Il contributo propone una disamina dei potenziali elementi a fondamento di una tutela giurisdizionale del clima nell’ambito dell’ordinamento giuridico italiano, attraverso lo spunto offerto dalla sentenza del Tribunale di Roma nel Giudizio Universale. Muovendo dalla prassi in materia di Climate Change Litigations, l’analisi verte sulla possibile salvaguardia delle istanze climatiche mediante il ricorso al sistema di responsabilità civile, anche nella più ampia prospettiva di una tutela giurisprudenziale dei c.d. diritti di nuova generazione.
The paper examines the potential foundations for judicial climate protection within the Italian legal system, drawing on the Giudizio Universale decision rendered by the Tribunal of Rome. Building on the judicial practice of climate change litigation, the analysis focuses on the feasibility of safeguarding climate-related claims through the civil liability system. The discussion further explores the implications of this approach for the judicial enforcement of so-called “new-generation rights”.
1. Il contenzioso climatico e il ricorso strategico alla tutela giurisdizionale - 2. Espansione della giustizia climatica e c.d. rights-turn delle controversie in materia - 3. Il Giudizio Universale e il difetto di giurisdizione pronunciato dal Tribunale di Roma - 4. Il potenziale ruolo della Costituzione e della clausola generale di atipicità del danno per la difesa del clima - 5. La configurazione di una tutela giurisdizionale degli interessi climatici come garanzia della coerenza del sistema italiano di responsabilità civile - NOTE
Il fenomeno delle cc.dd. Climate Change Litigations costituisce ormai da anni oggetto di attenzione nel panorama giuridico mondiale [1], con particolare riferimento ai Paesi occidentali che ospitano le corti giurisdizionali innanzi le quali tali cause tendono spesso – anche se non sempre – ad essere instaurate [2].
Tali controversie climatiche sono connotate da un ricorso “strategico” allo strumento processuale, finalizzato non (solo e non) tanto alla materiale riparazione di un diritto o di una posizione soggettiva lesa, bensì ad aumentare la consapevolezza ed informazione della società civile sulla salvaguardia dell’ambiente e, con maggior pàthos, sul tema del cambiamento climatico, al fine di addivenire a forme di c.d. regulation through litigation [3]. Il successo di simili iniziative giudiziarie va dunque fondato sul clamore che riescono a suscitare a livello sociale e politico, piuttosto che sul numero di pronunce favorevoli ottenuto da chi agisce, allo stato piuttosto esiguo. Ancora, risulta chiaro che da una simile concezione “strumentale” della responsabilità extracontrattuale deriva il rischio di un inammissibile sindacato del giudice sull’attività legislativa dello Stato-legislatore, con conseguente lesione del fondamentale principio di separazione dei poteri [4].
La riflessione su possibili elementi a fondamento della tutela giurisdizionale del clima è venuta in considerazione anche in Italia, come dimostra la sentenza emessa dal Tribunale di Roma il 26 febbraio 2024 nel c.d. Giudizio Universale, azionato da una serie di associazioni ambientaliste e persone fisiche, affinché il giudice ordinario accertasse la responsabilità aquiliana dello Stato per la “perdurante (permanente) violazione dei modi e tempi dei doveri statali di protezione” in relazione al cambiamento climatico e alle sue conseguenze. La proposizione di simili domande costituisce una novità assoluta nell’esperienza italiana, nonostante sia proprio con riferimento alle azioni di responsabilità nei confronti degli Stati che le Climate Change Litigations (di seguito, per brevità: CCLs) si sono affermate [5].
La prassi in tema di CCLs è ben conosciuta tra gli addetti ai lavori, come rappresenta la stessa pronuncia in commento nella parte in cui menziona alcuni precedenti giurisprudenziali quali l’ormai celebre Urgenda Case, risoltosi con la pronuncia della Corte Suprema Olandese [6], oppure la statuizione con la quale il Tribunale amministrativo di Parigi ha riconosciuto la responsabilità omissiva dello Stato con riferimento agli impegni nazionali e comunitari previsti dalla Decisione n. 406/2009/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio [7] o, ancora, l’arresto della Corte Costituzionale tedesca che ha riconosciuto la parziale incostituzionalità della legge federale sui cambiamenti climatici [8]. Ad ogni modo, si deve constatare come le pronunce citate, tutte provenienti da corti giurisdizionali europee, abbiano comunque visto un tendenziale accoglimento delle ragioni di chi ha agito, diversamente da quanto accaduto con riferimento al caso de quo.
La pronuncia porta quindi ad interrogarsi sulle concrete modalità di tutela del diritto all’ambiente, specie con riguardo al cambiamento climatico [9], fenomeno ormai scientificamente pacifico al cui contrasto sono indirizzate innumerevoli iniziative legislative in seno ai singoli Stati, all’Unione europea ed alla Comunità internazionale, delle quali tuttavia resta incerta l’effettiva portata coercitiva. Da qui nasce l’esigenza di valutare la possibilità di ottenere per via giurisdizionale non soltanto un’attenzione mediatica sull’emergenza climatica ma piuttosto, attraverso il ricorso alle cc.dd. “mobili frontiere” della responsabilità civile [10] e facendo leva sulla tendenza espansiva delle norme aquiliane, una tutela giurisdizionale “dal basso” di un diritto diffusamente riconosciuto come fondamentale quale è quello ad un ambiente salubre [11].
Specie in un momento storico come quello attuale, dove l’uomo si trova a doversi costantemente confrontare con fenomeni emergenziali ed “epocali”, è necessario verificare se, e in quale maniera, gli strumenti privatistici possano incidere al fine di coniugare la piena adesione ai principi e valori sui quali si fonda l’ordinamento giuridico, con una risposta efficace alle complesse questioni che connotano la contemporaneità [12].
Per poter meglio inquadrare il Giudizio Universale, attraverso il richiamo ad alcune delle pronunce più rilevanti in materia è opportuno mettere in luce le tendenze evolutive della c.d. giustizia climatica [13], che di recente ha conosciuto una forte espansione in senso territoriale, oggettivo e soggettivo.
Nell’ambito di quella che è stata definita come climate litigation explosion [14], oltre al corposo contenzioso innanzi gli organi giurisdizionali americani dove tali azioni vengono tradizionalmente proposte [15], nonché al di là dei procedimenti – sempre più rilevanti non solo dal punto di vista quantitativo – instaurati in ambito europeo, si registra infatti un’ampia e capillare diffusione delle CCLs, anche nei Paesi del c.d. Sud Globale dove le conseguenze del cambiamento climatico sono più tangibili [16].
Dal punto di vista oggettivo, pare necessario sottolineare l’importanza del connubio tra diritto all’ambiente e alla salvaguardia del clima e diritti umani, in quanto premessa logica e giuridica di un’ampia serie di azioni climatiche nei confronti di Stati ed enti locali. Diversi commentatori ritengono infatti che intorno al 2015 si sia realizzata una “svolta” nel senso di una maggior consapevolezza rispetto alla salvaguardia del clima come presupposto per il godimento dei diritti umani, grazie soprattutto al tenore dell’Accordo di Parigi sul punto, il quale riconosce una piena interdipendenza tra sviluppo sostenibile, obblighi climatici e godimento dei diritti fondamentali della persona [17].
Il caso olandese Urgenda, con riferimento al quale si è per la prima volta assistito ad una condanna dello Stato alla diminuzione delle emissioni climalteranti prodotte sul territorio nazionale, in ragione del legame tra clima e godimento dei diritti umani, nonché degli interessi tutelati dagli artt. 2 e 8 CEDU (rispettivamente dedicati al diritto alla vita e al diritto al rispetto della vita privata e familiare), ha costituito negli anni a venire un modello per chi intendesse azionare simili contenziosi, senza eccezione per il Giudizio Universale.
Nel 2013 l’ong Urgenda agiva di fronte alla Corte distrettuale dell’Aja per accertare la responsabilità civile dello Stato olandese per le condotte tenute dallo stesso nel contrasto al cambiamento climatico [18]. In giudizio si accertava una hazardous negligence [19] in capo allo Stato, per aver violato il dovere di diligenza imposto alle istituzioni pubbliche, che ad avviso dei giudici olandesi deriverebbe non solo dai trattati internazionali in materia climatica sottoscritti e ratificati, o dal generale principio di ius cogens “pacta sunt servanda”, ma anche da fonti costituzionali [20] e – particolarmente rilevante ai nostri fini – dall’interpretazione estensiva degli artt. 2 e 8 CEDU che è stata offerta.
È dunque l’elaborazione del diritto al clima come diritto fondamentale della persona, da intendere come estrinsecazione degli interessi tutelati dagli artt. 2 e 8 CEDU, a costituire il fondamento di quel “rights turn” delle CCLs al quale gli studiosi si riferiscono [21]. In riferimento a tali posizioni giuridiche soggettive il diritto al clima, sebbene non positivizzato legislativamente, assume infatti una funzione necessariamente strumentale e prodromica, permettendo un notevolissimo passo in avanti nell’effettiva e concreta tutela in materia.
L’obbligo di diligenza statale si impone dunque quale duplice limite all’esercizio del potere legislativo, tenuto a garantire un diritto al clima quale diritto fondamentale dell’uomo ermeneuticamente riconosciuto e che, per fare ciò, deve necessariamente confrontarsi con i dati scientifici sul punto, osservando quella che viene definita “riserva di scienza” [22], mentre l’accertato inadempimento del suddetto dovere di diligenza, scientificamente dimostrabile, diviene fonte di responsabilità civile in capo allo Stato.
Quanto al pericolo di uno sconfinamento del potere giudiziario ai danni di quello legislativo, con rischi per la garanzia della separazione dei poteri e dell’esercizio discrezionale della potestà legislativa statale, questi sono stati in radice esclusi dalle Corti olandesi, in quanto non è stato giudizialmente prescritto al legislatore quale provvedimento adottare, bensì quali sono gli obiettivi climatici, scientificamente misurabili, che grazie all’intervento legislativo debbono essere raggiunti [23].
Si viene così a definire il contenuto dell’obbligazione climatica in capo a soggetti istituzionali, in primo luogo statali, grazie all’intimo collegamento tra difesa del clima e riserva di scienza, nell’ambito della c.d. traiettoria bottom-up di formazione di nuovi diritti “dal basso” [24]. In tale prospettiva, se è vero che il processo di affermazione di nuovi diritti richiede sempre una lunga gestazione, è comunque innegabile che con riferimento all’emergenza climatica vi sia un’urgenza raramente riscontrata in altri ambiti. La suddetta “premura” è stata diffusamente riconosciuta dalla Comunità internazionale, dall’Unione europea e dai CEOs dei più importanti fondi di investimento su scala globale ma, stante la mancanza di obblighi rigidi sufficientemente definiti, le istanze legate al clima vengono sistematicamente poste in secondo piano. Il ricorso al mezzo giurisdizionale da parte di cittadini e associazioni di carattere non governativo diviene così lo strumento primario per la garanzia degli obblighi climatici, altrimenti subordinati al perseguimento di interessi diversi e confliggenti, spesso legati alla salvaguardia o all’incentivo di una crescita economica nel breve periodo [25].
Ad ogni modo, dal caso Urgenda, definito “benchmark europeo” delle CCLs nei confronti di soggetti di natura pubblica [26], sono originate varie controversie similari, raggruppate in dottrina nel c.d. cluster delle human rights-based climate litigations. Queste si connotano come cause nelle quali gli attori pongono, in termini giuridici, le questioni del cambiamento climatico antropogenico, dei rischi ad esso connessi, delle possibili conseguenze sui diritti umani e fondamentali riconosciuti, promossi e protetti dal diritto sovrastatale o domestico, attraverso il ricorso in termini “strategici” al decisore politico-giudiziario, per il raggiungimento di uno specifico obiettivo: ottenere misure regolative adatte ad affrontare l’emergenza climatica nella sua complessità e pervasività [27]. Entro tale insieme di giudizi si possono richiamare, oltre ad Urgenda, altri casi quali Klimaatzaak (Belgio), L’Affaire du siècle (Francia), Neubauer (Germania), Greenpeace, Oxfam ed Ecologistas en Acción (Spagna), Giudizio Universale (Italia), il caso Agostinho Duarte e il caso KlimaSeniorinnen (Svizzera). Tali controversie sono accomunate dalla natura pubblicistica dei soggetti convenuti e dall’argomentazione dell’inscindibile connubio tra diritti umani e clima, ponendo le basi per un sempre più diffusa e solida tutela giurisdizionale del clima che, tuttavia, ad avviso del Tribunale di Roma risulterebbe del tutto sprovvista di “norme di copertura” nell’ambito dell’ordinamento giuridico italiano.
Nondimeno, proprio tale stretto legame tra clima e godimento dei diritti umani ha permesso la recente formazione di una prassi giudiziaria anche avanti la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, la quale detiene il monopolio interpretativo della CEDU [28] e può offrire – non senza polemiche [29] – importanti spunti ermeneutici nella tutela giurisprudenziale in materia [30].
Quanto all’estensione soggettiva delle iniziative di climate justice, nel recente passato è stato possibile constatare un incremento della proposizione di azioni giudiziarie nei confronti di soggetti privati, principalmente di natura societaria, finalizzate ad accertare la responsabilità civile degli stessi dal punto di vista ambientale e, più nello specifico, climatico [31].
Con specifico riguardo al contesto europeo si è inoltre assistito ad una massiccia e, allo stato, insuperata opera di positivizzazione degli obblighi di sostenibilità delle imprese, in primo luogo tramite la fissazione di obblighi di trasparenza, cui ha fatto seguito l’enucleazione di un vero e proprio dovere di due diligence in capo ai soggetti di maggiori dimensioni [32].
Ancora, la mancata o inesatta valutazione da parte del board societario dei rischi ai quali il cambiamento climatico espone le società, specie con riferimento ad alcune tipologie di businesses, può quindi condurre non solo all’azione di liability nei confronti delle società [33], ma anche a iniziative giudiziarie contro i relativi amministratori, che risulterebbero così autori di un pregiudizio, oltre che nei confronti dei soci lesi nelle proprie scelte e prospettive di investimento [34], anche verso soggetti esterni appartenenti all’ampia categoria dei portatori di interesse o stakeholders, sprovvisti di alcun legame contrattuale con la società stessa.
In questo senso si deve segnalare la rilevanza dell’azione intentata dalla ong ClientEarth [35] nei confronti di Shell PLC innanzi all’Alta Corte di Giustizia di Londra con la quale la prima, azionista di minoranza della seconda, ha agito per l’accertamento della responsabilità del board di Shell per aver adottato un piano di gestione in concreto inidoneo al rispetto degli obiettivi net-zero previsti dall’Accordo di Parigi, nonché inadatto al rispetto dell’ordine impartito alla società dal Tribunale de L’Aja nella diversa causa Milieudefensie v. Royal Dutch Shell plc [36].
Ad ogni modo, ciò che pare costituire un dato comune all’esperienza angloamericana ed europea sul punto, è la diffusa difficoltà ad ottenere pronunce favorevoli a coloro che agiscono con l’obiettivo di far accertare in giudizio la responsabilità di imprese e amministratori per i pregiudizi ai danni degli stakeholders, cagionati attraverso il mancato rispetto degli obblighi di sostenibilità imposti, il cui coordinamento con la c.d. business judgement rule, tradizionale fulcro della libertà di iniziativa economica in capo ai privati [37], risulta spesso problematico.
Il Tribunale di Roma ha affermato che i pregiudizi rappresentati nel Giudizio Universale, benché sostanzialmente aderenti a quelli enucleati e dimostrati nelle human rights-based CCLs menzionate nella sentenza stessa, non afferiscono ad alcun interesse soggettivo giuridicamente tutelato nell’ambito dell’ordinamento italiano, in quanto le determinazioni relative ai tempi ed ai modi di contrasto al cambiamento climatico comporterebbero valutazioni discrezionali, che “rientrano nella sfera di attribuzione degli organi politici e non sono sanzionabili nell’odierno giudizio”. Ancora, il Tribunale romano ha dato conto della lesione del principio di separazione dei poteri nella quale sarebbe incorso qualora avesse “annullato” atti normativi di rango primario e secondario, ribadendo con fermezza la non “predicabilità” della responsabilità dello Stato-legislatore al di fuori della violazione del diritto europeo [38].
E così in primo luogo il giudice ordinario ha affermato l’inammissibilità per difetto assoluto di giurisdizione delle domande proposte ex artt. 2043 e 2051 cod. civ., finalizzate ad accertare la responsabilità aquiliana dello Stato per non aver posto in essere quanto necessario all’abbattimento entro il 2030 delle emissioni climalteranti sul territorio italiano nella misura del 92% rispetto ai livelli del 1990, con conseguente domanda di condanna ex art. 2058 cod. civ. all’adozione di ogni misura necessaria a conformarsi ai livelli di emissioni di cui sopra. In secondo luogo, il giudice ha pronunciato il proprio difetto assoluto di giurisdizione rispetto alla domanda tesa all’accertamento della responsabilità statale da contatto sociale per aver violato l’obbligo di protezione nei confronti degli attori, dichiarando infine il proprio difetto relativo di giurisdizione rispetto alle domande attinenti al PNIEC, da impugnare innanzi al giudice amministrativo.
In un contesto quale quello descritto in precedenza, connotato da decenni di crescenti impegni della Comunità internazionale ai quali l’Italia prende puntualmente parte, nonché a fronte di un Unione europea che continua a perseguire l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050, il Tribunale di Roma in via espressa afferma l’inesistenza di un diritto al clima o comunque di un interesse, ad esso afferente, che si possa intendere come meritevole di tutela da parte dell’ordinamento [39].
Stante la notevole distanza tra quanto accertato dal giudice romano e l’impegno politico nazionale e sovranazionale sul clima, nonché alla luce dei molteplici precedenti “europei” radicalmente difformi rispetto a domande tutto sommato simili a quelle del caso de quo, è necessario verificare se l’ordinamento giuridico italiano, connotato dall’atipicità del danno ingiusto, effettivamente non offra alcun elemento sul quale radicare una tutela giurisdizionale degli interessi oggetto del Giudizio Universale.
La scienza ritiene ormai assodato che il mondo versi in una situazione di drammatica emergenza ecosistemica, climatica e fossile [40]. Per la prima volta accade che una situazione emergenziale, allo stesso tempo globale e locale, imponga la necessaria adozione di misure che siano scientificamente idonee al suo contrasto. La funzione primaria del diritto – ovvero la regolazione dei conflitti sociali interni alla comunità di riferimento – impone una riflessione accurata soprattutto nel senso del quomodo del contrasto all’emergenza, finora demandato alla cooperazione internazionale con risultati deludenti, scientificamente evidenti e misurabili [41].
È stato osservato in dottrina che, benché l’ambiente abbia nel tempo ottenuto una propria definizione e tutela giuridica in forma espressa [42], il concetto di clima è rimasto sprovvisto di ogni definizione normativa o giurisprudenziale, mentre le cc.dd. fonti del diritto climatico non si occupano di Climate Change nella sua dimensione squisitamente emergenziale [43]. Tale vuoto normativo-definitorio non può però costituire un pretesto per giustificare opinabili statuizioni nel senso della non configurabilità di alcuna forma di garanzia giuridica sul punto; resta invece evidente come il clima sia in grado di incidere in maniera determinante sulla concreta fruizione, da parte dei consociati, di posizioni giuridiche soggettive che l’ordinamento invece già considera meritevoli di tutela, in via espressa o implicita.
Alla luce di quanto sopra, la presente disamina non può prescindere dalla considerazione del testo costituzionale, quale forma di primario orientamento nel giudizio sulla configurabilità della tutela giuridica di un dato interesse. Le norme costituzionali vanno tuttavia interpretate in senso immediatamente precettivo, all’interno di un ordinamento giuridico concepito in senso monistico, riconoscendo maggior peso alle cc.dd. valvole di apertura dello stesso e rifiutando una contrapposizione netta tra fonti nazionali, internazionali e sovranazionali. È poi altrettanto importante ai nostri fini una corretta applicazione delle clausole generali il cui iter interpretativo, secondo autorevole dottrina, segna il percorso evolutivo del diritto civile, delle tecniche di interpretazione e della creatività della giurisprudenza [44].
L’evoluzione della responsabilità civile nell’ambito dell’ordinamento italiano è del resto frutto – nella quasi totale immutabilità degli artt. 2043 ss. cod. civ. – di una continua estensione del suo ambito di applicazione, attraverso “svolte” interpretative di sovente anticipate da ampi sforzi dottrinali, prima di essere riconosciute nelle aule giudiziarie [45]. È pertanto compito del giurista ricercare, intercettando la coscienza sociale in continua evoluzione, nuove fattispecie che necessitano tutela, al fine di realizzare quella “giurisprudenza umana, che guarda la verità d’essi fatti e piega benignamente la ragion delle leggi a tutto ciò che richiede l’ugualità delle cause” [46].
Ribadita l’opzione del legislatore del ’42 nel senso della previsione di una clausola generale di responsabilità civile e quindi dell’atipicità del fatto illecito, si condivide l’opinione di chi abbia individuato nell’ingiustizia l’elemento centrale del danno ex art. 2043 cod. civ. [47], da successivamente imputare al soggetto obbligato a risarcirlo, così da concretizzare la rilevanza giuridica di tale pregiudizio [48]. L’ingiustizia del danno, espressiva del più generale principio del neminem laedere, trova poi il proprio argine principale nel concetto di solidarietà che permea le situazioni soggettive dei consociati entro la medesima comunità di riferimento [49]. Solidarietà che, intesa come dovere di comportarsi in maniera da non pregiudicare l’interesse altrui, non solo trova fonte in norme codicistiche suscettibili di interpretazione estensiva, quali ad esempio gli artt. 833 e 1337 cod. civ., ma ha altresì esplicita enunciazione all’art. 2 Cost. che la declina in senso politico, economico e sociale.
Secondo questa prospettiva, è opportuno indagare se il pregiudizio lamentato nel Giudizio Universale, riferibile alla generalità dei consociati e derivante dal cambiamento climatico la cui dimensione emergenziale “non è oggetto di contestazione tra le parti”, sia considerabile come un danno ingiusto. Bisogna quindi interrogarsi sulla violazione del principio di solidarietà, posto che l’accertamento della responsabilità civile passa necessariamente dall’individuazione del soggetto, in questo caso lo Stato, al quale imputare il danno ed il conseguente obbligo di risarcimento. Dunque, non è tanto con riferimento al fatto dannoso che andrebbe ricercata l’ingiustizia, quanto più con riguardo al danno cagionato e all’imputabilità soggettiva dello stesso. Il focus che il Tribunale capitolino ha posto essenzialmente sulla condotta del preteso danneggiante, ovvero l’esercizio del potere legislativo da parte dello Stato, potrebbe (e dovrebbe) pertanto essere spostato sul pregiudizio climatico scientificamente rappresentato.
Nella consapevolezza che la progressione verso una tutela aquiliana più estesa si è sempre mossa nel quadro di norme che in potenza già indicavano le direttrici di tale evoluzione [50], vanno ricostruiti gli indici che dimostrano l’ingiustizia del danno cagionato, senza limitarsi al novero degli interessi strettamente qualificabili come diritti soggettivi [51].
Il pregiudizio lamentato dagli attori nel Giudizio Universale consiste nella lesione dei diritti alla vita ed alla serenità della propria vita privata, che verrebbe a prodursi in ragione della mancata adozione di norme scientificamente idonee al contrasto del cambiamento climatico. L’argomentazione fa ampio affidamento sull’evidenza scientifica dei dati sul Climate Change e, riproponendo avanti al giudice ordinario italiano i petita e le causae petendi che hanno sorretto azioni simili in Olanda, Francia e Germania, può in effetti rivelarsi fondata. In mancanza di una nozione espressa del concetto di clima, se ne invoca quindi una tutela giuridica indiretta, sulla base dell’assunto, scientificamente e logicamente evidente, per cui la garanzia di condizioni climatiche stabili costituisce un presupposto intrinsecamente necessario ai fini del godimento dei diritti umani e fondamentali [52].
Si tratta allora di ricostruire in via interpretativa il riconoscimento giuridico da parte dell’ordinamento dei diritti alla vita e alla serenità della propria vita privata, atteso che nessuno dei due trova un’enunciazione esplicita in fonti legislative interne. Questi trovano invece fonte espressa, ancorché con formulazioni in parte diverse, nella CEDU e nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea [53], entrambe pacificamente riconducibili alla previsione di cui all’art. 117, comma 1, Cost. Come rilevato da autorevole dottrina, un’interpretazione giurisprudenziale che valorizzi tale precetto, testualmente affatto ambiguo, porterebbe a dare un peso maggiore agli impegni internazionali e, dunque, anche agli obblighi in materia climatica e alle convenzioni per la garanzia dei diritti umani e fondamentali [54]. Nondimeno, i diritti alla vita e alla serenità della propria vita privata non risultano affatto estranei alla tradizione giuridica nazionale, ponendosi piuttosto come concrete estrinsecazioni dell’art. 2 Cost., fonte del fondamentale principio di solidarietà e pacificamente definito quale “valvola aperta” per l’enucleazione di nuovi diritti della persona all’interno dell’ordinamento giuridico [55].
Pare quindi configurabile anche in Italia un riconoscimento dei diritti alla vita e alla serenità della propria vita privata, tanto come posizioni giuridiche soggettive riconducibili alla previsione dell’art. 2 Cost., quanto come diritti positivizzati a livello internazionale, attraverso norme il cui rispetto è un obbligo costituzionalmente sancito dall’art. 117, comma 1, Cost. Se poi si ammette la tesi, quasi auto-evidente, per cui un clima stabile e salubre è prodromico al godimento dei due diritti di cui sopra, si giunge a ricostruire, benché in via soltanto ermeneutica, la meritevolezza della tutela giurisdizionale del clima invocata nel Giudizio Universale.
Al contrario, la sentenza in commento obbliga a constatare come l’opera di effettiva costituzionalizzazione del diritto, privato e non solo, appaia tuttora ostacolata da una diffusa concezione del testo costituzionale come norma di carattere anzitutto valoriale e programmatico [56], nonostante la stessa Corte di Cassazione sia giunta ad ammettere che la tutela aquiliana dei diritti dell’uomo “non si è ristretta ai casi di diritti inviolabili della persona espressamente riconosciuti dalla Costituzione nel presente momento storico” [57]. Ancora, tra gli studiosi c’è chi ha sottolineato la reale ratio dell’art. 2 Cost. come fonte del riconoscimento dei diritti dell’uomo in senso universale, i quali superano i confini politici di ogni Stato e si sottraggono alla facoltà di disposizione inerente alla sua sovranità [58]. Una simile impostazione tuttavia si è non di rado scontrata con la portata in concreto conferita all’art. 117 Cost., la cui interpretazione restrittiva ha spesso finito per svuotare di senso la norma, riconoscendo agli obblighi convenzionali la medesima forza normativa della relativa legge di ratifica. Questa prassi “restrittiva” pare tuttavia non essere ascrivibile a ragioni giuridiche interpretative, quanto piuttosto ad una impostazione di stampo tradizionalistico che nel tempo ha variamente connotato la giurisprudenza italiana [59].
Il faticoso iter con il quale si è arrivati ad estendere in misura notevole il danno risarcibile, nonché a riconoscere il primato del diritto comunitario e della giurisprudenza della Corte di giustizia europea, costituisce un chiaro esempio della difficoltà con cui in seno alla giurisprudenza tali “svolte” interpretative hanno luogo, spesso sulla base di intervenuti mutamenti socio-culturali più che di modifiche normative. Un ulteriore esempio in questo senso è offerto dal contorto percorso della giurisprudenza nazionale in materia di responsabilità del Legislatore per mancata attuazione del diritto europeo, un tempo ascritta all’ambito della responsabilità aquiliana ed oggi intesa come ipotesi di obbligazione “ex lege dello Stato inadempiente di natura indennitaria per attività non antigiuridica” [60]. La suddetta “giravolta” interpretativa pare infatti tradire un orientamento giurisprudenziale teso a fare salvo il principio per cui non esiste alcun diritto del cittadino all’esercizio della potestà legislativa, con la conseguenza che il legislatore – in conformità al principio per cui the king can do no wrong – non può essere chiamato a rispondere dei danni cagionati dall’esercizio della stessa. La mancata attuazione del diritto europeo risulterebbe così un lecito esercizio dell’insindacabile potestà legislativa statale, cui si conferisce rilevanza giuridica, come fonte dell’obbligo di indennizzare chi da essa venga danneggiato, solo con riferimento all’ordinamento europeo [61], lasciando emergere un’adesione evidentemente superficiale alle posizioni della Corte di giustizia europea [62].
Ancora, il pericolo di un’efficacia soltanto programmatica delle norme costituzionali si è dimostrato e si dimostra altrettanto serio con riferimento alle convenzioni internazionali in tema di diritti umani e – più rilevante ai nostri fini – di difesa del clima, di sovente percepite come mere affermazioni di valori, sprovviste di un effettivo enforcement e infatti spesso manifestamente disattese nell’indifferenza della Comunità internazionale.
Pare dunque che la ridotta portata sistematica riconosciuta ai principi solidaristici, i quali invece costituiscono il sostrato fondamentale della convivenza democratica tra consociati, sia riscontrabile con riguardo ad un insieme eterogeneo di fonti normative. Tale approccio deve tuttavia essere rifiutato con forza dal giurista e dallo studioso di diritto civile nello specifico. Infatti, nelle more di una legislazione che deve ancora individuare gli strumenti per un’efficace garanzia delle istanze climatiche, è senza dubbio il sistema di responsabilità civile a porsi come il primo strumento utile a difesa delle stesse [63].
L’atipicità del fatto illecito entro l’ordinamento giuridico nazionale e la presenza di una clausola generale di responsabilità extracontrattuale, unite ad un’attenta interpretazione dei precetti costituzionali e alla conseguente valorizzazione degli obblighi internazionali climatici e sui diritti umani, risultano, almeno sul piano esegetico, validi presupposti per una tutela giurisdizionale degli interessi dei quali si lamenta la lesione nel Giudizio Universale e nelle Human Rights Climate Change Litigations più in generale. Si può pertanto ritenere che in seno all’ordinamento vi siano già i presupposti per l’accertamento dei danni lamentati nel Giudizio Universale, afferenti ad interessi meritevoli di tutela anche a prescindere dall’enucleazione di un diritto soggettivo al clima o all’esercizio del potere legislativo. Già durante il secolo scorso la responsabilità civile ha infatti conosciuto un’espansione nel senso della risarcibilità di lesioni di situazioni giuridiche diverse dal diritto soggettivo, giustificata attraverso la valorizzazione dei precetti costituzionali e dell’atipicità della tutela aquiliana. A ben vedere, si tratta dei medesimi elementi oggi invocati per il riconoscimento di una tutela giurisdizionale del clima.
Del resto, clausole generali e norme costituzionali sono accomunate dall’essere formulate e concepite per adattarsi ad una realtà mutevole, ed è proprio nella flessibilità della tutela offerta che se ne esplica la ratio. Senza dubbio è corretto ribadire il carattere fondamentale della separazione dei poteri entro uno Stato democratico, ma è altrettanto importante interpretare le norme in senso sistematico e soprattutto evolutivo, specie quando sia stato lo stesso legislatore o addirittura il costituente a concepirle in senso dinamico e flessibile [64]. A fronte di un codice civile redatto nel senso della possibilità di conferire portata generale anche a norme di carattere non generale [65], non sono condivisibili operazioni ermeneutiche miopi che, rifiutandosi di prendere atto dello scorrere del tempo, contemplano inerti un tipo giuridico in cui si ritengono definitivamente fissate le modalità di disciplina di una certa materia [66].
All’interno di un sistema fondato sull’atipicità del danno e necessariamente ispirato e informato dai precetti costituzionali, la separazione dei poteri impone l’adeguata valorizzazione di tali componenti; è semmai la scelta di interpretare in termini restrittivi le norme in questione a presupporre, da un punto di vista logico e giuridico, un intervento espresso del legislatore che giustifichi una simile lettura. L’assunto si conferma anche avendo riguardo alla ricostruzione della tutela giurisdizionale degli interessi “climatici” operata altrove, in ordinamenti giuridici culturalmente prossimi a quello italiano [67]. La sentenza nel Giudizio Universale al contrario, oltremodo conservatrice nella ferma negazione della meritevolezza della tutela invocata dagli attori, finisce per porre l’Italia al di fuori del solco tracciato dalla pronuncia Urgenda.
Alla luce delle domande avanzate dagli attori nel giudizio de quo, il giudice avrebbe potuto accertare la responsabilità aquiliana in capo allo Stato senza necessariamente prescrivere ex art. 2058 cod. civ. l’adozione di un determinato provvedimento legislativo [68]. Il Tribunale di Roma invece, con il fine di rispettare i limiti della propria iurisdictio, ha operato un notevole ridimensionamento dei propri poteri (e doveri) giurisdizionali, omettendo del tutto il momento del “puro” accertamento dell’illiceità del danno lamentato, invero pienamente ricostruibile. Affermare il proprio difetto di giurisdizione nel “prescrivere” il provvedimento normativo da adottare, è cosa diversa dall’accertare l’ingiustizia del pregiudizio che il legislatore, con la propria attività o inerzia, può cagionare.
Al fine di garantire la coerenza del sistema di responsabilità civile, stante la possibilità di ricostruire la meritevolezza di tutela degli interessi lesi nei termini di cui sopra, sarebbe stato auspicabile un riconoscimento espresso dell’ingiustizia di tali danni. In seguito sarebbe stato possibile ricostruire il nesso causale fra i suddetti pregiudizi e l’azione (o inazione) legislativa su base empirica, attraverso la c.d. riserva di scienza [69]. Quanto poi alla imputabilità soggettiva in capo allo Stato della condotta produttiva del danno, questa troverebbe fonte nei molteplici obblighi internazionali assunti dallo Stato nel senso del contrasto al cambiamento climatico e della garanzia dei diritti umani, nei Trattati istitutivi dell’Unione europea, nonché nei generali principi di solidarietà ex art. 2 Cost. e del neminem leadere, oltre che nel diritto alla salute tutelato ex art. 32 Cost. e nella salvaguardia dell’ambiente di cui all’art. 9 Cost. [70].
A fronte delle eccezioni processuali sollevate dal Governo italiano convenuto, il giudice ha sostanzialmente dichiarato l’inammissibilità delle domande attoree. Inoltre, l’obiter dictum nel senso dell’irrilevanza giuridica di ogni interesse soggettivo afferente al clima pare indicativo – almeno per il momento, in attesa della futura pronuncia di secondo grado – del rifiuto della giurisprudenza verso una più ampia riflessione sul ruolo che il potere giudiziario può rivestire nella garanzia dei cc.dd. diritti di nuova generazione [71], in primo luogo mediante il ricorso al sistema di responsabilità aquiliana.
L’evoluzione tecnica e tecnologica ha infatti prodotto un esponenziale aumento della velocità e della forza con cui emergono nuove esigenze di tutela tra i consociati, rendendo pressoché impossibile una tempestiva risposta legislativa sul punto, che comunque – come accade in materia climatica – si rivela spesso inefficace ed insoddisfacente. Per questo una primaria forma di salvaguardia delle suddette istanze, afferenti a diritti di nuova emersione, non può che essere fornita dalla giurisprudenza, destinataria naturale delle domande di tutela “dal basso” oltre che interprete dell’ordinamento giuridico e garante della coerenza interna dello stesso, anche nella sua dimensione c.d. vivente. D’altronde, proprio la garanzia di un diritto vivente che realmente risponda alle esigenze sociali costituisce l’estrinsecazione della funzione primaria del diritto stesso. Il rifiuto di un simile assunto finirebbe invece per riabilitare l’idea del giudice come la bouche de la loi, comportando un’inammissibile mortificazione dell’attività giurisprudenziale.
Le conseguenze di un simile scenario ricadrebbero peraltro sulla generalità dei consociati, chiamati a vivere in una società che muta ben più velocemente di quanto non sia l’elaborazione di risposte soddisfacenti, non solo legislative ma anche da parte della giurisprudenza, nel senso della rimozione o, quantomeno, del contrasto agli effetti negativi che evoluzione della stessa produce.
[1] Sul fenomeno delle Climate Change Litigations si vedano: United Nations Environment Programme, Global Climate Litigation Report: 2023 Status Review, 2023, consultabile all’indirizzo wedocs.unep.org (ultimo accesso 18 giugno 2024); J. Setzer-C. Higham, Global Trends in Climate Change Litigation: 2023 Snapshot, Grantham Research Institute on Climate Change and the Environment and Centre for Climate Change Economics and Policy, London School of Economics and Political Science, Londra, 2023, al link www.lse.ac.uk (ultimo accesso 18 giugno 2024).
[2] Sulla distribuzione delle controversie “climatiche” si rinvia alla banca dati dedicata presso la Columbia University, disponibile al link https://climatecasechart.com/ (ultimo accesso 18 giugno 2024).
[3] Sul punto, ancorché con sensibilità tra di loro diverse, si segnalano i contributi di P. Franzina, Il contenzioso civile transnazionale sulla Corporate Accountability, in Riv. dir. int. priv. e proc., n. 4, 2022, 828 ss.; M. Ramajoli, Il cambiamento climatico tra green deal e climate change litigation, in Riv. giur. amb., 2021, 53; A. Giordano, Climate change e strumenti di tutela. Verso la public interest litigation?, in Riv. ita. dir. pubbl. com., 2020, 763 e S. Valaguzza, Liti strategiche e contenzioso climatico, in Riv. giur. amb., 2021, 67.
[4] Esemplificativamente, a tale pericolo fanno riferimento i giudici nella pronuncia Tribunal de première instance francophone de Bruxelles, Sezione civile, 2015/4585/A, reperibile presso l’indirizzo www.stradalex.com (ultimo accesso 19 giugno 2024), oppure nel caso Juliana v. United States, i cui atti sono consultabili all’indirizzo climatecasechart.com (ultimo accesso 19 giugno 2024).
[5] L’atto di citazione del Giudizio Universale è consultabile all’indirizzo giudiziouniversale.eu (ultimo accesso 18 giugno 2024). Per completezza, sulla prima iniziativa giudiziaria “climatica” di fronte ai giudici italiani, azionata nei confronti di Eni S.p.A. e della sua controllata Naoc Ltd. e poi conclusa con una transazione tra le parti, si veda M.V. Zammitti, L’impresa socialmente irresponsabile: un primo itinerario di giurisprudenza, anche in prospettiva comparata, in Le Società, n. 8-9, 2021, 1018 e ss.
[6] V. Supreme Court of The Netherlands, 20 dicembre 2019, n. 19/00135.
[7] Tribunal Administratif de Paris, 3 febbraio 2021, nn. 1904967, 1904968, 1904972, 1904976/4-1, nota di M. Poto in Responsabilità civile e previdenza, 2021, 1046.
[8] German Federal Constitutional Court, 24 marzo 2021, 1 BvR 2656/18; 1 BvR 78/20; 1 BvR 96/20; 1 BvR 288/20, nota di M. Poto-A. Porrone, The steady ascent of environmental and climate justice: Constituent elements and future scenarios, in Resp. civ. e previdenza, 2021, 1782.
[9] Tra le molteplici ed autorevoli fonti scientifiche sul tema, si rimanda a Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), Climate Change 2023: Synthesis Report, Summary for Policymakers. Contribution of Working Groups I, II and III to the Sixth Assessment Report of the Intergovernmental Panel on Climate Change, Ginevra, 2023, 35-115, doi: 10.59327/IPCC/AR6-9789291691647 (ultimo accesso 6 novembre 2024); M. Romanello ed altri, The 2024 report of the Lancet Countdown on health and climate change: facing record-breaking threats from delayed action, in The Lancet, Vol. 404, n. 10465, 1847 ss.
[10] Il riferimento è all’evocativa espressione coniata da F. Galgano, Le mobili frontiere del danno ingiusto, in Contratto e impresa, n. 1, 1985, 1 ss.
[11] Cfr. Corte cost., 23 luglio 1974, n. 247, in Giur. it., 1975, I, 3; Corte cost., 28 maggio 1987, n. 210, in Foro it., 1988, I, 329, con nota di F. Giampietro; Corte cost., 30 dicembre 1987, n. 641, ibidem, I, 1057, con nota di G. Ponzanelli nonché, più recente, Corte cost., 23 marzo 2018, n. 58, in Giur. cost., 2018, 604, con nota di D. Pulitanò.
[12] Su come le prospettive di efficace perseguimento dello sviluppo sostenibile siano inscindibilmente legate alle sorti di quei fattori che sono in grado di condizionare i fenomeni della globalizzazione, della deglobalizzazione o della riglobalizzazione selettiva, si rinvia a R. Rolli, Dalla Corporate Social Responsibility alla Sustainability, alla Environmental, Social and Governance (ESG), in Corporate Governance, n. 1, 2022, 92 ss.
[13] Sull’utilizzo di tale locuzione pare opportuno il rinvio, ex multis, a: M. Carducci, La ricerca dei caratteri differenziali della «giustizia climatica», in Diritto Pubblico Comparato ed Europeo, 2020, 1345-1369; A. Pisanò, Il diritto al clima. Il ruolo dei diritti nei contenziosi climatici europei, ESI, Napoli, 2022, 185-209; S. Baldin-P. Viola, L’obbligazione climatica nelle aule giudiziarie. Teorie ed elementi determinanti di giustizia climatica, in Diritto pubblico comparato ed europeo, n. 3, 2021, 597 ss.
[14] Cfr. S. Maljean-Dubois, Climate change litigation, in Max Planck Encyclopedia of Procedural Law, 2019, disponibile al link shs.hal.science, (ultimo accesso 9 luglio 2024); J. Peel- H.M. Osofsky, Climate change litigation, Cambridge University Press, Cambridge, n. 116, 2015, XI.
[15] Si vedano, ex multis: American Electric Power Co. v. Connecticut, consultabile all’indirizzo climatecasechart.com (ultimo accesso 9 luglio 2024); Massachussets v. Environmental Protection Agency, visionabile all’indirizzo climatecasechart.com (ultimo accesso 9 luglio 2024); Friends of the Earth v. The Governor in Council and Others, disponibile all’indirizzo climatecasechart.com (ultimo accesso 9 luglio 2024) o, ancora, Native Village of Kivalina v. ExxonMobil Corp., consultabile al link climatecasechart.com (ultimo accesso 9 luglio 2024).
[16] In questo senso, esemplificativamente, si rinvia a Leghari v. Federation of Pakistan, consultabile al link climatecasechart.com (ultimo accesso 9 luglio 2024); Institute of Amazonian Studies v. Brazil, disponibile all’indirizzo climatecasechart.com (ultimo accesso 9 luglio 2024); Corte Costituzionale Colombiana, sentenza C-035/16, disponibile all’indirizzo climatecasechart.com (ultimo accesso 9 luglio 2024). Ancora, non mancano contenziosi azionati anche di fronte ad autorità para-giudiziarie, quali In re Greenpeace Southeast Asia and Others, consultabile presso climatecasechart.com (ultimo accesso 9 luglio 2024) e Indigenous Communities of the Lhaka Honhat (Our Land) Association v. Argentina, consultabile al link www.corteidh.or.cr (ultimo accesso 9 luglio 2024).
[17] Sul punto si rinvia al testo del prambolo dell’Accordo di Parigi; mentre sul versante dottrinario si vedano S. Nespor, I principi di Oslo: nuove prospettive per il contenzioso climatico, in Giorn. dir. amm., n. 6, 2015, 750 ss.; M. Delsignore, Il contenzioso climatico dal 2015 ad oggi, in Giorn. dir. amm, n. 2, 2022, 265 ss.; J. Peel-H.M. Osofsky, A Rights Turn in Climate Change Litigation? In Transnational Environmental Law, 2018, n. 7, 37 ss.
[18] Le pretese degli attori muovevano dalla lesione del duty of care o dovere di diligenza in capo allo Stato, avente ad oggetto la doverosa riduzione delle emissioni climalteranti. Tale riduzione, secondo le evidenze scientifiche del quarto Assessment Report dell’IPCC, per essere conforme agli obiettivi previsti dall’Accordo di Parigi, non poteva essere inferiore al 25% rispetto i livelli del 1990, mentre il governo olandese si era impegnato ad una diminuzione nella sola misura del 20%. Il testo in lingua inglese della sentenza della Suprema Corte olandese è consultabile su: climatecasechart.com (ultimo accesso 4 settembre 2024).
[19] Cfr. S. Baldin-P. Viola, L’obbligazione climatica nelle aule giudiziarie. Teorie ed elementi determinanti di giustizia climatica, cit., 618.
[20] In Urgenda viene fatto espresso riferimento all’art. 21 della Costituzione del Regno d’Olanda adottata nel 2008, secondo il quale “It shall be the concern of the authorities to keep the country habitable and to protect and improve the environment”.
[21] Vedi J. Peel-H.M. Osofsky, A Rights Turn in Climate Change Litigation?, cit., 37 ss.
[22] Sul ruolo della “riserva di scienza” nell’ambito del contenzioso climatico si rinvia a A. Pisanò, Elementi per una definizione dei contenziosi climatici propriamente strategici, movendo dal Global Climate Litigation Report: 2023 Status Review, in Politica del diritto, n. 1, 2024, 19-20, nonché ai riferimenti bibliografici ivi riportati.
[23] Cfr. sul punto S. Baldin-P. Viola, L’obbligazione climatica nelle aule giudiziarie. Teorie ed elementi determinanti di giustizia climatica, cit., 618, nonché i p.ti 4.94 ss. della sentenza del 24 giugno 2015 emessa dalla Corte distrettuale dell’Aja, consultabile al link climatecasechart.com (ultimo accesso 4 settembre 2024).
[24] Così A. Pisanò, La genesi di un nuovo diritto, cit., 32 nonché, con una disamina di più ampio respiro sulla traiettoria bottom-up dei diritti, F. Viola-I. Trujillo, What Human Rights Are Not (Or Not Only). A negative Path to Human Rights Practice, Nova Science, New York, 2014.
[25] Sui rapporti tra sviluppo sostenibile ed esercizio dell’attività economica privata si rimanda a B.S. Servida, Sviluppo sostenibile e autonomia d’impresa, in Osservatorio di Diritto Commerciale, n. 1, 2023, 143 ss. nonché alla ricostruzione offerta da M. Libertini, Gestione “sostenibile” delle imprese e limiti alla discrezionalità imprenditoriale, in Contratto e Impresa, 2023, n. 1, 54 ss.
[26] A. Pisanò, La genesi di un nuovo diritto. Argomenti e ragioni a sostegno del diritto al clima, in Ars Interpretandi, n. 2, 2022, 40.
[27] A. Pisanò, Elementi per una definizione dei contenziosi climatici propriamente strategici, cit., 22.
[28] Il “monopolio interpretativo” della Corte di Strasburgo è riconosciuto dalla Corte costituzionale italiana nelle “sentenze gemelle” n. 348 e 349/2007, nonché nella sentenza Corte cost. n. 317/2009 cui si rimanda, con particolare riferimento al punto n. 7 del considerando in diritto. In tema si veda A. Cardone, voce “Diritti fondamentali (tutela multilivello)”, in Enciclopedia del diritto. Annali, vol. IV, Giuffrè, Milano, 2011, 386 ss.
[29] Si veda in questo senso la “dichiarazione critica” nei confronti della sentenza KlimaSeniorinnen della Corte di Strasburgo, adottata dal Consiglio Federale svizzero su indicazione del Consiglio degli Stati (che insieme con il Consiglio Nazionale esercita il potere legislativo nel Paese). Il contenuto di tale dichiarazione del Governo svizzero è reperibile al link www.admin.ch (ultimo accesso 5 settembre 2024).
[30] Cfr. Corte EDU, decisione del 9 aprile 2024, ricorso n. 53600/20, all’interno del caso KlimaSeniorinnen v. Switzerland (ECtHR), particolarmente significativa per la ricostruzione di una tutela giurisdizionale del diritto al clima fondata sulla violazione degli artt. 2 e 8 CEDU da parte delle istituzioni pubbliche, nonché alla luce della lesione dell’art. 6 CEDU. La pronuncia è disponibile al link climatecasechart.com (ultimo accesso 5 settembre 2024).
[31] Se in principio venivano convenute società di grandi dimensioni essenzialmente operanti nel settore energetico e dell’estrazione petrolifera, la prassi ha dimostrato un progressivo allargamento del novero dei soggetti coinvolti, come esaustivamente rappresentato dalle analisi di R. Rolli, Dalla Corporate Social Responsibility alla Sustainability, alla Environmental, Social and Governance (ESG), cit.; R. Rolli, L’impatto dei fattori ESG sull’impresa, Modelli di governance e nuove responsabilità, Il Mulino, Bologna, 2020; S. Bruno, Climate Corporate Governance: Europe VS. USA?, in European company and financial law review, 2019, n. 6, 687 ss.; S. Bruno, Cambiamento climatico e organizzazione delle società di capitali a seguito del nuovo testo dell’art. 2086 c.c., in Banca Impresa e Società, n. 1, 2020, 47 ss.
[32] Il riferimento è alla Direttiva (UE) 2024/1760 “Corporate Sustainability Due Diligence Directive” (CSDDD). Sullo scetticismo di parte della dottrina europea sul punto, dovuto all’incertezza che connota alcuni dei concetti fondamentali della norma, si rimanda esemplificativamente a The European Company Law Experts Group, The European Parliament’s Draft Directive on Corporate Due Diligence and Corporate Accountability, 2021.
[33] In questo senso risulta indicativa la citazione in giudizio, da parte del procuratore generale di New York, di tutte le principali società petrolifere (ExxonMobil, Chevron, British Petroleum, Shell, Conoco-Phillips, Royal Dutch Shell), tesa ad accertare la responsabilità delle stesse come principali fautrici del cambiamento climatico. Una ricostruzione in chiave sistematica di tali iniziative è offerta da S. Bruno, Dichiarazione “non finanziaria” e obblighi degli amministratori, in Riv. Soc., 2018, n. 4, 991 ss.
[34] Sulla configurabilità di forme di responsabilità civile in capo ad intermediari ed emittenti finanziari, derivanti da una mancata compliance rispetto agli obblighi di trasparenza imposti ex lege, anche in materia di sostenibilità, si vedano M. Maugeri, Informazione non finanziarie e interesse sociale, in Riv. Soc., 2019, 992 ss. e S. Bruno, ult. op. cit., 991 ss.
[35] L’iniziativa in parola, riconducibile al fenomeno del c.d. attivismo azionario, costituisce la prima azione “climatica” direttamente intentata contro il consiglio di amministrazione di una società. L’azione esperita nell’ordinamento britannico da un singolo socio – nel caso de quo ClientEarth – si pone come c.d. derivative action, la quale prevede un prima facie case rispetto al quale l’Alta Corte di Londra si è espressa negativamente. Il successivo mancato rilascio a ClientEarth del permission of appeal ha definitivamente messo fine alla vicenda processuale, che tuttavia conserva la propria importanza quale leading case, specie considerando che il quadro normativo nell’Unione europea in tema di sostenibilità dell’attività economica è sensibilmente più complesso che nell’area di Common Law, con la conseguenza che una simile azione, se proposta nell’ambito unionale, potrebbe più facilmente avere esito positivo per gli attori. Il testo della pronuncia dell’Alta Corte di Giustizia di Londra nel giudizio ClientEarth c. Shell PLC e altri è consultabile al link climatecasechart.com (ultimo accesso 24 settembre 2024) con nota di M. Manna e S. Bruno in Foro italiano, 2024, 45.
[36] La controversia, che fa seguito al celebre Urgenda case, verte sull’accertamento della responsabilità di Shell PLC per il proprio contributo all’emergenza climatica, con la conseguente condanna della stessa alla riduzione entro il 2030 delle proprie emissioni del 45% rispetto ai livelli del 2019. La Corte d’appello de L’Aja tuttavia, pur condividendo in termini generali quanto accertato in primo grado, ha riformato la condanna di Shell alla riduzione delle emissioni in una specifica misura, dato che la riduzione delle emissioni del 45% non si applica ad ogni Stato e settore economico, né secondo la Corte è scientificamente individuabile una percentuale di riduzione delle emissioni che gli operatori del settore petrolifero dovrebbero raggiungere. La determinazione della Corte d’appello de L’Aja è stata impugnata da Milieudefensie avanti la Corte Suprema Olandese, mentre le pronunce dei primi due gradi di giudizio sono reperibili al link climatecasechart.com (ultimo accesso 2 gennaio 2025).
[37] In attesa di conoscere la portata del c.d. Pacchetto Omnibus che la Commissione europea sta approntando, in un’ottica di c.d. deregulation finalizzata a semplificare la compliance ESG in capo alle imprese, pare utile il rinvio a M. Libertini, Gestione “sostenibile” delle imprese e limiti alla discrezionalità imprenditoriale, cit., 54 ss.
[38] Mentre quanto censurato dagli attori nel caso de quo sarebbe al contrario espressivo della funzione di indirizzo politico, legittimamente esercitata dal legislatore e non sindacabile dal giudice, in piena conformità all’attuale orientamento di legittimità sul punto, inaugurato con Cass. civ., sez. un., 17 aprile 2009, n. 9147 in Resp. civ., 2010, n. 5, 346 ss., nota di A. Riccio, ulteriormente confermato in seguito, ex multis, da: Cass. civ., sez. VI-III, sentenza del 9 gennaio 2014, n. 307 in CED Cassazione, 2014; Cass. civ., sez. III, 22 novembre 2016, n. 23730, in Il caso.it, 2017.
[39] Il concetto ex art. 1322, comma 2, cod. civ. viene qui ripreso con riguardo alla materia extracontrattuale, dal momento che la ratio della norma la rende idonea a segnare (altresì) i confini dell’atipica tutela aquiliana, come autorevole dottrina ha da tempo rilevato: F. Galgano, Le mobili frontiere del danno ingiusto, in Contr. e impr., n. 1, 1985, 10 ss.; F. Galgano, Le antiche e nuove frontiere del danno risarcibile, in Contr. e impr., n. 1, 2008, 73 ss.
[40] Nei termini di una “triplice emergenza” si esprime M. Carducci, La ricerca dei caratteri differenziali della «giustizia climatica», cit., 1358 ss.
[41] In via esemplificativa pare utile il rinvio al report dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (O.M.S. o W.H.O.) in vista della COP 29, World Health Organisation, COP29 special report on climate change and health: Health is the argument for climate action, Ginevra, 2024, reperibile al link cdn.who.int (ultimo accesso 12 novembre 2024).
[42] Il riferimento è anzitutto alle modifiche del testo costituzionale che la legge cost. n. 1/2022 ha apportato agli artt. 9 e 41 Cost., nonché al precedente d.lgs. n. 152/2006 (c.d. Codice dell’ambiente) con il quale la materia era stata oggetto di una regolamentazione sistematica e, almeno nelle intenzioni, esaustiva. Per una breve disamina in senso comparatistico della tutela dell’ambiente, si rimanda a F. Fracchia, Il diritto ambientale comparato, in Federalismi.it [online], n. 7, 5 aprile 2017, www.federalismi.it (ultimo accesso 12 novembre 2024).
[43] Così M. Carducci, La ricerca dei caratteri differenziali della «giustizia climatica», cit., 1360.
[44] Così si esprime S. Rodotà, Il tempo delle clausole generali, in Politica del diritto, 1985, 709 ss.
[45] In questi termini S. Rodotà, Il problema della responsabilità civile, Giuffrè, Milano, 1964 (ristampa inalterata del 2023), 31.
[46] G. Vico, La scienza nuova, 1.IV, sez. VII, 940, edizione a cura di F. Nicolini, Vol. II, Laterza, Bari, 1928, 64.
[47] P. Schlesinger, La “ingiustizia” del danno nell’illecito civile, in Jus, 1960, 347 e soprattutto, nell’ambito di un’analisi di straordinaria efficacia e coerenza sistematica, S. Rodotà, Il problema della responsabilità civile, cit., 87.
[48] Ibidem, 76.
[49] Ibidem, 89 dove viene offerta una concezione della solidarietà ex art. 2 Cost., al contempo come fonte e “misura” dell’ingiustizia del danno, successivamente avvallata anche da M. Franzoni, Il danno risarcibile, in Trattato di diritto civile, diretto da M. Franzoni, Milano, Giuffrè, 2010, 542-545.
[50] F. Galgano, Le mobili frontiere del danno ingiusto, cit., 26.
[51] Ibidem, 10.
[52] Ancorché nella prassi i due termini assumano quasi un carattere endiadico, per un’autorevole distinzione tra diritti “umani” e “fondamentali” pare opportuno rinviare a G. Alpa, Diritti fondamentali e diritto europeo, in I diritti fondamentali in Europa e il diritto privato, a cura di A. Zoppini, Roma 3 Press, Roma, 2019, 9 ss.
[53] Si rinvia pertanto agli artt. 2 e 8 CEDU e agli artt. 2 e 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE. Per una disamina in termini sistematici dei rapporti tra le norme europee in materia di diritti fondamentali, ai fini di una applicazione delle stesse in ambito privatistico, si rinvia a M. Libertini, Qualche riflessione sull’efficacia orizzontale in diritto privato delle norme sui diritti fondamentali dei trattati europei, in I diritti fondamentali in Europa e il diritto privato, a cura di A. Zoppini, cit., 65 ss., nonché, nel medesimo volume, a G. Alpa, Diritti fondamentali e diritto europeo, cit., 9 ss.
[54] Sull’auspicio che l’art. 117, comma 1, Cost. elevi al rango di norme costituzionali gli obblighi contenuti nelle convenzioni internazionali a tutela dei diritti dell’uomo, si rimanda a F. Galgano, Danno non patrimoniale e diritti dell’uomo, in Contratto e impresa, 2009, 889.
[55] Nel 2003 la S.C. ha posto in essere una significativa valorizzazione del rapporto tra art. 2059 cod. civ. e art. 2 Cost., interpretando il suddetto precetto costituzionale al contempo quale norma che soddisfa la riserva di legge codicistica e fonte per la tutela nell’ordinamento di nuovi diritti “inviolabili” dell’uomo; sul punto si rinvia a Cass. civ., sez. III, sentenze gemelle del 31 maggio 2003, nn. 8827 e 8828, in Foro it., 2003, I, 2272 ss. con nota di E. Navarretta, nonché a F. Galgano, Danno non patrimoniale e diritti dell’uomo, cit., 884. Più in generale a riguardo si veda S. Rodotà, Solidarietà: un’utopia necessaria, Laterza, Roma-Bari, 2014, 42 nonché, con più ampio riferimento al ricorso alle clausole generali nell’ambito del testo costituzionale, F. Pedrini, Clausole generali e Costituzione, in Quaderni costituzionali, n. 2, 2012, 285 ss.
[56] S. Rodotà, Solidarietà, cit., 38.
[57] Anche se limitatamente ai diritti di “rango costituzionale” espresso o desumibile, è stata così riconosciuta l’apertura di cui è fonte l’art. 2 Cost. attraverso la pronuncia Cass. civ., sez. un., 11 novembre 2008, n. 26972 in Corr. giur., 2009, n. 1, 48 ss.
[58] F. Galgano, Danno non patrimoniale e diritti dell’uomo, ult. cit., 891.
[59] Per una disamina dei “pregiudizi” storici, culturali e logici che possono ostacolare la corretta interpretazione ed applicazione delle norme giuridiche, limitata dall’a. al solo ambito extracontrattuale e che invece pare potersi riproporre in termini più ampi, si veda S. Rodotà, Il problema della responsabilità civile, cit., 58 ss.
[60] Cfr. Cass. civ., sez. un., 17 aprile 2009, n. 9147 con cui tale orientamento ha ottenuto l’avvallo delle Sezioni unite. Tra le diverse pronunce conformi si rinvia a Cass. civ., sez. III, sentenza del 22 novembre 2016, n. 23730 con cui si è lapidariamente statuito che “dal punto di vista del diritto comunitario, cioè, l’inesatta azione ovvero l’omissione legislativa sono un fatto antigiuridico, mentre tali non sono per l’ordinamento nazionale, in cui è approntata solo la tutela data dal giudizio di costituzionalità, per le norme legislative ad esso soggette”. Sul versante dottrinario, sulla responsabilità del legislatore per mancata attuazione della normativa comunitaria ex multis si vedano: M. Franzoni, L’illecito, in Trattato della responsabilità civile, diretto da Franzoni, I, Giuffrè, Milano, 2010, 957 ss.; V. Roppo, La responsabilità civile dello Stato per violazione del diritto comunitario (con una trasgressione nel campo dell’illecito «costituzionale» del legislatore), in Contr. e impr. Eur., 1999, 101 ss.; G. Ponzanelli, L’Europa e la responsabilità civile, in Foro.it., 1992, IV, 150 ss.; G. Alpa, La responsabilità civile. Parte generale, Utet, Torino, 2010, 965; R. Bifulco, La responsabilità dello Stato, Cedam, Padova, 1999, 207 ss.; E. Calzolaio, La violazione del diritto comunitario non è antigiuridica: l’illecito dello Stato al vaglio delle Sezioni Unite, in Contr. e impr., 2010, 71 ss.; A. Lazari, Il giudice complesso e la responsabilità dello Stato – il commento, in Danno e responsabilità, n. 12, 2012, 1225 ss.; G. Vettori, Diritto ad un rimedio effettivo nel diritto privato europeo, in Riv. dir. civ., n. 3, 2017, 666 ss.; A. Continisio, L’obbligazione “indennitaria” dello Stato per attività “non antigiuridica”: nomina sunt consequentia rerum?, in Resp. civ., n. 10, 2012, 661 ss.
[61] Peraltro, sin dal caso Francovich è stata sottolineata la “paradossale asimmetria” per cui i cittadini italiani godono, nei confronti del legislatore nazionale, di una tutela giurisdizionale per il c.d. “illecito comunitario” che non sussiste in caso di lesione o mancata attuazione della Costituzione. Così M. Cartabia, Omissione del legislatore, diritti sociali e risarcimento dei danni (a proposito della sentenza «Francovich» della Corte di Giustizia delle Comunità europee), in Giur. cost., 1992, 513.
[62] Addirittura in dottrina si è parlato di un “antieuropeismo” della giurisprudenza italiana: D. Satullo, La prescrizione dell’azione di risarcimento nei confronti dello Stato per tardiva attuazione di una direttiva comunitaria, in Resp. civ., 2011, 253.
[63] M. Franzoni, La responsabilità civile fra sostenibilità e controllo delle attività umane, in Danno e Responsabilità, n. 1, 2022, 5; R. Rolli, L’impatto dei fattori ESG sull’impresa. Modelli di governance e nuove responsabilità, cit., 155 ss.
[64] In relazione al nesso tra art. 2043 cod. civ. e art. 2 Cost. si veda S. Rodotà, Il problema della responsabilità civile, cit., 104 ss. mentre, per un’utile analisi delle vicende interpretative che hanno nel tempo interessato l’art. 2043 cod. civ., si rinvia a G. Visentini, Deviazioni dottrinali in tema di danno ingiusto, in Contratto e Impresa, n. 1, 2023, 31 ss.
[65] S. Rodotà, Il problema della responsabilità civile, cit., 92.
[66] Ibidem, 60.
[67] Sulla prassi giurisdizionale francese, tedesca ed olandese in materia si rinvia alla ricostruzione sistematica, anche in prospettiva comparata, operata da L. Serafinelli, Responsabilità extracontrattuale e cambiamento climatico, cit., 30 ss.
[68] Sull’opportunità, nell’ambito del contenzioso climatico, di forme di tutela giurisdizionale anche in senso meramente dichiarativo, si veda G. Ghinelli, Le condizioni dell’azione nel contenzioso climatico: c’è un giudice per il clima?, in Riv. trim. dir. e proc. civ., n. 4, 2021, 1296.
[69] Anche se si deve necessariamente rilevare come, una volta definita la dimensione emergenziale del cambiamento climatico quale circostanza non controversa tra le parti, il Tribunale in seguito abbia indicato che le valutazioni degli attori si fonderebbero su “dati contestati da parte convenuta e non verificabili in questa sede, non disponendo questo Giudice delle informazioni necessarie per l’accertamento delle complesse decisioni prese dal Parlamento e dal Governo”. Viene così negata dal Giudice non solo la rilevanza giuridica dell’interesse leso ma anche l’astratta possibilità di accertare in giudizio il danno lamentato.
[70] Va segnalato come in dottrina vi sia chi si esprime nel senso della piena e attuale configurabilità di forme di tutela giurisdizionale in ambito climatico-ambientale, alla luce dell’importanza degli interessi che rischiano di essere lesi, specie a seguito della riforma degli artt. 9 e 41 Cost. I due precetti costituzionali vengono intesi dall’a. quali fonti di un diritto all’ambiente in senso soggettivo, nell’ambito del quale vanno altresì ricomprese le istanze climatiche, dal momento che il pregiudizio all’atmosfera costituisce la lesione di una delle componenti dell’ambiente, al pari dell’acqua e del suolo, così U. Salanitro, La responsabilità ambientale dopo la riforma costituzionale e la lotta al cambiamento climatico, in Riv. dir. civ., n. 2, 2024, 229 ss.
[71] L’espressione è tratta dalla sistematizzazione operata da G. Zagrebelsky, Il diritto mite, Einaudi, Torino, 1992, mentre per disamina in termini generali sulle prospettive di tutela dei diritti umani pare utile il rinvio a A. Cassese, I diritti umani oggi, Laterza, Bari-Roma, 2015.