Jus CivileISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

Il principio di tipicità dei diritti reali e il vaglio di ammissibilità del diritto di uso esclusivo di parti comuni a favore di un condomino (di Diana D'Alberti)


Con una recente pronuncia la Suprema Corte è tornata ad esprimersi sul principio di tipicità dei diritti reali, in virtù del quale l’ordinamento vieta ai privati di coniare figure di diritto reale diverse da quelle tipizzate dal legislatore, nonché di incidere sul contenuto proprio del diritto reale tipico al fine di non snaturare il rapporto sottostante. Alla luce di tale principio, la Corte ha ritenuto nullo il titolo mediante il quale si costituisca un diritto di uso esclusivo di parti comuni a favore di un condomino, stante la non riconducibilità dello stesso alle figure di diritto reale espressamente previste dal legislatore. Sebbene si condividano le premesse poste dalla Suprema Corte in ordine alla sussistenza del principio di tipicità dei diritti reali, si ritiene più ragionevole inquadrare il diritto di uso esclusivo nell’istituto tipico delle servitù prediali. Invero, nel caso in esame, il godimento attribuito in favore di un condomino, titolare del fondo dominante, inerisce ad una singola porzione di parte comune, ovverosia del fondo servente. Dunque, la proprietà del fondo servente non si riduce ad un mero «simulacro» e ciò perché la conformazione della servitù si traduce in un diritto di godimento del fondo servente permanente ed esclusivo, e, tuttavia, parziale, perché spazialmente limitato. Di conseguenza, il contratto è da intendersi valido.

The principle of numerus clausus of property rights and the eligibility of the exclusive use of common parts attributed in favor of one of the co-owners in a condominium

The Supreme Court has recently considered again the applicability of the principle of numerus clausus of property rights. This implies that private parties cannot create new types of property rights through contracts or modify the specific content that the legal system expressly provides for those codified rights, in order not to alter the underlying legal relations. Under this principle, the Court has considered contracts which attribute the right of exclusive use of common parts in favor of one of the co-owners in the condominium, to be void. According to the Supreme Court, that is owing to the non-traceability of this right to the property rights expressly codified by the legislator. Although the Court’s premises regarding the adherence to the numerus clausus principle are fully welcomed, it seems more reasonable to frame the right of exclusive use as an easement. In fact, in the present case, the advantage granted in favor of a co-owner - holder of the dominant fund - relates to a single portion of the common part, that is to say, of the servient fund. Therefore, the ownership of the servient fund is not reduced to a mere «simulacrum» and that is because, the right conferred is one of a permanent and exclusive use of the servient fund, but partial since limited in space. Consequently, the contract remains valid.

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Diana D'Alberti - Il principio di tipicità dei diritti reali e il vaglio di ammissibilità del diritto di uso esclusivo di parti comuni a favore di un condomino

SOMMARIO:

1. Sezioni Unite, 17 dicembre 2020, n. 28972: il caso. - 2. Il contrasto giurisprudenziale. - 3. Tipicità dei diritti reali: retaggio storico o categoria giuridica ancora attuale? - 4. L’iter argomentativo delle Sezioni Unite. - 5. Un ragionevole inquadramento del diritto d’uso esclusivo.


1. Sezioni Unite, 17 dicembre 2020, n. 28972: il caso.

L’indagine attorno alla natura – dunque, all’ammissibilità – del diritto di uso esclusivo di porzioni comuni in favore di un condomino costituisce questione di particolare importanza. Inoltre, il contrasto giurisprudenziale emerso sul punto negli ultimi anni ha di recente richiamato l’attenzione delle Sezioni Unite. Al fine di esaminare la questione, appare preliminare la ricostruzione del caso. Nel 1980, tre sorelle sciolsero la comunione di un edificio, determinando una situazione di condominio: l’edificio, oltre alle tre unità immobiliari d’uso commerciale al piano terra e alle tre d’uso residenziale al primo piano, constava di parti comuni. Le unità immobiliari vennero ripartite equamente tra le tre sorelle – un appartamento al primo piano e un negozio al piano terra per ciascuna – tuttavia, solo a favore di una, fu attribuito “l’uso esclusivo della porzione di corte antistante” al negozio del pianterreno. Tale diritto, dunque, trovava fonte nell’atto di divisione, rectius nell’atto all’origine del condominio. Pochi anni dopo, la compagine condominiale subì delle modifiche: la sorella, in favore della quale era stato previsto l’uso esclusivo di parte del cortile, alienò sia il suo appartamento che il negozio. Anche nell’atto di compravendita si specificava che, assieme al negozio, si trasferiva il diritto di uso esclusivo di cui trattasi. I due condomini, subentrati nella titolarità degli altri due appartamenti del primo piano in seguito a procedura espropriativa, citarono in giudizio il nuovo titolare del negozio con uso esclusivo della porzione di cortile antistante al fine di contestare la validità del titolo giustificativo di tale diritto. Il convenuto chiedeva di respingere le pretese attoree in forza del titolo costitutivo ovvero per usucapione della servitù ovvero, ancora, ai sensi dell’art. 1021 c.c. È interessante sottolineare e ripercorrere la ricostruzione della vicenda data dalla Corte di Appello. A detta della Corte di Appello, infatti, la locuzione «uso esclusivo della corte antistante» era da intendersi come volta a sottolineare la natura pertinenziale della porzione di cortile antistante il singolo negozio, considerata la destinazione permanente di questa al servizio del locale. Inoltre, l’uso esclusivo, previsto sia nella divisione che [continua ..]


2. Il contrasto giurisprudenziale.

A partire dal 2017[1], un nuovo indirizzo giurisprudenziale ha ammesso la possibilità di costituire un diritto di uso esclusivo di parti comuni dell’edificio in favore di un solo condomino, escludendone – al contempo – una qualificazione come diritto d’uso ex art. 1021 c.c. Infatti, il diritto di uso esclusivo «tendenzialmente perpetuo e trasferibile» non condivide col diritto d’uso di cui agli artt. 1021 c.c. e ss., né i limiti di durata, né i limiti di trasferibilità, né le modalità di estinzione. Le argomentazioni utilizzate dalla Suprema Corte per dare risposta positiva alla configurabilità del diritto di uso esclusivo, muovono da vari presupposti. Innanzitutto, si sono ricercati indici normativi a sostengo di tale orientamento. Prime conferme si ritroverebbero nell’art. 1117 c. c., ove si prevede la presunzione di comunione di parti comuni «se non risulta il contrario dal titolo». Tale disposizione sancirebbe l’ammissibilità della clausola di un contratto o di un regolamento condominiale mediante la quale si convenga l’uso esclusivo di parti comuni in favore di un condomino[2]. Si richiama, poi, l’art. 1122 c.c., là dove si dispone non solo in capo al proprietario di parti esclusive, ma anche per chi sia titolare di «proprietà esclusiva o uso individuale» su «parti normalmente destinate all’uso comune», il divieto di eseguire opere che rechino danni alle parti comuni oppure un pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell’edificio. A detta della Suprema Corte, inoltre, l’uso esclusivo di parti comuni riconosciuto in favore di un condomino non è idoneo a privare gli altri partecipanti della possibilità di fruire di qualche utilità sul bene. Il bene oggetto del diritto di uso esclusivo continua a configurarsi come parte comune. Ciò che viene conformato dal titolo è il godimento di ciascun condomino. Il diritto di uso esclusivo viene qualificato come una manifestazione del diritto del condomino sulle parti comuni, in quanto tale inerente a tutte le unità in condominio, con la conseguenza che si trasmetterebbe non solo ai successivi aventi causa dell’unità cui l’uso stesso accede, ma anche a quelli delle unità fruenti di una minore facoltà di [continua ..]


3. Tipicità dei diritti reali: retaggio storico o categoria giuridica ancora attuale?

La specifica questione relativa alla configurabilità di un diritto d’uso esclusivo in favore di un condomino richiama il più generale dibattito dottrinale attorno alla tipicità dei diritti reali[1]. Ci si è domandati se possa considerarsi ancora esistente il principio del numerus clausus dei diritti reali[2] oppure se quest’ultimo debba retrocedere dinanzi all’esercizio dell’autonomia negoziale dei privati. Si ritiene opportuno anche solo brevemente ricordare che è con la Rivoluzione francese, ispirata da valori di stampo liberale, affermatisi con l’Illuminismo, che il principio romanistico[3] della tipicità, dopo la lunga parentesi medievale[4], trovava nuova espressione nelle codificazioni ottocentesche[5]. Invero, con la fine dell’ancien regime, si intendeva liberare i terreni dai vincoli e dagli oneri di derivazione feudale, inevitabili ostacoli alla certezza e alla sicurezza dei traffici. Si voleva il territorio della Francia libero al pari dei Francesi: «Le territoire de France, dans toute son étendue, est libre comme les personnes qui l’habitent.[6]». Si giungeva, dunque, a vietare la creazione convenzionale di diritti reali; potendo questi ultimi trovare fonte solo in una previsione legislativa. La ratio di tale divieto si spiegava - e si spiega tutt’oggi - nella tutela del traffico e della sicurezza degli acquisti, con particolare riguardo ai terzi. Invero, la creazione di un diritto reale atipico è idonea a restringere ben oltre i limiti previsti dalla legge il contenuto della proprietà o di altro diritto reale oggetto di acquisto da parte di un terzo. Dunque, il principio di tipicità intende evitare che l’opponibilità erga omnes, nota peculiare dei diritti reali, si estenda oltre le previsioni di legge, anche a fattispecie non conoscibili dai terzi estranei alla convenzione istitutiva di simili diritti atipici. Preme, sul punto ricordare le parole del Venezian: «La volontà privata non può da sola neppure vincolare l’attività futura del volente […] Tanto meno la volontà privata può costituire da sola un diritto reale, al quale non è correlativo l’obbligo del costituente, ma un’obbligazione generale; per il quale non è ristretta soltanto la libertà d’azione del costituente e di chi raccogliendo la somma dei [continua ..]


4. L’iter argomentativo delle Sezioni Unite.

Le Sezioni Unite, dinanzi a siffatto panorama giurisprudenziale, indagano la natura del diritto di uso esclusivo su parti comuni, per comprendere se tale figura, emersa nella prassi notarile e nella più recente elaborazione giurisprudenziale, costituisca un diritto reale atipico; un diritto riconducibile a figure tipiche di diritti reali di godimento; ovvero se si tratti di un diritto di credito, personale di godimento. Innanzitutto, la Suprema Corte si domanda se – come sostenuto dall’orientamento inaugurato nel 2017 – effettivamente vi siano norme idonee a fondare la configurabilità di un generale diritto di uso esclusivo a favore di un condomino. Escluso ciò, si interroga circa la riconducibilità del diritto in esame alle servitù prediali ex artt. 1027 e ss. o al diritto d’uso ex artt. 1021 c.c. e ss. Nello specifico, a detta della Suprema Corte, né l’art. 1102 c.c., né l’art. 1117 c.c. rappresentano validi indizi normativi a sostegno della configurabilità del diritto di uso esclusivo: la rubrica dell’art. 1102 c.c. fa riferimento all’«uso comune» – e non esclusivo – della cosa; così come l’art. 1117 c.c., individuando quali sono le «parti comuni» dell’edificio, mai allude ad un uso esclusivo delle stesse da parte di un condomino, sottolineando – a più riprese – che tali porzioni dell’edificio sono destinate all’«uso comune». Inoltre, la possibilità di superare convenzionalmente la presunzione di condominialità non si riferirebbe all’attribuzione del mero godimento esclusivo della parte comune in favore di un condomino, bensì all’attribuzione della proprietà piena della parte comune che, così, diviene proprietà esclusiva del condomino. Le norme in esame di certo non escludono un «uso più intenso» della cosa comune da parte di uno o più condomini. Invero, la maggiore intensità dell’uso di parti comuni è ammissibile nel nostro ordinamento, come si evince dagli articoli in materia di ripartizione delle spese in proporzione all’uso, nonché di manutenzione e sostituzione delle scale e degli ascensori; ma con dei limiti: purché non si preveda un divieto di utilizzo generalizzato in capo agli altri [continua ..]


5. Un ragionevole inquadramento del diritto d’uso esclusivo.