Ripercorso il fondamento dell’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni, sorge la necessità di ricercare un punto di equilibrio tra la tendenza a valorizzare il sempre più richiamato principio di autoresponsabilità e l’esigenza dei maggiorenni alla persistenza del diritto al mantenimento fino all’acquisizione dell’indipendenza economica. Nello specifico, dopo aver posto in luce le incertezze dell’indirizzo interpretativo consolidato relativo ai presupposti ed ai limiti del diritto al mantenimento dei figli maggiorenni, qui si intende individuare gli elementi di novità ed i profili critici a cui si espone l’orientamento espresso dalla Suprema Corte con l’ordinanza del 14 agosto 2020 n.2020. L’indagine si propone in particolare di stabilire quale potrebbe essere una soluzione applicativa e quali parametri l’interprete deve valutare al fine di contemperare la necessità di consapevolizzare i figli con le esigenze derivanti dall’ instabilità economica, per effetto della quale diventa inevitabile un ampliamento dell’attuale funzione di protezione della famiglia ed, in particolare, dei genitori.
Upon reviewing the basis of the obligation to maintain children of full age, the need arises to strike a balance between the tendency to enhance the principle of self-responsibility and the need for children of full age to retain their right to maintenance until they become financially independent. Specifically, after highlighting the uncertainties of the established interpretative approach concerning the conditions and limits of the right to child support for children of full age, the aim here is to identify the new elements and critical profiles addressed by the orientation expressed by the Supreme Court in its order no. 2020 of 14 August 2020. In particular, the study aims to establish what an applicative solution might be, and what parameters the interpreter must evaluate in order to balance the need to raise children's awareness with the needs arising from economic instability, as a result of which an extension of the current function of protecting the family and the parents in particular, becomes inevitable.
Articoli Correlati: obbligo di mantenimento - principio di autoresponsabilità
Carolina Magli - L’obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne tra la valorizzazione del principio di autoresponsabilità ed esigenze di solidarietà
1. Premessa. - 2. Inquadramento normativo e profili critici relativi all’ orientamento consolidato. - 3. L’ordinanza della Cassazione del 15 agosto 2020: verso una (eccessiva) responsabilizzazione del figlio maggiorenne? - 4. (Segue) Sull’ inversione dell’onere della prova. - 5. Il contemperamento del principio di autoresponsabilità con la funzione protettiva della famiglia.
La questione concernente la durata del dovere dei genitori di mantenere i figli maggiorenni assume oggi particolare rilevanza a causa di diversi fattori sociali, familiari ed economici; si pensi al cambiamento dei rapporti genitori-figli, all’allungamento dei percorsi di studio nonché all’ attuale crisi del mercato del lavoro acuita, tra l’ altro, dall’ emergenza sanitaria in atto[1].
Ecco dunque che, in tale contesto, tenuto conto del fondamento stesso dell’ obbligo di mantenimento nonché dello sfondo solidaristico che è proprio della famiglia, sorge la necessità di ricercare un punto di equilibrio tra la tendenza a valorizzare il sempre più richiamato principio di autoresponsabilità[2] e l’ esigenza dei maggiorenni alla persistenza del diritto al mantenimento fino all’ acquisizione dell’ indipendenza economica.
L’indagine si propone, quindi, di ripercorrere la disciplina e l’orientamento consolidato relativo ai presupposti ed ai limiti del diritto al mantenimento[3] dei figli maggiorenni alla luce della elaborazione dottrinale e giurisprudenziale, evidenziandone limiti e incertezze[4]. Inoltre, individuati gli elementi di novità ed i profili critici a cui si espone l’ orientamento espresso di recente dalla Suprema Corte con l’ ordinanza del 14 agosto 2020 n. 2020[5], qui si intende stabilire quale potrebbe essere una soluzione applicativa e quali parametri l’ interprete deve considerare al fine di contemperare la necessità di responsabilizzare i figli con le esigenze derivanti dall’ instabilità economica, per effetto della quale diventa inevitabile un ampliamento dell’ attuale funzione di protezione della famiglia ed, in particolare, dei genitori.
[1] Il mercato del lavoro italiano ha subito gravi ripercussioni dopo la prima onda pandemica, con la perdita certificata di 656.000 posti di lavoro ed un calo del tasso di occupazione di 1,9 punti percentuali, dal 59,4% del secondo trimestre del 2019 al 57,5% del secondo trimestre del 2020. La crisi economica dovuta all’emergenza sanitaria non ha avuto un impatto omogeneo fra diverse categorie di lavoratori, ma ha colpito maggiormente settori dell’economia che godono di scarsa protezione e i lavoratori più giovani, acuendo in questo modo iniquità che da anni caratterizzano il nostro mercato del lavoro. Confrontando infatti i numeri di inizio 2014 con quelli dell’estate 2020, notiamo come complessivamente il tasso di occupazione sia aumentato di un solo punto percentuale per coloro tra i 18 e i 24 anni, sia rimasto invariato tra i 25 e i 34 e aumenti di 0,8 punti per la fascia 35-50, accentuando la frattura tra gli under e gli over 50). Sul punto, v. https://www.econopoly.ilsole24ore.com/2020/11/02/covid-19-lavoro-giovani/ e www.istat.it.
[2] Il principio di autoresponsabilità viene richiamato dalla stessa giurisprudenza in diversi settori (tanto da assurgere a principio e clausola di carattere generale) e viene spesso utilizzato in ambiti anche molto eterogeni del diritto privato e pubblico (Caredda, Autoresponsabilità ed autonomia privata, Torino, 2004). Di recente, con riguardo all’ assegno divorzile il principio viene richiamato oltre che dalla Cass. sez. un., 11 luglio 2018, n. 18287, in Resp. civ. prev., 2018, 1856, da diverse pronunce tra cui Trib. Pisa 7 settembre 2020, n. 792, in Redazione Giuffrè, 2020; Trib. Salerno 17 febbraio 2020, n. 670, in Redazione Giuffrè, 2020; Cass. 13 febbraio 2020, n. 3661, in Guida al dir., 2020, 14, 101; Cass. 7 ottobre 2019, n. 24934, in Ilfamiliarista.it, 24 febbraio 2020. Valorizza il principio di autoresponsabilità quale cardine dell’ intera relazione matrimoniale anche Trib. La Spezia 6 settembre 2019, n. 555, in Redazione Giuffrè, 2019; Trib. Milano 15 novembre 2019, in Ilfamiliarista.it, 7 maggio 2019; App. Venezia 26 ottobre 2018, n. 2954, in Redazione Giuffrè, 2019.
[3] Sulla distinzione tra mantenimento ed alimenti, v. Corte Cost., 21 gennaio 2000, in Giust. Civ., 2000, 641; Corte Cost., 14 novembre 2008, n. 373, in Giust. Civ., 2009, 2, 271. In argomento, v. inter alia, Riedweg, Mantenimento del figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente, in Fam. e dir., 1997, 61; Paola, Gli alimenti, in Fam. pers. e succ., 2010, 681; R. Rossi, Il mantenimento dei figli, in L’ affidamento dei figli nella crisi della famiglia, a cura di Sesta, Arceri, Torino, 2012, 249; Farolfi, Cessazione dell’ obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne e ripetibilità delle somme erogate, cit., 165.
[4] In argomento, v. tra i tanti, Sesta, La filiazione, in Trattato di diritto privato, diretto da M. Bessone, IV, Il diritto di famiglia, a cura di Auletta, Torino, 2011, 46; Id., Manuale di diritto di famiglia, Padova, 8° ed., 2019, 102; Villa, Potestà dei genitori e rapporti con i figli, in Il diritto di famiglia, Trattato diretto da Bonilini- Cattaneo, III, Filiazione e adozione, 2° ed., Torino, 2007, 301.
[5] Cass. ord. 14 agosto 2020 n. 17183, in Ilfamiliarista.it., 10 novembre 2020; in Fam. dir., 2020, 1015, con nota di Danovi, Obbligo di mantenimento del maggiorenne, autoresponsabilità e vicinanza della prova: si inverte l’onus probandi?
Il principio di un perdurante obbligo dei genitori di mantenere i figli anche oltre la maggiore età – ritenuto derivante dall’ art. 30 Cost. – viene espressamente sancito dall’ art. 337 septies comma 1 c.c., ai sensi del quale il giudice[1], valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico[2]. La disposizione richiamata, seppure riferita all’ ipotesi di crisi familiare, rappresenta anche un parametro di riferimento al fine di determinare la durata dell’ obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni[3]; essa infatti individua, senza ulteriori precisazioni, il momento di cessazione dell’ obbligo dei genitori di provvedere al mantenimento dei figli nel raggiungimento della c.d. “indipendenza economica” del figlio stesso, recependo, in tal modo, quanto già affermato in precedenza dalla dottrina e dalla giurisprudenza[4]. Secondo l’ orientamento consolidato, infatti, l’ obbligo dei genitori di concorrere al mantenimento dei figli[5] non cessa ipso facto con il raggiungimento della maggiore età , ma perdura, immutato, finché il genitore interessato alla declaratoria della cessazione dell’ obbligo stesso[6] non dia la prova che il figlio abbia raggiunto l’ indipendenza economica[7], ovvero, che il mancato svolgimento di una attività[8] dipenda da un atteggiamento di inerzia o di rifiuto ingiustificato da parte dello stesso[9].
L’indirizzo interpretativo soprarichiamato è stato criticato, in primo luogo, per le incoerenze che lo caratterizzano[10] nonché anche per le incertezze che porta con sé, soprattutto con riferimento alla nozione di “indipendenza economica” e con riguardo all’ accertamento della “colpa” del maggiorenne per il mancato raggiungimento di una propria autonomia. In particolare, in relazione al primo profilo segnalato, si è osservato come, dall’ analisi della giurisprudenza che si è occupata della questione, non emerga chiaramente quale sia la tipologia di lavoro che il figlio dovrebbe svolgere per poter essere considerato “economicamente indipendente”; se, infatti, alcune pronunce affermano che anche il lavoro “precario” e “saltuario”[11] (addirittura in alcuni casi si fa riferimento alla mera prospettiva di conseguire l’ autosufficienza economica)[12] determina l’ estinzione del diritto al mantenimento[13], in altre occasioni ancora si stabilisce, invece, che esclusivamente il lavoro idoneo a garantire una certa stabilità economica può comportare l’ estinzione del predetto diritto[14]. Così, sempre a conferma delle incertezze che emergono dall’ analisi delle pronunce giurisprudenziali, è dato rilevare come alcune decisioni affermino che l’ avvenuto inserimento nel mondo del lavoro da parte del figlio maggiorenne d’ età – anche qualora l’ attività esercitata non corrisponda alle aspirazioni di quest’ ultimo – comporti di per sé la cessazione di qualsiasi pretesa in merito ad un eventuale contributo al suo mantenimento da parte dei genitori; mentre un altro e diverso indirizzo giurisprudenziale ritiene, viceversa, che il dovere di mantenimento non cessi per la sussistenza di una qualsivoglia occupazione, atteso che detto obbligo viene meno solamente qualora il figlio si trovi a percepire un reddito corrispondente alla professionalità acquisita in relazione alle normali e concrete condizioni di mercato[15].
Oltre che per le incertezze di cui si è detto, l’ orientamento in esame[16] è stato criticato altresì per il fatto che la dimostrazione del conseguimento dell’ autonomia economica del figlio rappresenta per il genitore una prova diabolica,[17] data la difficoltà per quest’ ultimo di reperire gli elementi necessari per soddisfare il predetto onere[18]. Non sempre, infatti, l’ obbligato riuscirà a dimostrare i fatti che riguardano strettamente le condizioni di vita del figlio stesso (per esempio, il lavoro in nero, oppure, il rifiuto, senza giustificato motivo, di occasioni di lavoro), atteso che spesso non è nelle effettive condizioni di poter conoscere la situazione del maggiorenne che, specialmente in caso di rottura del legame matrimoniale, non coabita più proprio con il genitore su cui graverebbe l’ obbligo di cui si tratta[19]. In tale prospettiva, porre a carico del genitore l’ onere di dimostrare il conseguimento dell’ autonomia economica del figlio rende, quindi, in concreto, estremamente difficile per l’ obbligato medesimo essere esentato dal dovere di mantenimento del maggiorenne[20]; in tal modo procedendo, si rischia di attribuirgli ingiustificatamente il diritto di continuare a percepire l’ assegno di mantenimento per un tempo non definito e pertanto una posizione di favore particolarmente protettiva che incide – spesso in misura eccessiva – sulla famiglia di origine[21].
[1] Il legislatore è intervenuto espressamente a disciplinare il mantenimento del figlio maggiorenne con la L. n. 54/2006 e successivamente con il D. Lgs. 28 dicembre marzo 2013, n. 154 (quest’ ultima norma ha collocato diversamente le disposizioni previgenti, disciplinando la materia che qui interessa all’ art. 337 septies comma 1 c.c.). Nonostante il precedente silenzio del legislatore, già prima dell’ introduzione della soprarichiamata normativa la giurisprudenza era unanime nell’ escludere qualsivoglia automatismo nella cessazione dell’ obbligo di provvedere al mantenimento dei figli maggiorenni, affermando quindi la necessità di riconoscere la permanenza dell’ obbligo fino al conseguimento dell’ indipendenza economica, ovvero, qualora il mancato conseguimento dell’autosufficienza fosse esclusivamente imputabile all’ inerzia del figlio stesso (ex multis, Cass. 18 gennaio 2005, n. 951, in Diritto & Giustizia , 2005, 6, 29).
[2] L’ art. 337 septies, comma 1 c.c., riproduce pressoché integralmente, il previgente art. 155 quinquies c.c. abrogato per effetto dalla L. n. 219/2012 e del suo decreto attuativo (D. Lgd. 28 dicembre 2013, n. 154, “Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell’ articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219”). La differente sedes materiae è dovuta ad esigenze di carattere sistematico conseguenti alla volontà di sottolineare l’ intervenuta parificazione della normativa per tutte le ipotesi di filiazione. Per quanto concerne le ragioni della diversa collocazione della normativa in esame, v. Pianezze, Il mantenimento dei figli, Milano, 2016, 44; sulle novità introdotte dal D.Lgs. n. 154/2013, v. ex multis, Al Mureden, La responsabilità genitoriale tra condizione unica del figlio e pluralità dei modelli familiari, in Fam. e dir., 2014, 5, 466; Balestra, La dichiarazione giudiziale di paternità e maternità alla luce della riforma della filiazione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2014, 4, 1223; Sesta, L’ unicità dello stato di filiazione e i nuovi assetti delle relazioni familiari, in Fam. e dir., 2013, 231.
[3] Giacobbe, Le ipotesi di disciplina comune nella separazione e nel divorzio. Effetti nei confronti dei figli, in Tratt. Dir. Fam., diretto da Zatti, I, Famiglia e matrimonio, a cura di Ferrando-Fortino-Ruscello, II, Milano, 2011, 1719; Chindemi-Leonardi, Mantenimento del coniuge e dei figli nella separazione e nel divorzio, Milano, 2016, 458.
[4] Tra le tante, v. Cass. 18 gennaio 2005, n. 951, cit.; Cass. 18 febbraio 1999, n. 1353, cit.
[5] L’ obbligo di mantenimento rientra nell’ambito di quella pluralità di doveri posti a carico del genitore per il solo fatto della procreazione. Sul punto, Cass. 14 febbraio 2003, n. 2196, in Arch. Civ., 2003, 931; Al Mureden- Sesta, sub. Art. 315 bis, in Codice della famiglia, a cura di Sesta, III ed., Milano, 2015, 1153.
[6] La giurisprudenza ha sempre posto in capo al genitore obbligato l’ onere della prova del raggiungimento da parte del figlio dell’ autosufficienza economica, ovvero, dell’ inerzia del figlio stesso. Sul punto, v. ex multis, Cass. 1 febbraio 2016, n. 1858, in Fam. e dir., 2017, n. 134, con nota di M. S. Esposito, Il diritto al mantenimento del figlio maggiorenne tra aspirazioni personali e colpevole inerzia; Cass. 22 giugno 2016, n. 12952, in Fam. e dir., 2017, 236, con nota di Parini, I mobili “confini” del diritto al mantenimento dei figli maggiorenni non economicamente indipendenti; Cass. 19 settembre 2017, n. 21615, in De Jure; Cass, 5 marzo 2018, n, 5088, in Giust. civ. mass., 2018.
[7] V. ex multis, Cass. 17 febbraio 2021, n. 4219, in Diritto e giustizia 2021, 8 febbraio; Cass. 14 dicembre 2018, n. 32529, in Guida al dir., 2019, 9, 59; Cass. 14 marzo 2017, n. 6509, in Giust. civ. mass., 2017; Cass. 9 maggio 2013, n. 11020, in Fam. e dir., 2014, 240; Cass. 6 novembre 2006, n. 23673, in Guida al dir., 2006, 45, 30. In argomento, v. anche Iorio, Il fondamento dell’ estinzione dell’ obbligo di contribuzione dei genitori nei confronti dei figli maggiorenni, in Fam. e dir., 2012, 1067.
[8]Cass. 22 giugno 2016, n. 2016, n. 12952, in Foro it., 2016, I, 2741; Cass. 26 settembre 2011 n. 19589, in Foro it., 2012, 5, I, 1553. V. Cass. 3 febbraio 2014, n. 2236, in Diritto e Giustizia, 2014; Cass. 27 gennaio 2014, n. 1585, ivi, 2014. In dottrina, v. Finocchiaro, Chi è legittimato a chiedere l’ assegno di mantenimento per il figlio divenuto maggiorenne, in Giust. Civ., 1982, I, 1335; Bonilini, Nozione di diritto di famiglia, Torino, 2002, 173.
[9] Cass. 14 agosto 2020, n. 17183, cit.; Trib. Modena, 30 aprile 2020, n. 488, in Redazione Giuffè, 2020; Cass. 26 gennaio 2011, n. 1830, in Fam. e dir., 2011, 11, 999.
[10] A conferma delle incongruenze che la problematica concernente il mantenimento del figlio maggiorenne porta con sè e di come la giurisprudenza, pur intendendo autoresponsabilizzare il maggiorenne, accolga soluzioni che in realtà scoraggiano il figlio ad adoperarsi al fine di rendersi autonomo, si pensi a come la misura del mantenimento del figlio maggiorenne economicamente dipendente debba essere adeguata alla ricchezza familiare, in modo tale da assicurare al figlio il tenore di vita della famiglia (Cass. 10 ottobre 2018, n. 25134, in Dir. fam.e pers., 2019, 130; Cass. 20 gennaio 2012, n. 785; contra, Cass. 3 aprile 2002, n. 4765, cit.); mentre, invece, l’ autosufficienza economica, quale causa di cessazione del diritto al mantenimento del figlio maggiorenne, non deve essere parametrata al tenore di vita goduto dalla famiglia di provenienza (Cass. 3 settembre 2013, n. 20137, in Diritto & Giustizia, 2013, 4 settembre; Cass. 23 gennai 1996, n. 496, in Fam. e dir., 1996, 364, secondo cui il figlio acquisisce una propria autosufficienza economica quando percepisce un redditto corrispondente alla propria professionalità “senza che rivesta a tal fine alcuna rilevanza il tenore di vita del quale il figlio stesso aveva goduto in costanza di matrimonio o durante la separazione dei genitori”). In tal modo ragionando, si finisce, di fatto, per dissuade il giovane che proviene da una famiglia agiata, da intraprendere una prima attività lavorativa con una remunerazione non elevata che, pur magari permettendogli di condurre una vita dignitosa, non gli garantirebbe uno stile di vita elevato ed analogo a quello dei genitori.
[11] App. Catania 3 novembre 2016, in Il familiarista.it., 10 febbraio 2017; Cass. 26 maggio 2013, n. 1779, in Diritto & Giustizia 2013, 25 gennaio; Cass. 27 maggio 2014, n. 1585, in Diritto & Giustizia, 2014, 27 gennaio; Cass. 26 maggio 2017, n. 13354, in Diritto & Giustizia, 2017, 29 maggio; Cass. 17 novembre 2006, n. 24498, in Mass. Giust. Civ., 2006, 11.
[12] Cass. 12 aprile 2016, n. 7166, in Diritto & Giustizia, 2016, 13 aprile; Cass. 3 novembre 2006, n. 23596, in Fam. e dir., 2007, 1007, concernente un caso in cui un figlio maggiorenne aveva conseguito una laurea in Italia, un titolo di studio straniero e l’ abilitazione all’ esercizio della professione di avvocato nella città di New York.
[13] Sul punto occorre osservare come, dato il particolare contesto sociale attuale, ove appunto il rapporto di lavoro a tempo indeterminato non rappresenta più la quotidianità ai fini della cessazione del diritto al mantenimento è sufficiente che il figlio abbia raggiunto una propria indipendenza economica anche solo con un contratto a tempo determinato (Cass 7 luglio 2004, n. 12477, in Guida al dir., 2004, 32, 70).
[14] Cass. 19 maggio 2010, n. 12309, in www.questionididirittodifamiglia.it; Cass. 14 aprile 2010, n. 8954, cit., ove si evidenzia come non sia sufficiente il mero godimento di un reddito quale che sia ma è necessario provare la sua adeguatezza ad assicurare al figlio, anche con riferimento alla durata del futuro rapporto, la completa autosufficienza economica. Contra Cass. 11 gennaio 2007, n. 407, in Foro it., 2007, 3, I, 770 ove si afferma che anche l’ apprendistato può giustificare il venire meno dell’ obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni gravante sui genitori (contra, Cass. 26 maggio 2017, n. 13354, in Redazione Giuffrè, 2017); Cass. 15 febbraio 2012, n. 2171, in CED, 2012, ove si afferma che la borsa di dottorato non estingue l’ obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne (Cass. 10 maggio 2017, n. 11467, in Diritto & Giustizia, 2017, 11 maggio); Cass. 6 aprile 2009, n. 8227, in Pluris, la quale sottolinea come il concetto di indipendenza postuli una concreta prospettiva di continuità e che quindi un lavoro precario non possa di per sé essere considerato sufficiente per esonerare il genitore dall’ obbligo di provvedere al mantenimento del figlio maggiorenne. Contra, Cass. 22 maggio 2014, n. 11414, in De Jure, ove si afferma che il compenso corrisposto al laureato in medicina e specializzando, percepito in dipendenza di un contratto di formazione specialistica pluriennale, consiste in un emolumento equiparabile pienamente a un reddito corrispondente alla professionalità acquisita, da valutarsi in relazione alle normali e concrete condizioni di mercato ed è pertanto un trattamento economico idoneo a consentire l’ autosufficienza economica.
[15] In altre parole, secondo il predetto orientamento, ai fini della cessazione della persistenza dell’obbligo di mantenimento, ciò che rileva non è il raggiungimento dell’ autonomia economica ma – sulla base dei principi espressi dall’ art. 36 Cost. – l’ adeguatezza della professione alle inclinazioni, aspirazioni, caratteristiche soggettive e alla formazione ricevuta. Sempre in linea con il predetto orientamento teso a valorizzare l’ adeguatezza professionale, si pone anche la decisione della Cass. 26 gennaio 2011, n. 1830, in Fam. e dir., 2011, 1008, con nota di Magli, Il matrimonio del figlio maggiorenne quale causa di estinzione del diritto al mantenimento: presupposti e limiti, ove si è riconosciuto la persistenza del diritto della giovane figlia al mantenimento, atteso che quest’ ultima, pur essendosi sposata, non aveva costituito con il marito un nuovo nucleo familiare economicamente autonomo, né versava in colpa per non avere ancora terminato il percorso di studi.
[16] Secondo cui, appunto, l’ obbligo dei genitori di provvedere al mantenimento dei figli si protrae finché questi ultimi non raggiungano una propria indipendenza economica o non versino in colpa per non essersi resi indipendenti.
[17] Trib. Cosenza, 13 gennaio 2020, n. 77, in Guida al dir., 2020, 39, 85; Cass. 18 gennaio 2005, n. 951, in Fam. e dir., 2005, 137, con nota di Liuzzi, Mantenimento dei figli maggiorenni, onere probatorio e limiti temporali; Cass. 26 settembre 2011, n. 19589, in Foro it., 2012, I, 1553; Cass. 22 luglio 2019, n. 19696, in Diritto & Giustizia, 2019, 23 luglio.
[18] Di Stefano, L’ obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne tra esigenze di tutela e pericolo di “parassitismo” sine die, in Fam. pers. e succ., 2009, 68.
[19] Roma, La nozione di convivenza/coabitazione ai fini della legittimazione del genitore già affidatario a chiedere l’ assegno di mantenimento per il figlio maggiorenne, cit., 456.
[20] La giurisprudenza è costante nel ritenere che spetti al genitore obbligato l’ onere di provare la cessazione del diritto del figlio a continuare ad essere mantenuto dai genitori (sul punto, v. inter alia, Cass. 29 ottobre 2013, n. 24424, in Fam. e dir., 2014, 1, 79; Cass. 8 settembre 2015, n. 17808, in Diritto & Giustizia, 2015, 9 settembre. Per quanto concerne le difficoltà dell’ onere della prova posto a carico dei genitori, v. D’ Auria, Ancora sulla durata dell’ obbligo di mantenimento dei figli ai sensi dell’ art. 147 c.c. La “colpa” del figlio maggiorenne e l’assenza delle aule giudiziarie dell’ art. 315 c.c. Riflessi in materia di onere della prova, in Giur. It., 2003, 45; Stagna, Obbligo di mantenimento da parte dei genitori nei confronti dei figli maggiorenni che rifiutano lavori non adeguati, in Il nuovo diritto, 2002, 414; Basini, I diritti-doveri dei genitori e dei figli, in Tratt. Dir. Fam., diretto da Bonilini, III, Torino, 2016, 4054; Rossi Carleo – Caricato, La separazione e il divorzio, cit., 393.
[21] Sempre a conferma delle incoerenze presenti nel nostro stesso sistema giuridico occorre osservare come, se da un lato, si intende responsabilizzare sempre più il giovane nei confronti delle proprie scelte, dall’ altro lato, la giurisprudenza accoglie soluzioni interpretative che finiscono, di fatto, per disincentivare il giovane ad emanciparsi dalla famiglia di origine. Per esempio, la stessa giurisprudenza afferma che, una volta legittimamente cessato l’ obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne per avere lo stesso espletato attività lavorativa, ovvero per altre cause che hanno determinato il venir meno del relativo presupposto, esso non possa risorgere se non nella forma del più ristretto dovere degli alimenti, fondato su condizioni sostanziali e procedurali differenti (da ultimo, v. Trib. Salerno 3 settembre 2020, n. 210, in Redazione Giuffrè, 2020; Cass. 16 maggio 2017, n. 12063, in Diritto & Giustizia, 2017, 17 maggio). In altri termini, nelle ipotesi in cui il figlio si sia attivato al fine di raggiungere la propria autonomia, appare difficile “un suo rientro in famiglia nella posizione di incapace di autonomia” e “un ripristino in suo favore di quella situazione di particolare tutela che il legislatore ha inteso predisporre a favore dei soli figli i quali ancora detta autonomia non abbiano conseguito per difetto di requisiti personali o di condizioni ambientali” (Cass. 7 luglio 2004, n. 12477, cit.; Cass. 27 gennaio 2014, n. 1585, cit.). Su questo specifico punto la giurisprudenza pare non univoca atteso che se, da un lato, la stessa Suprema Corte ha più volte ribadito la necessità di incentivare i figli maggiorenni a rendersi economicamente autonomi dai loro genitori, dall’ altro lato, tuttavia, in tal modo ragionando, la medesima giurisprudenza potrebbe indurli, di fatto, ad astenersi dall’ intraprendere un’ attività lavorativa remunerativa (Magli, Sulla persistenza del diritto al mantenimento del figlio maggiorenne, in Fam. e dir., 2014, 2426. Sul punto, Cass. 26 settembre 2011, n. 19589, in Foro it., 2012, 5, 1, 1553; Cass. 22 novembre 2010, n. 23590). Iacono, Quando la S.C. penalizza la volontà di lavorare dei figli, punisce la loro sfortuna e legittima inammissibili disparità tra i fratelli, in Dir. Fam., 2007, 2, 592.
La Suprema Corte[1] – con una decisione che appare particolarmente approfondita rispetto alla sue veste formale di ordinanza[2]– si è posta di recente in una posizione di manifesta discontinuità rispetto al precedente citato orientamento, accogliendo una soluzione che, seppure in linea con il generale atteggiamento seguito anche in altri contesti giuridici[3], finisce per responsabilizzare eccessivamente il maggiorenne. In particolare, in tale occasione, con una c.d. “pronuncia trattato”[4], richiamando gli artt. 1, 4 e 30 della Cost., i giudici di legittimità hanno affermato nuovi principi in materia di mantenimento del maggiorenne[5], sia con riguardo alla durata del predetto obbligo – si asserisce, infatti, che il diritto del figlio ad essere mantenuto dai genitori cessa con l’ acquisizione della capacità di agire – [6] sia con riferimento all’ onere della prova che, secondo l’orientamento richiamato, raggiunta la maggiore età, spetterebbe non già al genitore obbligato, ma proprio al figlio medesimo; su quest’ultimo, infatti, graverebbe l’onere di dimostrare che il diritto al mantenimento permane per l’ esistenza di un percorso di studi o, più in generale, formativo in fieri, oppure ancora, per la necessità di usufruire di un lasso di tempo ulteriore per la ricerca di un lavoro che assicuri l’autosufficienza.
Concentrando in particolare l’ attenzione sul primo profilo segnalato, occorre osservare come il predetto indirizzo, anche se si conforma alla condivisibile tendenza ad arginare sempre più le pretese opportunistiche del coniuge non obbligato,[7] non convinca nella specifica parte in cui sancisce che l’ obbligo di contribuzione dei genitori nei confronti del figlio si estingue automaticamente con il raggiungimento della maggiore età. La suddetta soluzione, che intende invertire la regola giurisprudenziale circa la presunzione di persistenza dell’ obbligo di mantenimento in favore del figlio maggiorenne, non persuade nella misura in cui stabilisce a priori una età anagrafica valevole per tutti i figli e non connota il relativo giudizio a criteri di relatività. Se il diritto al mantenimento rappresenta una componente essenziale del diritto alla formazione dell’ individuo, la continuazione del diritto del figlio ad essere mantenuto non può essere rigidamente vincolata ad una età prestabilita, e quindi ad un limite, oggettivo e valevole in assoluto con riguardo ad ogni fattispecie[8], posto che detto diritto si giustifica all’ interno e nei limiti del perseguimento di uno specifico progetto educativo e di un determinato percorso formativo[9].
D’altra parte, a conferma della non condivisibilità della soluzione accolta dall’ ordinanza in questione, occorre considerare non solo il costante pregresso orientamento della Suprema Corte[10], ma anche lo stesso dato normativo; il legislatore medesimo (v. art. 337 septies, comma 1 c.c..), infatti, consapevole della eterogeneità delle situazioni concrete e della mutevolezza delle consuetudini sociali[11], ha preferito non ancorare l’ obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne a parametri temporali predeterminati e, conseguentemente, non ha individuato una precisa scadenza del predetto obbligo, permettendo allo stesso di adattarsi al singolo caso in esame[12].
Senza contare che l’orientamento secondo cui il diritto del figlio maggiorenne ad essere mantenuto dai genitori non si estingue automaticamente con il raggiungimento della maggiore età si conforma altresì alla tendenza a favorire il proseguimento del percorso formativo scelto dal figlio ed al suo inserimento in un contesto lavorativo adeguato alle proprie attitudini ed aspirazioni[13] e si pone pertanto in linea di continuità con il profondo mutamento che ha investito i rapporti familiari nel corso del tempo[14].
[1] Cass. ord., 14 agosto, 2020, n. 17183, cit. Il caso di specie riguardava un figlio ultratrentenne che aveva da tempo concluso gli studi trovando occupazione precaria come insegnante supplente e conseguendo redditi modesti ma significativi. Conforme anche Cass. 29 dicembre 2020, n. 29779, in Diritto & giustizia, 2021, 4 gennaio.
[2] Danovi, Obbligo di mantenimento del maggiorenne, autoresponsabilità e vicinanza della prova: si inverte l’onus probandi?, cit., 1015.
[3] Quadrucci, Il diritto al mantenimento del figlio maggiorenne. Note di diritto comparato, in Familia, 2003, 199. Nell’ ordinamento statunitense, per esempio, il diritto del figlio al mantenimento si estingue tendenzialmente con il raggiungimento della maggiore età. Solo in alcuni stati “court-ordered child support can include postmajority support for educational costs”. Tuttavia, le corti tendono ad escludere la persistenza del diritto se il figlio non è meritevole ed a ridurre il quantum nelle ipotesi in cui il giovane sia in grado di lavorare per mantenersi durante gli studi svolgendo dei lavori nel periodo delle vacanze estive o nel tempo non dedicato agli studi). Sul punto, v. anche Laura W. Morgan, “Child Support Fifty Years Later “Family Law Quarterly, vol. 41, 365-380 (2008); Douglas W. Allen & Margaret F. Brinig, “Child Support Guidelines: The Good, the Bad and the Ugly”, Family Law Quarterly, vol. 45, pp. 135-156 (2011); Sott Altman, “A Theory of Chld Support”, International Journal of Law, Policy, and the Family, vol. 17, pp. 173-210 (2003); Brian Bix, The Oxford International to U.S. Law: Family law, Oxford University Press, 2013, 215.
[4] Un esempio simile in materia di diritto di famiglia è costituito dalla recente sentenza Cass. S.U. 11 luglio 2018, n. 18287, in Resp. civ. e prev., 2018, 1856, concernente la ratio ed i presupposti dell’ assegno di divorzio. La decisione è stata commentata, tra i tanti, da Patti, Assegno di divorzio: il “passo indietro” delle Sezioni Unite, in Corr. giur., 2018, 1197; Sesta, Attribuzione e determinazione dell’ assegno divorzile; la rilevanza delle scelte di indirizzo della vita familiare, in Fam. e dir., 2018, 983; Balestra, L’assegno divorzile nella nuova prospettiva delle Sezioni Unite, in Familia, 2019, 15 ss.; Id., L’assegno divorzile sotto la lente delle Sezioni Unite, in Giustiziacivile.com., 23 luglio 2018; Al Mureden, L’ assegno divorzile e l’ assegno di mantenimento dopo la decisione delle Sezioni Unite, in Fam. e dir., 2018, 1019; Dogliotti, L’ assegno di divorzio tra innovazione e restaurazione, in Fam. e dir., 2018, 964; Casaburi, L’ assegno divorzile secondo le sezioni unite della Cassazione: una problematica “terza via”, in Foro it., 2018, I, 2699.
[5] Nonostante l’ ordinanza sia innovativa, vi sono già decisioni che si discostano dal nuovo orientamento ribadendo il principio per cui l’ obbligo di mantenimento non cessa con il raggiungimento della maggiore età da parte del figlio (Cass. 9 ottobre 2020, n. 21752, Pluris). Ecco dunque che, così come accaduto con riferimento all’ assegno divorzile, anche in questa materia sarebbe auspicabile un intervento nomofilattico (v. art. 65 ordinamento giudiziario) della Suprema Corte (sulla necessità di assicurare anche con riguardo alla tematica in oggetto una uniforme applicazione del diritto, v. Lupo, L’ estinzione dell’ obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne e la funzione nomofilattica della Corte di Cassazione, in Fam. pers. e succ., 2005, 450; Toti, Oltre una certa età un figlio è ormai un adulto (recenti orientamenti sul mantenimento del figlio maggiorenne, in Nuove leggi civ. e comm., 2, 2019, 37).
[6] Secondo la Cassazione, in particolare, la capacità lavorativa, intesa come adeguatezza a svolgere un lavoro remunerato si acquista con la maggiore età, ossia quando la legge stessa presuppone raggiunta l’ autonomia ed attribuisce piena capacità lavorativa, da spendere sul mercato del lavoro, tanto che si gode della capacità di agire (e di voto).
[7] A conferma della tendenza ad arginare le richieste dell’altro coniuge, si consideri, in primo luogo, il favor legislativo verso il c.d. mantenimento diretto del maggiorenne, specie quando il figlio conduca già una vita proiettata fuori dalle mura domestiche. In tal modo operando, si vuole responsabilizzare il figlio stesso e favorire il contatto tra quest’ultimo ed il genitore obbligato, evitando la mediazione dall’ altro genitore. Sul punto, v. anche Sesta-Arceri, La responsabilità genitoriale e l’affidamento dei figli, 2016, 325. Nell’ ottica di limitare le pretese del coniuge non obbligato, si pone altresì quell’ orientamento che, in materia di assegnazione della casa familiare, ha precisato come la nozione di convivenza rilevante agli effetti dell’ assegnazione della casa familiare comporti la stabile dimora del figlio presso l’ abitazione di uno dei genitori (Cass. 17 luglio 2019, n. 16134, in Dir. fam. e pers., 2019, 1166). Nell'ampio panorama giurisprudenziale in materia di casa familiare, per quanto concerne il mantenimento del legame con la casa familiare da parte dei figli, soprattutto in caso di allontanamento per ragioni di studio o lavorative. Da ultimo, Cass. 27 ottobre 2020, n. 23473, in Guida al dir., 2020, 45, 95; Trib. Brindisi, 16 aprile 2020, in Redazione Giuffrè, 2020. Contra, Cass. 27 maggio 2005, n. 11320, in Giust. civ. Mass., 2005, 5, secondo cui, al fine di ritenere integrato il requisito della coabitazione, basta che il figlio maggiorenne mantenga un collegamento stabile con l’abitazione del genitore, facendovi ritorno ogniqualvolta gli impegni glielo consentano.
[8] Posto che, la funzione educativa del mantenimento è nozione idonea a circoscrivere la portata dell’ obbligo di mantenimento, non solo in termini di contenuto, ma anche e soprattutto di durata, ai fini di determinare la persistenza o meno del diritto del figlio ad essere mantenuto dai genitori, occorre avere riguardo non già ad un termine preciso ed assoluto, ma al tempo occorrente e mediamente necessario – secondo le statistiche ufficiali – affinché l’ individuo finalizzi il percorso educativo scelto e si inserisca nel contesto sociale di riferimento (Cass. 5 marzo 2018, n. 5088, in Giust. civ. mass., 2018).
[9] Trib. Milano 15 febbraio 2018, in Ilfamiliartista, it., 11 giugno 2018. Sulla stretta e necessaria correlazione tra diritto-dovere all’ istruzione ed all’ educazione e diritto al mantenimento, v. Dogliotti, Doveri familiari e obbligazione alimentare, in Trattato di diritto civile e commerciale Cicu- Messineo, Milano, 1994, 50; Danovi, Obbligo di mantenimento del maggiorenne, autoresponsabilità e vicinanza della prova: di inverte l’ onus probandi?, in Fam. e dir., 2020, 11, 1015.
[10]Nella stessa prospettiva, anche la medesima Suprema Corte ha, peraltro, costantemente affermato come il dovere dei genitori al mantenimento dei figli maggiorenni vada effettuata dal giudice di merito, caso per caso, e che il relativo accertamento non possa che ispirarsi a criteri di relatività in quanto necessariamente ancorato alle occupazioni ed al percorso scolastico, universitario e post-universitario del soggetto ed alla situazione attuale del mercato del lavoro, con specifico riguardo al settore nel quale il medesimo abbia indirizzato la propria formazione e la propria specializzazione, investendo impegno personale ed economie familiari (Cass. 20 dicembre 2017, n. 30540, in Il familiarista.it., 9 marzo 2018; Cass. 26 gennaio 2011, n. 1830, in Dir. famiglia, 2011, 2, 760; Cass. 22 giugno 2016, n. 12952, in Foro it., 2016, 9, I, 2741; Cass. 12 marzo 2018, n. 5883, in Guida al dir., 2018, 15, 87; Cass. 2018, n. 5088, in Giustizia Civile Massimario 2018; Cass. 11 luglio 2006, n. 15766, in Mass. Giust. Civ., 2006, 7-8.); Trib. Salerno 3 settembre 2020, n. 2106, in De Jure ove si è affermata la persistenza del diritto al mantenimento della figlia di ventisei anni che, dopo la laurea triennale, stava ultimando gli studi conseguendo un master. In argomento, v. anche Morozzo della Rocca, Il mantenimento del figlio: recenti itinerari di dottrina e giurisprudenza, in Fam. e dir., 2013, 4, 385; Trib. Ancora, 1 febbraio 2019, n. 206, in Redazione Giuffrè, 2019).
[11]Chindemi-Leonardi, Mantenimento del coniuge e dei figli nella separazione e nel divorzio, cit., 459. In argomento, v. anche Sesta, Manuale di diritto di famiglia, cit., 56; Lenti, Diritto di famiglia e servizi sociali, cit., 260.
[12] Nell’ ipotesi in cui i genitori non abbiano mezzi sufficienti al fine di provvedere al mantenimento dei figli, grava sugli ascendenti l’ obbligo di fornire ai genitori i mezzi necessari per adempiere (art. 316 bis, comma 1 c.c.); trattasi di un intervento solo sussidiario rispetto a quello dei genitori, atteso che viene in considerazione solamente qualora i genitori medesimi non abbiano le possibilità economiche e non anche quando si rifiutino ad adempiere. Gli ascendenti, pur essendo obbligati, non assumono alcuna responsabilità genitoriale (sul punto, v., Sesta- Arceri, Il rapporto genitori-figli nella famiglia unita e nella crisi, in Sesta-Arceri, La responsabilità genitoriale e l’ affidamento dei figli, in Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da Cicu-Messineo-Mengoni, continuato da Schlesinger, La crisi della famiglia, III, Milano, 2016, 101; Lenti, Diritto di famiglia e servizi sociali, ed. agg., Torino, 2016, 259).
[13] D’ altra parte l’ esigenza di rispettare aspirazioni e la personalità dei figli, oltre che essere confermato da alcune decisioni giurisprudenziali, trova riscontro anche nella legge del 10 dicembre 2012 n. 219 (Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali) la quale ha inserito nel codice civile il nuovo art. 315 bis c.c. (rubricato “Diritti e doveri dei figli”); tale disposizione, pur non prendendo esplicita posizione sulla specifica questione concernente la persistenza dell’ obbligo dei genitori di provvedere al mantenimento dei figli, tuttavia sancisce espressamente che il figlio ha diritto oltre a crescere in famiglia ed a mantenere rapporti significativi con i parenti, di essere mantenuto ed educato istruito ed assistito dai genitori, nel “rispetto” delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni; in tal modo procedendo, lo stesso legislatore sembra confermare il favor sussistente all’ interno del nostro ordinamento nei confronti della prole e al suo adeguato inserimento nella compagine sociale. Al riguardo, si è evidenziato, infatti, come il termine “rispettare” – se confrontato con la precedente indicazione a “tenere conto” (a cui si riferisce l’ art. 147 c.c.) assuma un significato maggiormente concentrato sulla personalità del figlio (Sesta, L’unicità dello stato di filiazione e i nuovi assetti delle relazioni familiari, cit., 236).
[14] Si è osservato, infatti, come da una concezione istituzionale della famiglia (basata su una visione dei rapporti familiari di spiccata impronta gerarchica) si è passati al prevalente riconoscimento delle prerogative dei singoli membri ed in primo luogo dei figli e, proprio in tale prospettiva, dunque, anche il diritto al mantenimento del figlio – strumentale a quello di educazione ed istruzione (in quanto offre i mezzi economici per il loro assolvimento) – è finalizzato a sviluppare la personalità del medesimo, in conformità con i principi costituzionali che trovano applicazione anche all’ interno della stessa comunità familiare la quale rappresenta una di quelle formazioni sociali tutelata proprio dall’ art. 2 Cost. (Sesta, Famiglia e figli in Europa: i nuovi paradigmi, cit., Bianca, Diritto civile, cit., 334; Iorio, Il fondamento dell’ estinzione dell’ obbligo di contribuzione dei genitori nei confronti dei figli maggiorenni, cit., 1071; Lenti, Note critiche in tema di interesse del minore, in Riv. dir. civ., 2016, 87 ss. Bonamini, Sul diritto al mantenimento dei figli maggiori d’ età, cit., 109, il quale sottolinea come il diritto al mantenimento sia strumentale al migliore sviluppo della personalità del figlio, garantendo in tal modo l’ effettiva applicazione dell’ art. 2 Cost.).
Se la soluzione accolta dalla Cassazione con l’ordinanza richiamata non convince pienamente perché pone un limite predefinito all’ obbligo di mantenimento del figlio, ciononostante è apprezzabile nella misura in cui, valorizzando il principio di vicinanza della prova[1], dispone l’ inversione dell’ onus probandi che, una volta raggiunta la maggiore età, grava non più sul genitore obbligato, bensì sul figlio medesimo[2]. Si afferma[3], in particolare, che il figlio divenuto maggiorenne ha diritto al mantenimento a carico dei genitori soltanto se, ultimato il prescelto percorso formativo scolastico, dimostri, con conseguente onere della prova a suo carico, non solo la mancanza di indipendenza economica – che è precondizione del diritto preteso – ma di avere curato, con ogni possibile impegno, la propria preparazione professionale o tecnica e di avere, con pari impegno, operato nella ricerca di un lavoro[4].
Tuttavia, a parere di chi scrive, al fine di contemperare i diversi valori in gioco[5], detta inversione della prova dovrebbe operare non già di default al compimento del diciottesimo anno[6], ma solamente qualora, nello specifico caso concreto, si possa supporre portata a compimento la funzione educativa propria del diritto al mantenimento il quale costituisce[7], appunto, uno strumento diretto a guidare il figlio lungo il percorso che lo dovrebbe condurre al raggiungimento di una propria autonomia. Ne consegue che, nelle predette circostanze, – fermo restando l’ onere[8] a carico del genitore interessato[9] a far dichiarare l’ estinzione dell’ obbligo, della relativa iniziativa processuale nonché di allegazione e di prova di avere posto il figlio nella condizioni di raggiungere l’ autosufficienza economica – una volta, per esempio, terminato il percorso di studi[10] intrapreso (si pensi, alla laurea)[11] occorrerebbe addossare sul figlio maggiorenne medesimo che voglia continuare la propria formazione (si ipotizzi la necessità di un ulteriore periodo di studi[12]) il rischio della mancata dimostrazione delle ragioni che legittimano la sua pretesa. Sempre nella medesima prospettiva, trascorso il periodo di tempo generalmente necessario per il completamento del percorso intrapreso[13], dovrebbe essere onere del figlio stesso dimostrare la mancanza di colpa nonchè le ragioni del ritardo (per esempio, la sussistenza di un impedimento oggettivo come una malattia) nel completamento degli studi.
Tale soluzione pare peraltro conforme al principio di ragionevolezza[14], dato che le circostanze ostative rientrano nella sfera di azione del figlio maggiorenne il quale si trova nella condizione migliore e più vicina alla prova medesima[15]. In tale prospettiva, l’ accoglimento della predetta linea interpretativa si conforma con il principio del c.d. giusto processo e con il diritto all’ equilibrio delle facoltà difensive[16] quale proiezione processuale del principio costituzionale di uguaglianza sostanziale[17] che impongono di interpretare la legge in maniera tale da non rendere impossibile o eccessivamente difficile l’ esercizio di tale diritto. Inoltre, detta soluzione si allinea con l’esigenza di consapevolizzare maggiormente i giovani;[18] terminato, infatti, il percorso di studi (o trascorso il tempo mediamente necessario per completare la formazione del giovane ed inserirsi nel contesto lavorativo ambito) il rischio della mancanza della prova che giustifica il permanere dell’ obbligo di mantenimento non grava più sul genitore, bensì sul figlio, il quale, poi, qualora non riesca a fornire la dimostrazione dell’ incolpevolezza, non solo perde il diritto al mantenimento, ma potrà essere ritenuto inadempiente all’ obbligo di cui all’ art. 315-bis, comma 4 c.c., ai sensi del quale il figlio deve “contribuire, in relazione alle proprie capacità, alle proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia, finché convive con essa”[19].
[1] Sul principio di vicinanza della prova, v. ex multis, Besso, La vicinanza della prova, in Riv. dir. proc., 2015, 1383; Sapone, Inesatto adempimento e riparto dell’ onere della probatorio: tra vicinanza della prova e presunzione di persistenza del diritto, in Giur. Mer., 2007, 971. In giurisprudenza, v. Cass. S. U. 30 ottobre 2001, n. 13533, in Corr. giur., 2001, 1565; con nota di Mariconda, Inadempimento e onere della prova: le sezioni unite compongono un contrasto e ne aprono un altro; in Contr. e impr., 2002, 100, con nota di Carli, Alla ricerca di un criterio generale in tema di ripartizione fra le parti dell’ onere di allegazione e dell’ onere della prova.
[2] Sempre a conferma di come l’ orientamento citato debba essere guardato in senso critico occorre osservare come la Cassazione con la decisione richiamata, ha inteso delimitare in maniera precisa la durata del diritto del figlio ad essere mantenuto; tuttavia, con riferimento ai figli che continuano gli studi, non specificando fino a quando debba essere persistere l’ obbligo dei genitori una volta che il figlio sia divenuto maggiorenne (né fornendo dei criteri sulla base dei quali stabilire un termine ragionevole per decretarne la cessazione dell’ obbligo in questione) non risolve molte incertezze che l’ orientamento consolidato porta con sè (la Cassazione, per esempio, non evita il rischio che la continuazione degli studi venga utilizzata dai figli come pretesto per non emanciparsi dalla famiglia di origine).
[3] In altri termini, secondo l’ indirizzo citato, raggiunta la maggiore età si presume l’ idonetà al reddito che per essere vinta necessita della prova delle fattispecie che integrano il diritto al mantenimento ulteriore.
[4] Cass. 14 agosto 2020, n. 17183, cit.
[5] Sull’ applicazione del principio di autoresponsabilità in ambito familiare, v. Cordiano, Il principio di autoresponsabiità nei rapporti familiari, Torino, 2018. Con specifico riguardo al contesto che qui interessa, detto valore viene sempre più spesso invocato al fine di contenere il dovere genitoriale entro ragionevoli limiti, in conformità con quanto avviene in ordinamenti giuridici diversi da nostro (Maniaci, Onere della prova e strategie difensive, Milano 2020, 112).
Sul principio di solidarietà, v. ex multis, Rodotà, Solidarietà. Un’utopia necessaria, Roma-Bari, 2014; Balestra, Pandemia, attività d’ impresa e solidarietà, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2020, 1153; Busnelli, Il principio di solidarietà e “l’ attesa della povera gente”, oggi, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2013, 413; Grossi, Pluralità delle fonti del diritto e attuazione della Costituzione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2019, 765; Tampieri, La riscoperta del principio di solidarietà, in Jus Civile, 2020, 3, 612; Blais, La solidarité. Histoire d’une idée, Parigi, 2007; Resta, Gratuità e solidarietà: fondamenti emotivi e “irrazionali”, in Riv. crit. dir. priv, 2014, 1, 26; Scarpelli, Blocco dei licenziamenti e solidarietà sociale, in Riv. it. Di dir. del lavoro, 2020, 2, 313; Affinito, La procedura arbitrale per l’ accesso al fondo di solidarietà di cui alla L 208/215 ed esigenze di tutela dell’ investitore, in Riv. trim. di dir. dell’ economia, 2020, 2, 75; Rosanò, Le conseguenze economiche del Coronavirus e la battaglia sul quadro finanziario pluriennale 2021-2027: alla ricerca di un principio di solidarietà europea, in federalismi.it., 2020, 24, 289. S. Patti, Solidarietà e autosufficienza nella crisi del matrimonio, in Familia, 2017, 275. Detto principio connota tanto i rapporti orizzontali tra coniugi (e successivamente la legge del 20 maggio 2016, n. 76 tra le parti dell’ unione civile) quanto i rapporti tra genitori e figli (Bugetti, La solidarietà tra genitori e figli e tra figli e genitori anziani, cit., 313, la quale mette in luce l’ asimmetrica valenza, sotto il profilo giuridico, della solidarietà a cui sono tenuti i genitori nei confronti dei figli e di quella a cui, invece, sono tenuti i figli nei confronti dei genitori.
[6] In particolare, secondo il predetto orientamento il diritto al mantenimento viene meno con la maggiore età ma può esservi una sua “riviviscenza” in presenza di specifiche circostanze: a) una peculiare minorazione o debolezza delle capacità personali, anche non tali da dare corso a misure di protezione degli incapaci; b) la prosecuzione degli studi ultra liceali con diligenza, con dimostrazione di un impegno effettivo e con il raggiungimento di risultati adeguati; c) l’ essere trascorso un lasso di tempo ragionevolmente breve dalla conclusione degli studi, con dimostrazione di esservisi fattivamente adoperati nella ricerca di un lavoro.
[7] Trib. Perugia 1 giugno 2020, Redazione Giuffrè, 2020.
[8] Maniaci, Onere della prova e strategie difensive, Milano, 2020, 102; A.A. Dolmetta e U. Malvagna, Vicinanza della prova e prodotti d’ impresa del comparto finanziario, in BBTC, 2014, I, 659; G.F. Ricci, Questioni controverse in tema di onere della prova, in Riv. Dir. Proc. 2014, 341;, Cass. Ord. 18 aprile 2018, n. 9565, in Rep. Foro it., 2018, voce “Fallimento, n. 63; Cass. 14 gennaio 2016, n. 486, ivi, 2016, voce “Agenzia”, n. 5.
[9] Trib. Bari, 10 gennaio, 2010, in Girusprudenzabarese.it., 2009; Cass. 11 gennaio 2008, n. 577, in Diritto e giustizia, 2007.
[10] Sempre nella stessa ottica, occorrerebbe invertire l’ onere della prova nell’ ipotesi in cui il figlio medesimo abbia compiuto delle scelte di vita importanti (si pensi, per esempio, al matrimonio al quale devono senz’ altro equipararsi la volontà di costituire una unione civile, di instaurare una convivenza, o ancora l’ ipotesi di procreazione) che presuppongono una effettiva emancipazione rispetto alla famiglia di origine (Trib. Salerno 3 settembre 2020, n. 2106, in De Jure, in cui si riconosce la cessazione del diritto del figlio a continuare a percepire il mantenimento da parte del genitore anche alla luce della circostanza per cui lo stesso aveva intrapreso da un anno una stabile convivenza). In argomento, Magli, Il matrimonio del figlio maggiorenne quale causa di estinzione del diritto al mantenimento: presupposti e limiti, cit., 999).
[11] Il Report 2020 sul profilo e sulla condizione occupazionale dei laureati (Rapporto 2020) – Consorzio Interuniversitario AlmaLaurea – in https://www.almalaurea.it/info/convegni/roma2020, ove si afferma che “L’età media alla laurea per il complesso dei laureati del 2019 è pari a 25,8 anni: 24,6 anni per i laureati di primo livello, 27,1 per i magistrali a ciclo unico e 27,3 anni per i laureati magistrali biennali”.
[12] Sempre a titolo esemplificativo, un master o la frequenza di una scuola di specializzazione.
[13] Al fine di individuare con maggiore precisione il periodo temporale trascorso il quale il maggiorenne avrebbe dovuto terminare gli studi occorre riferirsi ai dati statistici che indicano il tempo mediamente necessario per il completamento dei diversi percorsi di studi e l’ inserimento nel mondo del lavoro. In tal senso sembra muoversi la Cass. 7 aprile 2006, n. 8221, in Giur. it., 2006, 116, ove si afferma che il giudice di secondo grado, nel confermare la persistenza del dovere del genitore di mantenere la figlia ventiquattrenne non ancora laureata in biologia, ha fondato la propria decisione indagando quale sia l’ età media dei laureati in biologia e quanto tempo mediamente necessitano questi ultimi al fine di trovare un primo impiego. Al riguardo, occorre però, osservare come non tutti i percorsi di studi siano uguali. Per esempio, il tempo mediamente necessario per un giovane che si iscrive a giurisprudenza per conseguire la laurea ed inserirsi nel mondo del lavoro sono circa otto anni mentre la laurea in scienze infermieristiche permette di inserirsi nel contesto lavorativo in tempi più rapidi (5 anni). V. www.almalaurea.it.
[14] Sul principio di ragionevolezza, Patti, Ragionevolezza e clausole generali, 2. ed
Milano, 2016; Principio di ragionevolezza delle decisioni giurisdizionali e diritto alla sicurezza giuridica (a cura di Francario e Sandulli), Napoli, 2018; Morrone, Il custode della ragionevolezza, Bologna, 2000; Ricci, Ragionevolezza e diritto privato, Bologna, 2007; Modugno, La ragionevolezza nel diritto costituzionale, Napoli, 2007.
[15] Non è condivisibile, infatti, quell’ indirizzo interpretativo secondo cui la obiettiva difficoltà in cui si trova una parte nel fornire una prova, o l’ impossibilità di tale prova imputabile all’ altra parte, non sono circostanze idonee ad influire sulla ripartizione del carico probatorio (Cass. 2 settembre 2005, n. 17702, in Rep. Foro it., 2006; Cass. 15 marzo 2010, n. 6205, in Rep. Foro it., 2010).
[16]Franchi, Per uguaglianza delle armi nel processo civile, in Riv. dir. civ., 1977, I, 122; Barile, Diritti dell’ uomo e libertà fondamentali, Bologna, 1984, 287.
[17] Cort. Cost. 22 dicembre 1989, n. 568, in Giur. cost., 1989, 2613; Cass. Sez. Un., 10 gennaio 141, in Foro it., 2006, I, 706.
[18] Cass. 7 luglio 2004, n. 12477, in Giust. civ., 2005, 3, I, 699; Cass. 2 dicembre 2005, n. 26259, in Dir. famiglia 2007, 2, 588.
[19] Sul punto, Al Mureden-Sesta, sub. Art. 315 bis. c.c., in Codice della famiglia, (a cura di Sesta), 3° ed., 2015, 1166.
Ai fini della decisione concernente la durata del diritto al mantenimento del figlio maggiorenne[1] assume particolare rilevanza il ruolo del giudice chiamato a pronunciarsi sul singolo caso concreto; egli deve attuare un difficile bilanciamento tra la valorizzazione del sempre più richiamato principio di autoresponsabilità[2] – in forza del quale si esclude che il figlio possa contare incondizionatamente sull’ aiuto economico dei genitori medesimi[3] – ed, anche alla luce dei principi espressi dagli artt. 4, comma 2 e 34 Cost., le esigenze solidaristiche nonché di tutela della formazione e delle ambizioni dei figli sulla base delle quali si esclude altresì che possa ritenersi in colpa il figlio qualora rifiuti lo svolgimento di un lavoro non qualificato e del tutto disancorato alle sue aspirazioni[4].
In tale contesto, spetta al giudice individuare – tenendo anche conto delle variabili che influenzano il mercato del lavoro e del “comune sentire” – quando le ambizioni del figlio non sono più ragionevoli e, quindi, delineare il sottile confine che può sussistere tra legittima ambizione e vana illusione[5]. Infatti, se da un lato, una ragionevole attesa trova giuridica protezione perché la formazione del figlio costituisce un arricchimento per se stesso, per la famiglia ma anche per l’ intera comunità, dall’ altro lato, occorre tenere presente che, qualora il mantenimento del soggetto medesimo non sia più funzionale al raggiungimento dell’ obiettivo di inserire lo stesso nel contesto lavorativo prescelto, il riconoscimento della prosecuzione dell’ obbligo dei genitori a continuare a mantenere il figlio maggiorenne costituirebbe una tutela economica ingiustificabile, il cui costo sarebbe trasferito direttamente sui genitori ed indirettamente sulla società.
Proprio in tale ottica, diretta appunto a ricercare soluzioni interpretative che responsabilizzino il giovane, senza però sacrificare l’ importanza che la solidarietà assume nella relazione familiare medesima, ed a cui i genitori in primis sono tenuti nei confronti dei figli ancorché maggiorenni[1], occorre in primo luogo tenere in debito conto il “fattore tempo”[6], in quanto la previsione del diritto al mantenimento si allenta fisiologicamente con il passare degli anni e la crescita del giovane; il dovere genitoriale si giustifica, quindi, solamente entro determinati confini temporali[7] nei quali è sensato presumere che le aspettative del figlio abbiano ragionevoli e concrete possibilità di realizzarsi[8]. Ecco dunque che, in mancanza di circostanze eccezionali idonee a giustificare il ritardo nel completamento degli studi[9] oltre una certa età[10] lo stato di dipendenza economica si deve presumere sempre colpevole[11].
Sempre nella medesima prospettiva diretta appunto ad assicurare una adeguata tutela al figlio, senza però incorrere in atteggiamenti eccessivamente protezionistici (che, nell’ ipotesi di condotta del figlio deplorevole, capricciosa, lassista e pigra potrebbero sconfinare nell’abuso[12] da parte dei figli medesimi[13]) ai fini della decisione concernente la durata dell’ obbligo di mantenimento dei genitori a favore dei figli maggiorenni, occorre dare la debita rilevanza anche al profilo della meritevolezza del figlio[14], ossia all’ impegno effettivo del medesimo nel percorso di studio o professionale intrapreso. Infatti, in conformità peraltro con quanto avviene in altri sistemi giuridici[15], sembra sussistere un atteggiamento di rigore nei confronti dei figli che, per negligenza o inerzia, ottengono risultati mediocri e si riserva, invece, un approccio maggiormente “protettivo” verso i maggiorenni che si dimostrino diligenti[16] e determinati nel realizzare i propri obiettivi professionali[17]; in altri termini ancora[18], all’ obbligo dei genitori di contribuire al mantenimento dei figli maggiorenni deve corrispondere un dovere dei medesimi di mettere a frutto le prestazioni eseguite a loro favore[19], atteso che il contributo dei genitori a favore dei figli (che, per esempio, decidono di proseguire gli studi universitari e post-universitari) si dovrebbe accompagnare all’ impegno di questi ultimi ad adoperarsi[20] al fine di terminare la loro formazione in maniera seria ed efficiente[21].
Al riguardo, però, occorre considerare altresì che figli anche diligenti negli studi coesistono a volte con altri membri della famiglia (per esempio, fratelli) anche essi aventi diritto al mantenimento e con gli impegni e gli obblighi giuridici dei loro genitori a mantenere, in ipotesi, ascendenti in tarda età e o bisognevoli di assistenza diretta o mediata dalle c.d. badanti, figure che vanno naturalmente retribuite e che pertanto rappresentano un costo per la famiglia intera. A causa appunto dell’ allungamento della prospettiva di vita, quest’ ultimo scenario risulta tutt’altro che improbabile, con la conseguenza che, in presenza delle predette circostanze – ossia quando la famiglia di origine deve fare fronte ad altri ed ulteriori oneri economici – al figlio maggiorenne (anche qualora meritevole) si richiede una maggiore solidarietà con il resto della famiglia – e quindi, per esempio, di cercarsi un lavoro mentre si prepara a un percorso di perfezionamento professionale difficile e ad esito non garantito – ed un rafforzamento della responsabilizzazione del giovane a discapito magari del perseguimento delle proprie stesse originarie ambizioni.
Infine, sempre nell’ ottica di contemperare i diversi valori fondanti il nostro stesso ordinamento giuridico, un ulteriore parametro che dovrebbe essere tenuto in considerazione dal giudice nella valutazione complessiva della fattispecie sottoposta al suo esame è quello del contesto socio familiare di riferimento. Infatti, se per un verso, non dovrebbe assumere rilevanza il tipo di educazione impartita dai genitori, per altro verso, invece, si deve tenere in debita considerazione la compatibilità delle scelte del figlio con la situazione economico sociale della famiglia di origine, posto che anche la stessa giurisprudenza[22] ha in varie occasioni affermato che “le prospettive di vita del figlio non possono non risentire del livello economico-sociale in cui si colloca la figura del genitore”[23]. In tale ottica, vero è che il diritto e l’ obbligo di mantenimento si fondano sulla situazione del figlio e non sulle capacità reddituali dell’ obbligato[24], tuttavia, le scelte del figlio medesimo devono essere compatibili con il livello economico-sociale dei genitori[25]. Proprio per tali ragioni, occorre considerare non solo se il percorso scelto dal figlio sia per il genitore obbligato un onere[26] eccessivamente gravoso[27], ma valorizzare anche l’ ipotesi inversa, in cui, invece, il figlio appartenga ad un contesto familiare con un solido background socio-economico e culturale[28]. Tale soluzione[29], oltre che bilanciare i diversi valori in gioco, si pone anche in linea con la funzione sociale[30] attribuita al diritto al mantenimento, atteso che, in tali casi, supportare il maggiorenne in un determinato percorso lungo ed incerto (si ipotizzi, sempre a titolo esemplificativo, al caso in cui il giovane intenda intraprendere una carriera particolarmente aleatoria come quella notarile o universitaria, oppure, all’ ipotesi in cui il figlio desideri conseguire un titolo di studio all’estero[31] per avere maggiori occasioni occupazionali)[32] rappresenta per l’ obbligato un sacrificio tutto sommato più che sostenibile[33], a fronte dei vantaggi potenzialmente derivabili - non solo per il singolo, ma anche per l’ intera collettività - qualora il maggiorenne medesimo prosegua la propria formazione, specializzandosi o perfezionando la propria competenza in un determinato settore[34]. In termini conclusivi, dunque, il contesto socio-culturale di origine sostiene propensioni ed aspettative, sia formative sia di realizzazione professionale che consentono di ritardare l’ ingresso nel mercato del lavoro, in attesa di una migliore collocazione[35]. Proprio per tali ragioni, qualora vi sia una solida situazione patrimoniale e la prosecuzioni degli studi anche in tempi più lunghi rientri nella subcultura e nella consuetudine della famiglia cui appartiene il figlio, il mantenimento può essere legittimamente preteso dal maggiorenne che intenda proseguire, anche contro la volontà del genitore[36], la propria formazione; ciò persino qualora il figlio abbia fatto scelte del tutto divergenti dal programma educativo predisposto dai genitori, atteso che questi ultimi hanno l’obbligo di rispettare le inclinazioni naturali e le aspirazioni dei figli anche nell’ ambito di decisioni che, pure essendo accettate dalla società, non sono condivise dai genitori medesimi.
[1] Sulla quantificazione dell’ ammontare del diritto al mantenimento del figlio maggiorenne, ci si chiede quale siano i criteri da seguire ai fini della sua misurazione e se questi debbano essere gli stessi utilizzati per i figli minori. In argomento, v. Sesta-Arceri, La responsabilità genitoriale e l’affidamento dei figli, Milano, 2016, 62; Dosi, Le nuove norme sull’ affidamento e sul mantenimento dei figli e il nuovo processo di separazione e divorzio, Milano, 2006; Carbone, Separazione dei coniugi e provvedimenti relativi al mantenimento dei figli, in Corr. giur., 2013, 1469; Moramarco, Ineludibilità del contributo del genitore separato o divorziato per le spese straordinarie, in Fam. e dir., 2015, 340. Sui criteri diretti a determinare l’ ammontare del diritto al mantenimento, v. Al Mureden, Tenore di vita e assegni di mantenimento tra diritto ed econometria, in Fam. e dir., 2008, 39; Al Mureden – Rovatti (a cura di), Gli assegni di mantenimento tra disciplina legale e intelligenza artificiale, Torino, 2020.
[2] Con riferimento all’ applicazione del suddetto principio alle decisioni concernenti la persistenza del diritto al mantenimento del figlio maggiorenne, si pensi, per esempio, alla decisione della Cassazione ove si afferma che l’ ingresso effettivo nel mondo del lavoro con la percezione di una retribuzione sia pure modesta ma che preclude una successiva spendita della capacità lavorativa a rendimenti crescenti e segna la fine dell’ obbligo di contribuzione da parte del genitore; la successiva eventuale perdita dell’ occupazione o il negativo andamento della stessa non comporta la reviviscenza dell’ obbligo del genitore al mantenimento (Cass. 22 luglio 2019, n. 19696, in Diritto & Giustizia 2019, 23 luglio; Cass. 2 febbraio 2019, n. 206, in Redazione Giuffrè, 2019); oppure a quell’ indirizzo giurisprudenziale secondo cui il figlio perde il diritto al mantenimento qualora non accetti un lavoro incoerente con il proprio percorso formativo e non corrispondente alle proprie aspettative (Cass. 22 giugno 2016, n. 12952, in Nuova giur. civ. e comm., 12, 2016, 1635, con nota di F. Esposito, Il mantenimento del figlio maggiorenne e la sua cessazione).
[3] Si pensi al caso del quarantenne che volontariamente si sottrae allo svolgimento dell’ attività lavorativa perché non corrispondente alle proprie aspirazioni (Cass. 8 agosto 2013, n. 18974, in Guida al dir., 2013, 43, 63).
[4] Cass. 22 luglio 2019, n. 19696, cit.; Trib. Padova, 16 maggio 2016, n. 1506, in Guida al dir., 2016, 38, 74; Cass. 21 febbraio 2007, n. 4102, in Fam. e dir., 2007, 550, ove si è ritenuto legittimo il rifiuto opposto dal figlio quasi trentenne e con titolo di studio di geometra-ragioniere allo svolgimento di attività di manovale (Cass. 22 marzo 2012, n. 4555, in Foro it., 2012, 1384; Cass. 2 febbraio 2015, n. 1798, in www.questionididirittodifamiglia.it.).
[5] Monticelli, L’ assegno di mantenimento tra indipendenza economica e principio di adeguatezza economico-professionale, in Giust. Civ., 2003, 188.
[6] Cass. 12 marzo 2018, n. 5883 (nella specie è stato revocato il mantenimento a un figlio che a tre anni dal mutamento del sesso non si era ancora attivato per reperire un lavoro).
[7] In altri termini, è necessario individuare una serie di parametri di riferimento al fine di limitare temporalmente l’ obbligo di mantenimento e che possano di volta in volta adattarsi al singolo caso in concreto. Uno dei criteri espressi in dottrina è quello per il quale l’ obbligo in questione permane entro confini temporali tali da fare presumere che le aspirazioni del figlio abbiano ragionevoli possibilità di essere realizzate (M.G. Cubeddu, La separazione, cit., 555).
[8] La stessa Cassazione ha affermato che la valutazione concernente la persistenza o meno del diritto al mantenimento del figlio maggiorenne debba essere condotta con rigore proporzionalmente crescente in rapporto all’ età dei beneficiari, in modo da escludere che tale obbligo assistenziale, sul piano giuridico, possa essere protratto oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, posto che l’ assistenza economica protratta ad infinitum potrebbe finire col risolversi in forme di vero e proprio parassitismo di ex giovani ai danni dei loro genitori sempre più anziani (v. ex multis, Cass. 22 giugno 2016, n. 12952, in Foro it., 2016, 9, I, 2741; Cass. 7 luglio 2004, n. 12477, in De Jure; Cass. 12 marzo 2018, n. 5883, in Il familiarista.it., 27 aprile 2018, secondo cui raggiunta l’ età dei trent’ anni si presume l’ indipendenza economica; Trib. Modena 1 febbraio 2018, in De Jure, ove si afferma che oltre la soglia dei trentaquattro anni lo stato di non occupazione del figlio maggiorenne non può più essere considerato quale elemento ai fini del mantenimento).
[9] M.S. Esposito, Il diritto al mantenimento del figlio maggiorenne tra aspirazioni personali e colpevole inerzia, cit., 134 ss., la quale evidenzia come, anche con riguardo al ritardo nel completamento degli studi, sia richiesta al giudice di accertare la mancanza di circostanze eccezionali, il cui ricorrere potrebbe giustificare il ritardo (si pensi, per esempio, alla necessità del figlio di impegnarsi, contemporaneamente negli studi, in un’ attività lavorativa per fronteggiare una indisponibilità solo temporanea dei genitori ovvero all’ipotesi in cui il figlio debba accudire un genitore malato per un lasso di tempo più o meno lungo). Sul punto, v. anche Iorio, Il fondamento dell’ estinzione dell’ obbligo di contribuzione dei genitori nei confronti dei figli maggiorenni, cit., 1072.
[10] Morozzo della Rocca, Il mantenimento del figlio: recenti itinerari di dottrina e giurisprudenza, cit., 386; Ruscello, Potestà dei genitori e rapporti con in figli, in Il nuovo diritto di famiglia, Trattato diretto da Ferrando, Bologna-Roma, 2007, 3, 131; M.G. Cubeddu. La separazione, in S. Patti – M.G. Cubeddu, Diritto della famiglia, Milano, 2011, 555.
[11] Sulla necessità di evitare il protrarsi di situazioni indebite, v. Di Stefano, L’ obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne tra esigenze di tutela e pericolo di “parassitismo” sine die, in Fam. pers. e succ., 2009, 68; Toti, Oltre una certa età il figlio è ormai un adulto (recenti orientamenti sul mantenimento del figlio maggiorenne), in Nuove leggi civ., 2019, 374. In giurisprudenza, App. Napoli, 18 marzo 2011, in Fam. e dir., 2011, 1117, con nota di Gelli, Il diritto al mantenimento del figlio maggiorenne e i suoi limiti: lo studente ultratrentenne “fuori corso”.
[12] Greco, Mantenimento del figlio maggiorenne e prova della raggiunta indipendenza economica, in Fam. e dir., 2007, 6, 552.
[13] Con riferimento ai pericoli derivanti da una tutela eccessiva, v. Nasti, Nihil sub sole novi: i figli maggiorenni economicamente non autosufficienti hanno diritto al mantenimento, in Fam. e dir., 2002, 4, 360; Arceri, Diritto al mantenimento del figlio maggiorenne: inedite posizioni di un giudice di merito sulla legittimazione a spiegare intervento e sui presupposti di legittimazione attiva, cit., 1139; Longo, I diritti dei genitori anziani, in Id. (a cura di), Rapporti familiari e responsabilità civile, Torino, 2004.
[14] Cass. 22 giugno 2016, n. 2016, n. 12952, cit.; Trib. Verona, 26 settembre 2019, in Il familiarista.it., 20 marzo 2020; Cass. 9 maggio 2013, n. 11020, cit., pur avendo trent’anni, successivamente alla laurea in medicina, doveva ancora frequentare la scuola di specializzazione e quindi completare il percorso di studi intrapreso al fine di potere esercitare la professione ambita. Conforme alla tendenza a valorizzare le aspirazioni e la personalità dei figli, v. anche Cass. 3 aprile 2002, n. 4765, in Fam. e dir. 2002, 351; Cass. 11 luglio 2006, n. 16756, cit. (nel caso di specie la figlia di 31 anni non si era ancora laureata in giurisprudenza ma tenuto conto della prossimità della laurea e della media degli esami (27/30) non si è ravvisato “il motivo per cui la figlia avrebbe dovuto rinunciare a conseguire un titolo di studio che le consentiva di appagare le proprie legittime aspirazioni ed ambizioni”. Sul punto, v. anche Annunziata, Il diritto al mantenimento del figlio maggiorenne, in Nuova giur. civ. e comm., 2006, 1089; Fantetti, Obbligo di mantenimento, realizzazione delle aspirazioni e indipendenza economica del figlio maggiorenne, in Fam. pers. e succ., 2008, 970. Nello stesso senso tendente a rispettare la personalità e le ambizioni del figlio, v. anche Cass. 6 dicembre 2013, n. 377. Contra, Cass. 6 novembre 2006, n. 23673, in Mass. Giust. Civ., 2008, 11; Cirese, Il mantenimento del figlio maggiorenne tra evoluzione del costume e dinamiche familiari alla luce della legge n. 54/2006, cit., 1410; Tommasini-Soraci, Sub. Art. 147, cit, 489; Iorio, Il fondamento dell’ estinzione dell’ obbligo di contribuzione dei genitori nei confronti dei figli maggiorenni, cit., 1069.
[15] Si pensi, per esempio, a come negli Stati Uniti, proprio per evitare che l’ iscrizione all’ Università o ad altri corsi di formazione rappresentino una scusa per continuare a beneficiare del mantenimento, le Corti sono chiamate a valutare, tra le altre cose, la serietà del piano di studi e di risultati accademici (Laura W. Morgan, “Child Support Fifty Years Later “Family Law Quarterly, vol. 41, 365-380 (2008).
[16] Così, per esempio, ai fini del riconoscimento della persistenza del diritto del figlio ad essere mantenuto non è sufficiente la mera iscrizione all’ Università ma è necessario anche il concreto rendimento atteso che l’ art. 34 Cost., nel riconoscere il diritto per i capaci e i meritevoli di raggiungere i più alti studi, implica anche un effettivo riscontro con riguardo al profitto (Cass. 7 aprile 2006, n. 8221, cit.). Nello stesso senso, Trib. Catania, 15 gennaio 2019, n. 179, in Redazione Giuffrè, 2019; Cass. 1 febbraio 2016, n. 1858, in Resp. civ. e prev., 2016, 1351.
[17] Non sembra tenere conto di detto parametro la Cass. 30 ottobre 2013, n. 377, inedita, ove si afferma che il figlio ultratrentenne perde il diritto al mantenimento qualora sia dotato di patrimonio personale e svolga gli studi universitari in un luogo diverso dalla sede di residenza senza avere, per sua colpa, né il titolo, né essersi procurato un’ occupazione remunerativa.
[18] Trib. Roma 10 gennaio 2018, n. 567, in Redazione Giuffrè, 2018; Cass. 11 luglio 2006, n. 15756, in De Jure, in cui la Corte ha riconosciuto il permanere del diritto al mantenimento della figlia trentunenne iscritta alla facoltà di giurisprudenza, la quale, seppure fuori corso, aveva fino a qual momento ottenuto una media dei voti alta). Conforme, Cass. 7 aprile 2006, n. 8221, ove si afferma che, ai fini del riconoscimento del diritto al mantenimento del figlio maggiorenne, non è sufficiente la formale iscrizione all’ Università, ma è necessaria anche l’ effettiva frequenza e il concreto rendimento.
[19] La meritevolezza dei figli maggiorenni può essere comprovata dai risultati raggiunti nel percorso formativo prescelto (si pensi, per esempio, all’ andamento all’ università, alla media degli esami ed al numero di esami sostenuti). A tal fine i dati statistici relativi ad un determinato corso di studi possono risultare utili al fine dell’ accertamento concernente la persistenza o meno del diritto del figlio di continuare ad essere mantenuto dai genitori. Si pensi a come, secondo i dati statistici, i giovani che si laureano in medicina hanno mediamente ventisette anni e impiegano in media sette anni e tre mesi per conquistare il titolo, mentre, per il conseguimento della laurea in economia e commercio occorrono di media quattro anni e mezzo.
[20] Greco, Mantenimento del figlio maggiorenne e prova della raggiunta indipendenza economica, cit., 550; Iorio, Il fondamento dell’ estinzione dell’ obbligo di contribuzione dei genitori nei confronti dei figli maggiorenni, cit., 1072.
[21] M.G. Cubeddu, La separazione, in S. Patti- M.G. Cubeddu, Diritto di famiglia, Milano, 2011, 551, la quale afferma la sussistenza di un preciso obbligo di diligenza in capo al figlio al pari di quello richiesto al coniuge separato; Iorio, Il fondamento, cit., 1071, sottolinea l’ impegno attivo richiesto ai figli (i quali devono mettere a frutto le prestazioni eseguite a loro favore) nel raggiungimento dell’ indipendenza economia. In argomento, v. Fantetti, Obbligo di mantenimento, realizzazione delle aspirazioni e indipendenza economica del figlio maggiorenne, cit., 970; Annunziata, Il diritto al mantenimento del figlio maggiorenne, in Nuova giur. civ. e comm., 2006, 10, 1095; Esposito, Il diritto al mantenimento del figlio maggiorenne tra aspirazioni personali e colpevole inerzia, cit., 134, secondo cui deve escludersi che un’ offerta non corrispondente alle legittime aspettative (e dunque alla capacità professionale acquisita) possa determinare di per sè l’ estinzione dell’ obbligo di mantenimento dei genitori.
[22][22] Cass. 13 luglio 1995, n. 7644, in Dir. fam., 1996, 99; Cass. 4 aprile 2002, n. 4765, in Dir. fam. pers., 2002, 310; ove si esclude che siano ravvisabili profili di colpa nella condotta del figlio maggiorenne che rifiuti una sistemazione lavorativa non adeguata a quella a cui la sua specifica preparazione, le sue attitudini ed i suoi effettivi e non velleitari interessi siano rivolti, quanto meno nei limiti temporali in cui tali aspirazioni abbiano una ragionevole possibilità di essere realizzate e sempre che “l'atteggiamento di rifiuto sia compatibile con le condizioni economiche della famiglia”. Nello stesso senso, App. Catania 3 novembre 2016, cit.
[23] Trib. Roma 16 dicembre 2016, in Ilfamiliarista.it, 31 luglio 2017; Cass. 13 luglio 1995, n. 7644, in Dir. Fam., 1996, 99; Cass. 3 aprile 2002, n. 4765, cit.; Cass. 2 dicembre 2005, n. 26259, in Mass. Giust. Civ., 2005; Trib. Cagliari 13 marzo 1997, in Riv. giur. sarda, 2000, 99, in cui si afferma che, con riferimento alla frequenza scolastica, il dovere dei genitori di provvedere al mantenimento dei figli persiste finché dura la scuola dell’ obbligo. Per quanto riguarda i livelli superiori di istruzione (e senza dubbio per quella universitaria) occorrerebbe considerare l’ ambiente sociale in cui vive la famiglia e le concrete capacità economiche del genitore obbligato (oltre che la meritevolezza del figlio). Sempre in tale ottica occorre valutare la situazione complessiva del genitore obbligato come, per esempio, se quest’ultimo deve mantenere anche altri figli non autonomi (Liuzzi, Mantenimento dei figli maggiorenni, onere probatorio e limiti temporali, in Fam. e dir., 1996, 3; Cass. 21 novembre 1996, n. 10268, in Mass. Giust. Civ., 1996, 1560).
[24] Cass. 25 settembre 2017, n. 22314, cit., ove si è ritenuto inammissibile il motivo diretto a denunziare l’ omessa considerazione delle ottime condizioni economiche del genitore obbligato che, nel caso di specie, era titolare di diversi fabbricati e terreni e aveva acquisito dei beni per successione.
[25] Cass. 12 aprile 2016, n. 7166, cit.; Cass. 2 dicembre 2005, n. 26259, in Dir. famiglia, 2007, 2, 588 ; Cass. 4 marzo 1998, n. 2392, in Giur. it., 1999, 252; Cass. 20 agosto 2014, n. 18076, cit.; Cass. 11 aprile 2019, n. 10207, cit.; Trib. Padova, 16 maggio 2016, n. 1506, cit.
[26] Trib. Salerno 17 febbraio 2020, n. 670, in Redazione Giuffrè, 2020; Trib. Torino 11 aprile 2016, in Ilfamiliarista, it., 28 giugno 2017; Cass. 4 marzo 1998, n. 2392, in Giur. it., 1999, 252.
[27] Le scelte del figlio devono essere ragionevoli ed adeguate alle condizioni della famiglia atteso che non è ammesso imporre un contributo eccessivamente gravoso e non rientrante nelle sue concrete possibilità economiche tenuto conto – secondo buona fede – “della non imposizione di un eccessivo sacrificio alle altrui esigenze di vita” (Cass. 14 agosto 2020, n. 17183, cit.).
[28] Contra, Cass. 25 settembre 2017, n. 22314, cit., ove si è reputato inammissibile il motivo che tendeva a denunziare l’ omessa considerazione delle ottime condizioni economiche del padre.
[29] Ai fini della decisione concernente la durata del diritto al mantenimento del figlio maggiorenne, il livello di educazione dei genitori, le risorse familiari ed in generale il c.d. “standard of living” sembrano rilevare anche in altri ordinamenti giuridici (v., per esempio, le soluzioni adottate in alcuni stati americani (Childers v. Childers, 89 Wn.2d 592, 575 P.2d 201 (1978).
[30] Le esigenze sottostanti al predetto diritto sono, infatti, non solo quelle individuali dirette ad accordare sempre più considerazione alla personalità del figlio e di permettere a quest’ultimo di proseguire nel percorso formativo scelto (al fine di inserirsi in un contesto lavorativo appropriato alle proprie attitudini ed aspirazioni), ma anche e soprattutto quelle di implementare il c.d. welfare, posto che l’ aumento dell’ istruzione e della formazione favorisce, peraltro, la crescita culturale sociale ed economica dell’ intera collettività (in Italia, nel 2019, la quota di popolazione tra i 25 e i 64 anni in possesso almeno di un diploma, è pari a 62,2% (+0,5 punti rispetto al 2018), un valore decisamente inferiore a quello medio europeo (78,7% nell’Ue28) e a quello di alcuni tra i più grandi paesi dell’Unione: 86,6% in Germania, 80,4% in Francia e 81,1% nel Regno Unito. Solo Spagna, Malta e Portogallo hanno valori inferiori all’Italia).
[31] Trib. Roma 7 marzo 2017, in Foro it., 2017, ove si afferma la permanenza del dovere del genitore di mantenere la figlia maggiorenne che abbia rifiutato un’ offerta di lavoro per la necessità di completare all’ estero un prestigioso percorso postuniversitario, tenuto conto delle buone disponibilità dell’ obbligato.
[32] Rapporto 2020 Sul Profilo e Sulla Condizione Occupazionale dei Laureati – Sintesi - Numeri del Rapporto e Dati di Contesto - Il profilo del Laureati – Rapporto 2020” - Almalaurea (www.almalaurea.it), ove si afferma che “L’11,2% dei laureati del 2019 ha svolto esperienze di studio all’estero riconosciute dal corso di studi (era l’8,5% nel 2009): più nel dettaglio, ciò è avvenuto per l’8,9% utilizzando programmi dell’Unione Europea (Erasmus in primo luogo) e per il 2,3% attraverso altre esperienze riconosciute dal corso di studi (Overseas, ecc.)” e che “un’esperienza di studio all’estero con un programma europeo sono carte vincenti da giocare sul mercato del lavoro: a parità di condizioni, infatti, il tirocinio si associa a una probabilità maggiore del 9,5% di trovare un’occupazione a un anno dalla conclusione del corso di studio, mentre le esperienze di studio all’estero riconosciute dal proprio corso di studio aumentano le chance occupazionali del 12,9%”.
[33] Il contesto familiare ha un forte impatto sulle opportunità di completare il percorso di istruzione universitaria. V. “Rapporto 2020 Sul Profilo e Sulla Condizione Occupazionale dei Laureati – Sintesi - Numeri del Rapporto e Dati di Contesto - Il profilo del Laureati – Rapporto 2020” - Almalaurea (www.almalaurea.it) ove si afferma che “Il contesto familiare ha un forte impatto sulle opportunità di completare il percorso di istruzione universitaria: fra i laureati, infatti, si rileva una sovra-rappresentazione dei giovani provenienti da ambienti familiari favoriti dal punto di vista socio-culturale. I laureati AlmaLaurea 2019 provengono per il 31,8% e il 22,5% da famiglie della classe media, rispettivamente impiegatizia e autonoma, per il 22,4% da famiglie di più elevata estrazione sociale (ove i genitori sono imprenditori, liberi professionisti e dirigenti) e per il 21,8% da famiglie in cui i genitori svolgono professioni esecutive (operai ed impiegati esecutivi). La percentuale dei laureati di più elevata estrazione sociale sale al 32,7% fra i laureati magistrali a ciclo unico, percorso di studio che, com’è noto, comporta una previsione di investimento di durata maggiore rispetto alle lauree di primo livello. I laureati con almeno un genitore in possesso di un titolo universitario sono il 30,4% (nel 2009 erano il 26,1%). Il contesto culturale e sociale della famiglia influisce anche sulla scelta del corso di laurea: i laureati provenienti da famiglie con livelli di istruzione più elevati hanno scelto più frequentemente corsi di laurea magistrale a ciclo unico (il 43,4% ha almeno un genitore laureato) rispetto ai laureati che hanno optato per un percorso “3+2” (27,2% per i laureati di primo livello e 31,2% per i magistrali biennali)”
[34] Cass. 4 aprile 2002, n. 4765, in Dir. Fam. per., 2002, 310, ove si legge che “deve escludersi che siano ravvisabili profili di colpa nella condotta del figlio maggiorenne, il quale rifiuti una sistemazione non adeguata a quella a cui la sua specifica preparazione, le sue attitudini e i suoi effettivi e non velleitari interessi siano rivolti, quanto meno nei limiti temporali in cui tali aspirazioni abbiano una ragionevole possibilità di essere realizzare e sempre che l’ atteggiamento di rifiuto sia compatibile con le condizioni economiche della famiglia”.
[35] https://nova.ilsole24ore.com/infodata/le-lauree-non-sono-tutte-uguali-i-grafici-del-decennio/.
[36] Vercellone, I rapporti genitori-figlio, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da Zatti, II, La filiazione, 951 ss.