Jus CivileCC BY-NC-SA Commercial Licence ISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

La Cassazione sulla qualificazione giuridica delle polizze Linked: la prevalenza della sostanza sulla forma (Nota a Cass. civ., sez. III, 26 luglio 2024, n. 21022) (di Gianluca Briganti, Dottore di ricerca – Università di Roma “La Sapienza”)


Il mercato assicurativo ha conosciuto una crescente ibridazione tra funzione previdenziale e funzione finanziaria, in particolare con la diffusione delle c.d. polizze linked. Con l’ordinanza n. 21022 del 2024, la Cassazione affronta in modo incisivo la questione della loro qualificazione giuridica, affermando che, per poter configurare un’autentica assicurazione sulla vita, è imprescindibile la presenza di un effettivo rischio demografico assunto dall’assicuratore. Qualora, invece, tale rischio ricada integralmente sull’assicurato, come avviene quando l’indennizzo in caso di morte è irrisorio o addirittura nullo, la polizza perde la sua natura assicurativa e deve essere qualificata come prodotto finanziario, con conseguente applicazione delle regole del Testo Unico della Finanza (TUF). Nel ribadire la centralità della teoria della causa in concreto e del criterio della prevalenza della sostanza sulla forma nella qualificazione contrattuale, la pronuncia valorizza il principio “plus valet quod agitur quam quod simulate concipitur”, stimolando altresì una riflessione sull’effettività della tutela riservata dall’attuale quadro normativo all’assicurato-investitore.

The Supreme Court on the legal qualification of linked policies: substance prevails over form (Comment on Italian Supreme Court, Civil Section III, Decision No. 21022 of July 26, 2024)

The insurance market has undergone an increasing hybridization between its pension-related and financial functions, particularly with the widespread use of so-called linked policies. In its Order No. 21022 of 2024, the Italian Supreme Court decisively addresses the issue of their legal classification, affirming that a genuine life insurance contract requires the effective assumption of demographic risk by the insurer. Where such risk is entirely borne by the policyholder, as in cases where the death benefit is negligible or even absent, the policy loses its insurance nature and must be classified as a financial product, thus falling under the scope of the Testo Unico della Finanza (TUF). By reaffirming the centrality of the theory of causa in concreto and the principle of substance over form in contractual classification, the ruling gives renewed emphasis to the maxim plus valet quod agitur quam quod simulate concipitur, while also prompting broader reflection on the adequacy of the current regulatory framework in ensuring effective protection for the policyholder-investor.

Cass. civ., sez. III, 26 luglio 2024, n. 21022

La polizza “unit-linked” può essere qualificata come contratto di assicurazione sulla vita non già per la sua formale definizione data dalle parti, ma in ragione della copertura del rischio demografico e della previsione di un indennizzo parametrato alle tavole di mortalità in base all’età dell’assicurato, così da garantire al beneficiario, nel caso di morte ante tempus, il conseguimento di un apprezzabile vantaggio; conseguentemente, se la polizza prevede, in caso di morte del portatore del rischio, che il beneficiario possa non ottenere alcun indennizzo (o conseguirne uno irrisorio) in considerazione dell’andamento dei valori mobiliari in cui è stato investito il premio, va esclusa la natura di contratto di assicurazione ex art. 1882 c.c.

SOMMARIO:

1. Introduzione - 2. Il contratto di assicurazione, il contratto di assicurazione sulla vita e il rischio demografico: inquadramento generale - 3. L’ordinanza della Cassazione n. 21022/2024: la vicenda processuale - 4. Il giudizio in Cassazione e i motivi di ricorso - 5. La decisione della Cassazione - 6. La qualificazione giuridica delle polizze linked: la Cassazione e il principio “plus valet quod agitur quam quod simulate concipitur” - NOTE


1. Introduzione

Nel tentativo di domare l’incertezza, l’uomo ha creato l’assicurazione; nel tentativo di sfruttarla, ha creato la speculazione. Il “mercato assicurativo”, un tempo fondato sulla protezione, oggi si muove su un confine sottile tra sicurezza e azzardo, tra tutela e investimento. Un dato è certo: esso svolge un ruolo cruciale nello sviluppo economico e nella gestione del “rischio” economico [1], ponendosi come strumento di protezione e redistribuzione delle incertezze individuali e collettive [2].

Il mercato assicurativo, nato storicamente per rispondere alle esigenze di tutela contro eventi fortuiti [3], si è evoluto fino a includere strumenti finanziari sofisticati che, oltre a garantire una copertura, offrono opportunità di investimento.

Tra questi prodotti, sono emerse le “polizze linked” [4], in particolare le unit-linked e le index-linked; esse si collocano, quali prodotti “ibridi”, al confine tra il mondo assicurativo [5] e quello finanziario [6], riflettendo un’evoluzione del concetto stesso di assicurazione, sempre più orientato alla capitalizzazione e alla speculazione piuttosto che alla sola protezione del rischio.

In tale contesto di crescente ibridazione tra protezione e investimento, diventa fondamentale analizzare il c.d. “value for money” delle polizze linked [7]. Tale concetto si riferisce al rapporto tra costi sostenuti dal cliente (premi versati, caricamenti, commissioni di gestione) e valore effettivamente generato dalla polizza, sia in termini di protezione assicurativa sia di rendimento finanziario.

Questa nuova concezione non è priva di implicazioni teoriche e filosofiche.

Se l’assicurazione tradizionale incarna l’idea hobbesiana di uno Stato che, attraverso strumenti di mutualizzazione, riduce l’incertezza della condizione umana, le polizze linked riflettono una visione più affine all’homo œconomicus di matrice neoliberale [8], in cui il singolo è chiamato a gestire attivamente il proprio rischio, trasformandolo in una possibilità di guadagno. In questa prospettiva, la logica del rischio non è più solo quella della precauzione, ma si intreccia con la razionalità finanziaria, in cui la volatilità diventa non solo una minaccia, ma anche un’opportunità.

Tuttavia, questa trasformazione pone interrogativi di natura etica e regolatoria. Se il fine originario dell’assicurazione era quello di offrire stabilità contro eventi imprevisti, la crescente “finanziarizzazione” [9] del settore e l’emersione della “bancassurance” [10] sollevano questioni circa la protezione effettiva degli assicurati, soprattutto in contesti di bassa alfabetizzazione finanziaria. Inoltre, la crescente esposizione degli assicurati ai rischi di mercato richiama alla mente le riflessioni di Ulrich Beck sulla “società del rischio”, in cui le decisioni individuali sono sempre più influenzate da dinamiche globali [11] e sistemiche che sfuggono al controllo del singolo [12].

Tra le questioni di particolare rilevanza, la qualificazione delle polizze linked come strumenti assicurativi o come prodotti finanziari rimane un nodo cruciale, che ha dato luogo a un ampio dibattito dottrinale e giurisprudenziale [13].

La questione è stata recentemente affrontata dalla Corte di cassazione, che nell’ordinanza n. 21022 del 26 luglio 2024 [14] analizza la natura giuridica di tali strumenti valorizzando un’analisi, in concreto, sul reale assetto negoziale realizzato dalle parti (substantia praevalet formae).

La Suprema Corte ha ribadito che, affinché un contratto possa essere ricondotto alla categoria delle assicurazioni sulla vita, è necessario che l’impresa assicurativa assuma un “rischio demografico” effettivo [15], ossia che la prestazione dovuta dall’assicuratore sia direttamente influenzata dal verificarsi di un evento attinente alla durata della vita dell’assicurato. Al contrario, qualora la polizza preveda unicamente una componente finanziaria, in cui il rischio di rendimento e di perdita del capitale rimanga interamente a carico del contraente, il contratto non può essere qualificato come assicurazione ma deve essere trattato come un prodotto di investimento soggetto alla disciplina del Testo Unico della Finanza (TUF) e alle norme di vigilanza della Consob.

È evidente, dunque, che il tema della corretta qualificazione delle polizze linked non è di mero interesse teorico, ma ha conseguenze concrete sulla tutela degli assicurati e sull’applicazione delle normative in materia di intermediazione finanziaria e assicurativa.

In questo quadro, lo studio delle polizze linked assume una rilevanza non solo giuridica, ma anche sociale e filosofica, poiché, come emerso nella pronuncia della Cassazione in esame, impone una riflessione più ampia sulla “natura del rischio”, sul ruolo del mercato assicurativo e sulla necessità di un equilibrio tra libertà individuale e tutela collettiva.


2. Il contratto di assicurazione, il contratto di assicurazione sulla vita e il rischio demografico: inquadramento generale

Preliminarmente all’analisi della vicenda processuale in esame, è necessario un inquadramento generale del contratto di assicurazione, sull’assicurazione sulla vita e, infine, sul rischio demografico. Come premesso, infatti, la nascita dei prodotti assicurativo-finanziari ha ampliato il concetto tradizionale di contratto di assicurazione, rendendo necessario analizzarne gli elementi essenziali.

L’art. 1882 dell’attuale codice civile rappresenta il “fulcro” della disciplina assicurativa [16], stabilendo che l’assicurazione è il contratto in cui l’assicuratore, dietro il pagamento di un premio, si impegna a indennizzare l’assicurato in caso di sinistro o a corrispondere un capitale o una rendita al verificarsi di un evento legato alla vita umana [17].

Basandosi sulla definizione dell’art. 1882 del codice civile, si individuano due macro-categorie principali di contratti assicurativi [18]: l’assicurazione contro i danni e l’assicurazione sulla vita [19].

Nel modello tipico di contratto assicurativo, l’assicuratore, dietro il pagamento di un premio, si obbliga a risarcire l’assicurato per i danni subiti a seguito di un evento sfavorevole che colpisca i suoi beni (assicurazione contro i danni), oppure a corrispondere una somma di denaro, in un’unica soluzione o sotto forma di rendita periodica, al verificarsi di un evento legato alla vita umana (assicurazione sulla vita) [20]. Si tratta di un contratto sinallagmatico, che prevede obblighi reciproci: il contraente è tenuto a versare il premio, mentre l’assicuratore deve corrispondere il capitale o la rendita.

Tuttavia, come già evidenziato, l’evoluzione del mercato e delle esigenze negoziali ha portato alla nascita di nuove forme contrattuali, fuori dagli schemi tipici, che hanno messo in discussione la tipicità del contratto di assicurazione, come nel caso delle polizze linked.

Con riferimento alla funzione, a differenza dell’assicurazione contro i danni, che ha un carattere indennitario e mira a coprire un danno effettivo, l’assicurazione sulla vita ha una funzione prevalentemente previdenziale. Non essendo soggetta al principio indennitario, può essere stipulata per qualsiasi importo, senza che l’entità della prestazione sia necessariamente correlata al danno subito dagli eredi o dai beneficiari in caso di morte dell’assicurato [21].

Con riferimento agli elementi strutturali, pur non esplicitando una definizione di “rischio”, l’art. 1882 cod. civ. sottintende che il “trasferimento del rischio” dall’assicurato all’assicuratore rappresenta il perno dell’intera dinamica assicurativa. L’assenza di tale elemento compromette la validità del contratto, determinandone la nullità (art. 1895 cod. civ.), il suo scioglimento in caso di cessazione del rischio (art. 1896 cod. civ.) o l’annullamento in caso di errata conoscenza del rischio da parte dell’assicuratore (art. 1892 cod. civ.), oltre a poter dar luogo a risoluzione o rettifica (art. 1893 cod. civ.).

In base alla disciplina di diritto comune, alcuni contratti non possono essere qualificati come assicurazioni sulla vita in senso stretto e non rientrano nella relativa disciplina. Ciò avviene quando il soggetto obbligato a pagare l’indennizzo non è un assicuratore professionale, quando il premio è determinato senza considerare il “rischio demografico” [22], oppure quando il rischio oggetto del contratto non è la morte o la sopravvivenza a una certa data.

Nelle assicurazioni sulla vita, infatti, tale rischio è rappresentato dal c.d. rischio demografico, ossia l’incertezza sulla durata della vita umana, che può essere stimata solo attraverso calcoli statistici e probabilistici. In base al momento in cui si verifica l’evento previsto nel contratto, l’assicuratore è tenuto a erogare la prestazione concordata. Sebbene esistano diverse configurazioni contrattuali, in linea generale l’anticipo dell’evento rispetto alle previsioni riduce il guadagno dell’assicuratore.

Il rischio demografico è dunque un elemento essenziale dell’assicurazione sulla vita. Proprio l’assenza, in concreto, del rischio demografico è una delle principali problematiche giuridiche legate alle polizze linked.

Nel caso delle polizze linked, la progressiva perdita della loro funzione previdenziale ha determinato una riduzione, se non addirittura la scomparsa, di tale rischio, avvicinando questi strumenti al settore finanziario più che a quello assicurativo. In questi complessi strumenti contrattuali, oggetto di uno stratificato e articolato iter normativo, la funzione finanziaria-speculativa (quale obiettivo di “investimento”) si aggiunge (o, addirittura, si sostituisce) alla tradizionale funzione assicurativa-previdenziale, trascurando le fondamenta del “rischio” e, dunque, incarnando una sorta di “tradimento” al contratto tipico di assicurazione sulla vita.

Questa trasformazione ha generato un ampio dibattito giurisprudenziale e dottrinale, che, a causa dell’assenza di un quadro normativo chiaro, non ha ancora trovato una soluzione definitiva.


3. L’ordinanza della Cassazione n. 21022/2024: la vicenda processuale

Nel 2014 alcuni assicurati hanno convenuto in giudizio una società assicurativa dinanzi al Tribunale di Massa, contestando la natura di alcuni contratti stipulati tra il 2006 e il 2007, denominati “Farad Personal Portfolio”. Tali contratti erano formalmente qualificati come assicurazioni sulla vita di tipo unit-linked e prevedevano il versamento di un premio unico, che l’assicuratore si impegnava a investire in un fondo interno gestito da un Asset Manager. Il rendimento della prestazione assicurativa dipendeva dall’andamento degli investimenti, che potevano comportare anche la perdita integrale del capitale. In caso di morte dell’assicurato, l’indennizzo sarebbe stato pari al 101% del valore delle quote investite.

Al termine dei contratti, gli assicurati hanno ricevuto un importo notevolmente inferiore al capitale investito. Di conseguenza, nell’ambito del giudizio di primo grado, gli assicurati hanno sostenuto che i contratti non fossero autentiche assicurazioni sulla vita, ma piuttosto strumenti di investimento, privi della tipica assunzione del rischio da parte dell’assicuratore. Per questo motivo, ne hanno richiesto la nullità per mancanza di causa, per immeritevolezza ai sensi dell’art. 1322 cod. civ., per violazione della normativa finanziaria (artt. 18, 23, 24 e 30 del d.lgs. n. 58/1998, il TUF [23]) e per la condotta inadempiente dell’assicuratore.

La società assicurativa si è difesa eccependo la litispendenza internazionale [24], a causa di un parallelo giudizio avviato dinnanzi al Tribunale di New York per la restituzione di somme da parte del liquidatore del fondo d’investimento. Nel merito, la società ha chiesto il rigetto della domanda.

Il Tribunale di Massa, con sentenza non definitiva del 30 luglio 2016 n. 794, ha rigettato le eccezioni preliminari di litispendenza e di nullità, previa qualificazione dei contratti come “assicurazioni sulla vita”.

Successivamente, il Giudice di prime cure, con sentenza del 5 dicembre 2018 n. 853, ha rigettato le richieste di condanna all’adempimento, ritenendo che i contratti non prevedevano alcuna garanzia di rendimento e che le clausole che prevedevano il rischio di perdita del capitale erano ben evidenziate nelle condizioni generali e debitamente sottoscritte. Inoltre, ha sottolineato che gli investimenti erano stati scelti liberamente dagli assicurati e che i ritardi nella liquidazione erano giustificati dalla mancanza di compratori, legata al crack finanziario di Bernie Madoff [25]. Non vi era prova che gli addebiti di costi fossero indebiti e l’assicuratore aveva adempiuto agli obblighi informativi.

Tale decisione è stata impugnata in appello, dove la Corte d’Appello di Genova, con sentenza del 7 gennaio 2022, n. 15, ha ritenuto i contratti nulli per violazione della disciplina del TUF. Secondo la Corte, l’assicuratore non assumeva alcun rischio, che restava interamente a carico dell’assicurato. Non era garantito alcun rendimento minimo e il capitale investito poteva azzerarsi, inoltre, il fondo nel quale confluivano i premi non faceva parte del patrimonio dell’assicuratore e la sua gestione era ampiamente discrezionale.

Diversamente dal Tribunale di primo grado, sulla base di tali elementi, la Corte d’appello ha qualificato i contratti come strumenti finanziari e non come assicurazioni sulla vita, con la conseguente applicazione delle norme del TUF e la dichiarazione di nullità per violazione degli obblighi di informazione e regolamentazione finanziaria.

La società assicurativa ha successivamente impugnato la sentenza dinanzi alla Suprema Corte di cassazione.


4. Il giudizio in Cassazione e i motivi di ricorso

La società assicurativa ha promosso, dinanzi alla Corte di cassazione. cinque motivi di ricorso volti a contestare, principalmente, la qualificazione giuridica dei contratti de quibus e le conseguenze derivanti dalla loro dichiarazione di nullità.

In primo luogo, la ricorrente ha ritenuto errata la qualificazione del contratto come “strumento finanziario” operata dalla Corte d’appello, sostenendo che la polizza unit-linked in esame rientrava nella categoria delle assicurazioni sulla vita. L’argomento del Giudice d’appello, secondo cui il contratto non poteva essere considerato un’assicurazione, poiché l’indennizzo previsto in caso di morte (pari al valore attuale delle quote in cui era stato investito il premio, con un incremento dell’1%) non costituiva un’as­sunzione di rischio demografico (elemento essenziale dell’assicurazione sulla vita), sarebbe errato.

La ricorrente assicurazione, infatti, sosteneva che il semplice fatto che l’indennizzo corrisponda al valore dell’investimento maggiorato dell’1% era sufficiente a qualificare il contratto come assicurativo. Infatti, l’assunzione del rischio demografico da parte dell’assicuratore sussisterebbe sia nel caso in cui l’indennizzo corrisponda al premio versato con un incremento del 100%, sia nel caso in cui l’aumento sia solo dell’1%. Inoltre, il fatto che il capitale investito possa subire perdite non escluderebbe automaticamente la natura assicurativa del contratto.

Con il secondo motivo la ricorrente sosteneva che la sentenza avrebbe adottato una nozione di “contratto assicurativo” contrastante con quella imposta dal diritto eurounitario e dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea [26], dunque, sarebbe perciò nulla per violazione del principio della primauté di quest’ultimo sul diritto interno.

La società ha richiamato la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, in particolare la sentenza resa nella causa C-542/16, secondo cui il binomio pagamento del premio e prestazione in caso di decesso basterebbe a qualificare il contratto come assicurazione. Ha quindi sostenuto che la Corte d’appello avesse adottato un criterio di qualificazione non conforme ai principi eurounitari, attribuendo rilievo a elementi, come l’allocazione del rischio finanziario, che sarebbero invece irrilevanti ai fini della distinzione tra assicurazione e investimento.

Nel terzo motivo, la ricorrente sosteneva che, anche qualora si volessero qualificare come contratti di investimento le polizze oggetto del contendere, la loro nullità sarebbe stata dichiarata illegittimamente, in quanto: a) il contratto fu stipulato in forma scritta; b) l’obbligo per l’intermediario che intenda eseguire ripetute operazioni di investimento di stipulare un contratto-quadro è previsto dall’art. 37 del Regolamento Intermediari della Consob [27] e non dall’art. 23 TUF [28]; pertanto, la Corte d’Appello, dichiarando nullo il contratto per mancata stipula del contratto-quadro ai sensi dell’art. 27 TUF, avrebbe pronunciato una sentenza viziata da un “difetto di motivazione”; c) l’art. 37 del Regolamento intermediari contiene previsioni incompatibili con la struttura di una polizza linked, poiché in questa l’assicuratore non fornisce “servizi di investimento”; non è previsto un rinnovo; non vi sono ordini impartiti dall’investitore all’intermediario; né è prevista la ricostituzione della provvista.

Il quarto motivo ha riguardato l’inquadramento della polizza come gestione di portafoglio. La Corte d’Appello aveva ritenuto che il contratto si configurasse come tale e, di conseguenza, lo aveva dichiarato nullo per mancata conformità ai requisiti richiesti dall’art. 24 TUF e dall’art. 37 del Regolamento intermediari della Consob. La società ha ritenuto errata questa qualificazione, per due motivi: in primo luogo, perché è stata giustificata facendo riferimento a una pronuncia della Corte di cassazione [29] che non risulta pertinente rispetto al caso concreto; in secondo luogo, perché la struttura delle polizze unit-linked è del tutto incompatibile con gran parte delle informazioni contenute nel contratto di gestione e con le disposizioni previste dall’art. 24 TUF (che disciplina la gestione dei portafogli).

Infine, nel quinto e ultimo motivo, l’assicurazione ricorrente ha contestato la dichiarazione di nullità per violazione dell’art. 2 del Codice delle Assicurazioni, nella parte in cui la Corte d’appello aveva ritenuto che il contratto stipulato da una delle assicurate fosse contrario alla normativa regolamentare di attuazione dell’IVASS. Secondo la società, la disciplina di settore consente di agganciare il rendimento di una polizza unit-linked a valori di riferimento che non devono necessariamente essere predeterminati in modo fisso.

Nel complesso, il ricorso ha cercato di dimostrare che le polizze unit-linked dovessero essere considerate strumenti assicurativi e non prodotti finanziari e che, di conseguenza, non potesse essere applicata la normativa in materia di intermediazione finanziaria. Ha inoltre sostenuto che la sentenza d’appello fosse in contrasto con il diritto eurounitario e che l’interpretazione delle norme nazionali adottata dalla Corte fosse errata sia nella qualificazione del contratto che nelle conseguenze giuridiche che ne derivavano.


5. La decisione della Cassazione

La Corte di cassazione ha confermato la decisione della Corte d’appello di Genova, respingendo il ricorso della società assicurativa e chiarendo che le polizze unit-linked esaminate non potevano essere qualificate come assicurazioni sulla vita.

La motivazione principale risiede nella mancanza dell’assunzione del rischio da parte dell’assi­curatore, poiché, dopo una valutazione in concreto, il rischio finanziario gravava interamente sull’assi­curato e la garanzia prevista in caso di morte era minima, non costituendo un vero “rischio demografico” [30].

La Cassazione ha anche escluso la violazione del diritto europeo, precisando che la qualificazione dei contratti è competenza degli ordinamenti nazionali e dipende dalla reale funzione contrattuale e non solo dalla denominazione, secondo la Cassazione, dunque, costituiscono materie armonizzate la disciplina dell’impresa d’assicurazione e l’intermediazione assicurativa, ma non le regole legali di ermeneutica. Lo stabilire, perciò, se un certo negozio presenti i requisiti di questo o quel tipo contrattuale resta prerogativa sovrana delle giurisdizioni nazionali. Del resto, lo stesso Considerando 44 della Direttiva “vita” (2009/138) afferma che essa «non mira ad armonizzare le normative degli Stati membri in materia di contratti». La Corte ha osservato che le decisioni della Corte di giustizia dell’Unione europea richiamate nel ricorso non impongono alcun vincolo di qualificazione automatica delle polizze unit-linked come assicurazioni, ma si limitano a disciplinare specifici aspetti dell’informazione precontrattuale e della distribuzione di tali prodotti [31].

La Corte, inoltre, conferma la nullità delle polizze per mancata osservanza delle disposizioni del Testo Unico della Finanza e del Codice delle Assicurazioni, dato che il prodotto si configurava come uno strumento finanziario rischioso, privo delle necessarie garanzie assicurative.

Definitivamente, con questa decisione, la Corte di cassazione ha ribadito un principio di particolare rilievo nel settore assicurativo e finanziario: le polizze unit-linked non possono essere automaticamente considerate assicurazioni sulla vita, ma devono essere analizzate nella loro struttura concreta per verificarne la reale natura giuridica. Se il rischio resta esclusivamente a carico dell’assicurato e l’assicuratore non assume alcun impegno significativo, oltre a un’operazione di gestione del capitale investito, il contratto deve essere considerato un prodotto finanziario soggetto alla disciplina degli strumenti di investimento, con tutte le conseguenze normative che ne derivano.


6. La qualificazione giuridica delle polizze linked: la Cassazione e il principio “plus valet quod agitur quam quod simulate concipitur”

Principalmente, il pregio dell’ordinanza della Cassazione n. 21022 del 26 luglio 2024 è quello di aver posto un punto fermo sulla qualificazione giuridica delle polizze linked: la prevalenza della “sostanza” sulla “forma” [32].

Come premesso, la qualificazione giuridica dei prodotti assicurativo-finanziari e la determinazione della disciplina applicabile rappresentano una delle questioni più complesse e dibattute nel diritto delle assicurazioni e dei mercati finanziari [33]. La difficoltà principale consiste nel distinguere i contratti di assicurazione tradizionali da quei prodotti che, pur formalmente qualificati come tali, incorporano elementi tipici dell’intermediazione finanziaria, con un livello di rischio trasferito interamente sull’assicurato, incarnando, dunque, una sorta di “frode delle etichette”.

I cc.dd. contratti assicurativi-finanziari si caratterizzano per il fatto che la prestazione dell’assicu­ratore non è fissa e predeterminata, ma dipende dall’andamento di determinati strumenti finanziari, esponendo così il contraente-assicurato a un rischio speculativo che si discosta dal modello classico della protezione assicurativa [34].

Questo fenomeno si è affermato in modo significativo a partire dagli ultimi decenni del Novecento, in un periodo in cui le imprese assicurative, sempre più integrate con il settore bancario, hanno sviluppato strumenti in cui la componente di investimento ha progressivamente prevalso su quella previdenziale e mutualistica.

Tra questi strumenti si collocano le polizze assicurative linked, introdotte nell’ordinamento italiano con la prima Direttiva Vita del 1979 [35] come una combinazione tra polizze vita e strumenti finanziari, con l’obiettivo di offrire al contraente sia una copertura assicurativa sia la possibilità di partecipare ai rendimenti dei mercati finanziari [36].

Questi prodotti, generalmente sottoscritti con premio unico e investiti in quote di OICR o fondi interni, presentano un punto critico significativo: diversamente dalle assicurazioni vita tradizionali (con finalità previdenziale pura), in cui il premio sostiene una copertura mutualistica, nelle polizze linked il premio diventa un investimento il cui rendimento dipende unicamente dall’andamento dei mercati finanziari.

La distinzione tra polizze assicurative linked e strumenti finanziari è tutt’altro che teorica, poiché ha conseguenze rilevanti in termini di disciplina applicabile e di tutela del contraente.

Se una polizza linked viene qualificata come contratto di investimento, si applicano le norme del TUF, che prevedono obblighi più stringenti in termini di informazione, trasparenza e forma contrattuale. In particolare, l’art. 23 TUF impone che i contratti di intermediazione finanziaria siano stipulati in forma scritta a pena di nullità, con la conseguente possibilità per l’assicurato di ottenere la restituzione dei premi versati in caso di violazione di tale requisito.

Diversamente, qualora siano qualificate come assicurazioni sulla vita, ne deriverebbe il relativo regime. Ad esempio, nel settore assicurativo la forma scritta è richiesta solo ad probationem, il che significa che l’eventuale mancanza del documento contrattuale non determina automaticamente la nullità del contratto. Inoltre, l’applicazione della disciplina del TUF implicherebbe la perdita delle tutele specifiche previste per le assicurazioni sulla vita, come l’impignorabilità e l’insequestrabilità delle somme assicurate, previste dall’art. 1923 cod. civ.

Nonostante questi elementi, la giurisprudenza ha mostrato un atteggiamento in parte oscillante, alternando decisioni che riconducono le polizze linked al contratto di assicurazione ad altre che ne enfatizzano la natura finanziaria.

La giurisprudenza della Suprema Corte di cassazione e, da ultimo, della Corte di giustizia dell’Unione europea, forti degli ultimi interventi normativi, sembrerebbe essersi orientata verso la generale riconduzione al “contratto di assicurazione” [37], seppur con la necessità di una costante valutazione “in concreto”. Infatti, la riconduzione al puro “mercato finanziario” sembra esser vista come extrema ratio dalla prevalente giurisprudenza che ha preferito optare per l’ampliamento del contratto di assicurazione (conformemente alla filosofia del Regolamento PRIIPs [38]).

Il problema non è stato del tutto risolto, poiché la qualificazione delle polizze linked, che continua a dipendere da un’analisi “caso per caso”, crea il rischio di generare un sistema di regole frammentato e poco prevedibile.

La pronuncia in esame [39], forte anche del consolidato orientamento della c.d. causa in concreto [40], appare particolarmente innovativa poiché chiarisce con forza il principio della prevalenza della volontà sostanziale rispetto alla qualificazione formale del contratto, richiamando esplicitamente il brocardo latino “plus valet quod agitur quam quod simulate concipitur” [41].

La Corte, nel valutare la natura delle polizze unit-linked, ribadisce che queste non costituiscono un genus omogeneo – evidenziando, dunque, una quasi impossibile riconduzione ad unità – e che la loro qualificazione giuridica non può dipendere unicamente dalla denominazione scelta dalle parti. Dunque, tracciando fondamentali coordinate ermeneutiche, la pronuncia evidenzia che la reale causa contrattuale deve prevalere sulla veste formale attribuita al contratto stesso: «la circostanza che le parti abbiano qualificato una polizza come “unit-linked” non basta per qualificare quel contratto come “assicurazione”, in virtù del millenario principio plus valet quod agitur quam quod simulate concipitur» [42].

La Cassazione, infatti, applicando il criterio della causa in concreto e avvalendosi di “indici sintomatici”, è chiamata a valutare se la funzione economico-sociale effettivamente perseguita sia di natura assicurativa o prevalentemente finanziaria. Questa analisi sostanziale è essenziale per determinare il regime giuridico applicabile, con rilevanti conseguenze sulla validità e sulla tutela dell’assicurato-investitore, che potrebbe beneficiare delle più rigorose garanzie previste dalla normativa finanziaria, qualora emergesse una causa prevalentemente orientata all’investimento.

Il Collegio, poi, pone ulteriori punti fermi: un contratto di assicurazione sulla vita non può essere ridotto a un semplice scambio tra una somma di denaro attuale e una futura, perché in tal caso si tratterebbe di un mutuo. Allo stesso modo, non può essere qualificato come la promessa di pagare una somma di denaro al verificarsi di un evento futuro e incerto, perché ciò lo renderebbe simile a una scommessa.

Per considerare un contratto come una vera e propria “assicurazione sulla vita”, quindi, non è sufficiente né che sia previsto l’obbligo per l’assicuratore di versare una somma al verificarsi del decesso della persona assicurata, né che l’importo dell’indennizzo superi il valore delle quote detenute dall’assicurato stesso nel momento in cui il rischio si concretizza.

La prima condizione non è sufficiente, poiché affinché un contratto possa definirsi assicurativo, occorre che le prestazioni delle parti (assicurato e assicuratore) si basino sull’applicazione della tecnica assicurativa, che include la condivisione dei rischi, l’accantonamento di una quota del premio e il calcolo statistico del rischio.

Nemmeno la seconda condizione è sufficiente: infatti, benché il contratto di assicurazione sulla vita sia flessibile e possa avere finalità diverse (non solo previdenziali, ma anche, ad esempio, di liberalità, regolazione successoria, solutorie o risarcitorie), è comunque necessario che la tecnica della comunione dei rischi preveda che l’indennizzo sia determinato su base statistica.

Ne consegue che l’assicurazione vita deve necessariamente basarsi su un “rischio demografico” (elemento distintivo delle assicurazioni sulla vita e della loro funzione previdenziale) [43], che non consiste, diversamente da quanto sosteneva la ricorrente società assicuratrice, nella semplice previsione del pagamento di una somma al momento della morte. Il rischio demografico, dunque, non può considerarsi effettivamente assunto dall’assicuratore quando l’indennizzo in caso di morte risulti trascurabile o puramente simbolico. Nella fattispecie, infatti, era previsto solo un pagamento pari al 101% del valore delle quote investite, valore ritenuto dalla Corte “trascurabile” e privo di una reale utilità per l’assicurato, tale da non configurare un reale trasferimento del rischio dal contraente all’assicuratore.

Successivamente, si afferma che, qualora un contratto formalmente indicato come “assicurazione sulla vita” preveda che, in caso di decesso dell’assicurato, il beneficiario potrebbe non ricevere alcun pagamento a causa dell’andamento negativo degli strumenti finanziari in cui è stato investito il premio, tale contratto non può essere considerato una vera assicurazione ai sensi dell’art. 1882 cod. civ. [44]. Infatti, maggiore è il rischio finanziario che grava sull’assicurato, minore sarà di conseguenza il rischio demografico effettivamente assunto dall’assicuratore. Quest’ultimo rischio, benché formalmente previsto, potrebbe risultare di fatto inesistente nel caso in cui, al momento del verificarsi dell’evento assicurato (la morte), il parametro finanziario utilizzato per determinare la prestazione risulti completamente azzerato.

Inoltre, la Cassazione afferma esplicitamente che la tecnica assicurativa richiede necessariamente una reale “comunione dei rischi” [45], accantonamento di premi e un calcolo basato su parametri statistici (tavole di mortalità), aspetti del tutto assenti nelle polizze esaminate. Pertanto, conclude che questi contratti devono essere qualificati non come assicurazioni, ma come veri e propri strumenti finanziari soggetti al Testo Unico della Finanza: «quanto più elevato è il rischio finanziario che risulti trasferito in capo all’assicurato, tanto più sarà ridotto il rischio demografico corso dall’assicuratore».

Queste indicazioni della giurisprudenza assumono il valore di un vero e proprio “vademecum”, utile per orientare la risoluzione di casi futuri secondo una filosofia interpretativa che privilegia sempre valutazioni ancorate alle circostanze del caso concreto, oltre ogni rigido formalismo.

Tuttavia, nonostante questi sforzi interpretativi, la questione rimane complessa e continuerà suscitare dibattiti sia in dottrina che in giurisprudenza. La mancanza di una normativa chiara e univoca comporta il rischio di applicazioni incerte e imprevedibili delle disposizioni vigenti, lasciando spazio a contenziosi e a situazioni di incertezza giuridica per gli assicurati.​

Purtroppo, è evidente come l’approccio basato prevalentemente sulla presenza del rischio demografico possa risultare riduttivo. Infatti, alcune polizze unit linked presentano una componente assicurativa minimale, con prestazioni legate principalmente all’andamento di strumenti finanziari sottostanti, rendendo labile la distinzione tra prodotto assicurativo e finanziario. ​

Pertanto, sebbene la giurisprudenza abbia fornito indicazioni utili per l’interpretazione delle polizze unit linked, emerge la necessità di un intervento legislativo che stabilisca criteri chiari e univoci per tracciare con precisione i confini tra componente assicurativa e finanziaria, al fine di garantire una tutela adeguata agli assicurati e una maggiore certezza del diritto per la qualificazione delle polizze unit linked, superando la logica della valutazione “caso per caso”.

In conclusione, il problema della qualificazione giuridica delle polizze linked riflette una tensione più ampia tra sicurezza e speculazione, tra protezione e rischio, tra la stabilità del contratto assicurativo e la volatilità dei mercati finanziari. Se il diritto è lo strumento con cui la società cerca di dare ordine al caos dell’incertezza economica, allora la persistente ambiguità normativa su questi strumenti dimostra che il legislatore non ha ancora deciso se il futuro dell’assicurazione debba essere ancorato alla prudenza mutualistica o abbandonato alle maree della speculazione.

Come scriveva Bauman, viviamo in una società liquida [46], in cui anche le certezze giuridiche si dissolvono di fronte alle esigenze di un mercato sempre più sfuggente: finché il diritto non saprà riconoscere e disciplinare con chiarezza la vera natura di questi prodotti, le polizze linked resteranno sospese in un limbo normativo, riflesso perfetto di un’epoca in cui il rischio non è più un nemico da combattere, ma una merce da vendere.

L’incerto quadro normativo non sembra offrire criteri distintivi certi per superare questa liquidità circa la vera natura giuridica di questi strumenti negoziali che, purtroppo, sembrano essere ancora in cerca di stabilità (rectius solidità) e, soprattutto, di un mercato di riferimento.


NOTE

[1] Come evidenziato da G. Cucinotta-L. Nieri, Le assicurazioni, Bologna, 2005, cit., 58, dove si afferma che: «Lo sviluppo economico e industriale e del commercio internazionale devono molto alle assicurazioni che permettono l’effettuazione di iniziative economiche rischiose, alleggerendo gli imprenditori da una serie di rischi che si aggiungono a quello imprenditoriale. Inoltre, la disponibilità di una garanzia assicurativa migliora la qualità della vita delle persone, consentendo loro, ad esempio, di effettuare spese per consumi senza preoccuparsi eccessivamente di quello che può avvenire in futuro. È evidente che una garanzia assicurativa non può attenuare il dolore causato dalla scomparsa di un familiare, dalla presenza di una malattia, dalla perdita di un bene a cui si era particolarmente affezionati, ma quantomeno sgrava l’assicurato dall’onere economico derivante da questi accadimenti negativi».

[2] L’incertezza è una delle condizioni fondamentali che spinge un soggetto a stipulare un contratto di assicurazione. La natura stessa della vita umana è segnata dall’imprevedibilità: eventi accidentali, malattie, perdite finanziarie e catastrofi possono colpire inaspettatamente, alterando gli equilibri economici e personali di un individuo o di un’intera famiglia. Il contratto di assicurazione nasce proprio come risposta a questa condizione esistenziale, trasformando l’incertezza in un rischio calcolabile e redistribuibile. Attraverso la stipula di una polizza, l’assicurato si protegge da conseguenze potenzialmente devastanti, trasferendo il peso dell’evento dannoso su un’entità più ampia e strutturata, l’impresa assicuratrice, che ne assorbe l’impatto finanziario secondo il principio della mutualità. La decisione di assicurarsi non è mai del tutto razionale né del tutto emotiva, ma si situa all’intersezione tra la paura dell’ignoto e la ricerca di una stabilità futura. Da un lato, vi è il timore di perdere ciò che si possiede: il proprio benessere, la sicurezza economica della propria famiglia, la continuità della propria impresa o la capacità di affrontare spese impreviste. Dall’altro lato, vi è la consapevolezza che l’assicurazione rappresenta una forma di investimento nella propria tranquillità, un meccanismo attraverso cui il presente si tutela nei confronti del futuro. In questa scelta si riflette la tensione tra il desiderio di controllo e la consapevolezza della propria vulnerabilità: il soggetto assicurato sa di non poter governare tutti gli eventi della propria esistenza, ma attraverso il contratto assicurativo prova a mettere ordine in ciò che per definizione sfugge alla pianificazione.

[3] Per una ricostruzione storica del mercato assicurativo, si veda, ex multis, G. Cassandro, Assicurazione: premessa storica, Milano, 1958; A. La Torre, Assicurazione (genesi ed evoluzione), in Enciclopedia del diritto, Milano, 2007.

[4] Sulle polizze linked, in generale, si rinvia, ex multis, a E. Piras, Le polizze variabili nell’ordinamento italiano, Milano, 2011; P. Corrias, L’assicurato-investitore: prodotti, offerta e responsabilità, in Assicurazioni, 3, 2011, 387 ss. Sulla genesi delle polizze linked, M. Rossetti, Il diritto delle assicurazioni: vol. III, Padova, 2013, cit. p. 956, «Le prime polizze linked apparvero nel 1950 in Olanda, ma restarono un fenomeno circoscritto […] sin dalla loro genesi le polizze linked costituirono prodotti ibridi, in cui si mescolavano elementi tipici dell’assicurazione (pochi) ed elementi tipici dei contratti di investimento in strumenti finanziari (molti), e questa natura venne colta dalla giurisprudenza d’oltreoceano: sin dal 1959, infatti, la Corte Suprema degli Stati Uniti d’America stabuli che le variable annuities offerte dal CREF costituivano strumenti finanziari (securities), e dovessero essere soggette ai controlli ed alle regole dettate dall’autorità di vigilanza di quel Paese, la Securities ed Exchange Commission (SEC)». In argomento, si veda anche P. Corrias, I prodotti assicurativo-finanziari: genesi ed evoluzione, in Assicurazioni, 4, 2021, 582 ss.; G. Volpe Putzolu, Le polizze Unit Linked e Index Linked (ai confini dell’assicurazione sulla vita), in Assicurazioni, 1, 2000, 234 ss.; M. Rossetti, Polizze “linked” e tutela dell’assicurato, in Assicurazioni, 1, 2002, 223 ss.

[5] Una parte della dottrina ha evidenziato, sin da subito, che tali prodotti fossero lontani dal mondo assicurativo. Sul punto, A. Guaccero, Investimento finanziario e attività assicurativa nella prospettiva dell’informazione del risparmiatore, in Giurisprudenza commerciale, 1, 2003, 16 ss.; N. Salanitro, Società per azioni e mercati finanziari, Milano, 2000, 74 ss.

[6] Sui rapporti tra mercato assicurativo e mercato finanziario M. Miola, Sui rapporti tra assicurazione e mercati finanziari: il caso delle polizze linked, in Giur. comm., 4, 2023, 579 ss.; G. Marino, Il contratto di investimento assicurativo all’intersezione tra ordinamento assicurativo e finanziario, in Jus civile, 6, 2020, 1595 ss.

[7] Come evidenziato da R. Lo Conte, La Product Oversight and Governance nel diritto assicurativo, Torino, 2022, cit., 207, «La crisi causata dal Covid-19 e l’insistere di bassi tassi di interesse, uniti agli shock di mercato, mostrano, per l’EIOPA, “quanto sia importante che i prodotti unit-linked offrano sempre un effettivo ‘valore’ ai consumatori/assicurati”. Si tratta di un principio che acquista sempre più valore nel mondo finanziario e che dovrebbe essere posto al centro dei processi di progettazione, distribuzione e monitoraggio del prodotto, al fine di risolvere tutte le questioni collegate al concetto stesso di “value for money”». Sul value for money nelle polizze linked si veda R. La Fata, Il value for money nei prodotti assicurativi unit-linked: tra rischio demografico effettivo e disciplina dei costi e delle commissioni di gestione dei fondi, in Diritto del mercato assicurativo e finanziario, 1, 2023, 201 ss.; P. Marano, Le regole autarchiche sul controllo del governo (Product Oversight and Governance) dei prodotti assicurativi nel prisma dell’ordinamento europeo, in Rivista di diritto bancario, 1, 2021, 217 ss.

[8] Il riferimento è all’opera T. Hobbes, Leviathan or The Matter, Forme and Power of a Common Wealth Ecclesiastical and Civil, Londra, 1651.

[9] “Finanziarizzazione”, come definita dalla dottrina. Sul punto, P. Corrias, Informativa precontrattuale e trasparenza nei contratti assicurativi tra TUF e Codice delle assicurazioni, in Responsabilità civile e previdenza, 1, 2017, 267, afferma che l’emissione di polizze linked da parte delle imprese di assicurazione ha creato il fenomeno della “finanziarizzazione” dell’attività assicurativa, che ha portato le imprese a svolgere tramite attività riconducibile alla stipula di contratti di investimento. Sul punto anche G. Berti De Marinis, La natura delle polizze assicurative a carattere finanziario e la tutela dell’assicurato-investitore, in Responsabilità civile e previdenza, 1, 2018, cit., 1519, dove si afferma che «nel costante e ormai radicato intreccio tra le attività che compongono i mercati finanziari, le imprese di assicurazione vedono accrescere il loro ruolo di soggetti non più dediti esclusivamente alla metabolizzazione dei rischi trasferiti negozialmente dagli assicurati, ma aggiungono a tale attività l’emissione di prodotti finanziari aventi una spiccata natura finanziaria e di investimento».

[10] La bancassurance è un modello di distribuzione di prodotti assicurativi attraverso le banche, che offrono polizze vita, danni e investimento ai propri clienti insieme ai tradizionali servizi bancari. Questa integrazione consente alle banche di diversificare i ricavi e alle assicurazioni di ampliare la propria rete di vendita. Sul tema della bancassurance (o banca-assicurazione) si veda, ex multis, L. Mezzasoma, La Banca-Assicurazione, Napoli, 2017; D. Siclari, Bancassurance e contrattualistica di settore, in F. Capriglione (a cura di), I contratti deli risparmiatori, Milano, 2013, 433 ss.; A. Gambaro, La bancassurance e le aspettative della clientela, in Diritto ed economia delle assicurazioni, 2, 2011, 579 ss.; P. Aicardi-M. Pompella, Innovazione, strategie ed esperienze nel settore assicurativo: dalla bancassicurazione al Private insurance, Torino, 2007.

[11] Si veda, sul tema del diritto dei contratti nel mercato globale, ex multis, F. Onnis Cugia, Il diritto dei contratti nel mercato e la crisi globale. Spunti per una glocalizzazione giuridica, in Mercato, concorrenza e regole, in Mercato Concorrenza Regole, 3, 2017, 495 ss.

[12] Il riferimento è a U. Beck, La società del rischio. Verso una seconda modernità, Roma, 2013.

[13] Sulla natura giuridica delle polizze linked, si veda, ex multis, P. Corrias, La natura delle polizze linked tra previdenza, risparmio e investimento, in Banca borsa e titoli di credito, 1, 2016, 225 ss.; G. Volpe Putzolu, Le polizze Unit Linked e Index Linked, in Assicurazioni, 1, 2000, 233 ss.; A. Casà, Sulla natura giuridica della c.d. polizza unit linked, in Il corriere giuridico, 2, 2021, 220 ss.; A. Pancallo, Le polizze linked e le esigenze di tutela degli investitori, in Contratto e impresa, 2, 2019, 2, 736 ss.; A.E. Fabiano, Natura giuridica e disciplina delle polizze unit linked prima e dopo la riforma del t.u.f., in Nuove leggi civili e commerciali, 1, 2009, 130 ss.

[14] Cass. civ., sez. III, 26 luglio 2024, n. 21022.

[15] Sul rischio demografico nelle polizze linked già il Regolamento ISVAP 11 giugno 2009, n. 32 stabiliva che i contratti in questione «sono caratterizzati dalla presenza di un effettivo impegno da parte dell’impresa a liquidare prestazioni il cui valore sia dipendente dalla valutazione del rischio demografico». Sul tema F. La Fata, Causa in concreto delle polizze c.d. linked, rischio demografico “effettivo” e funzione previdenziale dell’assicurazione sulla vita, in Giur. comm., 3, 2021, 592 ss.; A. Odirisio, Polizze vita linked: a proposito del rischio demografico, in Dialoghi di diritto dell’economia, 1, 2024, 1 ss.; S. Landini, Sulla validità/invalidità delle polizze linked, in Giur. it., 2019, 1026 ss.; C. Robustella, Le polizze “Unit Linked” e la concreta ricorrenza del “rischio demografico”, in Rivista di diritto bancario, 2, 2020, 17 ss.; A. Torrisi, Le polizze unit linked e il rischio demografico, in Contratti, 2, 2020, 195 ss.

[16] Sul punto M. Gagliardi, Il contratto di assicurazione. Spunti di atipicità ed evoluzione del tipo, Torino, 2009, cit., 18.

[17] Diversamente, il Codice delle Assicurazioni Private del 2005 (d.lgs 7 settembre 2005, n. 209) non fornisce una definizione autonoma di contratto di assicurazione, ma si limita a descrivere, all’art. 1, comma 1, lett. c, l’attività assicurativa come «l’assunzione e la gestione dei rischi effettuata da un’impresa di assicurazione».

[18] Sul punto si registra una parte della dottrina che, affermando l’unicità della figura contrattuale assicurativa, critica la distinzione tra l’assicurazione “danni” e quella “vita”. In argomento, C. Vivante, Trattato di Diritto Commerciale: vol. IV, Milano, 1926, 356. Invece, come osservato da F. Santi, Art. 1882, in P. Cendon (a cura di), Commentario al codice civile, Milano, 2010, cit., 10, «L’enunciato normativo dell’art. 1882 c.c., che fissa la nozione di contratto di assicurazione si presta ad alcune osservazioni preliminari. Esso aderisce all’idea di configurare in termini unitari questo contratto, il che è illusorio. Si tratta di due definizioni, dal momento che il pensiero giuridico non ha espresso una concezione unitaria sotto il profilo della causa dei due tipi contrattuali indicati in quella descrizione (assicurazione dei danni e sulla vita)».

[19] Questa distinzione è rilevante anche ai fini dell’autorizzazione delle imprese assicurative, che avviene per “ramo”, suddiviso tra “rami vita” e “rami danni”, come previsto dall’art. 2 del Codice delle Assicurazioni Private.

[20] Si distingue tra: assicurazione per il caso di morte, se l’assicuratore si obbliga a pagare al beneficiario dell’assi­curazione una somma o una rendita alla morte dell’assicurato; assicurazione per il caso di sopravvivenza, se l’assicuratore si obbliga a pagare all’assicurato o al terzo beneficiario una somma o una rendita a un’epoca fissa, nel caso l’assicurato sia ancora in vita.

[21] Secondo la dottrina, gli elementi essenziali dell’assicurazione sulla vita includono la presenza di un assicuratore, ossia di un’impresa che gestisce un ampio portafoglio di rischi; la determinazione del premio in base all’età dell’assicurato e a valutazioni di tipo demografico; l’uso di una tecnica assicurativa per distribuire il rischio tra più soggetti; e l’evento oggetto del contratto, che deve riguardare la vita umana, inteso in senso restrittivo come la morte o la sopravvivenza. Sul punto, F. Pecennini, Dell’assicurazione, Bologna, 2011, 213 ss.

[22] Per contenere il rischio demografico, le compagnie di assicurazione sulla vita impiegano modelli statistici e attuariali avanzati per stimare e proiettare l’andamento delle variabili demografiche. Inoltre, possono adottare diverse misure di gestione del rischio, tra cui la diversificazione del proprio portafoglio di polizze e l’adeguamento periodico dei premi, tenendo conto sia dell’evoluzione del mercato sia delle caratteristiche demografiche della popolazione assicurata.

[23] Recanti: art. 18: “Soggetti”​; art. 23: “Contratti”​; art. 24: “Gestione di portafogli”​; art. 30: “Offerta fuori sede” del d.lgs. del 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria).

[24] Sul tema della litispendenza internazionale in materia civile, F. Marongiu Buonaiuti, Litispendenza e connessione internazionale, Milano, 2010; P. Franzina, Introduzione al diritto internazionale privato, Torino, 2023, 118 ss.

[25] Il crack finanziario di Bernie Madoff è stato uno dei più grandi scandali economici della storia, rivelato nel dicembre 2008. Madoff, ex presidente del NASDAQ e gestore di investimenti, orchestrò una gigantesca truffa Ponzi da circa 65 miliardi di dollari, promettendo rendimenti costanti e sicuri a migliaia di investitori, tra cui privati, fondi pensione e grandi istituzioni finanziarie. Il suo schema si basava sul pagamento degli interessi ai vecchi investitori con il denaro dei nuovi sottoscrittori, senza alcun reale investimento. Il sistema collassò con la crisi finanziaria del 2008, quando troppi clienti chiesero il rimborso delle somme investite e Madoff non fu più in grado di coprire le richieste. Arrestato e condannato a 150 anni di carcere, il caso Madoff ha messo in luce le falle nei controlli della SEC e la vulnerabilità del sistema finanziario a frodi di vasta portata. Sul caso, M. Pasquini, Bernie Madoff. Il grande illusionista di Wall Street, Milano, 2019.

[26] Corte di giustizia dell’Unione europea, 31 maggio 2018, causa C-542/16 (c.d. sentenza “Länsförsäkringar”), che ha qualificato ha qualificato “assicurazioni” le polizze linked ai soli fini del loro assoggettamento alla Direttiva 2002/92 in punto di informazioni precontrattuali. La Corte ha espresso che le polizze linked rientrano tra i contratti sulla vita quando presentano il collegamento tra il premio versato e la prestazione da erogare, indipendentemente dal fatto che sia prevista la restituzione del premio o dalla presenza di una copertura del rischio legato alla durata della vita dell’assicurato. Nella sentenza si afferma che: «ne consegue che, per rientrare nella nozione di contratto di assicurazione di cui all’articolo 2, punto 3, della direttiva 2002/92, un contratto di assicurazione sulla vita, quale quello oggetto della causa principale, deve prevedere il pagamento di un premio da parte dell’assicurato e, in cambio di tale pagamento, la prestazione di un servizio da parte dell’assicuratore in caso di morte dell’assicurato o il verificarsi di un altro evento specificato».

[27] L’art. 37 del Regolamento Intermediari della Consob (adottato con delibera n. 16190 del 29 ottobre 2007) stabilisce, infatti, che gli «intermediari forniscono a clienti al dettaglio i propri servizi di investimento, diversi dalla consulenza in materia di investimento, sulla base di un apposito contratto scritto» elencando, nel comma 2, i contenuti del contratto.

[28] La disposizione, al comma 1, prevede che: «I contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento, e, se previsto, i contratti relativi alla prestazione dei servizi accessori, sono redatti per iscritto, in conformità a quanto previsto dagli atti delegati della direttiva 2014/65/UE, e un esemplare è consegnato ai clienti. La Consob, sentita la Banca d’Italia, può prevedere con regolamento che, per motivate ragioni o in relazione alla natura professionale dei contraenti, particolari tipi di contratto possano o debbano essere stipulati in altra forma, assicurando nei confronti dei clienti al dettaglio appropriato livello di garanzia. Nei casi di inosservanza della forma prescritta, il contratto è nullo».

[29] Il riferimento è a Cass. civ., sez. II, 22 ottobre 2021, n. 29583.

[30] L’indennizzo previsto in caso di morte, pari al 101% del valore delle quote investite, è stato considerato del tutto trascurabile e insufficiente a configurare un effettivo “rischio demografico” a carico dell’assicuratore.

[31] Sul tema, ex multis, A. Campus, Qualificazione delle polizze linked e diritto di matrice europea, in Assicurazioni – Rivista di diritto, economia e finanza delle assicurazioni private, 1, 2024, 89 ss.

[32] Un principio che trova conferma in molti campi del diritto civile. Emblematico è il caso dei negozi volti ad eludere il c.d. divieto di patto commissorio. no degli aspetti più rilevanti nell’applicazione del divieto di patto commissorio è la necessità di privilegiare la sostanza rispetto alla forma nell’analisi degli atti negoziali. La giurisprudenza ha infatti sviluppato un approccio sostanzialistico, volto a individuare eventuali meccanismi elusivi del divieto, anche quando questi siano formalmente strutturati in modo da apparire leciti. In altre parole, non è sufficiente che un contratto sia formalmente distinto da un patto commissorio; occorre valutare se esso, nella sua essenza, persegua lo stesso scopo vietato dalla legge. La Cassazione ha ribadito che il giudice deve sempre indagare la causa concreta del negozio giuridico e verificare se esso, pur presentandosi sotto forma di un accordo apparentemente lecito, realizzi nella sostanza un trasferimento automatico del bene in garanzia in caso di inadempimento. Tale principio è stato applicato, ad esempio, nei casi di vendita con patto di riscatto, lease-back e altri strumenti contrattuali che potrebbero mascherare un intento commissorio. L’approccio sostanzialistico consente di garantire l’effettività del divieto di patto commissorio, evitando che lo stesso venga aggirato attraverso artifici giuridici. Di conseguenza, il giudice è chiamato a valutare la reale volontà delle parti e l’effetto economico dell’operazione, indipendentemente dal nomen iuris utilizzato. Sul punto, ex plurimis, Cass. civ., 28 gennaio 2015, n. 1625.

[33] Come evidenziato da P. Corrias, I prodotti assicurativo-finanziari: genesi ed evoluzione, in Assicurazioni, 4, 2021, Torino, 582 ss.

[34] M. Rossetti, Il diritto delle assicurazioni: vol. III, Padova, 2013, 955 ss.

[35] Sul tema P. Corrias, I prodotti assicurativo-finanziari: genesi ed evoluzione, in Assicurazioni, 4, Torino, 2021, 584 ss., «La relativa legge di attuazione (22 ottobre 1986, n. 742), infatti, ha esteso l’ambito delle figure dei rami vita, contemplando nell’art. 1 e nella classificazione dei rischi per ramo di cui all’Allegato A, anche le assicurazioni sulla durata della vita umana connesse con fondi di investimento, le operazioni di capitalizzazione e le operazioni di gestione dei fondi pensione: ossia, come si è appena rilevato, le tre tipologie che non presentano (o possono non presentare, nel caso delle polizze del ramo III) natura assicurativa. Va però precisato che prima del 1979 le polizze collegate (unit e index linked) erano già conosciute e ampiamente praticate in altri paesi sia europei che non europei: nell’ordinamento nordamericano, già dagli anni ’50 del secolo scorso; nel Regno Unito, in epoca di poco successiva».

[36] Siffatte polizze hanno avuto una crescita esponenziale, favorita dalla tendenza degli investitori retail a cercare soluzioni che andassero oltre i tradizionali depositi bancari e titoli di Stato, abbracciando strumenti più complessi e rischiosi.

[37] Tra cui Corte Giust. UE, 24 febbraio 2022, C-143/20 e C-213/20; Cass. civ., 25 luglio 2022, n. 23073; Trib. Bergamo, 6 dicembre 2021, n. 2271; Cass. civ., 5 marzo 2019, n. 6319; Cass. civ., 30 aprile 2018, n. 10333; Cass. civ., 18 aprile 2012, n. 6061.

[38] Il Regolamento (UE) 26 novembre 2014, n. 1286.

[39] Il riferimento è sempre a Cass. civ., sez. III, 26 luglio 2024, n. 21022.

[40] Che supera la teoria della causa “in astratto” accolta dall’impianto originario del codice civile, secondo gli insegnamenti di Emilio Betti. La prima sentenza che adotta l’espressione causa “in concreto” è Cass. civ., sez. III, 8 maggio 2006, n. 10490 in cui la causa è stata qualificata come «scopo pratico del negozio è la sintesi degli interessi che lo stesso è concretamente diretto a realizzare quale funzione individuale della singola e specifica negoziazione, al di là del modello astratto utilizzato». Sulla causa nel contratto di assicurazione P. Corrias, La causa del contratto di assicurazione: tipo assicurativo o tipi assicurativi?, in Riv. dir. civ., 1, 2013, 813 ss.

[41] Vale più ciò che è effettivamente voluto rispetto a ciò che è simulatamente dichiarato.

[42] La Corte, richiamando la sua stessa precedente giurisprudenza, evidenzia come «Sotto la denominazione “unit-linked” o “index-linked” la prassi commerciale accomuna contratti con le previsioni più disparate: con rischio per il beneficiario di perdita totale del capitale versato o (in caso di avveramento del rischio) dell’indennizzo; con rischio di perdita parziale; con capitale garantito».

[43] Sul punto si veda Cass. civ., sez. I, 9 aprile 2024, n. 9418; Cass. civ., sez. I, 12 febbraio 2024, n. 3785.

[44] Come confermato da Cass. civ., sez. III, 31 gennaio 2024 n. 2922; Cass. civ, sez. III, 27 luglio 2023, n. 22961.

[45] Sul tema G. Volpe Putzolu, Le assicurazioni. Produzione e distribuzione, Bologna, 1992; P. Corrias, Il contratto di assicurazione. Profili funzionali e strutturali, Napoli, 2016.

[46] Zygmunt Bauman parla della “società liquida” in diversi testi, ma principalmente nel libro: Modernità liquida, pubblicato originariamente nel 2000. Z. Bauman, Modernità liquida, Roma-Bari, 2000.