Jus CivileCC BY-NC-SA Commercial Licence ISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

Locazione abitativa e sostenibilità del canone oltre l´emergenza (di Elena Bargelli)


Il presente contributo analizza l'impatto della pandemia sulle locazioni residenziali in Italia. Dopo aver segnalato le misure di emergenza messe in atto dal legislatore per sospendere gli sfratti e aiutare gli inquilini in mora, il contributo si sofferma sui temi dell'economicità a breve e lungo termine. In particolare, affronta gli attuali rimedi contrattuali come mezzi per prevenire lo sfratto degli inquilini morosi. In una prospettiva a lungo termine, sostiene che è necessaria una combinazione di misure di diritto pubblico e privato per prevenire e contrastare i problemi di accessibilità nel mercato residenziale.

Residential tenancies and affordability issues beyond the pandemic

The present contribution analyses the impact of the pandemic on residential tenancies in Italy. After reporting the emergency measures put in place by the legislator to suspend evictions and help tenants in arrears, the contribution focuses on the short- and long-term affordability issues. In particular, it addresses the current contractual remedies as means to prevent the eviction of tenants in arrears. In the long-term perspective, it argues that a combination of both private and public law measures are needed to prevent and counteract affordability issues in the residential market.         

Elena Bargelli - Locazione abitativa e sostenibilità del canone oltre l’emergenza

COMMENTO

Sommario:

1. Locazione ed emergenza sanitaria. - 2. “Cura Italia” e piano “microeconomico”: principi generali e norme eccezionali. - 2.1. Piano “macroeconomico” fra emergenza e gestione del medio periodo: la sospensione degli sfratti. - 2.2. Le misure di sostegno pubblico al pagamento del canone. - 3. I problemi causati dall’emergenza. - 3.1. Problemi contingenti: l’inutilità e l’impossibilità sopravvenuta del godimento. - 4. Oltre l’emergenza: “morosità incolpevole”, tolleranza e inesigibilità temporanea. - 4.1. L’eccessiva onerosità sopravvenuta del canone e i rimedi contrattuali. - 5. La sostenibilità oltre l’emergenza: l’innesto necessario fra privato e pubblico.


1. Locazione ed emergenza sanitaria.

Negli ultimi 15 anni la locazione abitativa ha subito il contraccolpo di due principali ondate di crisi: quella finanziaria del 2008, combinata con la crisi del mercato immobiliare e la recessione economica, fino alla più recente emergenza sanitaria da COVID-19, a sua volta portatrice di un’ulteriore crisi economica. In passato, alle crisi è seguita una legislazione speciale che ha introdotto misure di sostegno dei conduttori - appartenenti a categorie “vulnerabili” previamente individuate - tese a fronteggiare il rischio di sfratti e attinte a fondi pubblici all’uopo messi a disposizione, ma destinate a essere reiterate anche al di là della contingente onda d’urto: basti menzionare il Fondo per gli inquilini morosi incolpevoli (art. 6 c. 5, D.L. 31 agosto 2013, n. 102, convertito dalla legge 28 ottobre 2013, n. 124)[1].

Dalle misure di contenimento della pandemia è scaturita una vera e propria legislazione di emergenza, dal carattere tipicamente transitorio (D.L. n. 18 del 2020, c.d. Cura Italia). Rispetto al passato, essa ha posto soprattutto l’accento sul sottotipo non abitativo, per ragioni alquanto ovvie: la concreta destinazione all’attività economica o professionale che colora la causa del contratto, infatti, è resa temporaneamente impossibile o notevolmente più difficile dalle misure governative di contenimento e di prevenzione della diffusione del virus, così riducendo in modo drastico l’interesse locativo e alterando l’equilibrio economico del contratto a causa delle mutate condizioni del mercato[2].

La locazione abitativa è stata colpita in modo evidentemente differente dalle misure di contenimento della pandemia, che non hanno reso generalmente impossibile il godimento dell’alloggio, semmai rendendolo addirittura più intenso e necessario, se relativo alla dimora primaria. Piuttosto, i principali problemi conseguenti alla crisi sanitaria hanno riguardato: il temporaneo venir meno dello scopo abitativo “secondario”, nel caso delle locazioni per motivi di lavoro o di studio; l’impossibilità o notevole difficoltà oggettiva di rispettare il termine per il rilascio dell’immobile; l’onerosità sopravvenuta, determinata, alternativamente o cumulativamente, dalla difficoltà a onorare il pagamento del canone – in connessione con il clima generale di crisi economica -, nonché dall’incipiente diverso equilibrio fra le condizioni pattuite in origine e il livello del canone sopravvenuto, in ragione del tipo di alloggio nel mercato delle locazioni.

La riflessione che qui si propone muove dal discernere i problemi contingenti da quelli di più lungo periodo, destinati a proiettarsi oltre l’attuale pandemia, per valutare le risposte della legislazione dell’emergenza, guardando al duplice piano “micro” e “macro”. Essa si concentra, poi, sugli effetti della crisi sanitaria sul classico problema della sopravvenuta insostenibilità del canone, destinati a non esaurirsi nel più breve raggio temporale. Tale problema suscita vari ordini di interrogativi: se e quali rimedi offra attualmente la disciplina generale delle obbligazioni e del contratto; se siano auspicabili riforme delle sopravvenienze collocate sul piano della disciplina generale del contratto ovvero del tipo locativo; se sia sufficiente il diritto dei contratti o sia necessario chiamare in gioco leve di tipo pubblicistico.

 

[1] Misure di garanzia contro il rischio del mancato pagamento delle rate del mutuo sono state istituite anche nel settore dell’acquisto della proprietà della prima abitazione: v. art. 1, par. 48 lett. c), L. n. 147/2013, istitutivo del Fondo di garanzia per la prima casa.

[2] Sul tema, G. Carapezza Figlio, Locazioni commerciali e sopravvenienze da Covid-19. Riflessioni a margine delle prime decisioni giurisprudenziali, in Danno e resp., 2020, 698 ss.; V. Cuffaro, Le locazioni commerciali e gli effetti giuridici dell'epidemia, in www.giustiziacivile.com, 31 marzo 2020; A. A. Dolmetta, Locazione di esercizio commerciale (o di studi professionali) e riduzione del canone per misure di contenimento pandemico, in il caso.it, 23 aprile 2020; V. Roppo, in V. Roppo – R. Natoli, Contratto e Covid-19. Dall'emergenza sanitaria all'emergenza economica, in www.Giustiziainsieme.it; U. Salanitro, La gestione del rischio nella locazione commerciale al tempo del coronavirus, in www.giustiziacivile.com, 21 aprile 2020.


2. “Cura Italia” e piano “microeconomico”: principi generali e norme eccezionali.

La legislazione di emergenza ha reagito ai problemi sopra enunciati predisponendo due ordini di disposizioni, collocabili sul piano “microeconomico” e “macroeconomico”. Sotto quest’ultimo profilo viene in gioco essenzialmente una disposizione dal tenore generale, destinata a incidere sul ritardo o, più in generale, sull’inadempimento di obbligazioni contrattuali dovute all’attuazione delle stesse misure di contenimento (art. 91 Decreto “Cura Italia”). Nel puntualizzare la necessità di valutare il rispetto di tali misure nell’applicazione degli artt. 1218 e 1223 c.c. al fine di escludere la responsabilità del debitore - anche relativamente all’operare di decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti -, tale norma si rivolge, idealmente, all’autorità giudiziaria, cui viene imposto di valutare, nel giudizio sull’an o sul quantum della responsabilità del debitore, il factum principis. Con riguardo alla sfera di operatività dell’art. 1218 c.c., la disposizione è pressoché ridondante se riferita all’adempimento delle prestazioni di cose determinate o di servizi, in quanto la mancata responsabilità per il ritardo si ricaverebbe comunque dall’applicazione dell’impossibilità temporanea o, più in generale, della causa non imputabile.

Meno scontata, a prima vista, sembrerebbe l’esenzione dalla responsabilità per il ritardo con riguardo alle obbligazioni pecuniarie, in virtù dell’adagio che ritiene inconciliabile l’impossibilità della prestazione con l’appartenenza a un genus[1]. In realtà, le misure di contenimento della pandemia hanno dato linfa e fertile terreno di applicazione alla corrente di pensiero che, attenuando il rigore del requisito dell’assolutezza, assume una nozione relativa dell’impossibilità, commisurata al contenuto del concreto rapporto[2] e per altro verso, ammette, anche rispetto alle obbligazioni pecuniarie, il concetto di inesigibilità[3]; nonché a quella che, rileggendo la causa non imputabile alla luce della clausola della correttezza (art. 1175 c.c.), conferisce rilevanza anche alla notevole difficoltà di adempiere: al fine di liberare il debitore o, comunque, per esonerarlo dalla responsabilità per il ritardo[4].

Tenuto conto di questo sfondo concettuale, può concludersi che l’art. 91 citato abbia una portata generale e risponda a principi niente affatto eccezionali, limitandosi a tipizzare una causa non imputabile tanto imprevedibile, eccezionale e improvvisa da non lasciare comunque adito a dubbi circa la sua rilevanza ai fini dell’esclusione o dell’attenuazione della responsabilità[5]. Diversamente può concludersi a proposito del riferimento alle decadenze, per le quali la disposizione possiede una portata innovativa ed eccezionale, in quanto consente al giudice una valutazione che gli è generalmente preclusa dal carattere inesorabile dell’istituto.

In virtù della sua portata generale, è possibile sostenere che questa disposizione possa essere invocata non soltanto per giustificare i ritardi nel pagamento del canone strettamente conseguenti alle misure restrittive della libertà personale dovute al contenimento della pandemia (si pensi a casi di impossibilità o difficoltà a recarsi presso la banca o l’ufficio postale per i pagamenti, nel caso di persone sprovviste di home banking); ma possa altresì orientare l’autorità giudiziaria nella valutazione della responsabilità del debitore anche dopo l’esaurimento o l’attenuazione delle sopra menzionate misure, là dove queste abbiano comportato ulteriori e conseguenti difficoltà oggettive a rispettare le scadenze contrattuali (si pensi a conduttori a scopo abitativo colpiti dalla pandemia nel cuore delle loro attività economiche, che si trovano all’improvviso privi degli introiti necessari al pagamento del canone)[6].

 

[1] Ricorda l’adagio Corte di cassazione, Relazione tematica 8 luglio 2020, n. 56, https://www.cortedicassazione.it, 2.

[2] L. Mengoni, Responsabilità contrattuale (dir. vigente), in Enc. dir., XXXIX, Milano, 1988, 1072 ss.; U. Breccia, Le obbligazioni, Milano, 1991, 465 s., 477.

[3] L. Mengoni, Responsabilità contrattuale, loc. cit.; U. Breccia, Le obbligazioni, cit., 476.

[4] U. Natoli, L’attuazione del rapporto obbligatorio, in Tratt. Cicu – Messineo, XIV, t. 2, Milano, 1984, 71 ss.; U. Breccia, Le obbligazioni, cit., 474 ss.

[5] Anche in altre fasi storiche l’emanazione della legislazione di emergenza ha sollecitato riflessioni sul rapporto fra diritto generale e particolare: per tutti, F. Vassalli, Della legislazione di guerra e dei nuovi confini del diritto privato, in Riv. dir. comm., 1919, I, 1 ss.  

[6] V. infra.


2.1. Piano “macroeconomico” fra emergenza e gestione del medio periodo: la sospensione degli sfratti.

La legislazione emergenziale si è concentrata prevalentemente su un piano più generale rispetto a quello strettamente privatistico.

Gli interventi collocabili sul livello “macro” hanno attinto al bagaglio degli attrezzi delle politiche pubbliche già predisposti in occasione di crisi precedenti e volti a fronteggiare situazioni di precarietà abitativa derivanti, alternativamente o cumulativamente, dall’insostenibilità del canone, ovvero dalla scarsità dell’offerta degli alloggi, suscettibile di rendere intollerabili gli sfratti che, per le condizioni di vulnerabilità del conduttore o dei suoi familiari, avrebbero rischiato, in ultima analisi, di gravare sulla collettività[1].

Si è dunque provveduto, innanzitutto, a una (inizialmente generalizzata) sospensione di tutti i provvedimenti di rilascio degli immobili (anche a uso non abitativo), operante automaticamente, senza necessità di istanza da parte del conduttore, fino al 1° settembre 2020 (art. 103 c. 6). La sospensione è stata in seguito reiterata, dal D.L. n. 34/2020 (c.d. decreto “Rilancio”), fino al 31 dicembre 2020 e, con il successivo Decreto Milleproroghe, fino al 30 giugno 2021, “limitatamente ai provvedimenti di rilascio adottati per mancato pagamento del canone alle scadenze e ai provvedimenti di rilascio conseguenti all’adozione, ai sensi dell’articolo 586, comma 2, c.p.c., del decreto di trasferimento di immobili pignorati ed abitati dal debitore e dai suoi familiari.” Tale sospensione, inizialmente fondata sull’impossibilità di eseguire i provvedimenti di rilascio a causa delle misure di contenimento disposte per contrastare la pandemia - oltre che sulla loro inopportunità in una fase di persistenti rischi e incertezze, dove la casa (home) acquisisce il ruolo quasi primigenio di rifugio – si è trasformata, in seguito, in una misura di sostegno dei conduttori in difficoltà nel pagamento del canone (e, in generale, dei debitori abitanti l’immobile pignorato). Tale sospensione, evidentemente, ha un’ispirazione del tutto differente rispetto a quella disposta dall’art. 6 della legge n. 431/1998 e in seguito reiterata, tramite leggi speciali e temporanee: motivata dall’inadeguata offerta di abitazioni in aree geografiche densamente popolate, unita all’inesigibilità del rilascio in situazioni, previamente tipizzate, di vulnerabilità del conduttore o del suo nucleo familiare. In questa, infatti, i casi di provvedimento di rilascio per morosità erano esclusi ed era dovuta la maggiorazione del canone pattuito. Si comprende perché, già a partire dal 2013, in una fase connotata dalla crisi finanziaria ed economica, il legislatore avesse finito per abbandonare tali misure di sospensione a favore del sostegno ai conduttori in mora “incolpevole”.

La sospensione temporanea degli sfratti costituisce una misura necessitata in presenza dell’emergenza sanitaria e delle misure di contenimento del virus e come tale è stata messa in pratica nella generalità dei sistemi europei[2]; peraltro, vieppiù in questa contingenza, essa risponde allo standard di tutela del diritto al “respect for the home” raccomandato dall’art. 8 CEDU[3], come interpretato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo[4]. D’altra parte, si tratta di una misura che non può essere reiterata nel più lungo periodo senza prevedere misure di compensazione del sacrificio subito dalla proprietà privata per avere dovuto sostenere unilateralmente il costo della garanzia di un diritto sociale[5].

 

[1] Sul tema, per una visione comparatistica, Loss of Homes and Evictions across Europe. A Comparative Legal and Policy Examination, a cura di P. Kenna, S. Nasarre-Aznar – P. Sparkes – C. Schmid, Cheltenham, 2018.

[2] V. Model Emergency Housing Legislation. Protecting the Right to Housing during COVID-19, in https://www.justiceinitiative.org, 6.

[3] È da ritenere che la sospensione, come configurata dal primo provvedimento restrittivo, operasse anche rispetto alle occupazioni sine titulo di immobili motivate dall’esigenza abitativa primaria. È dubbio, invece, che le misure di sospensione più recenti si estendano a tali situazioni, anche se il perdurare della situazione di difficoltà generale e la concreta assenza di possibilità di alloggio alternative renderebbe comunque lo spossessamento immediato contrastante con l’interpretazione data all’art. 8 CEDU dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

[4] Si rinvia, per una più diffusa analisi sul tema, a E. Bargelli, La costituziobalizzazione del diritto privato attraverso il diritto europeo. Il right to respect for the home ai sensi dell’art. 8 CEDU, in Europa e diritto privato, 2019, 51 ss.

[5] Si tratta di un tema già sollevato dalla dottrina, in passato, a proposito della graduazione e della proroga degli sfratti (U. Breccia, Il diritto all’abitazione, Milano, 1980, 200 s.) e da tempo chiaramente espresso anche dalla Corte costituzionale (15 gennaio 1976, n. 89, in Giur. it., 1976, I, 880). 


2.2. Le misure di sostegno pubblico al pagamento del canone.

Il provvedimento “Cura Italia” si è altresì preoccupato delle difficoltà economiche indotte dalla crisi sanitaria: ampiamente noti, infatti, sono i nessi del mercato “degli affitti” con altri mercati (del lavoro, degli acquisti immobiliari), nonché con la domanda di residenze turistiche o, più generalmente, secondarie. Al fine di fronteggiare l’incipiente problema della sostenibilità del canone, quindi, esso ha rivitalizzato il Fondo nazionale per il sostegno all’accesso alle abitazioni in locazione (art. 65) - istituito dalla legge n. 431/1998 (art. 11) e più recentemente divenuto desueto - mettendo a disposizione 60 milioni di euro; ha rimpinguato con 9.5 milioni il sopra citato Fondo destinato agli inquilini in mora incolpevole: per tali intendosi quella dovuta alla perdita di lavoro per licenziamento; ad accordi aziendali o sindacali con consistente riduzione dell'orario di lavoro; alla cassa integrazione ordinaria o straordinaria che limiti notevolmente la capacità reddituale, al mancato rinnovo di contratti a termine o di lavoro atipici; alle cessazioni di attività libero-professionali o di imprese registrate, derivanti da cause di forza maggiore o da perdita di avviamento in misura consistente; a malattia grave, infortunio o decesso di un componente del nucleo familiare che abbia comportato o la riduzione del reddito complessivo del nucleo medesimo o la necessità dell'impiego di parte notevole del reddito per fronteggiare rilevanti spese mediche e assistenziali (art. 6 comma 5 d.l. 102/2013).

Si tratta di misure che, ora, si sommano alla sospensione degli sfratti[1] e tornano a soccorrere la fascia di popolazione che, pur non potendo accedere alla locazione pubblica - perché non ne possiede i requisiti o perché, pur essendone dotata, è rimasta fuori dalle graduatorie per mera insufficienza degli alloggi disponibili -, non riesce a sostenere i canoni alle condizioni di mercato, né ha i mezzi per l’acquisto di un’abitazione.

Considerata la prevedibile onda lunga della pandemia sull’occupazione e sui redditi, tali misure avranno una proiezione temporale che andrà oltre l’attuale contingenza, riproponendo le perplessità già avanzate in passato. Ciò può dirsi, in particolare, a proposito del sostegno economico all’accesso alle abitazioni in locazione, che ha manifestato criticità nella sua ultraventennale applicazione pratica[2]: essa, infatti, costituisce una circostanza suscettibile di interferire con la determinazione del livello di mercato dei canoni e, in particolare, a favorirne l’innalzamento, traducendosi, in ultima analisi, in un mezzo di finanziamento della proprietà privata. Si è dunque rivelato preferibile, perché più mirato, il Fondo destinato agli inquilini morosi incolpevoli.

Perplessità ingenera anche la mancanza, nella disciplina emergenziale statale, dell’indicazione di un criterio generale e uniforme cui le Amministrazioni pubbliche debbano attenersi per alleviare le eventuali difficoltà dei conduttori tenuti al canone ERP, la cui gestione - ovvero, l’eventuale temporanea sospensione o parziale sostegno con fondi pubblici - resta interamente rimessa alle regioni e ai comuni.

 

[1] Retro, 2.1.

[2] V. l’analisi di M. Baldini, Housing Policy Toward the Rental Sector in Italy: a Distributive Assessment, in Housing Studies, 27, 2012, 563 ss.


3. I problemi causati dall’emergenza.

Se si eccettua l’art. 91, la legislazione di emergenza ha in larga misura lasciato i problemi più attinenti al piano “micro” ai rimedi messi a disposizione dalla disciplina generale del contratto e da quella speciale della locazione.

Quattro sono i principali scenari problematici che si aprono all’interprete: a) l’impossibilità temporanea di fruire dell’alloggio; b) la sopravvenuta inutilità dello stesso; c) l’insostenibilità del canone dovuta al repentino peggioramento delle condizioni economiche del conduttore, oppure d) al mutamento repentino delle condizioni del mercato delle locazioni e alla drastica riduzione del livello dei canoni in rapporto a quello pattuito.

I primi due problemi rivestono un carattere più contingente, i secondi pongono problemi destinati a sopravvivere alla fase emergenziale. Tutti offrono, per un verso, terreno fertile per l’applicazione della clausola generale della correttezza nel suo ruolo classico di “valvola di sicurezza” del diritto delle obbligazioni; per un altro verso, sfidano l’attuale parte generale del contratto, evidenziandone le lacune e rivitalizzando istituti pressoché desueti, come la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta (art. 1467 c.c.).


3.1. Problemi contingenti: l’inutilità e l’impossibilità sopravvenuta del godimento.

Il tema del venir meno dell’interesse abitativo è venuto in gioco a seguito della chiusura o dello svolgimento online delle attività didattiche o lavorative, su cui si è innestata la libera scelta del conduttore di trasferirsi in un’altra residenza costituente domicilio familiare. La posizione del conduttore abitativo, prima facie, è diversa da quella di chi ha preso in locazione un immobile per svolgere un’attività professionale, commerciale o alberghiera, il cui svolgimento viene inibito dalle misure del Governo: nel caso in questione, infatti, non è impedito né reso più disagevole l’uso abitativo convenuto.

La legislazione di emergenza, come si è visto, contempla l’impossibilità sopravvenuta e temporanea del godimento derivante da circostanze soggettive, seppure di patente oggettività (il prolungato ricovero ospedaliero da COVID o una misura restrittiva della libertà di spostamento): il debitore può essere così esonerato da responsabilità per il ritardo nel pagamento del canone (art. 91 del decreto “Cura Italia, art. 1218 c.c.), oppure, eventualmente, nell’inesigibilità di una quota del canone (per esempio, per le utenze, se in questo incluse), in base al bilanciamento di interessi che l’applicazione della clausola di buona fede, calata nel caso concreto, porta con sé.

All’impossibilità temporanea e/o parziale del godimento neppure la disciplina del tipo e del sottotipo offre soluzioni ad hoc, contemplando, nondimeno, la possibile riduzione del corrispettivo là dove la privazione del godimento derivi da vizi (art. 1578 c.c.) o dalla necessità di riparazioni (art. 1584 c.c.): cioè da una parziale e oggettiva impossibilità della prestazione dal lato del locatore, in sé e per sé considerata.

In condizioni di normalità, la legislazione speciale mette a unilaterale disposizione del conduttore un rimedio efficace rispetto al sopravvenire di circostanze anche attinenti alla sua sfera privata – purché oggettivamente rilevanti - che gli abbiano reso gravosa la prosecuzione del rapporto[1]: il recesso per gravi motivi (art. 4 della legge n. 431/1998). Esso è assoggettato, però, a un preavviso di 6 mesi, che, nello scenario dell’emergenza pandemica, rischia di renderlo concretamente ineffettivo.

A seguito della chiusura improvvisa e temporanea delle attività lavorative o didattiche, l’interesse del conduttore, invece, potrebbe essere quello a recedere immediatamente, o a ottenere una riduzione del canone in ragione della sospensione della ragione abitativa che ha giustificato la stipulazione del contratto. Ciò si apprezza, in particolare, in relazione alla locazione per studenti universitari, ovvero a quel sottotipo della locazione abitativa, tipizzato (v. DM 30 dicembre 2002), ove l’esigenza di frequentare un determinato corso di studi risulta espressamente dal modello contrattuale e costituisce la specifica causa che ne consente la sottrazione alla disciplina di cui alla legge n. 431/1998 (art. 5). Ora, se per le locazioni concluse dopo l’esplosione della pandemia l’eventualità di eventuali, future misure restrittive costituirà verosimilmente oggetto di un’apposita clausola contrattuale - e, comunque, non potrà più dirsi imprevedibile -, per quelle in corso al momento dell’emanazione delle misure restrittive, in mancanza di determinazioni convenzionali, sorge il problema se le cause del venir meno dell’interesse abitativo possano mettere in discussione la distribuzione del rischio fra le parti desumibile dalla disciplina del tipo. In senso affermativo è possibile addurre l’argomento fondato sul loro carattere eccezionale, imprevedibile, straordinario e oggettivamente esorbitante dall’alea normale che il conduttore si assume al momento della stipulazione del contratto: concernente circostanze magari improvvise e concretamente imprevedibili, tali da rendere non più utile il bene locato, ma pur sempre, almeno in astratto, ipotizzabili ed attinenti alla sua sfera di interessi. Onde la concessione del diritto di recesso succitato. Il preavviso di sei mesi, rispetto a questo raggio di situazioni, mira a realizzare un contemperamento fra l’interesse del conduttore a lasciare l’immobile e quello del locatore ad usufruire di un lasso di tempo sufficiente per trovare un nuovo contraente.

Rispetto all’emergenza pandemica, invece, l’inerenza dell’uso abitativo secondario alla causa del contratto, il carattere esorbitante dell’evento rispetto all’alea normale e l’impossibilità o la notevole difficoltà, per il locatore, di rimettere il bene sul mercato – il tutto combinato con la clausola della correttezza – portano a concludere che si determini un’alterazione dell’equilibrio contrattuale tale da avvicinare questo tipo locativo (pur senza equipararlo) a quello a uso non abitativo funzionale allo svolgimento di un’attività commerciale o professionale inibita[2]. Cosicché, se il conduttore esibisse un interesse oggettivo allo scioglimento immediato del contratto (si pensi a chi consegue la laurea durante o subito dopo la chiusura delle attività didattiche in presenza o a chi frequenta un corso che non riprenderà in presenza neppure nell’anno accademico successivo), i fattori sopra evocati – la caduta del presupposto sottostante alla conclusione del contratto e l’assoluta straordinarietà e imprevedibilità dell’evento – potrebbe collocare il rimedio da lui invocabile nell’area dell’istituto di diritto vivente della presupposizione[3].

Se, invece, il conduttore avesse interesse a mantenere il rapporto contrattuale e a ottenere una temporanea sospensione o diminuzione del canone corrispondente all’interruzione dell’interesse abitativo per il factum principis, l’unica via da percorrere – in assenza di un “diritto all’autoriduzione” - è quella di assimilare questa situazione a quella della sopravvenuta, parziale e transitoria impossibilità di garantire al conduttore l’uso convenuto (e, più in particolare, quello intorno al quale è costruita la regolamentazione normativa), interpretando in modo estensivo il concetto di “privazione del godimento”.

 

[1] Cass. 11 marzo 2011, n. 5911, in Arch. loc. cond., 2011, 654.

[2] Si veda, sul punto, l’orientamento adottato dal Tribunale di Roma in tema di rimedi manutentivi dei contratti di locazione commerciale: Trib. Roma, 29 maggio 2020, 25 luglio 2020, 27 agosto 2020, in I contratti, 2021, 19 ss., con nota di R. Gelli, Emergenza sanitaria e rinegoziazione dei contratti di locazione commercial e affitto di azienda.

[3] Nell’impossibilità di dar conto dell’ingente letteratura sull’argomento, si rinvia a una limitata lista di autori: A. Belfiore, La presupposizione, Torino, 1998; M. Bessone – A. D’Angelo, Presupposizione, in Enc. dir., XXXV, 1986, 326 ss.; C. Camardi, Economie individuali e connessione contrattuale. Saggio sulla presupposizione, Milano, 1997; A. Cataudella, Eccessiva onerosità sopravvenuta e presupposizione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2016, 789 ss.; M. Maggiolo, Presupposizione e premesse del contratto, in Giustiziacivile.com., 2014; A. Nicolussi, Presupposizione e risoluzione, in Europa e diritto privato, 2001, 363 ss.


4. Oltre l’emergenza: “morosità incolpevole”, tolleranza e inesigibilità temporanea.

Le questioni riconducibili all’insostenibilità sopravvenuta del canone sono destinate ad avere un impatto non transeunte, in quanto riconnesse agli effetti della pandemia, nel medio e lungo corso, sul mercato del lavoro e delle locazioni.

Punto di avvio della riflessione è il concetto di “morosità incolpevole”, già coniato dalla legislazione speciale in conseguenza della prima crisi immobiliare successiva a quella finanziaria del 2008. Definita come una situazione di sopravvenuta impossibilità a provvedere al pagamento del canone locativo a ragione della perdita o consistente riduzione della capacità reddituale del nucleo familiare" (art. 1 decreto del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti del 14 maggio 2014), della “morosità incolpevole” si è fatto un reiterato uso in conseguenza del ricorrere delle crisi del settore immobiliare o che su questo si riverberano, al fine di giustificare il sostegno di diritto pubblico nei confronti dei conduttori che si trovano nella situazione sopra descritta. Ai fini dell’accesso al fondo, la “morosità incolpevole” acquisisce rilievo allorché i conduttori, oltre a rispettare i parametri ISE/ISEE previsti dal decreto e risiedere nell’alloggio da oltre un anno, siano destinatari di un atto di intimazione di sfratto per morosità: la valutazione della situazione di difficoltà economica del conduttore, quindi, ha luogo a contratto risolto, nella fase dell’esecuzione dello sfratto.

A un concetto analogo di mora incolpevole si è ispirata altresì la legislazione dell’emergenza in soccorso dei mutuatari in difficoltà in conseguenza della crisi finanziaria, nell’istituire un fondo perspicuamente destinato a finanziare le richieste di sospensione dei pagamenti delle rate (il c.d. fondo Gasparrini: art. 2, commi 475 ss L. n. 244 del 24/12/2007). Inizialmente destinato ai mutui accesi per l'acquisto della prima casa, il fondo, rifinanziato dal Decreto Cura Italia, confermato dal Decreto Liquidità e, poi, dal Decreto Ristori (Decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137), ha visto allargata la platea di potenziali beneficiari in conseguenza della pandemia. Rispetto alla misura adottata nel settore della locazione, questa, più convincentemente, mira a prevenire la morosità e l’attivazione delle procedure esecutive, ma si ispira all’idea comune di alleviare le situazioni di sopravvenuta insostenibilità dei pagamenti periodici dovuti agli effetti dei mutamenti macroeconomici sui singoli rapporti contrattuali.

È evidente che il legislatore abbia adoperato o evocato la “morosità incolpevole” – con il suo retroterra di “unaffordability” dipendente dalla crisi economica generale – senza attribuire all’aggettivo nessun significato sistematico: intendendo riassumere con tale espressione – ai soli fini, appunto, dell’accesso al sostegno pubblico – situazioni ben definite in cui il mancato o ritardato adempimento dell’obbligazione pecuniaria dipenda da una riduzione del reddito familiare, dovuta alla perdita, totale o parziale, dell’occupazione.

Nondimeno, se di tale comune concetto la legislazione speciale si è avvalsa così spesso nell’arco di oltre dieci anni, privilegiando settori che implicano rapporti contrattuali di durata e toccano bisogni primari (l’abitazione), è del tutto legittimo chiedersi in che limiti tale espressione abbia una vocazione più generale e trovi cittadinanza anche nei rapporti fra privati, per poi ulteriormente domandarsi come essa si declini e quali rimedi sia in grado di attivare, al di là degli stretti confini dell’eventuale accesso al fondo pubblico.

Un primo indizio a favore della rilevanza della “morosità incolpevole” anche nei rapporti fra privati si ritrae dalla disciplina extracodicistica del tipo abitativo: dove, già nella fase precedente allo sfratto, quando ancora il rapporto contrattuale è in essere, l’autorità giudiziaria è chiamata a una valutazione circa la “non imputabilità” del ritardato o mancato adempimento nel corso del giudizio di risoluzione per morosità, ai fini della concessione di un termine di grazia e di un diritto di sanatoria (art. 55 legge n. 392/1978). In particolare, in presenza di comprovate condizioni di difficoltà del conduttore che non ha sanato la mora in udienza, il giudice può assegnargli un termine non superiore a giorni novanta per farlo; quando, poi, la mora è conseguente alle precarie condizioni economiche del conduttore, insorte dopo la stipulazione del contratto e dipendenti da disoccupazione, malattie o gravi, comprovate condizioni di difficoltà, il termine per la sanatoria si allunga fino a centoventi giorni (purché, però, l'inadempienza non si sia protrattasi per più di due mesi).

Non può sottacersi che l’aver collocato (rectius, confinato) in una fase di già conclamata conflittualità la valutazione della situazione di disperata impotenza finanziaria del conduttore desti più di una perplessità: più ancora, in quanto il suo effetto è di prolungare la durata del procedimento giudiziale di sfratto per morosità fino a ulteriori 120 giorni, senza nessuna garanzia che il conduttore sarà in grado di sanare la mora al termine di questo periodo e, piuttosto, con la ragionevole presunzione che non lo sarà, vista la gravità delle cause a fondamento del suo inadempimento. L’ulteriore conseguenza è non soltanto l’esacerbarsi della conflittualità fra le parti, ma il rischio di demotivare i potenziali locatori a immettere sul mercato gli immobili in locazione a scopo abitativo primario, considerata la potenziale farraginosità del procedimento di sfratto.

Occorre chiedersi, allora, se la sussistenza di comprovate difficoltà economiche del conduttore rilevi anche precedentemente alla fase patologia e giudiziale. In senso affermativo soccorre una prospettiva interpretativa tesa, per un verso, a valorizzare i profili della relazione, della durata e dell’interesse alla conservazione del rapporto nel rileggere la disciplina generale del contratto e delle obbligazioni[1]; per un altro verso, a mettere a fuoco la finalizzazione del contratto a soddisfare esigenze relative a beni e a servizi primari, anche al di là di una logica meramente commutativa e in un’ottica di umanizzazione dei rapporti contrattuali[2], che, soprattutto in una fase di crisi destinata a colpire l’intera collettività (addirittura globale), non può non richiedere anche doveri di solidarietà nei rapporti individuali.

Questa prospettiva interpretativa ha trovato riscontro nella giurisprudenza maturata a proposito della locazione a uso diverso da quello abitativo ben prima dell’attuale periodo di crisi, là dove si è mostrata disposta a valorizzare l’atteggiamento di ripetuta, abituale tolleranza del locatore rispetto a ritardi pregressi al fine di negargli la facoltà di avvalersi della clausola risolutiva espressa[3]. Traspaiono già, da questo orientamento, l’importanza della relazione e dell’affidamento, nonché i loro possibili riverberi sull’esercizio dei rimedi contrattuali, sulla valutazione del comportamento processuale contraddittorio di una delle parti e sulla conservazione del rapporto, anche indipendentemente dal peso dell’interesse locativo implicato. Si è evocato, a tal fine, il concetto di tolleranza, che si sostanzia in un atteggiamento passivo del titolare di un diritto rispetto all’altrui violazione, capace di ingenerare affidamenti ma non di precludere la valutazione di illiceità dell’altrui condotta[4].

Al di là della tutela dell’affidamento ingenerato da una condotta di acquiescenza di fronte all’inadempimento del conduttore, occorre sondare una strada ulteriore: se, cioè, le circostanze che rendono “incolpevole” la mora riescano a entrare nella cruna della causa non imputabile ai sensi dell’art. 1218 c.c. Il concetto di “morosità incolpevole”, invero, si è già fatto strada nella giurisprudenza nei casi in cui - a proposito della locazione commerciale – è stata accolta l’opposizione allo sfratto ed imputato alla contingenza sanitaria il mancato adempimento dell’obbligo di pagamento del canone, con concomitante riferimento all’art. 1464 c.c. al fine di giustificare la riduzione del canone in virtù dell’impossibilità parziale temporanea del godimento dell’immobile[5]. Nella locazione per uso abitativo primario tale aggancio normativo, come si è già precisato, non è immediatamente utilizzabile. Tuttavia, la rilettura della causa non imputabile alla luce della clausola della correttezza - che rinvia al valore e al peso degli interessi coinvolti: qui, quelli che fanno da corona al concetto di home[6] – induce a concludere che le contingenze eccezionali, inaspettate e inevitabili in cui può essersi trovato il conduttore pur dopo l’immediata vigenza delle misure restrittive ed in conseguenza della loro “onda lunga”, possano configurarsi come cause di temporanea inesigibilità della prestazione nei tempi o nella misura originariamente concordata[7]. Ne deriva la necessità, per il locatore, di mitigare la sua pretesa alla luce delle contingenze sopravvenute e di un contemperamento dell’interesse suo e del conduttore, scegliendo la soluzione capace di prevenire l’insorgere di una patologia del rapporto contrattuale nell’ambito di un’articolata e flessibile gamma di possibilità: la concessione di termini di grazia, di sospensioni dei pagamenti, di una riduzione degli importi periodici dovuti. L’entità e la durata saranno determinate alla luce del ragionevole affidamento che il conduttore riesca a uscire dalla situazione di difficoltà finanziaria in cui si trova, tenuto conto del prolungarsi delle difficili contingenze economiche generali.

Il reiterarsi della crisi sanitaria oltre il breve periodo pone anche la domanda se la difficoltà economica del conduttore possa giustificare un vero e proprio obbligo di rinegoziazione delle condizioni economiche in corso di rapporto in una situazione eccezionale come quella attuale (lasciando impregiudicata, cioè, la questione della sua generale ammissibilità nel diritto vigente)[8]. Quando sia in gioco la mera insostenibilità soggettiva di un canone in sé non eccessivo - in quanto in linea con le condizioni attuali di mercato - è da escludere che sia giustificato un obbligo di rinegoziazione al ribasso del canone, in quanto si rischierebbe di far gravare unilateralmente e sproporzionalmente sul locatore le difficoltà economiche del conduttore, anche se dipendenti da una contingenza generale (salvo quanto si dirà più oltre, a proposito delle forme di presa in carico della collettività del sacrificio sopportato dai proprietari)[9].

La questione si pone, invece, allorché il corrispettivo concordato originariamente sia divenuto eccessivo rispetto alle condizioni di mercato post pandemia.

 

[1] Si tratta di una prospettiva valorizzata dai contributi monografici in materia di contratti di durata, che è qui possibile richiamare solo a titolo esemplificativo: F. Macario, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, cit.; in prospettiva comparata v. W. Doralt, Langzeitverträge, Tübingen, 2018.

[2] L. Nogler – U. Reifner, Life Time Contracts, The Hague, 2014, XVII ss.

[3] Cass. 9 febbraio 1998, n. 1316, in Giur. It., 1999, 273.

[4] Sulla tolleranza, in generale, S. Patti, Tolleranza (atti di), in Enc. dir., XLIV, 1992.

[5] Trib. Venezia, 28 luglio 2020, n. 5480, in dejure.it; Trib. Roma, 25 luglio 2020, in dejure.it; contra, Trib. Pordenone, 8 luglio 2020, in dejure.it.

[6] Si rinvia a E. Bargelli, Costituzionalizzazione del diritto privato attraverso il diritto europeo: il right to respect for the home ai sensi dell’art. 8 CEDU, in Europa e dir. priv., 2019.

[7] È la linea di ragionamento sottesa alla prospettazione di “contratti di durata per l’esistenza della persona”: v. A. Nicolussi, Etica del contratto e “contratti di ‘durata’ per l’esistenza della persona, in Life Time Contracts, cit., 153 ss.; l’implicita base teorica del ragionamento si rinviene nella letteratura citata retro, note 4, 5, 6.

[8] L’ammissibilità di tale rimedio, com’è noto, trova il sostegno di una parte della dottrina (v., per tutti, F. Macario, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, Napoli, 1996; la tesi è ripresa in vari scritti successivi: per es., Rischio contrattuale e rapporti di durata nel nuovo diritto dei contratti: dalla presupposizione all’obbligo di rinegoziare, in Riv. dir. civ., 2002, I, 63 ss.; V. Roppo, Il contratto, Milano, 2001, 1046 ss.) e, ora, l’avallo della Relazione tematica della Corte di Cassazione, n. 56/20, cit., 20 ss.; sono state prospettate, anche di recente, tesi critiche (da ultimo, E. Tuccari, Sopravvenienze e rimedi nei contratti di durata, Padova, 2018); per una ricostruzione alternativa, v. F. Piraino, Osservazioni intorno a sopravvenienze e rimedi nei contratti di durata, in Europa e diritto privato, 2019, 585 ss. Per una sintesi del dibattito, P. Gallo, Revisione e rinegoziazione del contratto, in Dig. Disc. Priv., Sez. civ., Aggiornamento, ****** 2011, 812 s.; G. Sicchiero, La rinegoziazione, in C. e i., 2002, 774 ss.

[9] V. infra, 4.1. e 5.


4.1. L’eccessiva onerosità sopravvenuta del canone e i rimedi contrattuali.

La questione sollevata alla fine del paragrafo precedente scaturisce dai dati statistici messi a disposizione dai professionisti del mercato immobiliare, che hanno registrato un aumento dell’offerta di immobili quale conseguenza del calo della domanda di abitazioni, dovuto al crollo dei mercati collaterali rispetto a quello della dimora primaria (B&B e locazioni per ragioni di studio e di lavoro, colpite dalla riduzione dei flussi turistici e dalla diffusione dello smart working e della didattica a distanza)[1]. In tale situazione, si registra una tendenza al ribasso del livello dei canoni, anche dovuta all’aumento statistico dei casi di opzione a favore del canone concordato.

È appena il caso di ricordare che a una contingenza opposta dovette far fronte la legislazione d’emergenza conseguente alle crisi causate dalle due guerre mondiali, quando la drastica riduzione di alloggi disponibili impose al legislatore provvedimenti eccezionali di congelamento dei canoni[2].  

All’obiettivo di prevenire incrementi in corso di rapporto, invero, si è ispirata sempre la legislazione speciale sul tipo abitativo: anche quella attualmente vigente, infatti, si basa sull’assunto dell’immodificabilità del canone per tutta la durata del contratto e fino al secondo rinnovo, quando le parti possono attivare la procedura che consente la prosecuzione del rapporto a nuove condizioni (art. 2 L. n. 431/1998). L’evidente obiettivo è quello di mettere in sicurezza il conduttore, impedendo incrementi di canone non solo nel corso di un rapporto avente una durata minima legale (a parte l’aggiornamento in base all’indice ISTAT, ove previsto dal contratto: art. 32 L. n. 392/1978), ma anche per l’ulteriore periodo di rinnovo. Non è consentito, infatti, dare disdetta alla prima scadenza al fine di maggiorare il corrispettivo, anche qualora tale richiesta fosse motivata dalla parziale ristrutturazione dell’immobile (fra le ragioni di recesso alla prima scadenza, infatti, è annoverata solo “l'integrale ristrutturazione dell’immobile” nel quale si trova l’appartamento ovvero la sua demolizione o radicale trasformazione per realizzare nuove costruzioni: art. 3 lett. e) L. n. 431/1998)[3]. La rigidità della disciplina del tipo abitativo sotto il profilo dell’equilibrio economico del contratto ha, dunque, una sua intima coerenza, anche se presenta qualche ovvio svantaggio: per esempio, finisce per disincentivare gli investimenti nel miglioramento della qualità degli immobili manente locatione (un profilo della regolamentazione legislativa da ritenersi ancora inadeguato)[4].

Il conduttore in difficoltà che si trovi a dover pagare un canone divenuto eccessivo rispetto ai livelli del mercato potrebbe teoricamente attingere alla risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, sperando nell’eventualità dell’offerta di riconduzione a equità del contratto[5]. Sembra plausibile ritenere, infatti, che l’art. 1467 c.c. possa essere applicato anche quando la contingenza eccezionale e imprevedibile comporti un abbassamento del livello dei canoni nel mercato tale da non rendere quelli pattuiti oggettivamente eccessivi (se, per esempio, lo scarto si attesta in una percentuale del 10%[6]): purché, però, quella stessa contingenza abbia peggiorato le condizioni economiche del conduttore, rendendo per lui comunque eccessivo il canone concordato in origine.

Una soluzione di questo tipo, tuttavia, non offrirebbe garanzie di soddisfazione dell’interesse del conduttore alla conservazione della propria dimora. In questa eccezionale contingenza, un obbligo di rinegoziazione del canone sarebbe non solo più funzionale a questo fine, ma potrebbe indurre il locatore renitente a rinunciare alla speranza di ricavare, da una nuova locazione, un corrispettivo frutto di precedenti e migliori condizioni di mercato e a non imbarcarsi in una procedura di sfratto anche per lui potenzialmente complessa e costosa[7]. Del resto, che, in una così straordinaria situazione, la rinegoziazione del canone risponda al canone della buona fede oggettiva – con il suo implicito carico di bilanciamento di interessi – e persino della ragionevolezza lo dimostra la sua spontanea e consensuale attuazione in una percentuale rilevante di rapporti di locazione post pandemia e, con ciò, la sua rispondenza a una normatività sociale prima che giuridica. Lo conferma altresì che ne abbiano fatto una sorta di parola d’ordine le associazioni rappresentative degli inquilini e dei consumatori[8].

Nel più lungo periodo, tuttavia, lasciare la soluzione del problema della sopravvenuta insostenibilità del canone al braccio armato di un rimedio giudiziale di rinegoziazione non sarebbe soddisfacente. Al di là delle situazioni extra ordinem in cui esso potrebbe operare come ratio extrema, un generalizzato obbligo di rinegoziazione in via giudiziale del canone, in dipendenza del mutamento delle condizioni economiche di una delle parti e delle alterazioni del mercato immobiliare e del lavoro desterebbe più di una perplessità, almeno all’interno della sfera di applicazione della legge n. 431/1998. Ove, infatti, la facoltà di chiederla fosse attribuita a entrambe le parti (in ragione della frequente natura non professionale del locatore), esporrebbe il conduttore alle fluttuazioni verso l’alto (persino alle bolle) del mercato immobiliare, ovvero allo scenario che la legislazione del settore abitativo ha sempre inteso scongiurare attraverso il dogma dell’immutabilità del canone in corso di rapporto. Ove, invece, fosse prevista a unilaterale vantaggio del conduttore a uso abitativo primario, rischierebbe di alterare il bilanciamento di interessi che il legislatore ha tracciato attraverso la previsione di una durata minima inderogabile e, in ultima analisi, di deprimere l’offerta di immobili destinata a tale finalità.

Assai preferibile sarebbe, anche nel più lungo periodo, reiterare e rafforzare gli incentivi pubblici ad aderire ai canoni concordati, in fase di negoziazione e di rinegoziazione del contratto: in questa direzione si è già mossa qualche amministrazione pubblica promuovendo, fra le associazioni maggiormente rappresentative dei proprietari e degli inquilini, “accordi territoriali sugli affitti”[9].

 

[1] https://www.mutuionline.it/news/mutuionline-informa/coronavirus-gli-effetti-sul-mercato-degli-affitti-00031074.asp

[2] Per un’analisi più dettagliata, v. E. Bargelli, Proprietà e locazione. Prelazione e valore di scambio, Torino, 2004, 69 ss.

[3] E. Bargelli, Le locazioni abitative, in Tratt. Dei contratti, a cura di Roppo, II, Cessione e uso di beni, Milano, 2014, 1109 s.

[4] E. Bargelli, op. ult. cit.

[5] Nega la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta di un contratto a canone concordato, subordinandola alla prova (in concreto non data) del peggioramento della condizione patrimoniale del conduttore, Trib. Pisa, 30 giugno 2020, in Dir. e giustizia, 17 agosto 2020.

[6] Secondo quanto riporta https://www.mutuionline.it/news/mutuionline-informa/coronavirus-gli-effetti-sul-mercato-degli-affitti-00031074.asp, la riduzione sarebbe dello 0,9%, nel primo semestre 2020, per bilocali e trilocali.

[7] V., a proposito di un caso di locazione commerciale, l’ordinanza del Trib. Milano, 21 ottobre 2020 e il commento di A. Celeste, Invito del magistrato alla rinegoziazione del cacone di locazione, stante il (passato) lockdown e il (probabile) coprifuoco, in Immobili & proprietà, 2020, 709 ss.

[8] L’opportunità di promuovere forme stragiudiziali e assistite di rinegoziazione è già emersa nel dibattito: A. Dolmetta, Il problema della rinegoziazione (ai tempi del coronavirus), in www.giustiziacivile.com, 4 giugno 2020.; M. Rabitti, Pandemia e risoluzione delle future controversie. Un’idea grezza, in www.diritto.bancario.it, 23 aprile 2020.

[9] https://www.gonews.it/2020/06/25/riduzione-affitti-firenze-patti-territoriali/.


5. La sostenibilità oltre l’emergenza: l’innesto necessario fra privato e pubblico.

Fra i problemi su sui si sono soffermate queste pagine, quello della sostenibilità del canone “libero” - sia nella fase dell’accesso all’alloggio sia nel corso del rapporto – è certamente destinato a permanere anche oltre l’emergenza sanitaria. Si tratta, infatti, di un problema classico del mercato delle locazioni abitative, sempre strisciante e riacutizzatosi in un recente passato, in occasione della recessione economica conseguente alla crisi finanziaria intorno agli anni dieci di questo secolo.

L’attuale emergenza sanitaria ha spinto a sondare i confini della causa non imputabile e dell’inesigibilità nelle obbligazioni pecuniarie e a sottoporre a una sorta di stress test i rimedi contrattuali – anche non codificati – rispetto alle sopravvenienze. È stato detto che, per i contratti di “puro” diritto civile o commerciale, il Covid-19 abbia segnato “il trionfo dei regimi delle sopravvenienze (impossibilità ed eccessiva onerosità sopravvenuta) e dell’inadempimento”[1]. L’affermazione è certamente vera anche per la locazione abitativa, seppure in misura più limitata rispetto al tipo commerciale e ad altri contratti di durata.

Intorno al tipo abitativo si è condensato un concetto ad alta densità evocativa – la “morosità incolpevole” - che, pur applicato dal legislatore speciale ed emergenziale per attivare fondi destinati a prevenire sfratti conseguenti alla sopravvenuta insostenibilità del canone e la risoluzione di determinate categorie di finanziamenti, trova cittadinanza anche nei rapporti fra privati, oltre il settore della locazione (e del mutuo) e, potenzialmente, al di là dell’emergenza.

Con l’occhio rivolto al più lungo termine, l’impatto della pandemia ha offerta alla dottrina l’occasione per tornare sul tema della riforma della disciplina generale del contratto e dell’introduzione di strumenti diretti all’adeguamento alle sopravvenienze e alla manutenzione del rapporto (fra tutti, lo strumento controverso della rinegoziazione)[2]: anche in vista di obiettivi di giustizia sociale[3]. Non vi è dubbio che la disciplina generale del contratto (e, in particolare, dei contratti di durata) si gioverebbe di una tale riforma; è invece dubbio, per le ragioni accennate nelle pagine precedenti, che di questa si avvantaggerebbe in modo rilevante la locazione abitativa, seppure, a sua volta, bisognosa di più di un ritocco sotto il profilo della disciplina della formazione e del governo del rapporto contrattuale.

Né sarebbe auspicabile che il problema della sostenibilità fosse risolto, strutturalmente, con una riforma del tipo abitativo che reintroducesse forme di controllo del canone legale ispirate alla giustizia distributiva o elargisse irrealistici termini di grazia per l’inquilino moroso, sulla falsariga degli interventi vincolistici del passato, affidati in larga misura allo strumento delle norme imperative. È pressoché unanime, infatti, la valutazione negativa di questo tipo di limiti (“dirigistici”) dell’autonomia privata, tipici del rent control di prima generazione[4].

Non che il settore della locazione abitativa, pur dopo il fallimento della legge del 1978, sia alieno dallo sperimentare l’uso di rimedi contrattuali classici con l’obiettivo di conseguire più ampie finalità pubbliche. Basti pensare non solo alla riconferma dell’inderogabilità in pejus almeno dell’essenziale architrave posto a protezione del conduttore[5], ma anche all’inedita introduzione della nullità per l’omessa registrazione del contratto di locazione (art. 13 L. n. 431/1998), al fine di combattere l’evasione fiscale[6]: un obiettivo, peraltro, assai meglio conseguito attraverso il sistema facoltativo di tassazione separato dei redditi da locazione ad aliquote fisse (la nota «cedolare secca»)[7].

Nondimeno, il modello cui il legislatore è approdato venti anni fa riconduce la disciplina dei rapporti fra locatore e conduttore entro il raggio della giustizia commutativa, ispirandosi a una generale tendenza – nominata, con termine icastico, “regulatory equilibrium[8] - riscontrabile in un largo numero di sistemi dell’Europea occidentale e successiva ai superati regimi vincolistici. 

Ciò non significa precludere a priori residuali effetti distributivi conseguenti all’applicazione delle clausole generali, nell’ottica di una valutazione caso per caso[9]. Si intende piuttosto rimarcare che, nel settore della locazione della residenza primaria, caratterizzato dalla presenza percentualmente prevalente di due soggetti non professionisti, dominato dalla contrattazione individuale (seppur condotta, spesso, sulla base di modelli standard) e rivolto alla soddisfazione di un bisogno essenziale, perseguire la regolazione del mercato o addirittura finalità distributive attraverso il mero potenziamento dei rimedi contrattuali a favore del conduttore produrrebbe effetti in ultima analisi negativi sull’offerta degli alloggi da concedere in godimento a scopo abitativo: il cui incremento, al contrario, deve costituire un obiettivo da promuovere.

D’altra parte, per far fronte al problema della sostenibilità non sarebbe possibile far affidamento sulle sole locazioni di diritto pubblico, vista l’attuale scarsità dell’offerta di alloggi ERP (anche a causa delle successive ondate di privatizzazioni), l’incremento dei potenziali beneficiari e le loro persistenti criticità[10].

Merita, piuttosto, di essere consolidata la tendenza all’innesto, nel regime privatistico, di misure di “riconoscimento sociale” del sacrificio accettato dai locatori[11] per effetto della loro disponibilità alla negoziazione e alla rinegoziazione del canone inferiore al livello del mercato. Viene in gioco, in particolare, il tema delle misure idonee a rendere appetibile il canone concordato dalle associazioni rappresentative dei conduttori e dei proprietari: un’opzione messa a disposizione delle parti dalla legge che smantellò l’equo canone (art. 2 L. 431/1998), già accompagnandola da timidi benefici (sul piano fiscale come dei diritti contrattuali del locatore).

Pur territorialmente diversificato, tale canone si attesta, statisticamente, a un livello significativamente inferiore rispetto a quello di mercato (fino alla metà[12]) e, dunque, costituisce un mezzo effettivo per fronteggiare il problema della sostenibilità anche in corso di rapporto: oltre a svolgere un ruolo ulteriore di indiretto calmiere del mercato e di prevenzione degli sfratti e a favorire la registrazione dei contratti e la loro sottrazione al “mercato nero”.

Lo strumento finora più efficace per indurre i locatori ad accettare tale canone – fin dall’inizio o in corso di rapporto - si è rivelato, invero, la leva fiscale, concretatasi in un articolato sistema di agevolazioni ed incentivi. Applicato in modo sempre più incisivo a partire dal 2011, tramite l’introduzione della sopra menzionata – e, invero, controversa - «cedolare secca» e, poi, l’adozione di aliquote IMU e TASI agevolate[13], tale sistema ha progressivamente indotto un incremento della percentuale di contratti a canone concordato, che, invece, ha stentato a decollare nel primo decennio successivo all’entrata in vigore della legge del 1998.

All’idea dell’innesto del diritto pubblico sul diritto privato si è ispirata altresì la recente Legge di bilancio 2021, che concede al proprietario disposto a rinegoziare al ribasso il canone un contributo (da elargire mediante credito di imposta) a fondo perduto, purché l’immobile si trovi un comune ad alta densità abitativa e costituisca la dimora principale del conduttore.

La linea qui suggerita, in conclusione, né auspica un ritorno del dirigismo tipico del rent control classico, né si rivolge al diritto privato regolatorio – efficacemente invocabile in mercati globali e dominati dalla contrattazione di massa – e all’interscambiabilità fra diritto privato e diritto pubblico[14]. Essa, piuttosto, si appella alla sinergia fra strumenti dell’uno e dell’altro di questi sottoinsiemi al fine di fronteggiare il problema dell’insostenibilità (anche) sopravvenuta del canone indotta da circostanze oggettive: fra le quali, accanto a forme di vulnerabilità del nucleo familiare, ha acquisito una rilevanza sempre maggiore la perdita, totale o parziale, dell’occupazione[15]. La prospettiva qui auspicata appare congrua quando il settore economico in cui si inserisce il tipo contrattuale è dominato da variabili locali e gli obiettivi generali da perseguire involgono l’appagamento di bisogni primari che il mercato si dimostra inidoneo a soddisfare adeguatamente[16].

 

[1] V. Roppo, op. loc. cit.

[2] F. Macario, Sopravvenienze e rimedi al tempo del “coronavirus”: interesse individuale e solidarietà, in Contratti, 2020, 129 ss.; v. altresì la proposta dell’Associazione civilisti italiani, Una riflessione e una proposta per la migliore tutela dei soggetti pregiudicati dagli effetti della pandemia, in www.civilistiitaliani.eu.

[3] E. Navarretta, Giustizia contrattuale, giustizia inclusiva, prevenzione delle ingiustizie sociali, in Giust. Civ., 2020, 242 ss.

[4] Per un’analisi e una comparazione delle due generazioni di rent control, R. Arnott, Time for Revisionism on Rent Control, in Journal of Economic Perspectives, 1995, 9, 99 ss. Per un quadro comparato delle discipline della locazione abitativa in Europa,T. Crook – P. A. Kemp, Private Rental Housing – Comparative Perspectives, Cheltenham, 2014.

[5] E. Bargelli, Le locazioni abitative, cit.

[6] F. Padovini, Locazioni abitative, patti contrari alla legge e registrazione: dal rapporto di fatto all’efficacia ultrattiva? in Nuova giur. civ. comm., 2016, 985 ss.

[7] Si rinvia a E. Bargelli – R. Bianchi, Black market and residential tenancy contracts in Southern Europe: New trends in private law measures, in Tenancy Law and Housing Policy in Europe, a cura di C. Schmid, Edward Elgar Publishing, 2018, 117 ss.

[8] Per l’esposizione di questo concetto, v. C. Schmid, Introduction, in C. Schmid, Tenancy Law and Housing policy in Europe. Towards a Regulatory Equilibrium, Cheltenham - Northampton, 2018, 5 ff.

[9] Retro.

[10] T. Poggio – D. Boreiko, L’affitto sociale in Italia: criticità e prospettive, in Pol. dir., 2018, 45 ff.

[11] In generale, E. Navarretta, op. ult. cit., 242 ss.; A. Nicolussi, op. ult. cit., 154.

[12] V., più ampiamente, E. Bargelli – R. Bianchi, La locazione abitativa a vent’anni dalla riforma del 1998, in Polis, 2018, 19 ss.

[13] https://www.amministrazionicomunali.it/iuc/novita_iuc.php#.

[14] A. Zoppini, Diritto privato Vs diritto amministrativo (ovvero alla ricerca dei confini tra Stato e mercato), in Il diritto civile, e gli altri, a cura di V. Roppo e P. Sirena, Milano, 2013, 371 ss.

[15] Non è possibile richiamare, se non per rinvio, il tema della (superata) dicotomia fra pubblico e privato: U. Breccia, L’immagine che i privatisti hanno del diritto pubblico, in Riv. crit. dir. priv., 1989, 191 ss. (ora in Immagini del diritto privato, Teoria generale, fonti, diritti, Torino, 2013, 105 ss.); I. POPULIZIO, Per un modello teorico della “grande dicotomia” tra diritto pubblico e diritto privato, in Materiali per una storia della cultura giuridica, a. XLIII, n. 2 (dicembre 2013).

[16] Lo conferma il recente Report on access to decent and affordable housing for all (2019/2187(INI)) approvata dal Parlamento europeo il 21 gennaio 2021.