Jus CivileISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

La Corte di Cassazione torna sul frazionamento del credito tra buona fede e giusto processo (di Marina Federico)


Il commento esamina in prospettiva critica la recente ordinanza della Corte di Cassazione, n. 14143 del 24 maggio 2021, in merito alla deduzione di più pretese creditorie, riconducibili ad un unico rapporto obbligatorio, mediante differenti domande. In particolare, viene chiarito ed ampliato il significato delle nozioni di “medesimo rapporto obbligatorio” e “medesimo fatto costitutivo”, enunciate nel principio di diritto della nota sentenza a Sezioni Unite del 16 febbraio del 2017, n. 4090, in tema di tema di frazionamento del credito.

The Italian Supreme Court, again on the possibility of dividing a single claim into different complaints: between good faith and due process

The essay examines the recent decision of the Italian Supreme Court, n. 14143 of 24th May 2021, regarding the proposition of different credit rights pertaining to the same legal relationship through a plurality of complaints, in a critical perspective. In particular, the notions of “same contractual obligation” and “same affirmative act”, asserted in the famous judgement n. 4090 of 16th February 2017, are clarified and extended.

Marina Federico - La Corte di Cassazione torna sul frazionamento del credito tra buona fede e giusto processo

SOMMARIO:

1 Il caso. - 2. Il frazionamento del credito tra abuso del processo e del diritto. - 3. Segue. La giurisprudenza della Suprema Corte. - 4. L’interpretazione estensiva di unico rapporto obbligatorio e di medesimo fatto costitutivo. - 5. Alcuni rilievi di natura processuale sull’oggetto del giudicato. - 6. Luci e ombre della pronuncia in commento. Il (discutibile) richiamo al contatto sociale. - 7. ... e alla buona fede in sede processuale.


1 Il caso.

L’ordinanza in commento trae origine da una vicenda relativa all’emissione, nei confronti di una società, di trentotto decreti ingiuntivi, fondati su identici atti di riconoscimento di debito, per il pagamento di numerosi incarichi professionali di assistenza legale, giudiziale e stragiudiziale, basati su distinte procure alle liti, conferiti nel corso degli anni ad un avvocato. La società si opponeva ad uno dei decreti e, contro il provvedimento di rigetto dell’opposizione, ricorreva in appello, annoverando, tra i vari motivi di impugnazione, l’illegittima parcellizzazione del credito da parte dell’opposto, poiché, secondo la ricostruzione da lei prospettata, tra la stessa e il professionista intercorreva un rapporto di durata di consulenza ed assistenza legale, da cui discendeva un unico credito. Il giudice dell’appello rigettava la domanda della parte attrice e rilevava l’autonomia di ogni singolo incarico difensivo, sottolineando che tra l’avvocato e la società si fossero succeduti negli anni rapporti contrattuali diversi, suscettibili di essere azionati separatamente in giudizio. Contro tale decisione, la società proponeva ricorso in cassazione e, con il primo e più corposo tra i vari motivi di ricorso, adduceva che la deduzione in differenti giudizi della pretesa creditoria non corrispondeva ad alcun interesse apprezzabile del creditore, anzi integrava gli estremi di una condotta abusiva, contraria alle regole di correttezza e buona fede che devono guidare le parti nell’esecuzione del contratto, nonché ai principi, di rango costituzionale, del giusto processo. Il Supremo Collegio ha accolto il ricorso proposto dalla società e, se il risultato pratico cui è giunto rispetto alla sussistenza di una condotta abusiva, a primo impatto, appare condivisibile, meritano tuttavia di essere attentamente considerate le argomentazioni con cui perviene a quest’esito, che rappresentano l’ultimo atto di una serie di decisioni della Corte sul frazionamento giudiziale del credito[1].   [1] Occorre precisare che la presente è la prima di una serie di ordinanze tutte relative alla medesima vicenda. La società aveva, infatti, opposto la gran parte dei diversi decreti ingiuntivi emessi nei suoi confronti ed alcune opposizioni erano state rigettate, altre accolte. Tali provvedimenti erano stati impugnati in appello, [continua ..]


2. Il frazionamento del credito tra abuso del processo e del diritto.

La pronuncia in commento consente di soffermarsi su una questione di grande interesse: il frazionamento del credito e il ruolo delle clausole generali nel diritto civile sostanziale e processuale[1].  Il frazionamento del credito (o parcellizzazione della pretesa creditoria) è una delle ipotesi in cui si coglie lo stretto legame tra profilo processuale e profilo sostanziale dei rapporti giuridici[2]. Si parla di frazionamento del credito quando l’attore, titolare di un unico diritto di credito, lo “fraziona” in più parti, che fa valere in distinti giudizi. Quest’evenienza può presentarsi nel caso in cui una parte del quantum del credito sia ancora da accertare o quando l’attore desidera giovarsi di un rito processuale più snello[3]. Quando invece il frazionamento della pretesa creditoria viene effettuato per trarne vantaggio ai danni del convenuto, per esempio con l’obiettivo di lucrare sulle spese di lite o di introdurre la controversia davanti al giudice di pace affinché il giudizio sia gratuito dal punto di vista fiscale, se ne ricorrono i presupposti[4], la fattispecie è stata ricondotta dalla giurisprudenza alla discussa figura dell’abuso del processo, che consiste nella distorsione o, più precisamente, nello “sviamento” dello scopo di un atto processuale, anche attraverso l’uso strumentale del diritto d’azione[5]. Ciò premesso, l’evoluzione della giurisprudenza di legittimità sul tema del frazionamento del credito esprime il progressivo cambiamento che, come è stato osservato, “dalla discrezionalità e l’arbitrio nell’esercizio dei diritti conduce, con gradazioni diverse, alla sindacabilità e al controllo” [6]. Giova innanzitutto ricordare che in merito di frazionamento del credito è stato richiamato frequentemente l’art. 1375 cod. civ. che, come è noto, prescrive che il contratto debba essere eseguito secondo buona fede. Tale clausola generale indica che i contraenti devono comportarsi secondo correttezza, attuando il regolamento contrattuale in maniera tale da preservare l’assetto dell’operazione economica[7] che hanno inteso determinare, nel modo che la prassi negoziale ritiene, appunto, corretto e quindi dovuto[8]. La buona fede nell’esecuzione del rapporto obbligatorio è stata, nel corso del tempo, ampiamente [continua ..]


3. Segue. La giurisprudenza della Suprema Corte.

La Corte di Cassazione, nell’affrontare il problema del frazionamento del credito, ricondotto ora all’abuso del diritto, ora all’abuso degli strumenti processuali[1], ha fatto riferimento alla clausola generale del dovere di correttezza nei rapporti obbligatori, nonché ai principi del giusto processo[2]. In particolare, la giurisprudenza, nel considerare l’ammissibilità del frazionamento del credito, si è rifatta all’art. 1175 cod. civ. e, soprattutto, all’obbligo di comportarsi secondo buona fede nell’esecuzione del contratto, ex art. 1375 cod. civ., che perdura anche nel momento in cui il contratto si realizza nella dimensione processuale. Dopo anni di orientamenti contrastanti, con la sentenza a Sezioni Unite del 10 aprile del 2000, n. 108[3], il Collegio stabilì l’ammissibilità della proposizione di domande separate per la riscossione di un unico credito, usando come argomento portante l’art. 1181 cod. civ. e la possibilità del debitore di adempiere parzialmente alla propria obbligazione[4]. Pochi anni dopo, però, le Sezioni Unite cambiarono indirizzo, con la sentenza del 15 novembre 2007, n. 23726[5]. Con la pronuncia del 2007, la Corte affermò che il creditore di una somma di denaro non può frazionare la richiesta di adempimento dell’unico credito in diverse domande giudiziali. Infatti, in tal modo il creditore provoca un aggravamento della posizione debitoria, sia sotto il profilo dell’allungamento dei tempi di liberazione dall’obbligazione, che delle spese di lite e dell’attività difensiva. Tra l’altro, tale condotta produce il pericolo di giudicati contraddittori sullo stesso rapporto[6]. Le Sezioni Unite motivarono il proprio cambiamento di rotta sulla base dell’evoluzione del quadro normativo, che impone particolare attenzione ai valori della buona fede e della correttezza, da ricondurre ai doveri costituzionali di solidarietà politica, economica e sociale di cui all’art. 2 della Costituzione e rifacendosi al canone del giusto processo dalla ragionevole durata, da poco introdotto nel nostro ordinamento con il novellato art. 111 della Costituzione[7]. La giurisprudenza di legittimità, dopo il 2007, si spinse a ritenere che l’ipotesi di indebita parcellizzazione del credito si rinvenga non solo quando un unico credito sia azionato con separate domande [continua ..]


4. L’interpretazione estensiva di unico rapporto obbligatorio e di medesimo fatto costitutivo.

La Suprema Corte, nella pronuncia presa in esame, interpreta in modo estensivo il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite del 2017 e chiarisce i presupposti in presenza dei quali si configura un’abusiva parcellizzazione del credito. A tal fine, nella motivazione dell’ordinanza, la Cassazione svolge alcuni rilievi di diritto sostanziale e processuale che è opportuno esaminare separatamente. Il Collegio, anzitutto, disattendendo la ricostruzione proposta dalla ricorrente, ritiene che l’avvocato non vanti un solo credito, ma più crediti nei confronti della società. Precisa, dunque, quando la pluralità di pretese creditorie sia riconducibile a un rapporto di durata tra le parti e quando le pretese azionate abbiano origine dal medesimo fatto costitutivo e siano ascrivibili potenzialmente all’ambito dello stesso giudicato. In primo luogo, la Cassazione colloca la relazione tra le parti in un rapporto di mero fatto che, pur non originato dalla stipulazione di un contratto, si è venuto a determinare nel corso del tempo, assimilabile ad un rapporto di durata vero e proprio. In situazioni del genere, dunque, la Corte afferma che tra le parti si instaura un contatto sociale, da cui discende l’obbligo di comportarsi secondo buona fede e correttezza. In secondo luogo, la Suprema Corte osserva che, nel valutare se più crediti siano fondati sullo stesso fatto costitutivo, occorre considerare se i crediti abbiano avuto origine da fatti, seppur storicamente diversi, della stessa natura giuridica. Pertanto, bisogna verificare se vi sia un rapporto di durata tra le parti, in senso “storico fenomenologico”, e se la pluralità di pretese creditorie sussumibili in questo rapporto scaturisca da fatti costitutivi della medesima natura giuridica e sia, dunque, riferibile, per adoperare le parole del Collegio, “alla stessa vicenda esistenziale”. In questi casi, in ragione dei doveri imposti dal contatto sociale, la parcellizzazione del credito, in assenza di un interesse oggettivamente valutabile ex art. 100 cod. proc. civ., appare ingiustificata. Di conseguenza, con l’ordinanza che si annota, viene offerta un’interpretazione estensiva delle circostanze in presenza delle quali la domanda frazionata si può risolvere in un abuso degli strumenti processuali.  Le argomentazioni in motivazione vengono ulteriormente rafforzate mediante il [continua ..]


5. Alcuni rilievi di natura processuale sull’oggetto del giudicato.

Nel valutare se, nel caso in esame, i crediti siano potenzialmente ascrivibili all’ambito del medesimo giudicato, il Giudice di legittimità svolge alcune osservazioni relative ai c.d. limiti oggettivi dello stesso[1]. La Corte di Cassazione ribadisce che l’infrazionabilità della domanda si giustifica anche al fine di evitare contrasti tra giudicati e favorire la celerità dei processi. Afferma, pertanto, che: “Il giudicato – che pure ha per oggetto esclusivo la singola situazione giuridica soggettiva azionata (che segna, quindi, i suoi limiti oggettivi) e non produce quindi alcun effetto preclusivo in ordine agli altri diritti derivanti dal medesimo rapporto, né ai diritti maturati in relazione a differenti segmenti o frazioni dello stesso, copre, tuttavia, in quanto necessariamente compreso nell’ambito oggettivo della prima domanda, anche l’accertamento già compiuto in ordine alle questioni di fatto e di diritto comuni ad entrambe le domande (come l’esistenza del rapporto stesso dal quale lo stesso trae origine oppure la validità e l’efficacia del relativo titolo), quale necessario presupposto logico-giuridico del diritto fatto valere”. Di conseguenza, deve evitarsi la proposizione di pretese creditorie riconducibili allo stesso rapporto contrattuale in più giudizi, poiché ciò potrebbe dar luogo ad accertamenti contrastanti sulle questioni di fatto e di diritto che accomunano le domande[2]. Sembrerebbe, così, che la Corte di Cassazione richiami l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, recentemente affermatosi specialmente in materia tributaria, per cui le questioni, di fatto e di diritto, che rappresentano un presupposto necessario dell’iter decisorio che il giudice compie per giungere alla decisione, sono accertate con efficacia di giudicato[3]. Al contempo, la Suprema Corte fa riferimento alle questioni pregiudiziali di merito c.d. logico-necessarie, relative al rapporto fondamentale da cui discende il diritto dedotto in giudizio (la validità del contratto, ad esempio)[4], su cui, afferma la Corte, pure si forma il giudicato, se il giudice le ha conosciute per arrivare alla decisione. In tal modo, la Cassazione pare accogliere un’interpretazione dell’oggetto del giudicato compatibile con la teoria della pregiudizialità logica: la domanda relativa alla situazione giuridica [continua ..]


6. Luci e ombre della pronuncia in commento. Il (discutibile) richiamo al contatto sociale.

Ripercorsi i punti fondamentali della ricostruzione effettuata dalla Corte, occorre valutarne alcuni profili argomentativi. È difficile non aderire all’impostazione per cui il creditore che richiede l’emissione di numerosi decreti ingiuntivi per ottenere il pagamento di crediti, liquidi ed esigibili, attestati in identici atti di riconoscimento di debito e fondati su titoli dello stesso tipo (il conferimento di mandati difensivi) stia tenendo un comportamento che aggrava la posizione del debitore, imponendogli uno sforzo eccessivo dal punto di vista dell’onere probatorio e dei costi della lite. Nella pronuncia, l’accento viene posto, quindi, sull’obbligo di tenere un comportamento orientato dalla buona fede nei rapporti obbligatori, anche nel momento in cui questi si realizzano sul piano processuale, e sul giusto processo, inteso come processo veloce ed efficiente. Ciò premesso, va tuttavia evidenziato che, nello statuire il divieto di frazionamento in ragione della “sussistenza tra le stesse parti di crediti giuridicamente eguali che, pur se non conseguenti allo stesso contratto, siano nondimeno riconducibili al medesimo ‘rapporto’ che, nel corso del tempo, si sia venuto a determinare (anche se in via di mero fatto) tra le parti” [1], la Cassazione sembra ricostruire tale situazione alla luce della nota figura del “contatto sociale”, alla sussistenza del quale far conseguire quegli obblighi di protezione, privi di prestazione[2], i quali – a loro volta – impedirebbero di giustificare la pretesa di frazionamento[3]. Pur nei limiti delle presenti, brevissime, note, va tuttavia rilevato che il riferimento alla figura del contatto sociale non appare del tutto appropriato. Come è noto, la dottrina ritiene che il contatto sociale si configuri quando tra due soggetti, non legati da un rapporto contrattuale in senso stretto, si determina una relazione non episodica[4]. La giurisprudenza, dal canto suo, ha ricondotto alla categoria del contatto sociale, concepita come una vera e propria fonte di obbligazioni[5], diverse ipotesi in cui, generalmente, un soggetto svolge delle attività per cui sono necessarie particolari competenze e conoscenze[6]. In particolare, il c.d. contatto sociale qualificato si configurerebbe quando i consociati possono ragionevolmente fare affidamento l’uno nei confronti dell’altro ed imporrebbe un dovere di [continua ..]


7. ... e alla buona fede in sede processuale.