Jus CivileCC BY-NC-SA Commercial Licence ISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

Carlo Dore, Il prestito vitalizio ipotecario, Tra tutela del credito e attuazione del programma negoziale, ESI, Napoli 2022, 175. (di Paolo Gallo)


Il lavoro di Carlo Dore è dedicato ad un tema reso ancora più attuale dalla crisi economica, vale a dire il prestito vitalizio ipotecario (art. 11-quaterdecies, comma 12, legge 2 dicembre 2005, n. 248, nonché legge 2 aprile 2015, n. 44). Come considera l’autore si tratta di un’operazione negoziale complessa la cui funzione è quella di assicurare liquidità a persone fisiche ultra sessantenni, che abbiano la proprietà di una casa. Le quali ovviamente possono optare tra un mutuo ordinario, anche assistito da ipoteca, o un prestito vitalizio ipotecario. In questo secondo caso, come nota l’autore, si tratta in buona sostanza di una specie di mutuo al contrario, che ha ben precisi riscontri anche in Francia ed Inghilterra, in virtù del quale la banca eroga un finanziamento garantito da ipoteca su di un immobile di proprietà del finanziato, finalizzato non tanto a consentire a questi di acquistare un immobile, ma piuttosto a disporre di liquidità da impiegare per le finalità più svariate, quali spese mediche, spese per la vita quotidiana, per l’assistenza di persone anziane, per i figli, ma anche per vestiti, automobili, viaggi e così via, senza alcun limite o vincolo di destinazione di sorta. L’unico requisito richiesto da parte del legislatore è che si tratti di una persona fisica che ha compiuto sessanta anni. Il finanziamento è tutelato in virtù dell’iscrizione di un’ipoteca di primo grado sull’immobile in proprietà, con la conseguenza che il costo economico dell’intera operazione viene scaricato sugli eredi, i quali a far data dal tempo del decesso sono tenuti a restituire l’intero importo del finanziamento, unitamente agli interessi capitalizzati di anno in anno, il che come nota giustamente l’autore costituisce una palese deroga al divieto dell’anatocismo (art. 1283 cod. civ.). Come considera ancora l’autore, l’operazione presenta notevoli punti di contatto con la vendita della proprietà con riserva di usufrutto, ma a differenza di quest’ope­razione, il prestito vitalizio ipotecario non priva il titolare della proprietà; piuttosto il finanziamento erogato svuota di contenuto la proprietà, la quale si trasforma in una sorta di involucro vuoto destinato ad essere trasferito ormai sostanzialmente privo di contenuto agli eredi. Come nota giustamente l’autore, si tratta dunque di un’operazione finalizzata a consentire al finanziato di aumentare il suo tenore di vita, senza dovere nel contempo rinunciare per lo meno formalmente alla proprietà, la quale viene peraltro svuotata, con la conseguenza che il costo del finanziamento viene scaricato sugli eredi; a ben vedere si tratta dunque di una specie di successione o eredità al contrario, dato che il de cuius invece che trasferire agli eredi utilità, scarica su di loro il costo dei consumi effettuati in vita in virtù del finanziamento ricevuto.

Il decesso funge infatti da termine per quel che riguarda la restituzione del finanziamento, unitamente alla capitalizzazione degli interessi, con conseguente obbligo degli eredi di restituire la somma dovuta. In mancanza, scaduto il termine di dodici mesi si aprono più possibilità; la banca può in primo luogo optare per la via dell’esecuzione forzata ordinaria; il legislatore consente peraltro all’istituto di credito di vendere direttamente la casa al suo prezzo di mercato, previa stima da parte di un perito, scelto peraltro non di comune accordo con gli eredi ma direttamente dalla banca stessa, o ancora di accordarsi con gli eredi affinché la casa venga venduta personalmente da questi ultimi; in entrambi i casi il ricavato dovrà essere utilizzato per estinguere il mutuo erogato dalla banca, salva la precisazione che l’eventuale esubero rispetto a quanto dovuto alla banca dovrà essere devoluto agli eredi; ove peraltro il ricavato dalla vendita della casa sia inferiore all’ammontare dovuto, ne consegue comunque la liberazione degli eredi con conseguente effetto esdebitativo.

Si tratta di una disciplina apparentemente semplice, che viceversa pone una miriade di problemi, i quali sono sviscerati ed illustrati dall’autore con certosina attenzione nel corso dell’intera monografia.

L’autore si pone in primo luogo il problema di quale sia l’esatto inquadramento della fattispecie che la dottrina tende per lo più a ricondurre nell’ambito del patto marciano, il quale come è ben noto è consentito diversamente dal patto commissorio che è viceversa nullo (art. 2744 cod. civ.). L’autore critica peraltro questa ricostruzione considerandola per lo meno in parte frettolosa, e considera che in realtà il legislatore abbia previsto non soltanto l’obbligo del finanziatore di devolvere l’esubero al finanziato, ma anche l’effetto esdebitativo in favore di quest’ultimo; effetto esdebitativo, che come giustamente considera l’autore è estraneo alla logica del patto marciano, tanto è vero che compare soltanto nelle fattispecie di finanziamento ai consumatori (art. 120-quinquiesdecies TUB) e non anche di quelli alle imprese (art. 48-bis TUB), a riprova del fatto che ormai non è possibile fare di ogni erba un fascio, ma piuttosto ogni tipologia di debito assume connotati che gli sono propri, specie in relazione alla categoria di soggetti a cui favore vengono erogati; il che consente di delineare una categoria particolare di finanziamenti aventi ad oggetto per l’appunto i crediti erogati ai consumatori.

In queste condizioni secondo l’autore non si tratterebbe dunque tanto di un patto marciano, ma piuttosto di una fattispecie più complessa in cui entrano in gioco non soltanto gli interessi della banca alla soddisfazione in virtù di uno strumento di autotutela, ma anche l’interesse del finanziato o meglio dei suoi eredi alla liberazione dal debito in virtù di una modalità alternativa di adempimento. Sempre secondo l’autore la fattispecie integrerebbe dunque un particolare meccanismo di estinzione dell’ob­bligazione pecuniaria diverso rispetto all’adempimento che presenta notevoli punti di contatto con la datio in solutum; si consideri ancora che in caso di vendita il pagamento del prezzo da parte del terzo acquirente vale nel contempo ad estinguere due rapporti obbligatori, quello di provvista nascente dal contratto di compravendita e quello di valuta nascente dal contratto di mutuo, con conseguenti evidenti convergenze anche con la delegazione di pagamento; salvo ancora l’obbligo della banca di devoluzione dell’eventuale esubero agli eredi, in conformità allo schema del patto marciano e salvo ancora l’eventuale effetto esdebitativo in favore degli eredi. Come giustamente rileva l’autore si tratta dunque di una fattispecie sicuramente complessa idonea ad estinguere contemporaneamente due rapporti, con conseguente effetto esdebitativo nei confronti degli eredi, nonché a far sorgere l’obbligo della banca di devolvere agli eredi l’esubero del prezzo, che sarebbe riduttivo limitarsi a considerare alla stregua una mera applicazione del patto marciano.

L’autore si interroga poi sulla fonte del potere di vendere in capo all’erogatore del finanziamento ed anche in questo caso discorda rispetto all’opinione più diffusa che tende a ravvisarlo in una procura; in particolare secondo un’opinione piuttosto diffusa si tratterebbe di un mandato in rem propriam, in virtù del quale il finanziatore acquisirebbe il potere di alienare subordinatamente all’evento della morte del finanziato; l’autore considera peraltro le incongruenze a cui potrebbe condurre questa impostazione ed in particolare al fatto che in genere non è ammesso il mandato mortis causa, tenuto conto tra l’altro del divieto dei patti successori (art. 458 cod. civ.). L’autore propende quindi per fondare un tale potere dispositivo direttamente sul diritto reale d’ipoteca, alla stregua peraltro di quanto specificamente previsto dal legislatore in materia di pegno (artt. 2796, 2797 cod. civ.).

Il lavoro non si limita peraltro a sviscerare gli innumerevoli problemi che pone il prestito vitalizio ipotecario, ma si interroga più in generale sul divieto stesso del patto commissorio. L’autore giustamente considera come il divieto di una tale patto debba ravvisarsi nella debolezza della fattispecie sotto il profilo causale, con conseguente rischio di trasferimenti ingiustificati di ricchezza, il che a contrario spiega la validità del matto marciano, che non prevede l’acquisizione della proprietà subordinata alla condizione dell’inadempimento, ma piuttosto la stima della cosa da parte di un soggetto terzo e conseguente devoluzione dell’esubero al debitore. L’autore considera inoltre che sebbene il problema di fondo sia sempre quello di evitare approfittamenti di situazioni di debolezza e conseguenti trasferimenti ingiustificati di ricchezza a danno della parte debole del rapporto, gli strumenti utilizzati da parte del legislatore non siano omogenei, ma spazino dalla rescissione del contratto (artt. 1447 ss. cod. civ.), alla nullità, come per l’appunto in materia di patto commissorio (art. 2744 cod. civ.), mutuo (art. 185, comma 2, cod. civ.) e contratto usurario. Disparità di trattamento di situazioni sostanzialmente simili, che non sempre appare del tutto giustificata.

In secondo luogo l’autore considera come in altri casi ancora, fattispecie potenzialmente lesive dell’integrità patrimoniale altrui, come per esempio la prestazione in luogo d’adempimento, la novazione e così via, siano invece ammesse senza alcun limite, anche se in concreto possano comportare trasferimenti ingiustificati di ricchezza, nonché approfittamenti; si pensi per esempio al caso in cui per estinguere un’obbligazione pecuniaria, il debitore accetti di consegnare un gioiello di valore nettamente superiore (datio in sulutum), il che è sempre possibile senza alcuna verifica della congruità del valore dell’oggetto consegnato in luogo dell’adempimento. In una posizione intermedia si collocano infine i casi in cui l’eccessività della somma prevista ne comporta la riduzione, come per esempio in materia di penale (art. 1384 cod. civ.).

In definitiva si tratta di un lavoro estremamente denso di contenuti e di suggestioni che solo la lettura diretta può consentire di cogliere integralmente.