Jus CivileISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

Distanze legali tra costruzioni: il difficile connubio tra tutela privatistica e pubblicistica (di Maria Giulia Salvadori, Ricercatrice – Università degli Studi di Torino)


L’interesse a approfondire il tema delle distanze tra costruzioni è rinnovato da una recente decisione del Supremo Collegio che esaminando un caso in cui il distacco tra due immobili risultava inferiore alla misura legale riconosce la costituzione di una servitù per destinazione del padre di famiglia. L’indagine qui proposta si muove in due direzioni: la prima guarda alle conseguenze della violazione delle distanze tra costruzioni fermando l’attenzione sui rimedi esperibili. La seconda si concentra sull’aspetto della derogabilità e inderogabilità di tali norme. Ci si interroga sulla attualità di questa distinzione, controversa già in passato, e sulla coerenza del più recente indirizzo della Cassazione: che in linea teorica proclama la inderogabilità di tutta la disciplina ma nelle concrete applicazioni vanifica la portata del principio, sacrificando gli interessi pubblici attraverso un discutibile uso degli strumenti privatistici, oltre che delimitando rigidamente i confini tra competenze del giudice ordinario e pubblica amministrazione.

 

Legal distances between buildings: a difficult combination between protection by private law and protection by public law

Interest in delving into the issue of distances between buildings was renewed by a recent decision of the Italian Court of Cassation: while examining a case in which the gap between two buildings is below the legal measure, the Court recognizes the establishment of an easement as implied easement. The investigation suggested here moves in two directions: the first looks at consequences of an infringement of the rules on distances between buildings focusing on possible actionable remedies. The second concentrates on the aspect of non-mandatory or mandatory nature of such norms. The question is about whether this distinction, which was controversial even in the past, is still current, and about the coherence of the more recent orientation of the Court of Cassation: theoretically, the Court proclaims the mandatory nature of the entire discipline, but in practical application it thwarts the significance of this principle, sacrificing public interest through a questionable use of private law tools, as well as rigidly marking borders between the competences of ordinary judges and those of the public administration.

Keywords: distances between buildings – adverse possession – implied easement.

SOMMARIO:

1. Il quadro normativo di riferimento: la disciplina codicistica ed extracodicistica - 2. La distinzione tra norme integrative e non integrative - 3. La violazione delle norme non integrative e la (sola) tutela risarcitoria: profili sostanziali e processuali - 4. La violazione delle norme integrative e la tutela ripristinatoria: profili sostanziali e processuali - 5. Segue. I limiti alla demolizione della costruzione - 6. Segue. L’azione risarcitoria adiecta alla tutela ripristinatoria - 7. La competenza esclusiva del giudice ordinario - 8. Derogabilità e inderogabilità delle norme sulle distanze: una distinzione sempre più controversa - 9. La soluzione poco “green” della giurisprudenza - NOTE


1. Il quadro normativo di riferimento: la disciplina codicistica ed extracodicistica

Nel nostro ordinamento l’attività edilizia risulta congiuntamente disciplinata da disposizioni eterogenee, sia per la sede in cui sono collocate sia per le finalità perseguite. Il codice civile riserva alla proprietà edilizia la sezione V del capo II del titolo II del libro III (artt. 869-907) ed esordisce riconoscendo espressamente il fondamentale ruolo che nella materia rivestono gli strumenti di pianificazione pubblica, leggi speciali, piani regolatori, regolamenti comunali, che devono essere osservati dai privati nell’esercizio dello ius aedificandi (artt. 869-871). L’art. 871, comma 1, cod. civ., stabilisce che le regole da osservarsi nelle costruzioni sono fissate dalla legge speciale e dai regolamenti edilizi comunali, questi ultimi richiamati anche nell’art. art. 873 cod. civ., ai quali va riconosciuto un ruolo fondamentali come strumento di pianificazione locale. La normativa speciale a cui l’art. 871 fa rinvio è attualmente costituita dalle leggi statali – in particolare dal Testo Unico sull’Edilizia dpr 380/2001 e successive modificazioni e dal d.m. n. 1444/1968 [1] – regionali, e delle Province autonome di Trento e Bolzano, in materia di edilizia e urbanistica. Le norme edilizie, oltre a conformare la proprietà, incidono anche sul piano negoziale, concorrendo a delineare le qualità giuridiche dei beni immobili: l’irregolarità edilizia o urbanistica può comportare un inadempimento delle obbligazioni assunte in via negoziale, con le relative conseguenze, conducendo persino alla nullità del contratto per violazione di norme imperative; e ha parimenti rilievo nel sistema della responsabilità civile elevando l’ambiente naturale e urbano a bene protetto tutelabile ex art. 2043 cod. civ. Trattando in modo specifico delle distanze tra costruzioni, la disciplina si rinviene in particolare negli artt. 873-877 cod. civ. Semplificando: nell’art. 873 il legislatore sancisce che le costruzioni su fondi finitimi (se non sono unite o aderenti) debbano essere tenute a distanza non inferiore a tre metri: una prescrizione vincolante anche per i regolamenti locali, che possono tuttavia prevedere una distanza (soltanto) maggiore. Guardando alle violazioni edilizie, la tutela si articola su due piani (c.d. doppio binario): uno pubblicistico, in cui la repressione dell’illecito è demandata alla P.A. e ai suoi [continua ..]


2. La distinzione tra norme integrative e non integrative

È diffusa l’opinione secondo cui l’art. 872, comma 2, cod. civ. presupponga e al tempo stesso accrediti una fondamentale distinzione nell’ambito delle norme edilizie extracodicistiche, contrapponendo quelle la cui trasgressione è fonte del solo obbligo al risarcimento del danno, cc.dd. non integrative, alle altre, che, in caso di mancato rispetto, ammettono anche la riduzione in pristino, cc.dd. integrative [2]. Nell’ambito della disciplina edilizia esterna al codice civile assume dunque primario rilievo l’individua­zione della categoria di appartenenza della norma violata, attesa la profonda diversità degli effetti derivanti dalla mancata osservanza della medesima. Il criterio distintivo comunemente adottato fa leva sulla natura dell’interesse perseguito. Si considerano non integrative delle disposizioni del codice civile le prescrizioni urbanistiche ed edilizie che tendono principalmente a soddisfare interessi di ordine generale; integrative, invece, le norme dettate nelle stesse materie disciplinate dagli artt. 873 ss. del cod. civ., volte a completare, rafforzare, armonizzare, nel pubblico interesse di un ordinato assetto urbanistico, la disciplina dei rapporti intersoggettivi di vicinato [3]. Nel dettaglio: sono non integrative, in quanto espressione di interessi urbanistici generali, le norme concernenti le limitazioni del volume, dell’altezza e della densità degli edifici senza alcun rapporto con le distanze intercorrenti tra gli stessi [4]; quelle inerenti alle esigenze dell’igiene, della viabilità e della conservazione dell’ambiente [5]; le disposizioni relative all’ampiezza dei cortili dei fabbricati e in genere ad ogni altra dimensione interna [6] ed ancora quelle dettate in tema di distacchi delle costruzioni dalle strade pubbliche [7]. Assumono, invece, carattere di norme integrative, perché volte a regolare anche i rapporti interprivatistici di vicinato, le (sole) prescrizioni che attengono alle distanze delle costruzioni, in quanto le disposizioni della Sezione VI a cui rinvia il capoverso dell’art. 872 cod. civ., concernono unicamente la disciplina delle distanze. In quest’ambito, va chiarito che affinché una norma extracodicistica possa ritenersi integrativa non è necessario che contenga una diretta previsione della distanza, essendo sufficiente che essa regoli, con qualsiasi [continua ..]


3. La violazione delle norme non integrative e la (sola) tutela risarcitoria: profili sostanziali e processuali

Per la violazione delle norme edilizie non integrative la tutela accordata dall’art. 872, comma 2, cod. civ. si esaurisce nel rimedio risarcitorio. La mancata osservanza di tali prescrizioni, prevalentemente finalizzate ad un ordinato assetto urbanistico del territorio, comporta, di regola, un degrado urbano e ambientale, che può ripercuotersi negativamente sul valore di mercato degli immobili vicini, in termini di diminuzione di visuale, soleggiamento, tranquillità, comodità, amenità che si configura come un danno ingiusto, suscettibile di risarcimento secondo le regole della responsabilità aquiliana [12]. In questo caso, di regola si giustifica la scelta rimediale del legislatore facendo, opinabilmente, leva sull’assenza di un asservimento di fatto, ossia di una compressione oggettiva del fondo contiguo, riscontrabile invece nella violazione delle norme sulle distanze: cosicché il diritto al risarcimento del danno non deriva in questo caso dalla sola circostanza della illegittima edificazione, richiedendo la sussistenza di tutti i presupposti, soggettivi ed oggettivi, ai quali l’art. 2043 cod. civ. subordina il sorgere della responsabilità. Il risarcimento compete se e nella misura in cui il danno risulti concretamente dimostrato e sia provato il nesso eziologico intercorrente tra la violazione della norma edilizia e il pregiudizio lamentato [13]. Poiché l’entità del nocumento è spesso difficilmente valutabile, non vi sono ragioni per escludere la liquidazione del danno in via equitativa ex artt. 1226 e 2056 cod. civ., purché il complesso delle risultanze processuali sia tale da consentire una valutazione globale dell’intera vicenda e quindi l’individuazione di criteri direttivi per addivenire ad una quantificazione oggettiva del danno stesso, poiché il potere attribuito al giudice dall’art. 1226 cod. civ. non esonera l’interessato dall’onere di offrire gli elementi probatori in ordine alla sua esistenza. In ordine alle modalità risarcitorie, dal disposto dell’art. 872, comma 2, codice civile, che testualmente ammette la riduzione in pristino dello stato dei luoghi nelle sole ipotesi in cui risultino violate le norme sulle distanze, si suole desumere che il risarcimento del danno per la violazione delle norme non integrative del codice civile possa aver luogo soltanto per equivalente e non [continua ..]


4. La violazione delle norme integrative e la tutela ripristinatoria: profili sostanziali e processuali

Per la violazione delle norme edilizie sulle distanze, cc.dd. integrative, la tutela accordata dall’art. 872, comma 2, cod. civ. non si esaurisce nel rimedio risarcitorio essendo concessa ai privati l’azione ripristinatoria. Come si è già avuto modo di accennare, è diffusa la convinzione che essa abbia natura reale e sia assimilabile all’azione negatoria, in quanto diretta a salvaguardare il diritto di proprietà dall’imposizione di limitazioni suscettibili di dar luogo a servitù e ad impedirne tanto l’esercizio attuale quanto l’acquisto per usucapione [18]. Il diritto alla restitutio in integrum sorge per il solo fatto dell’esecuzione dell’illecita costruzione, di per sé lesivo del diritto di proprietà del vicino, il quale può pretendere il ripristino dello stato dei luoghi indipendentemente dalla sussistenza di un danno, anche se si tratta di violazioni di lieve entità [19]. In presenza di norme che dettano distanze minime, al giudice non è lasciato alcun margine discrezionale per una valutazione in concreto del carattere intrinsecamente dannoso o pericoloso dell’opera edilizia ai fini della demolizione della stessa, poiché l’illegittimità della costruzione realizzata in violazione di tali norme consegue ad una generale e astratta valutazione compiuta dal legislatore [20]. Ai fini della tutela reale, è sufficiente l’accertamento della violazione, e quando riguardi il mancato rispetto della distanza dal confine, è indifferente che il proprietario limitrofo abbia costruito o possa costruire in futuro [21] , e può essere pretesa anche da chi abbia, a sua volta, costruito contra ius in violazione di norme edilizie [22]. L’azione diretta ad ottenere il rispetto delle distanze legali, in quanto espressione del diritto di proprietà è imprescrittibile [23]. Sul versante processuale, dalla natura reale riconosciuta all’azione discende che la legittimazione attiva spetta esclusivamente al proprietario e ai titolari di un diritto reale di godimento sull’immobile rispetto al quale è stata violata la norma sulla distanza [24]. Nel caso di condominio l’azione può essere utilmente esperita da uno soltanto dei condomini, senza che occorra integrare il contraddittorio nei confronti degli [continua ..]


5. Segue. I limiti alla demolizione della costruzione

La possibilità di ottenere la demolizione del “mal costruito” non trova limite alcuno nella eventuale eccessiva onerosità della rimessione in pristino dello stato dei luoghi. La natura reale dell’azione ripristinatoria esige la rimozione del fatto lesivo e sfugge all’applicazione dell’art. 2058, comma 2, cod. civ., secondo il quale il giudice può disporre che il risarcimento abbia luogo per equivalente, quando la riparazione in forma specifica è eccessivamente onerosa per il debitore [31]. Un limite all’abbattimento della costruzione illegittima potrebbe ravvisarsi nel disposto dell’art. 2933, comma 2, cod. civ., il quale vieta la distruzione che sia di pregiudizio all’economia nazionale. Tuttavia la giurisprudenza è costantissima nell’affermare che il pregiudizio dell’economia nazionale è da ritenersi riferito esclusivamente al sistema produttivo dell’intero paese e che esso non è invocabile al fine di evitare la demolizione di cose la cui perdita incida negativamente su interessi individuali o circoscritti a realtà locali [32]. Ne consegue la regolare disapplicazione dell’art. 2933, comma 2, cod. civ. nell’ambito delle controversie aventi per oggetto la distruzione di una costruzione che viola la normativa sulle distanze legali, ex art. 872, comma 2, cod. civ. La demolizione dell’opera illegittimamente costruita può, invece, essere impedita dalla sopravvenienza di norme edilizie meno restrittive di quelle vigenti all’epoca della realizzazione della costruzione. La giurisprudenza è, infatti, costante nel proclamare la inammissibilità dell’ordine di demolizione di costruzioni che, illegittime secondo le norme vigenti al momento della loro realizzazione, tali non siano più alla stregua delle norme vigenti al momento della decisione. In tal caso il giudice potrà solo condannare il proprietario al risarcimento dei danni prodottisi “medio tempore”, ossia di quelli conseguenti alla illegittimità della costruzione nel periodo compreso tra la sua edificazione e l’avvento della nuova disciplina [33].


6. Segue. L’azione risarcitoria adiecta alla tutela ripristinatoria

L’azione ripristinatoria può essere esperita in via autonoma o cumulata con quella di risarcimento del danno medio tempore sofferto [34]. Trattandosi di due azioni autonome, nell’azione diretta alla rimessione in pristino non può ritenersi implicitamente compresa quella di risarcimento del danno, la quale ultima può differire dalla prima anche per quanto riguarda i soggetti. La pretesa risarcitoria, infatti, può essere fatta valere anche nei confronti del­l’autore materiale della illegittima edificazione, che non necessariamente si identifica con il proprietario attuale del bene [35]. La giurisprudenza assolutamente prevalente proclama che il danno conseguente alla violazione delle norme del codice civile e di quelle cc.dd. integrative è in re ipsa, in quanto si identifica nella violazione stessa, che produce un asservimento de facto del fondo del vicino e, pertanto, non necessita di una specifica attività probatoria La peculiarità della tutela risarcitoria concorrente con il rimedio ripristinatorio consiste, dunque, in una presunzione di esistenza del danno, il quale è suscettibile di liquidazione in via equitativa, ex art.1226 cod. civ., tenendo conto di tutte le circostanze che possono aver influito sul valore di mercato del bene offeso nel periodo di tempo anteriore all’eliminazione della situazione antigiuridica creata dall’altrui illegittima edificazione [36]. Riconoscendo alla violazione delle norme sulle distanze i connotati di un illecito permanente, si dovrà concludere che il dies a quo del termine prescrizionale della relativa pretesa risarcitoria si rinnovi di momento in momento, avendo inizio da ciascun giorno rispetto al fatto già verificatosi ed al corrispondente diritto al risarcimento del danno [37].


7. La competenza esclusiva del giudice ordinario

È pacifico che le controversie tra privati aventi ad oggetto questioni relative all’esecuzione di opere edilizie non conformi alle prescrizioni di legge o degli strumenti urbanistici locali, anche se non integrative di quelle dettate dal codice civile, vertono in tema di lesione di diritti soggettivi e appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario [38]. In tali controversie non assume alcun rilievo l’esistenza o la legittimità dei provvedimenti amministrativi inerenti all’esercizio dello jus aedificandi, nonché la conformità delle costruzioni a tali atti, in quanto il conflitto tra i proprietari, interessati in senso opposto alla costruzione, va risolto in base al diretto raffronto tra le caratteristiche oggettive dell’opera e le norme edilizie. Pertanto, come è irrilevante la mancanza del titolo abilitativo alla edificazione quando la costruzione risponda oggettivamente a tutte le prescrizioni del codice civile e delle norme speciali senza ledere alcun diritto del vicino, così l’avere eseguito la costruzione in conformità della ottenuta autorizzazione a costruire, se rende l’intervento edilizio legittimo sul piano dei rapporti pubblicistici tra il costruttore e la pubblica amministrazione, non esclude di per sé la violazione di dette prescrizioni e, quindi, il diritto del vicino, a seconda dei casi, alla riduzione in pristino o al risarcimento del danno [39]. Il vicino pregiudicato dall’attività edificatoria può invocare la tutela predisposta dall’art. 872, comma 2, cod. civ. anche nell’ipotesi in cui l’intervento edilizio, originariamente abusivo, sia stato successivamente sottoposto a sanatoria o condono. La successiva legittimazione del bene sul piano urbanistico non è, infatti, idonea a sanare l’illecito civile che discende dalla inosservanza delle norme edilizie, in quanto la sanatoria o il condono degli illeciti urbanistici, inerendo al rapporto fra pubblica amministrazione e privato costruttore, esplicano i loro effetti soltanto sul piano dei rapporti pubblicistici – amministrativi, penali e/o fiscali – e non hanno alcuna incidenza nei rapporti fra privati [40].


8. Derogabilità e inderogabilità delle norme sulle distanze: una distinzione sempre più controversa

È opinione prevalente tra gli interpreti che le prescrizioni sulle distanze contenute nelle norme extracodicistiche, integrative della disciplina dettata dal codice civile, in quanto dirette alla tutela di interessi generali, abbiano natura cogente, e poiché inderogabili siano sottratte al potere dispositivo dei privati. Non vincolante, e dunque derogabile, risulterebbe, invece, secondo una certa corrente di pensiero, la distanza tra costruzioni di cui all’art. 873 cod. civ. per via degli interessi preminentemente privatistici su cui si fonda la sua ratio, desunti anche dalla collocazione sistematica della norma – codice civile – all’interno dello statuto proprietario, nell’ambito dei rapporti di vicinato [41]. Prima di entrare nel vivo dell’indagine sulla fondatezza, portata, attualità della distinzione, vagliando le ricadute sul piano applicativo delle differenti opzioni teoriche proposte, va chiarito come interrogarsi sulla derogabilità e/o inderogabilità delle distanze significhi chiedersi se e quali tra esse possano legittimamente tollerare una compressione, pattizia o di fatto, rispetto alla misura fissata dalla legge. Inevitabilmente, non soffrendo preclusione alcuna, sfugge al quesito il profilo, speculare, dell’ammis­sibilità di un ampliamento del distacco rispetto ai limiti legali; oppure del suo diverso riparto tra fondi confinanti, convenzionalmente stabilito dai privati, nell’osservanza del dettato normativo. Con coerenza tali accordi vengono considerati compatibili con prescrizioni sulle distanze definite inderogabili: non alterando l’assetto previsto dal legislatore, si esclude che essi attuino una vera e propria deroga alla distanza legale, esaurendosi piuttosto in una semplice diversa regolamentazione della medesima. Si colpisce invece con la sanzione della nullità il patto che tale distanza riduca; che, all’opposto, viene assolto e ricondotto nell’alveo degli accordi tra privati costitutivi di un diritto di servitù a mantenere la costruzione a distanza inferiore a quella prescritta – come in più occasioni affermato a margine dell’art. 873 cod. civ. – quando essa sia definita derogabile. Discutere se sia possibile derogare convenzionalmente alla distanza di tre metri prescritti dall’art. 873 cod. civ., avrebbe oggi limitato rilievo – impostando la questione solo con [continua ..]


9. La soluzione poco “green” della giurisprudenza

Come accennato, nel 2007 il Supremo Collegio si trova ad affrontare un nuovo quesito in tema di distanze tra costruzioni proposto in questi termini: il diritto del vicino alla riduzione in pristino di un manufatto che si trovi da oltre vent’anni a distanza inferiore a quella prevista dagli strumenti urbanistici comunali, integrativi dell’art. 873 cod. civ., può essere paralizzato dall’acquisto per usucapione della relativa servitù in capo al proprietario della costruzione? Il ragionamento della Corte è cristallino: la disciplina regolamentare protegge interessi che trascendono quelli meramente privatistici, pertanto l’esigenza di garantire un determinato distacco tra gli edifici, di natura pubblicistica, non può condurre a soluzioni diverse a seconda che il mantenimento di una costruzione a distanza inferiore derivi da un accordo tra le parti, tradizionalmente censurato, o dall’assenza di reazione da parte del confinante, protratta nel tempo. Un principio affermato a chiare lettere che conduce la Suprema Corte a negare l’acquisto della servitù per intervenuta usucapione, escludendo che l’ordinamento possa accordare tutela ad una situazione che, per l’inerzia del vicino, finisca per aggirare l’interesse pubblico rendendo legittima la permanenza di un manufatto edificato in maniera che con tale interesse contrasta. La stessa Sezione II della Cassazione, in diversa composizione, chiamata nel 2010 ad esprimersi a margine di analoga controversia, si discosta dal suo precedente, sostenendo che vi sia differenza tra contraddire le regole sulle distanze attraverso un accordo tra privati e riconoscere che per usucapione sorga una servitù in contrasto con la normativa generale, poiché tale acquisto, a titolo originario, risponde, sul versante proprietario, all’ulteriore esigenza di stabilità dei rapporti giuridici, eliminando quella situazione di perpetua instabilità che deriverebbe dalla possibilità per il vicino, ed eventuali aventi causa, di agire in qualunque tempo con l’azione di riduzione in pristino, imprescrittibile. Il venir meno della facoltà del privato di far valere il proprio diritto al rispetto delle distanze, paralizzato dall’usucapione, non impedirebbe dunque alla Pubblica Amministrazione di intervenire a tutela dell’interesse fissato dall’ordinamento esercitando i suoi poteri, concorrenti [continua ..]


NOTE
Fascicolo 2 - 2022