pur sempre una variazione del patrimonio responsabile.

Se è vero che il diritto è in grado di stabilire una continuità integrale tra la precedente e la successiva predicazione normativa, è anche vero che nella successione non si realizza il semplice trasferimento di una modalità deontica, prima era doveroso il dare 100 di Tizio poi diviene doveroso il dare 100 di Caio. Lo spostamento soggettivo della situazione giuridica implica soprattutto un mutare della garanzia patrimoniale. A trascorrere da uno ad altro soggetto non è soltanto il debito; è anche la pretesa creditoria a trasferirsi di patrimonio in patrimonio. La responsabilità che cadeva sui beni di Tizio si stabilisce adesso sui beni di Caio.

Sicché la conservazione della prelazione al cospetto dello spostamento soggettivo esigerebbe che la prelazione sia capace di ricostituirsi ex novo nel patrimonio del nuovo debitore [50]. Ma ciò (concettualmente ammissibile per altri profili della obbligazione) non appare conciliabile con lo statuto tipico dei privilegi i quali sono, per un verso, agganciati al fatto costitutivo del credito e, per altro verso, suscettibili di alterare la garanzia patrimoniale dei creditori concorrenti.

La prelazione, non c’è dubbio, rimanda a un conflitto distributivo all’interno di una comunità di soggetti i quali non hanno altro motivo di collegamento che l’essere creditori del medesimo debitore e del medesimo patrimonio.

Ed è proprio a tal riguardo che il problema della circolazione della prelazione si pone in maniera più acuta. Siccome non sono ammesse limitazioni della garanzia patrimoniale fuori dei casi previsti dalla legge (artt. 2740 e 2741 cod. civ.), l’incardinarsi della prelazione nel patrimonio del nuovo debitore incontra una logica resistenza dovuta alla pre-esistenza di ulteriori creditori i quali hanno radicato la loro aspettativa di soddisfazione su quel patrimonio.

Nello stabilire un certo ordine della ripartizione, ossia nell’accordare precedenza ad alcuni creditori, il privilegio trae con sé una specie di segregazione patrimoniale, in quanto uno o più beni sono destinati alla soddisfazione di certi crediti e non possono essere utilizzati per la soddisfazione degli altri se non dopo che i primi siano stati pagati integralmente [51]. Una simile modalità è uno svantaggio per i creditori non privilegiati, svantaggio che, nell’ipotesi in cui il loro debitore assuma una obbligazione privilegiata, essi registrerebbero all’improvviso e, comunque, dopo e al di fuori del verificarsi del fatto costitutivo della prelazione. Banalmente: se è, per così dire, intuibile che i creditori di un certo debitore debbano tollerare la prevalenza del credito di lavoro, in quanto la prestazione lavorativa sia stata svolta direttamente in favore di quel debitore, lo è meno che essi debbano tollerare siffatta prevalenza quando il credito sia sorto all’esterno del patrimonio del loro debitore e sia stato assunto da quest’ultimo in forza di un negozio posteriore [52]. Il nuovo debitore e il nuovo patrimonio sarebbero estranei alla causa legale del privilegio.

La circolazione della prelazione verso un nuovo patrimonio appare dunque problematica alla luce dalla circostanza che il privilegio è indissolubilmente connesso alla causa del credito ai sensi dell’art. 2745 cod. civ. e che tale causa o fonte si è storicamente verificata con riferimento ad altro patrimonio [53].

Del resto, anche ad ipotizzare che il diritto possa determinare delle successioni pure, in cui il debito conserva in tutto sé stesso a dispetto del trasferimento ad un nuovo soggetto, resta pur sempre il rilievo che quel debito è ora assunto entro un nuovo patrimonio, ove vi sono beni e creditori diversi [54]. L’originaria forza creatrice del diritto potrebbe, al più, generare la stessa obbligazione all’interno del nuovo patrimonio e qui munirla di un grado di privilegio pari a quello che aveva nell’altro patrimonio; ma non potrebbe trascinare la garanzia patrimoniale che, nel vecchio patrimonio, assisteva quella obbligazione [55]. Se questa, ad esempio, era radicata all’interno di un patrimonio ove erano presenti beni assai cospicui a fronte di debiti assai radi e prevalentemente chirografari, la garanzia patrimoniale risulterà molto diversa laddove nel nuovo patrimonio vi siano, all’opposto, beni assai radi e debiti privilegiati assai cospicui [56].

È evidente che l’obbligazione potrà anche essere la stessa ma risulterà radicalmente diversa l’aspettativa di soddisfazione del creditore [57].

Il tema va così verso un’altra grave questione della teoria generale delle obbligazioni: la garanzia patrimoniale si colloca all’interno o all’esterno del debito?

La dottrina non ha restituito a tale quesito una risposta univoca o, per lo meno, largamente condivisa. Il tema sembra al contrario in mezzo ad una ultra-centenaria contrapposizione di vedute, ad una antica e irrisolta contesa tra due linee di pensiero che sembrano ben lontane dal conciliarsi.

Da una parte, gli autori secondo cui la responsabilità sarebbe immanente o, comunque, strettamente connessa e interna alla obbligazione [58]; dall’altra parte, gli autori secondo cui si darebbe una separazione tra il piano della obbligazione e quello della responsabilità, quest’ultima collegata al fatto dell’inadempimento [59].

Come anticipato sopra, la disputa non è inconferente ai fini del nostro problema [60].

Gli autori inclini ad ammettere la categoria della successione a titolo particolare nel debito pensano prevalentemente alla responsabilità come a un qualcosa di diverso e distinto dalla obbligazione. Si tratta dei medesimi autori i quali ammettono la circolazione dei privilegi assieme alla circolazione del debito (cfr. nt. 6 e 46). Se la garanzia patrimoniale non è essenziale alla obbligazione, lo spostamento del debito e del privilegio verso un nuovo patrimonio potrebbe allora ammettersi perché essi, sin dall’origine, non sarebbero strettamente collegati ad alcun patrimonio [61].


7. Ragionare al contrario

È a questo punto chiaro quanto uno studio intorno alla circolazione dei privilegi generali dal lato passivo del rapporto obbligatorio sia direttamente dipendente alla questione della ammissibilità, nel nostro ordinamento, della categoria della successione a titolo particolare nel debito. Se ciò è dimostrato dall’esame degli orientamenti sopra ricordati – i quali traggono dalla supposta (in)ammissibilità della successione il corollario della (in)ammissibilità della circolazione dei privilegi – , resta ancora da indagare se si tratti di una relazione biunivoca o se, addirittura, sia possibile rovesciare i termini del ragionamento.

Da un punto di vista teorico, si potrebbe infatti ipotizzare che la relazione concettuale tra il problema della successione a titolo particolare e quello della trasmissione dei privilegi sia da ragionare all’inverso. Se, sino ad ora, il tema della ammissibilità della successione a titolo particolare nel debito è stato collocato a monte del tema della circolazione dei privilegi, nulla vieterebbe di svolgere il percorso al contrario: provare, cioè, a scrutinare la controversa categoria della successione nel lato passivo del rapporto obbligatorio alla luce della ammissibilità del trasferimento dei privilegi di patrimonio in patrimonio. Si potrebbe postulare che in tanto la successione nel debito sia ammissibile in quanto essa implichi la circolazione dei privilegi. Dato che questi ultimi concorrono a determinare la garanzia patrimoniale o, se si vuole, il regime di quella specifica obbligazione, non potrebbe pensarsi ad un pieno subingresso in essa se non al cospetto della contemporanea circolazione dei privilegi.

Messa in questi termini la categoria della successione nel debito riuscirebbe meno scontata perché, come osservato nelle pagine precedenti, la trasmissione dei privilegi generali di patrimonio in patrimonio è lungi dall’essere pacifica. E questo, ribadiamo, non perché al legislatore sia precluso di concepire un simile effetto: la natura intrinsecamente artificiale della norma giuridica fa sì che il legislatore possa forgiarla a suo piacimento e, comunque, al di fuori di qualsivoglia limite naturalistico. potendo addirittura far rivivere la situazione giuridica che sia stata estinta.

L’ammissibilità della circolazione dei privilegi generali è messa in crisi, piuttosto, dal diritto positivo il quale sembra agganciare la prelazione al fatto costitutivo della obbligazione senza stabilire che essa si conservi oltre e all’esterno di tale fatto costitutivo [62].

Il mutare del soggetto o, meglio, del patrimonio responsabile sembra provocare uno iato nel ciclo di vita della obbligazione, la quale diviene qualcosa di diverso da ciò che era. Se, quindi, i privilegi devono considerarsi parte della garanzia patrimoniale e se essa ultima, a sua volta, parte della obbligazione, si dovrebbe concludere che la successione soggettiva del debito non sia concepibile ancorché, ad un esame estrinseco, il debito rimanga uguale a prima: Tizio deve 100 come Caio doveva 100, ma l’aspettativa di soddisfazione del creditore Sempronio non è più la stessa.

In questa logica, la rappresentazione grafica spesso offerta del rapporto obbligatorio come un segmento in cui i soggetti stanno ai poli mentre la linea di congiunzione configura il contenuto della obbligazione appare, per certi versi, deviante. Essa suggerisce che la sostituzione di uno dei due poli si realizzi senza sacrificio delle altre parti. Una spontanea esigenza di semplificazione porta a ipotizzare che la posizione del debitore possa essere rimossa al pari di un componente ad incastro, lasciando fermo e immobile il contenuto del rapporto [63].

Ma, posto un nesso indissolubile tra debito e garanzia patrimoniale, quella immagine grafica è ormai insoddisfacente se non fuorviante. Lo scollegare il debitore dal rapporto obbligatorio non sembra più l’estrarre un componente pienamente fungibile bensì, piuttosto, il distaccare una serie di lacci che vanno dalla sfera del creditore verso la sfera del debitore e tra i quali vi sono i privilegi generali, ossia le complesse relazioni giuridiche tra la pretesa dell’uno e i beni dell’altro. È allora da chiedersi se tali lacci che corrono tra il credito e il patrimonio responsabile si possano perfettamente rannodare all’interno del nuovo patrimonio o se, invece, ve ne siano alcuni destinati a rimanere fatalmente recisi. Laddove si optasse per la negativa, sarebbe difficile continuare ad ammettere la categoria della successione nel debito nella misura in cui per successione si intenda una pura vicenda circolatoria che nulla lasci dietro di sé. Sarebbe più corretto affermare che con l’avvicendarsi di debitori la obbligazione si rinnovi, si faccia nuova e irriducibile in quella precedente.


NOTE

[1] Nei trattati, per tutti, G. Finazzi, La circolazione del credito, I, Cessione, factoring, cartolarizzazione, in Trattato delle obbligazioni, diretto da L. Garofalo e M. Talamanca, IV, Padova, 2008, 210.

[2] A. Ravazzoni, voce Privilegi, in Dig. disc. priv., sez. civ., XIV, Torino, 1966, 376.

[3] Per primo G. Stolfi, Appunti sulla c.d. successione particolare nel debito, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1948, 737, il quale osserva che «il verbo “prestare”, e più ancora la facoltà di conservazione, si addicono alle garanzie reali o personali che sorgono per volontà della parte, la quale è dunque libera di costituirle ed anche di mantenerle nei confronti di un debitore diverso dal primo, ma non possono di per sé concernere i privilegi, perché questi sono accordati dalla legge in considerazione della causa del credito (art. 2745 pr.) e quindi suppongono l’esistenza e il perdurare di quel determinato debito». Conforme A. Ravazzoni, voce Privilegi, cit., 376-377, il quale esclude anche la applicazione analogica della disposizione. Per l’applicazione della disposizione ai privilegi pare invece orientato, G.P. Gaetano, voce Privilegi (diritto civile e tributario), XIII, Torino, 1957, 965-966.

[4] Cfr. A. Magazzù, voce Novazione (dir. civ.), XXVIII, Milano, 1978, 822.

[5] Il che sembra valere anche per i trattati: ad esempio, in U. Breccia, Le obbligazioni, in Trattato di diritto privato a cura di G. Iudica e P. Zatti, Milano, 1991, 831, al tema si fa soltanto un rapido cenno nel capitolo dedicato alla espromissione.

[6] In termini così netti già G. Stolfi, Appunti sulla c.d. successione particolare nel debito, cit., 736 ss. Conforme C.M. Bianca, Diritto civile, 4, L’obbligazione, Milano, 1990, 686; ma, diversamente, W. Bigiavi, Novazione e successione particolare nel debito, in Dir. prat. comm., 1942, I, 121 ss. Per la tesi della trasmissione, sebbene con argomentazioni differenti, A. Ravazzoni, voce Privilegi, cit., 377.

[7] U. La Porta, L’assunzione del debito altrui, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da A. Cicu, F. Messineo, L. Mengoni, continuato da P. Schlesinger, Milano, 2009, 119.

[8] Tra tutti P. Rescigno, con riferimento all’accollo (in Studi sull’accollo, Milano, 1958, 164 ss.) e alla delegazione (in voce Delegazione (dir. civ.), in Enc. dir., XI, Milano, 1962, 982) e S. Rodotà, voce Espromissione (dir. civ.), in Enc. dir., XV, Milano, 1966, 790, con riferimento alla espromissione. Conforme D. Giacobbe, Della delegazione, dell’espromissione e dell’accollo. Art. 1268-1276, in Commentario del codice civile Scialoja-Branca, a cura di F. Galgano, Bologna, 1992, 127 e, sebbene con motivazioni non del tutto corrispondenti, G.F. Campobasso, voce Accollo, in Enc. giur., Roma, 1988, I, 4 ss.

[9] La sentenza si legge in Giur. civ., 1977, I, 165 ss. La Cassazione precisa che la conclusione è pienamente compatibile con la struttura solidale della obbligazione, la quale non è esclusa dalle diverse modalità con cui sono tenuti i singoli debitori (art. 1293 cod. civ.). Aderisce a questa soluzione D. Giacobbe, Della delegazione, dell’espromissione e dell’accollo, cit., 126.

[10] Caso che nella sentenza è avvertito come distinto dalla successione nel debito, ipotesi quest’ultima che, nella logica della motivazione, sembrerebbe astrattamente sottoposta ad un diverso trattamento in materia di circolazione del privilegio. Difatti, la Corte afferma che «Né, infine, può sostenersi che il credito è privilegiato nei confronti del fallimento (n.d.r. debitore accollante), facendo ricorso alla figura della successione nel debito, in quanto l’originario debitore sia stato liberato dal creditore. Non può invece integrarsi il fenomeno successorio quanto l’originario debitore non trasmette alcunché, ma continua ad essere obbligato verso il creditore». Nel caso di assunzioni cumulative si afferma comunemente la permanenza dei privilegi nei confronti del debitore originario, ponendosi il tema della estinzione o della circolazione dei privilegi al cospetto della liberazione del precedente debitore: A Patti, I privilegi, cit., 65-66; D. Di Sabato, I privilegi, in Trattato di diritto civile del Consiglio Nazionale del Notariato, diretto da P. Perlingieri, III, 17, Napoli, 2008, 100 ss.

[11] Cass., 27 maggio 1971, n. 1580; in senso analogo Cass., 18 giugno 1982, n. 3728. Vale la pena osservare che, neanche in materia concorsuale, vi sono delle disposizioni dedicate al tema. Non sembra pertinente, in particolare, la disposizione contenuta nell’art. 257, comma 3, c.c.i.i., in base a cui «il credito dichiarato dai creditori sociali nella liquidazione giudiziale della società si intende dichiarato per l’intero e con il medesimo eventuale privilegio generale anche nella liquidazione giudiziale aperta nei confronti dei singoli soci». Sebbene preveda la conservazione del privilegio all’interno del patrimonio del socio illimitatamente responsabile, la disposizione non disciplina una ipotesi di circolazione del debito in quanto la responsabilità del socio parrebbe essere originaria e coeva alla nascita della obbligazione in capo alla società. Di unico credito si discorre in Cass., 15 dicembre 1994, n. 19734, in Fall., 1995, 641; Cass., 11 agosto 1995, n. 8817, in Fall., 1996, 227; Trib. Milano, 26 marzo 1986, in Fall., 1986, 1273. In dottrina, V. Caridi, Sub art. 148, in La legge fallimentare dopo la riforma, a cura di A. Nigro, M. Sandulli, V. Santoro, II, Torino, 2010, 1958, osserva tuttavia che la ragione della estensione del privilegio generale sarebbe dovuta non tanto alla eadem causa obligandi quanto alla circostanza che questo – a differenza dei diritti reali di garanzia e dei privilegi speciali – implicherebbe una nota intrinseca del credito non direttamente connessa a particolari beni o diritti presenti nel patrimonio. Assente un immediato collegamento tra il privilegio generale e una porzione individua del patrimonio sociale, sarebbe giustificata la estensione della prelazione all’interno del patrimonio del socio.

[12] Si veda A Patti, I privilegi, in Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da A. Cicu, F. Messineo, L. Mengoni, continuato da P. Schlesinger, Milano, 2002, 67.

[13] Anche nella giurisprudenza di merito ricorre l’affermazione, tanto consueta quanto non del tutto spiegata, in base alla quale l’assunzione trarrebbe con sé una successione a titolo particolare nel debito: recentemente Trib. Massa, 16 gennaio 2024.

[14] L’indifferenza del concordato rispetto ai creditori sembra volere, in realtà, che le obbligazioni concordatarie assunte siano tali per cui i creditori non ricevano mediante il concordato meno o in tempi più lunghi rispetto a quanto riceverebbero nello scenario alternativo dell’attuazione coattiva della garanzia patrimoniale. Il contenuto delle obbligazioni concordatarie assunte dal terzo non può dunque essere deteriore per i creditori a pena di inammissibilità della proposta. Da questo punto di vista, l’indifferenza del concordato si riduce nella necessità che la offerta non pregiudichi la garanzia patrimoniale (sul rispetto delle regole distributive del patrimonio S. Pacchi, Il concordato fallimentare, in Aa.Vv., Fallimento e altre procedure concorsuali, 2, Milano, 2009, 1412 ss.; F.S. Filocamo, La proposta di concordato fallimentare, in Aa. Vv., Fallimento e concordato fallimentare, a cura di A. Jorio, Milano, 2016, 2476 ss.). Mentre una simile regola è certamente ricavabile dalla disciplina positiva (cfr. artt. 240, comma 4, e 245, comma 5, c.c.i.i., appare invece dubbio che il supposto principio di indifferenza implichi, di per sé, la trasmissione dei privilegi generali all’interno del patrimonio dell’assuntore. Ciò non soltanto perché l’ipotizzata trasmissione dei privilegi non appare ricavabile dalla disciplina positiva del concordato con assunzione ma, soprattutto, perché essa presuppone come risolta la questione – come vedremo, per niente scontata – della conservazione delle prelazioni al mutare del patrimonio responsabile. Le incertezze circa la circolazione dei privilegi nel concordato con assunzione si colgono in alcune opere monografiche nelle quali si osserva che, in ipotesi di fallimento dell’assuntore, il creditore assunto potrebbe richiedere l’ammissione del credito nello stato passivo «assistito dall’originario privilegio generale o speciale» ma, allo stesso tempo, «il curatore potrà fondatamente opporre che il credito è stato oggetto di ristrutturazione ed effetto novativo e quindi che non è dovuta la causa di prelazione» (così G. Buccarella, Il concordato fallimentare, coattivo e straordinario, Milano, 2016, 327).

[15] Sulla diversità V. Caridi, Sub art. 148, cit., 1958.

[16] Cfr. L Barassi, La teoria generale delle obbligazioni, I, La struttura, Milano, 1948 (sec. ed. aument.), 317.

[17] Al punto che, ammonisce R. Nicolò, L’adempimento dell’obbligo altrui, Milano, 1936, 283, ogni accostamento sarebbe «assolutamente arbitrario». Per la irriducibile diversità delle due ipotesi F. Carresi, voce Debito (successione), in Enc. dir., XI, Milano, 1962, 747 ss.

[18] G. Pacchioni, Diritto civile italiano, pt. II, Diritto delle obbligazioni, vol. I, Delle obbligazioni in generale, Padova, 1935 (sec. ed. riv. e corr.), 347.

[19] G. Pacchioni, Diritto civile italiano, cit., 348; nei medesimi termini già in La successione singolare nei debiti e le teorie germanistiche sul concetto di obbligazione, in Riv. dir. comm., 1911, I, 1045. Altrettanto autorevole, se non più diffusa, era tuttavia l’opinione contraria secondo cui la successione a titolo particolare nel debito fosse ben ammissibile. Così, ad esempio, N. Coviello, Della successione nei debiti a titolo particolare, in Arch. Giur., 1896, 297 ss. e G. Andreoli, Delegazione privativa e delegazione di pagamento, in Riv. dir. civ., 1934, 529 ss. in polemica col Pacchioni.

[20] R. Nicolò, L’adempimento dell’obbligo altrui, cit., 279 ss.

[21] Rilievo formulato anche da G. Andreoli, Delegazione privativa e delegazione di pagamento, cit., 546.

[22] Rilievo cui aderisce il W. Biagiavi, Novazione e successione particolare nel debito, in Dir. prat. comm., 1942, 75-76.

[23] Più precisamente, secondo il Nicolò, l’effetto del subingresso a titolo particolare nello stesso rapporto si potrebbe realizzare soltanto a cospetto della previsione normativa di negozi astratti che implichino la mera circolazione dell’obbligo senza concorrere, in alcun modo, alla descrizione della obbligazione del nuovo debitore. Non essendo pensabili in questi termini i modi positivi di modificazione del rapporto dal lato passivo (cioè delegazione, espromissione ed accollo) ed essendo questi, bensì, muniti di una causa tipica che contribuisce alla determinazione del contenuto della obbligazione assunta, nessuna generale successione del debito sarebbe configurabile nel sistema giuridico positivo (così spec. 284 ss.).

[24] Si legge nella relazione del Guardiasigilli 20 ss.: «È probabile che in astratto siano abbastanza netti i criteri differenziali tra la novazione soggettiva per mutamento del debitore e la successione nel debito; ma è certo che volere ricollegare determinate conseguenze giuridiche agli accordi destinati a produrre novazione e conseguenze diverse a quelli destinati, sempre in ipotesi, a produrre successione nel debito, sarebbe stato rendere un pessimo servizio alla pratica, che in questa materia ha bisogno di un orientamento sicuro e possibilmente di facile comprensione». Donde la scelta di attribuire «nessun rilievo pratico alla distinzione tra novazione e successione nel debito». Una ricostruzione storica si legge in F. Carresi, voce Debito (successione), cit., 744 ss.

[25] Di «enigma dell’art. 1235» parla L. Barassi, La teoria generale delle obbligazioni, I, La struttura, Milano, 1948 (sec. ed. aument.), 316 ss., il quale si sofferma a lungo sulla disposizione, mostrandone le varie e irriducibili ambiguità. Si è del resto ipotizzato che il senso della disposizione – la quale, non menzionando la successione, solleva il dubbio che questa sia ammissibile – potrebbe essere rovesciato, reputando che essa segni la definitiva soppressione della categoria della novazione soggettiva, proprio perché non pone per questa alcuna disciplina: cfr. P. Lambrini, La novazione, in I modi di estinzione, III, in Trattato delle obbligazioni, diretto da L. Garofalo e M. Talamanca, IV, Padova, 2008, 455.

[26] R. Cicala, voce Accollo, in Enc. dir., I, Milano, 1958, 1, 287.

[27] Si vedano: P. Perlingieri, Dei modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall’adempimento. Art. 1230-1259, in Commentario del Codice civile, a cura di A. Scialoja e G. Branca, Bologna-Roma, 1975, 165, il quale ammette la successione a titolo particolare nel debito, col rilievo che il soggetto «non è un elemento della struttura del rapporto giuridico, ma è soltanto il titolare, spesso occasionale, di una delle situazioni giuridiche soggettive contrapposte o collegate di cui il rapporto consta»; B. Grasso, Inidoneità della delegatio promittenti (titolata rispetto al rapporto di valuta) a determinare successione particolare nel debito, in Diritto e giurisprudenza, 2004, 1, 16 ss., il quale deduce che, nella categoria della assunzione del debito altrui, sarebbero comprese due diverse ipotesi: da un lato, la assunzione di un debito nuovo; dall’altro, la assunzione del medesimo debito preesistente, in via sostitutiva o cumulativa, seconda che sia o meno liberato l’originario debitore; M. Bianca, Diritto civile, cit., 623 ss. Possibilista L. Barassi, La teoria generale delle obbligazioni, cit., 328 ss.

[28] U. La Porta, L’assunzione del debito altrui, cit., 94.

[29] U. La Porta, cit., cit., 84 ss.

[30] F. Carresi, La cessione del contratto, Milano, 1950, 20 ss. Osserva ad esempio L. Barassi, La teoria generale delle obbligazioni, cit., 329, che dall’art. 1235 può anche estratto il significato in base a cui delegazione, espromissione e accollo implichino una novazione in ogni caso.

[31] A. Falzea, voce Efficacia giuridica, in Enc. dir., XIV, Milano, 1965, 491-492.

[32] Così, ad esempio, quella di R. Cicala, voce Accollo, cit., 283-284, secondo cui la successione si possa realizzare solo in ragione di una precisa indicazione delle parti senza cui si darebbe una novazione. Così, più recentemente, U. Stefini, Solidarietà e sussidiarietà nell’assunzione cumulativa del debito altrui, in www.juscivile.it, 2013, 10, 786 ss., il quale, pur ammettendo in linea generale la categoria della successione particolare nel debito, precisa che essa non riguarderebbe tutte le ipotesi di modificazione soggettiva del rapporto obbligatorio dal lato passivo, essendo da escludere per la espromissione e da circoscrivere all’accollo e alla delegazione che facciano riferimento al rapporto di valuta (così p. 803, nt. 139).

[33] P. Rescigno, Studi sull’accollo, Milano, 1958, 135 ss. nonché voce Delegazione (dir. civ.), cit., 934 ss. e 980 ss.; S. Rodotà, voce Espromissione (dir. civ.), cit., 789; A. Magazzù, voce Novazione (dir. civ.), cit., 781 ss.; P. Lambrini, La novazione, in I modi di estinzione, III, in Trattato delle obbligazioni, diretto da L. Garofalo e M. Talamanca, IV, Padova, 2008, 456. Si ricava da ciò il corollario in base a cui «la delegazione, l’espromissione e l’accollo, come regolati negli art. 1266 ss. c.c., dovrebbero, cioè, rappresentare gli unici istituti idonei a realizzare la sostituzione del soggetto passivo del rapporto»: A Zaccaria, voce Novazione, in Dig. disc. priv., sez. civ., XII, Torino, 1995, 282.

[34] P. Rescigno, voce Delegazione (dir. civ.), cit., 981.

[35] G. Stolfi, Appunti sulla c.d. successione particolare nel debito, cit., 736 ss.; R. Cicala, voce Accollo, cit., 286; U. La Porta, L’assunzione del debito altrui, cit., 118-119.

[36] Cfr. P. Rescigno, voce Delegazione (dir. civ.), cit., 981.

[37] Anzi, si osserva, si potrebbe addirittura trarre la conferma dell’ammissibilità della successione a titolo particolare nella obbligazione e, al contempo, dubitare della razionalità della scelta legislativa di applicare la medesima disciplina ad ipotesi diverse come la successione e la novazione: così G. Stolfi, Appunti sulla c.d. successione particolare nel debito, cit., 735 ss. Settico sulla costruzione di una categoria unitaria anche F. Gambino, Le obbligazioni, 1, Il rapporto obbligatorio, in Trattato di diritto civile, diretto da R. Sacco, Torino, 2015, 458, osservando che «le figure della successione nel debito e della successione nel credito assumono, nel nostro sistema, mero valore esplicativo».

[38] Il riferimento è ancora alle pagine di P. Rescigno, Studi sull’accollo, cit., 165-166.

[39] P. Rescigno, cit., ivi. Che la causa del debito in cui il terzo succede non sia esattamente la causa del debito precedente appare peraltro confermato dall’affermazione, svolta da tale dottrina, secondo cui l’accollo interromperebbe la circolazione dei privilegi i quali, collegati all’originario fatto costitutivo del credito, non si trasmetterebbero al debito che ha causa nell’atto di assunzione.

[40] La equivalenza tra causa e fonte della obbligazione si legge in D. Di Sabato, I privilegi, in Trattato di diritto civile del Consiglio Nazionale del Notariato, diretto da P. diretto da P. Perlingieri, III, 17, Napoli, 2008.

[41] Cfr. E. Briganti, La circolazione del debito, in E. Briganti-D. Valentino, Le vicende delle obbligazioni. La circolazione del credito e del debito, in Trattato di diritto civile del Consiglio Nazionale del Notariato, diretto da P. Perlingieri, III, 13, Napoli, 2007, 327-328, ove si osserva che, nell’ipotesi di espromissione, vi sarebbe una nuova obbligazione, ancorché identica, in quanto la nuova obbligazione avrebbe causa nel negozio espromissiorio. Ne seguirebbe che l’obbligo del terzo espromittente non ha la sua fonte immediata nell’originario fatto costitutivo della obbligazione: «Estraneità del fatto giuridico originario e autonomia della nuova fonte negoziale sono elementi inconciliabili con il concetto di successione, che presuppone identità del rapporto giuridico, ossia conservazione della sua fonte e della sua individualità».

[42] Osserva U. La Porta, L’assunzione del debito altrui, cit., 95, come non si possa discorrere di medesimo debito quando vi sia stata la destituzione della fonte originaria. La coppia stesso – uguale sembra riecheggiare anche in C.M. Bianca, Diritto civile, cit., 626.

[43] M. Allara, Vicende del rapporto giuridico, fattispecie, fatti giuridici, rist. con prefazione di N. Irti, Torino, 1999, 26, nonché, sempre in termini di teoria generale, F. Santoro-Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 2002 (rist. corr. della sec. ed.), 92-93.

[44] E. Betti, Teoria generale delle obbligazioni, III, 2, Vicende dell’obbligazione, Milano, 1955, 15 ss.

[45] Si veda ad esempio M. Allara, Vicende del rapporto giuridico, fattispecie, fatti giuridici, cit., 26: «… l’affermata incompatibilità tra la permanenza dell’identità del rapporto e la sostituzione del patrimonio che ne costituisce la garanzia non esiste, a parte la considerazione che il patrimonio del debitore, oggetto della esecuzione forzata, non costituisce un elemento del rapporto obbligatorio, inteso come rapporto di diritto sostanziale» (26). Nello stesso senso, P. Perlingieri, Dei modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall’adempimento. Art. 1230-1259, cit., 166, il quale avverte chiaramente come l’ammissibilità della successione particolare nel debito sia strettamente collegata alla collocazione della responsabilità patrimoniale all’esterno della obbligazione; escluso un nesso indissolubile tra debito e responsabilità, il mutamento del debitore produrrebbe novazione soltanto quando si tratti di prestazione intuitu personae; ancora, C. M. Bianca, Diritto civile, cit., 625-626, il quale reputa la responsabilità come qualcosa di accessorio e non interno alla obbligazione. Vi è tuttavia l’importante eccezione di Emilio Betti il quale, pur ammettendo la successione a titolo particolare nel debito (così in Teoria generale delle obbligazioni, cit., 20 ss.), ha altrove nitidamente illustrato il nesso strettissimo tra debito e responsabilità (così, ad esempio, in Teoria generale delle obbligazioni, III, Struttura dei rapporti d’obbligazione, Milano, 1953, passim).

[46] Così Teoria generale del diritto, Roma, 1951 (ter. ed. em. e amp.), 189.

[47] F. Carnelutti, Teoria generale del diritto, cit., 189-190. Più recentemente, in questi termini anche S. Ruperto, La dinamica giuridica. Un itinerario di diritto privato, Torino, 2019, 117 ss. Assunto l’effetto giuridico come mera costituzione o elisione di qualifiche giuridiche, non sarebbe pensabile la categoria dell’effetto sostitutivo non essendo, prima ancora, pensabile la categoria della modificazione. Il subentrare di un debitore ad un altro non configurerebbe una specifica vicenda del rapporto obbligatorio, giovando al più a descrivere la estinzione di un rapporto al cospetto della simultanea costituzione di un altro. Scettico rispetto all’idea che delegazione, espromissione e accollo possano assicurare la continuità della obbligazione anche F. Gambino, Le obbligazioni, cit., 404 ss. L’Autore mette in dubbio la vicenda successoria anche dal lato attivo, segnalando la «insidia di reificazione» data dall’assimilare il credito «ad una entità materiale; che, sciogliendosi da un titolare, si rannoda ad un altro soggetto». Ma, soggiunge l’Autore, «l’idea della continuazione del rapporto riesce solo ad esprimere una qualche compatibilità della nuova situazione giuridica con quella anteriore».

[48] Nota acutamente R. Nicolò, L’adempimento dell’obbligo altrui, cit., 281-282, che lo stesso concetto di identità è, nel mondo del diritto, assai singolare. Esso non si fonda su una congruenza materialistica ma sulla semplice predicazione normativa che considera un nuovo rapporto, ancorché rannodato ad altro soggetto, come se fosse quello originario. Condivide la prospettiva del Nicolò F. Carresi, voce Debito (successione), cit., 747.

[49] Il che corrisponderebbe alla intrinseca natura del tempo del diritto che è pensato come astratto e vuoto: si veda N. Irti, La teoria delle vicende del rapporto giuridico, in prefazione a M. Allara, Vicende del rapporto giuridico, fattispecie, fatti giuridici, cit., 9 ss.

[50] Ipotizza F. Carresi, voce Debito (successione), cit., 746, che una tale ricostituzione ex novo del rapporto obbligatorio, munito della precedente prelazione, si possa realizzare nell’ipotesi, per il vero affatto singolare, che alla ricostituzione convengano non solo le parti del rapporto ma anche i creditori concorrenti del nuovo debitore.

[51] Questa la regola della così detta priorità assoluta. E del resto pacifico che i privilegi segnino una deroga alla regola della par condicio creditorum: G.P. Gaetano, voce Privilegi (diritto civile e tributario), cit., 963; A. Ravazzoni, voce Privilegi, cit., 372-373. Nota tuttavia S. Ciccarello, voce Privilegio (dir. priv.), in Enc. dir., XXV, Milano, 1986, 725, come in realtà privilegi e parità di trattamento siano tra loro in armonia, essendo i privilegi volti a realizzare il principio di eguaglianza sostanziale.

[52] Da qui la tassatività dei privilegi e, soprattutto, l’indisponibilità degli stessi da parte dell’autonomia privata: A. Ravazzoni, voce Privilegi, cit., 373; A Patti, I privilegi, cit., 17; G. Sicchiero, Le obbligazioni, 2, La responsabilità patrimoniale, in Trattato di diritto civile diretto da R. Sacco, Torino, 2011, 260-261, il quale ricava dalla tassatività dei privilegi l’immeritevolezza dell’accordo che, fuori dei casi previsti dalla legge, sia volto ad assegnare ad un creditore la preferenza in pregiudizio degli altri.

[53] Il problema non può essere superato con il rilievo che i creditori del nuovo debitore avrebbero a disposizione il rimedio della azione revocatoria avverso l’atto di assunzione del debito privilegiato (cfr. F. Carresi, voce Debito (successione), cit., 746). La revocabilità sembra a valle della nostra questione, in quanto postula che il privilegio sia opponibile agli altri creditori siccome trasferito con l’atto di assunzione. Se così non fosse, l’azione revocatoria neanche sarebbe concepibile.

[54] Discorre D. Vattermoli, Crediti subordinati e concorso tra creditori, Milano, 2012, 353 ss. di valore ‘relativo’ del credito. Alla determinazione di tale valore concorrerebbero due fattori: uno di ordine quantitativo, dato dalla differenza tra massa attiva e massa passiva; l’altro di ordine qualitativo data dalla posizione di ciascun credito nel processo di graduazione. È evidente che tale valore, proprio perché relativo, muta col mutare del patrimonio responsabile.

[55] In questo senso D. Di Sabato, I privilegi, cit., 102, secondo cui alla modificazione del rapporto dal lato passivo seguirebbe, giocoforza, la estinzione dei privilegi.

[56] Osserva F. Carresi, voce Debito (successione), cit., 747-748, ove si osserva: «Invero, chi è titolare di un diritto di credito, è per ciò stesso titolare di un diritto accessorio di garanzia sul complesso dei beni del debitore: quindi sostituire all’originario debitore uno nuovo importa, prima ancora che una sostituzione di soggetti, una trasformazione oggettiva del rapporto obbligatorio, giacché il diritto di garanzia, che si ha nei confronti del nuovo debitore, è diverso da quello che il creditore vantava nei confronti dell’originario debitore». Vale la pena aggiungere che tale modificazione si realizzerebbe anche nella estrema ipotesi logica in cui il patrimonio del nuovo debitore sia perfettamente corrispondente a quello del precedente debitore, così sotto il profilo dei beni in esso presenti così sotto il profilo dei creditori concorrenti. Difatti, anche in questo caso potrebbe essere diversa la capacità dei due debitori di generare patrimonio futuro o di indebitarsi, con la conseguenza che, prospetticamente, risulterebbe diversa la garanzia patrimoniale del creditore. Il riferimento al patrimonio futuro come elemento idoneo ad escludere in radice la conservazione della garanzia patrimoniale è colta da G. Pacchioni, La successione singolare nei debiti e le teorie germanistiche sul concetto di obbligazione, cit., 1050.

[57] Sotto questo profilo, si mostra un ulteriore motivo di perplessità rispetto alla tesi della circolazione dei privilegi nel concordato con assunzione in forza del supposto principio di indifferenza del concordato (cfr. nt. 14). Anche dando per buona la premessa (vale a dire che i privilegi varrebbero anche nei confronti dell’assuntore), il supposto principio di indifferenza sembrerebbe urtare contro quanto rilevato nel testo. In particolare, pure ad ipotizzare che i creditori assunti conservino la prelazione dei confronti dell’assuntore, è indubbio che tale prelazione varrebbe all’interno di un nuovo patrimonio ove potrebbero già sussistere ulteriori privilegi di pari grado o, addirittura, di grado inferiore.

[58] Tra i classici nazionali: D. Rubino, La responsabilità patrimoniale. Il pegno, in Trattato di diritto civile italiano, diretto da F. Vassalli, Torino, 1949 (II ed.), v. XIV, t. I, 6 ss.; A. Cicu, L’obbligazione nel patrimonio del debitore, Milano, 1948, 120 ss.; S. Satta, L’esecuzione forzata, Torino, 1952, 33; E. Betti, Teoria generale delle obbligazioni, III, Struttura dei rapporti d’obbligazione, Milano, 1953, in vari luoghi e spec. 19 ss.

[59] Sempre tra i classici italiani: M. Giorgianni, L’obbligazione, I, La parte generale delle obbligazioni, Milano, 1951, 160 ss.; R. Nicolò, Del concorso dei creditori e delle cause di prelazione, in Commentario del codice civile, a cura di A. Scialoja e G. Branca, Bologna-Roma, 1955, sub artt. 2740-2899, 3 ss.; M. Allara, Vicende del rapporto giuridico, fattispecie, fatti giuridici, cit., 26 A. Di Majo, Delle obbligazioni in generale. Art. 1173-1176, in Commentario del codice civile Scialoja-Branca, a cura di F. Galgano, Bologna, 1988, 101 ss.; V. Roppo, La responsabilità patrimoniale del debitore, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, 19, Tutela dei diritti, I, Torino, 1997 (II ed.), 485 ss.).

[60] Come noto, la disputa ha rilevanza anche sotto il profilo strettamente processuale, ove tende a convertirsi nella contrapposizione tra quelli che svolgono una sostanziale identificazione tra il diritto di credito e il diritto di aggressione del patrimonio del debitore (tra tutti, si veda F. Ferrara jr.-A. Borgioli, Il fallimento, Milano, 1995 (V ed.), 13) e quelli secondo cui il diritto del creditore non avrebbe ad oggetto il patrimonio del debitore, essendo il mero termine cui si esercita l’azione esecutiva (anche qui tra tutti, si veda S. Satta, L’esecuzione forzata, cit., 33); su questa linea, in uno studio monografico dei privilegi, si afferma che il creditore non avrebbe alcun diritto nei confronti del patrimonio del debitore e che l’esecuzione forzata sarebbe soltanto un potere attribuito all’organo giurisdizionale (A Patti, I privilegi, cit., 3 ss.).

[61] Viceversa, gli Autori che escludono la circolazione dei privilegi ipotizzano la estinzione dei privilegi nelle vicende circolatorie «poiché essi non possono insistere se non sul patrimonio (mobiliare) di chi sia debitore»: così, a proposito della responsabilità dell’acquirente per i debiti della azienda ceduta, G. E. Colombo, L’azienda e il mercato, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, III, Padova, 1979, 162.

[62] Coerente l’affermazione secondo cui la disciplina del privilegio è riservata alla legge, titolo e statuto esclusivo della prelazione: G.P. Gaetano, I privilegi, in Trattato di diritto civile italiano, diretto da F. Vassalli, XIV, Torino, 1956 (rist. corr. sec. ed.), 52.

[63] Come se i poli soggettivi – per dirla con F. Gambino, Le obbligazioni, cit., 404 – siano «semplici punti di appoggio il cui mutare non modifica, nella struttura, il rapporto».