Il saggio affronta il tema dell’illecito endofamiliare commesso dal genitore che colpevolmente privi il figlio dell’assistenza morale ed affettiva. Dopo un breve excursus storico relativo all’evoluzione normativa del rapporto genitori-figli, l’indagine si sofferma specificamente sul problema della natura della responsabilità, e, su quello, di grande rilevanza pratico-applicativa, dei criteri di quantificazione del danno non patrimoniale.
The essay deals with the issue of the intra-family crime committed by the parent who culpably deprives the child of moral and emotional assistance. After a brief historical excursus on the normative evolution of the parent-child relationship, the investigation focuses on the problem of the nature of responsibility, and on that, of great practical-applicative importance, of the criteria for quantifying the non-pecuniary damage.
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Vincenza Cinzia Meccola - Illecito endofamiliare e danno da privazione del rapporto affettivo genitorefiglio
1. Evoluzione storica: dalla concezione di immunità familiare al riconoscimento dei “nuovi danni”. - 2. L’evoluzione del rapporto genitori-figli: dalla potestà alla responsabilità genitoriale. - 3. L’art. 709-ter c.p.c. come indice del riconoscimento normativo del diritto del minore a preservare la continuità del rapporto personale con entrambi i genitori anche nella crisi della famiglia. La sanzione pecuniaria prevista dal II comma come danno punitivo. - 4. Violazione dei doveri genitoriali e paradigmi risarcitori di diritto comune. - 5. Il dibattito sulla natura giuridica della responsabilità da illecito endofamiliare per lesione del diritto al rapporto parentale. - 6. L’irrisolto problema del quantum del risarcimento.
Con l’espressione “illecito endofamiliare” si fa riferimento ad un illecito commesso da un familiare ai danni di un altro soggetto appartenente al medesimo nucleo familiare.
Nell’originaria impostazione codicistica, la comunità familiare veniva concepita quale organismo organizzato gerarchicamente e finalizzato al perseguimento di interessi superindividuali e finanche pubblicistici, sicché la relativa disciplina era precipuamente orientata a salvaguardare l’unità familiare sino a sacrificare le libertà ed i diritti fondamentali del singolo componente, in nome di un asserito “interesse superiore”[1].
Il principio di immunità ha condizionato per svariato tempo sia i rapporti fra i coniugi sia i rapporti parentali: per quel che concerne i primi, è noto che il comportamento lesivo di un coniuge ai danni dell’altro coniuge legittimava il coniuge danneggiato a promuovere esclusivamente la domanda di separazione o divorzio. A tale conclusione si era giunti sul presupposto che il diritto di famiglia fosse da considerarsi lex specialis rispetto alla regola generale di cui all’art. 2043 c.c., sicché la risoluzione di tutte le problematiche afferenti il diritto di famiglia andava individuato nell’ambito del libro I del codice civile.
Le progressive innovazioni legislative - si pensi all’introduzione dell’istituto del divorzio nel 1970 ed alla riforma del diritto di famiglia nel 1975 - hanno radicalmente mutato gli assetti e le dinamiche all’interno del nucleo famigliare, sicché, in piena armonia con i principi costituzionali, tutti i suoi componenti, in perfetta uguaglianza e pari dignità, sono legittimati ad aspirare al totale riconoscimento e alla realizzazione dei propri diritti.
Sulla scorta di tali trasformazioni, la dottrina e la giurisprudenza hanno così iniziato a riconoscere l’esistenza di “nuovi danni” all’interno della famiglia, anche in considerazione della centralità assunta dalla persona nel sistema giuridico, sia come singolo, sia nell’ambito delle formazioni sociali in cui si sviluppa la sua personalità, prima fra tutte la famiglia.
Una considerevole svolta nell’ingresso della responsabilità civile anche nel contesto familiare è da attribuirsi all’impulso della giurisprudenza dei primi anni 2000 che, ampliando l’ambito delle situazioni giuridiche soggettive suscettibili di risarcimento danni nell’ottica generale di una maggiore tutela dell’individuo, ha inciso sull’applicabilità del rimedio risarcitorio in ambito famigliare[2].
[1] C. Petta, Alcune considerazioni sulla natura giuridica della responsabilità da illecito endofamigliare e sulla sua estensibilità all’interno della famiglia di fatto, in Dir. di fam. e delle pers., I, 2015, 257.
[2] La S. C., con la sentenza n. 9801 del 2005 (in www.dirittoegiustizia.it) ha chiarito che i rimedi tipici previsti dal diritto di famiglia, come la separazione ed il divorzio, sono compatibili e concorrenti con l’azione ordinaria di risarcimento danni, di cui all’art. 2043 c.c., e la mera violazione dei doveri matrimoniali, ovvero la pronuncia di addebito della separazione, non sono di per sé fonte di responsabilità risarcitoria. Per configurarsi un danno ingiusto, risarcibile ai sensi dell’art. 2043 c.c., deve configurarsi un comportamento illecito dotato di una significativa efficacia lesiva poiché, diversamente, all’interno della famiglia deve sussistere fra i coniugi quello spirito di comprensione e di tolleranza che è parte del dovere di reciproca assistenza.
Lento e progressivo è stato il mutamento del rapporto di filiazione per effetto della disciplina costituzionale e della riforma del diritto di famiglia del 1975: entrambi gli interventi normativi hanno contributo al superamento dei tradizionali principi autoritari e gerarchici vigenti nell'ambiente familiare. Precedentemente alla entrata in vigore della riforma, l'esercizio dello ius corrigendi, ritenuto necessario ai fini educativi, autorizzava, in forza dell'abrogato art. 319 c.c., il genitore a reagire finanche violentemente nei riguardi della prole, “rea di una cattiva condotta”, creandosi, così, in capo al genitore-danneggiante, un'immunità per tutti gli atti dannosi provocati, il cui unico limite era rappresentato dalla sussistenza del pericolo di malattia[1].
Lo stesso concetto di educazione va oggi improntato ai principi costituzionali del rispetto della persona umana e dello sviluppo della personalità del minore. Ne consegue che l'uso di mezzi di correzioni violenti legittima una richiesta risarcitoria da parte del figlio danneggiato nei riguardi del genitore, alla stregua di un atto lesivo in cui il danneggiato risulti essere un terzo estraneo.
Cambiamenti significativi nella disciplina del rapporto di filiazione sono stati apportati anche dal recente D.Lgs. 154/2013, in attuazione della L. 219/2012, che, oltre ad aver eliminato la distinzione tra figli naturali e figli legittimi[2], ha modificato il Titolo IX del Libro I del codice civile, ora intitolato “Della responsabilità genitoriale e dei diritti e doveri dei figli”[3]. In un diritto di famiglia, già da tempo “puerocentrico”[4], l'espressione "responsabilità genitoriale”, in luogo della previgente “potestà”, risulta indice di una trasformazione del ruolo del genitore concepito non più come soggetto che esercita un potere-dovere in posizione di preminenza, bensì come individuo garante della collaborazione alla formazione del figlio[5], interesse del quale prevale ed è da accertare caso per caso, tanto che si è giunti a discorrere di best interests of that child [6], ai quali garantire effettività .[7]
Si è dunque osservato che il ruolo dei genitori “non è di supremazia — in funzione dell'attuazione del dovere — ma un vero e proprio diritto”[8], cioè un interesse proprio degli stessi “ad istruire, educare e mantenere i figli” nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni ed aspirazioni (art. 315 bis, comma 1, c.c.) fino al raggiungimento di una piena autonomia economica[9].
Coesistono, peraltro, l'obbligo di mantenimento, cui i genitori devono adempiere, ai sensi dell'art. 316 bis c.c., in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo e gli obblighi di assistenza morale consacrati nel novellato art. 147 del codice civile[10], il cui contenuto precettivo è integrato dall’art. 315 bis c.c. secondo cui : “il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni”.
Se, dunque, non si è mai dubitato della piena coercibilità dell’obbligo di mantenimento, la cui violazione è assistita, nei casi più gravi, anche da tutela penale (cfr. art. 570 c.p.), solo in tempi relativamente recenti è stata riconosciuta la piena giuridicità dell’obbligo di assistenza morale e soprattutto l’idoneità di quest’ultimo a fondare la pretesa risarcitoria del figlio nei confronti del genitore inadempiente.
[1] A. Mendola, Il danno da privazione del rapporto genitoriale e le nuove frontiere della responsabilità civile, in Il diritto di famiglia e delle persone, 2019, fasc. 2, 905.
[2] Legge 10 dicembre 2012 n. 219. Cfr., M. Bianca,La legge italiana conosce solo figli, in Riv. dir. civ., 2013, 3, 4; A. Palazzo, La filiazione, in Tratt. dir. civ. e comm., già diretto da Cicu - Messineo - Mengoni Milano, 2013; Id., La riforma dello status della filiazione, in Riv. dir. civ., 2013, 2, 269 ss.; G.Ferrando-G.Laurini (a cura di), Genitori e figli: quali riforme per le nuove famiglie?, in Quaderni de Il notariato, Milano, 2013; M. Sesta, L'unicità dello stato di filiazione e i nuovi assetti delle relazioni familiari, in Fam. e dir., 2013, 3, 231 ss.; F. Bocchini, Diritto di famiglia. Le grandi questioni, Torino, 2013, 267 ss.
[3] Per effetto dell'art. 39, co. I, d.lgs. n. 154/2013, di attuazione dell'art. 2, lett. h) legge n. 219/2012, l'art. 316 c.c. è rubricato “Responsabilità genitoriale” e prevede, al comma I, che la responsabilità genitoriale sia esercitata da entrambi i genitori, tenendo conto delle capacità, delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni del figlio. Per un'analisi della disposizione novellata, cfr. E. Al Mureden, La responsabilità genitoriale tra condizione unica del figlio e pluralità di modelli familiari, in Fam. e dir., 2014, 5, 467 ss.; A. Gorassini, La responsabilità genitoriale come contenuto della potestà, in Filiazione. Commento al decreto attuativo, a cura di M. Bianca, Milano, 2014, 91 ss.; La Rosa, Sub art. 316 c.c., in R. Amagliani -D. Foti - M. Parinello, (a cura di), Commentario al cod. civ., diretto da E. Gabrielli, Torino, 2010, 820 ss. Meno recentemente, sulla potestà in generale, cfr. F. Cossu, Potestà dei genitori, in Dig. civ., XIV, 1996, 126; L. Bigliazzi Geri, Osservazioni minime su “poteri privati” e interessi legittimi, in Riv. giur. lav. e prev. soc., 1983, I, 291 ss.
[4] E. Quadri, La tutela del minore nelle unioni civili e nelle convivenze, in Nuova giur. civ. comm., 2017, 4, 566.
[5] R. De Stefano, La responsabilità dei genitori verso l'esterno e verso l'interno. La responsabilità dei tutori, dei maestri e dei precettori, in Valutazione del danno e strumenti risarcitori, a cura di B. Inzitari, Torino, 2016, 74.
[6] Cfr. in questo senso, L. Lenti, « Best interests of the child » o « best interests of children »?, in Nuova giur. civ. comm., 2010, 163.
[7] Cfr., in tal senso, V. Scalisi, Il superiore interesse del minore ovvero il fatto come diritto, in Riv. dir. civ., 2018, 2, 405 ss.
[8] G. Giacobbe, Genitorialità sociali e principio di solidarietà: riflessioni critiche, in Nuova giur. civ. comm., 2005, 152.
[9] La cessazione dell'obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni non autosufficienti deve essere fondata su un accertamento di fatto che abbia riguardo all'età, all'effettivo conseguimento di un livello di competenza professionale e tecnica, all'impegno rivolto verso la ricerca di una occupazione lavorativa ed, in particolare, alla complessiva condotta personale tenuta dal raggiungimento della maggiore età dell'avente diritto (in tal senso Cass. civ., 22 giugno 2016, n. 12952, in Guida al dir., 2016, 29, 34).
[10] Articolo così sostituito dall’art. 3, D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154. Il testo precedente, già sostituito dall'art. 29, L. 19 maggio 1975, n. 151, disponeva: «Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole tenendo conto delle capacità, delle inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli» senza esplicito riferimento, dunque, alla assistenza morale della prole introdotta in sede di novellazione.
L’art. 709-ter c.p.c. come indice del riconoscimento normativo del diritto del minore a preservare la continuità del rapporto personale con entrambi i genitori anche nella crisi della famiglia. La sanzione pecuniaria prevista dal II comma come danno punitivo.
Un indiretto, ma sicuro indice normativo della cogenza del diritto/dovere del genitore ad un rapporto continuativo con la prole si ricava dall’art. 709 c.p.c., introdotto dalla legge 8 febbraio 2006. n. 54.
Tale disposizione, collocata nel capo del codice di rito dedicato alla separazione personale tra coniugi, ha un ambito di applicazione più ampio comprendente anche i procedimenti di scioglimento e di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio e i procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati. Dalla dottrina e dalla giurisprudenza sono state ricondotte all’ambito di applicazione dell’art. 709 ter c.p.c. varie fattispecie, fra cui i contrasti derivanti da una diversa interpretazione attribuita da ciascuno dei genitori ai provvedimenti precedentemente adottati in sede giudiziale[1], ovvero le istanze volte ad ottenere rimedi avverso il comportamento di un genitore che abbia assunto decisioni nell’interesse del figlio all’insaputa dell’altro coniuge[2]. La norma, sin dallo sua emanazione, ha sollevato critiche[3] atteso che si osservava come venissero individuate, in modo assai approssimativo, sia le fattispecie sanzionate che le misure afflittive, con la conseguenza di attribuire al giudicante una eccessiva discrezionalità nella concreta applicazione delle sanzioni[4]. E’ stato, altresì, osservato come la disposizione de qua sia applicabile all'ottemperanza dei provvedimenti a tutela dei diritti personali; ma un filone giurisprudenziale ha interpretato estensivamente le norme, consentendo il ricorso alle misure coercitive di cui agli artt. 709-ter e 614-bis c.p.c. (quest'ultimo ante novella del 2015) anche nel caso di violazione degli obblighi economici, quando in essi siano ravvisabili implicazioni relative a diritti personali[5]. La disposizione normativa de qua sarebbe applicabile, in generale, a tutti quei comportamenti che, anche indirettamente, mirino ad ostacolare o ad eludere le disposizioni non patrimoniali relative ai figli, contenute nelle sentenze di separazione o di divorzio, nel verbale di separazione consensuale omologato o nell'ordinanza presidenziale, nonché all'ipotesi di rifiuto del genitore non affidatario di consegnare il figlio all'altro genitore .
Anche a voler analizzare il fenomeno sulla scorta del principio dell'efficienza economica[6], si osserva[7] come sia proprio l'ordinamento a scoraggiare la violazione della bi-genitorialità, durante la crisi della coppia, attraverso la previsione di un risarcimento anche punitivo - deterrente, al fine di realizzare un controllo indiretto delle attività illecite.
Non sussiste unanimità di vedute in ordine alla natura delle previsioni di cui ai n. 2 e 3 dell’art. 709 ter c.p.c II comma, atteso che non è chiaro se trattasi di ipotesi di risarcimento danni derivante da commissione di illecito endofamiliare scaturente da gravi inadempienze di uno dei genitori, ovvero dal compimento, da parte del medesimo, di atti pregiudizievoli nei confronti del minore oppure di una pena privata giudiziale con funzione essenzialmente preventivo-sanzionatoria.
Il primo orientamento[8] si fonda sul tenore letterale dell’art. 709 ter c.p.c., II comma n. 2 e 3 nella parte in cui prevede che il giudice “dispone il risarcimento danni”: ne consegue che il giudice potrà liquidare una somma di denaro, a titolo riparatorio, a favore dell’altro coniuge ovvero del minore atteso che la previsione di cui al citato art. 709 c.p.c. si riferirebbe ad altrettante figure di illecito endofamiliare.
Diversa opinione in quadra le figure di cui al 2° comma n. 2 e 3 dell’art. 709 ter c.p.c. nel genus della pena privata giudiziale con ovvie implicazioni di carattere processuale; lo scopo della previsione sarebbe, pertanto, sanzionatorio nei confronti dell’autore della condotta giudicata riprovevole e non già risarcitorio nei confronti dell’altro coniuge o del minore[9].
La norma in esame conferma come tanto il diritto del genitore a preservare, specie nella crisi dell’unità familiare (intesa nel senso più ampio possibile) un rapporto personale con la prole, quanto, ed è quel che più rileva ai fini della presente indagine, il diritto del figlio all’assistenza morale da parte di entrambi i genitori, siano diritti coercibili ed assistiti da espressa sanzione in caso di loro violazione tanto nei confronti del titolare del corrispondente obbligo, quanto nei confronti del terzo (in molti casi l’altro genitore) che frapponga ostacoli alla loro compiuta realizzazione.
Al di là di tale strumento di coazione indiretta, trattandosi di obblighi di contenuto aspecifico, ed aventi ad oggetto un fare infungibile, il rimedio risarcitorio appare l’unico prospettabile a compensare, seppur per equivalente, le aspettative deluse.
[1] A. Carratta, Commento all’art. 709 ter c.p.c. competenza del giudice istruttore, in Le recenti riforme del processo civile, in Commentario diretto da S. Chiaroni, 1554; A. Doronzo, Art. 709 ter c.p.c., Soluzione delle controversie e provvedimenti in caso di violazioni, in AA.VV., La riforma del processo civile, a cura di F. Cipriani- G. Monteleone, 617, 619; G.F. Ricci, Commento agli artt. 709 ter.- 710, in Codice della famiglia, a cura di M. Sesta, 678.
[2] Trib. Bologna, 12 aprile 2007, in Fam e min., 2007, 77; App. Napoli,17 ottobre 2008, in Corr. mer., 2009, 126; Trib. Pisa, decr. 24 gennaio 2008, in Fam e dir., 2009, 126; App. Napoli, 12 dicembre 2008, in Foro it., 2009, I, 836.
[3] E. Vullo, Procedimenti in materia di famiglia e di stato delle persone, Milano, 2011, 296; L. E. Salvaneschi, Alcuni profili processuali della legge sull'affido condiviso, in Riv. dir. proc., 2006, 1287; M.A. Lupoi, Aspetti processuali della normativa sull'affidamento condiviso, in www. jiudicium.it, 1063 ss.; L.E. Salvaneschi, I procedimenti di separazione e divorzio, in Fam. e dir., 2006, 356 ss; C. Onniboni, Ammonizione e altre sanzioni di genitore inadempiente: prime applicazioni dell'art. 709-ter cod. proc. civ., ivi, 2007, 825 ss.
[4] In tal senso A. Graziosi, L'esecuzione forzata dei provvedimenti in materia di famiglia, in Dir. di fam. e delle pers., 2008, 238-239, ove si evidenzia come ciò produca il doppio infelice risultato di attenuare l'efficacia dissuasiva della misura coercitiva (non essendo ben chiaro ex ante quale sia il comportamento vietato) e di violare il principio di legalità.
[5] Trib. Modena, ordinanza 29 gennaio 2007, in Fam. e Dir.; Trib. Bologna,19 giugno 2007, in www. Affidamento condiviso.it. In dottrina, cosi P. Corder, Il figlio minore privato degli incontri con il padre, ha diritto al risarcimento, in Corr. mer., 2008, 554; In senso contrario Trib. Termini Imerese, ord. 12 luglio 2006, in Foro it., 2006, I, 3243; Trib. minorile Ancona, 3 ottobre 2008, in Dir. di famiglia, 2009, 265; A. Graziosi, op. cit., 237.
[6] Il rinvio è all’ Economic Analysis of Law: cfr. G. Calabresi, Cosa è l'analisi economica del diritto?, in Riv. dir. fin., 2007, 1, 343 ss.; G. Frezza - P. F. Parisi, “Responsabilità civile e analisi economica”, Milano, 2006, passim.
[7] A. Mendola, Il danno da privazione del rapporto genitoriale e le nuove frontiere della responsabilità civile, in Il diritto di famiglia e delle persone, 2019, 905.
[8] In tal senso P. Corder, Il figlio minore, privato degli incontri col padre, ha diritto al risarcimento danni?, cit., 563; G. Ferrando, Responsabilità civile e rapporti familiari alla luce della legge n. 54/2006, in Fam. pers. succ., 2007, 509; M. Paladini, Responsabilità civile nella famiglia verso i danni punitivi, in Resp. civ. prev., 2007, 2005; V. Rossini, Commentario all’art. 709 ter c.p.c., in Commentario alla riforma del processo civile, a cura di A. Briguglio - B. Capponi, 394; S. Vullo, Commento all’art. 709 ter c.p.c., in Disposizioni in materia di separazione dei genitori ed affidamento condiviso dei figli, a cura di D. Mantovani, in Nuove leggi civ. comm., 2008, 243. Su una posizione intermedia si colloca invece G. Ponzanelli, I danni punitivi, in Nuova giur. civ. comm., 2008, 25 il quale sostiene che trattasi di rimedi non riparatori ma non ancora punitivi.
[9] In questo senso cfr. A. D’Angelo, Il risarcimento del danno come sanzione?Alcune riflessioni sul nuovo art.709 ter c.p.c., in Familia, 2006, 1031; E. La Rosa, Il nuovo apparato rimediale introdotto dall’art. 709 ter c.p.c..I danni punitivi approdano in famiglia?, in Fam. e dir., 2008, 64; Doronzo, Art. 709 ter, soluzione delle controversie e provvedimenti in caso di inadempienze o violazioni, in AA.VV., La riforma del processo civile, cit.,625; C. Onniboni, Ammonizione e altre sanzioni al genitore inadempiente: prime applicazioni dell’art. 703 ter c.p.c., cit., 825; L. Zingales, Misure sanzionatorie e processo civile, in Dir. fam., 2009, 417.
In quel processo di lenta erosione, sulla quale ci si è già soffermati in premessa, della per lungo tempo dichiarata e praticata impermeabilità della famiglia alle comuni regole di responsabilità civile, le prime fondamentali tappe si sono registrate in tema di rapporti tra coniugi.
Una prima cauta apertura verso l’ammissibilità dell’illecito endofamiliare si segnala solo a metà degli anni 90 allorquando la Suprema Corte,[1] escludendo la rilevanza aquiliana ex art. 2043 c.c. dell’addebito della separazione “di per sé considerato”, subordinava la risarcibilità di eventuali danni alla circostanza che i fatti che avevano determinato l’addebito avessero integrato gli estremi dell’illecito ipotizzato dalla clausola generale di responsabilità di cui all’art. 2043 c.c.
L’orientamento in questione è stato, altresì, confermato, agli albori del nuovo secolo, dalla giurisprudenza di legittimità[2], la quale, nel riconoscere la non esaustività delle specifiche sanzioni scaturenti dalla violazione dei dettami propri del sistema familiare e l’applicabilità, anche in tale ambito, di rimedi di carattere più generale[3], ne ha fatto estensione anche al caso di violazione dei doveri genitoriali, riconoscendo il diritto al risarcimento del danno (sub specie di danno esistenziale) del figlio cui il padre aveva insistentemente negato i mezzi di sussistenza .
A far data da tale momento la storia del risarcimento del figlio deprivato dell’assistenza morale del genitore si intreccia a strette maglie con il tormentato cammino del danno non patrimoniale e quello del rapporto, o meglio del non rapporto, genitore-prole diviene dunque campo di applicazione privilegiato del principio secondo cui la lesione di diritti costituzionalmente protetti, al di là di ogni esplicita previsione di legge, costituisce fonte di danni non patrimoniali risarcibili ai sensi dell'art. 2059 c.c.
Nell’attuale sistema, al cui vertice svetta la Costituzione - che all’art. 2 riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo - il danno non patrimoniale deve essere dunque, inteso, come una categoria ampia, comprensiva di ogni ipotesi di lesione di un valore afferente alla persona[4] non connotato da rilevanza economica[5]. Una tappa fondamentale nel riconoscimento di una più ampia nozione di danno non patrimoniale è rappresentata dalle c.d. pronunzie di S. Martino del novembre 2008[6] con la quale venne ribadito, alla luce dell’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., e muovendo dalla questione riguardante la configurabilità del c.d. danno esistenziale, che, mentre il risarcimento del danno patrimoniale da fatto illecito è connotato da atipicità, ex adverso, il risarcimento del danno non patrimoniale è connotato da tipicità, perché tale danno è risarcibile solo nei casi determinati dalla legge e nei casi in cui sia cagionato da un evento di danno consistente nella lesione di specifici diritti inviolabili della persona[7].
Tra questi diritti, valore preminente assumono quelli riconosciuti alla persona in ambito familiare per la cui violazione[8] l’ordinamento fornisce un doppio apparato rimediale, individuabile, per un verso, nelle specifiche norme (separazione con addebito, provvedimenti di decadenza e/o sospensione della responsabilità genitoriale) previste nella specifica sedes materiae; per altro, nelle norme in tema di responsabilità extracontrattuale, applicate non già in una logica sanzionatoria della violazione di detti obblighi[9] bensì a tutela della persona e dunque in una logica risarcitoria conseguente alla lesione di un diritto costituzionalmente garantito, anche nelle ipotesi in cui tale pregiudizio avvenga all’interno del consortium familiare.
Le più gravi forme di disinteresse e trascuratezza nei confronti della prole possono, dunque, integrare gli estremi dell'illecito civile e legittimano l’esperimento di un'autonoma azione finalizzata all’ottenimento del risarcimento anche non patrimoniale sofferto dalla prole, attesa la inequivocabile valenza costituzionale delle situazioni giuridiche soggettive di cui sono titolari i figli, quale, ed in particolare, il loro diritto soggettivo ad allo sviluppo del pieno rapporto affettivo con entrambi i genitori[10]. Alla luce di quanto innanzi, incorre in responsabilità non solo il genitore che non abbia osservato l’obbligo del mantenimento, istruzione ed educazione nei riguardi dei figli ma anche il genitore che, con il suo modus operandi, abbia, altresì, compromesso un sereno sviluppo della loro personalità[11]. Il danno effettivamente patito dalla prole va tuttavia allegato e provato, anche a mezzo di presunzioni, potendosi escludere che la mera violazione dei doveri genitoriali integri un danno in re ipsa[12].
Rebus sic stantibus, il risarcimento del danno subito spetta solo "a condizione che, si ribadisce, anche in via presuntiva" siano state dimostrate, quanto al figlio, "rilevanti alterazioni negative dei suoi assetti individuali, relazionali e vitali, e la perdita subita, in concreto, con riguardo agli studi, alle attività parascolastiche, alle attività lavorative, alle frequentazioni sociali, ed a qualsivoglia ulteriore aspetto attinente alla vita di relazione[13].
Costituisce, tra gli altri, “un comportamento rilevatore di responsabilità genitoriale l'avere deprivato il minore della figura genitoriale paterna, che costituisce un fondamentale punto di riferimento soprattutto nella fase della crescita e idoneo ad integrare un fatto generatore di responsabilità aquiliana”[14].
Né, per escludere la responsabilità, può essere addotta la circostanza che antecedentemente all’esperimento dell’azione di risarcimento danni non sia stata avanzata alcuna domanda giudiziale di riconoscimento da parte del figlio o della madre, atteso che, come costantemente affermato dalla Suprema Corte, l'obbligo del genitore naturale di concorrere al mantenimento e all'educazione del figlio insorge con la nascita dello stesso, “ancorché la procreazione sia stata successivamente accertata con sentenza, ricollegandosi tale obbligazione allo status genitoriale e assumendo, di conseguenza, efficacia retroattiva. La sussistenza di tale obbligo, raccordata alla consapevolezza del concepimento, non consente di sostenere l'insussistenza di responsabilità sol perché difettino specifiche richieste provenienti dalla madre o dal figlio, in quanto l'obbligo dei genitori di mantenere i figli (artt. 147 e 148 c.c.) sussiste per il solo fatto di averli generati e prescinde da qualsivoglia domanda”[15]. Non può dubitarsi come il disinteresse dimostrato da un genitore nei confronti di un figlio, manifestatosi per lunghi anni e connotato, quindi, dalla violazione degli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione, determini un vulnus, dalle conseguenze di entità rimarchevole ed anche, purtroppo, ineliminabili, a quei diritti che, scaturendo dal rapporto di filiazione, trovano nella Carta costituzionale (artt. 2 e 30), e nelle norme di natura internazionale recepite nel nostro ordinamento un elevato grado di riconoscimento e di tutela[16], tanto che, anche recentemente, si è ritenuto di estendere la tutela penale prevista dall’art. 570 c.p. riguardo al il genitore che, pur versando l'assegno per il mantenimento dei figli, si disinteressi delle loro esigenze scolastiche, sociali, sportive, in tal modo sottraendosi agli obblighi derivanti dal suo ruolo[17].
Il dies a quo a partire dal quale calcolare il termine di prescrizione dell’azione risarcitoria viene fatto coincidere con il momento in cui il figlio raggiunge l’indipendenza economica, sia riguardo ai danni derivanti dalla violazione dell’obbligo di mantenimento che per i danni derivanti dalla violazione degli altri obblighi genitoriali, coincidendo con esso presuntivamente anche il conseguimento di quell’autonomia psicologica che fa cessare i doveri giuridici di protezione da parte dei genitori.
Una particolare attenzione è stata riservata dalla giurisprudenza all’elemento soggettivo dell’illecito, richiedendosi che la condotta inadempiente “si caratterizzi come volontaria”[18], e, dunque, la ricorrenza del dolo in capo al genitore inadempiente. Decisiva, in altre parole, è la volontaria violazione dei doveri derivanti dall'art. 30 Cost. e, quindi, la consapevolezza del concepimento e del proprio disinteresse manifestato nei confronti della prole[19]. Consapevolezza da intendersi, secondo la Cassazione, non già quale certezza assoluta scaturente in via esclusiva dalla prova ematologica ma quale risultato di una serie di indizi univoci, quali la consumazione di rapporti sessuali non protetti all'epoca del concepimento[20].
Il che porta a concludere che non sarà considerato colpevole il genitore ignaro di avere generato un figlio mentre diversamente a dirsi è per quello che, avendo avuto la possibilità di conoscere e verificare la propria genitorialità, ha ignorato tutti i segnali negando, in simil modo, al nato cura e assistenza. Casi, questi, in cui il giudice, nella liquidazione del danno non patrimoniale, valuterà non solo il pregiudizio subito dal danneggiato ma anche l'entità dell'elemento soggettivo che contraddistingue la condotta dell’agente[21].
Pregiudizio che va identificato in quel “grave stato di sofferenza per la deprivazione della figura parentale (...), consistente nelle ripercussioni sociali e personali derivanti dalla consapevolezza di non essere mai stato desiderato come figlio e di essere anzi rifiutato”[22]. Si allude, più esattamente, a quel “vuoto emotivo, relazionale e sociale”, capace di ledere la serenità personale o di arrecare pregiudizio allo sviluppo della personalità[23] e alla consapevolezza di un identità sociale che è allo stato embrionale soprattutto nel periodo infantile e adolescenziale durante i quali ogni individuo avverte l’esigenza di individuare punti di riferimento e di confronto.
Se, dunque, allo stato attuale dell’elaborazione giurisprudenziale può ritenersi ormai acquisita la risarcibilità del pregiudizio (anche) non patrimoniale subito dal figlio per il colpevole disinteresse mostrato dal genitore nei suoi confronti, restano aperte sul piano teorico-pratico almeno tre questioni di non modesto rilievo, relative alla coercibilità dell’obbligo, alla natura contrattuale o aquiliana della responsabilità e, ultima ma non per importanza, della quantificazione del danno sofferto dal figlio deprivato dell’assistenza.
[1] Cass, civ., 26 maggio 1995, n. 5866, in www. dirittogiustizia.it la quale osservava come non essendo l’addebito della separazione, di per sè, fonte di responsabilità aquiliana, determinava esclusivamente il diritto del coniuge incolpevole ad ottenere il mantenimento.
[2] Cass. civ., 7 giugno 2000, n. 7713, in wwwpersonaedanno.it.
[3] M. Paradiso, Famiglia e responsabilità civile endofamiliare,un lungo itinerario, in Aa.Vv., La responsabilità nelle relazioni familiari, a cura di M. Sesta, in Nuova giur. dir. civ. comm., Torino, 2011.
[4] Cass. civ., 31 maggio 2003 nn. 8827, 8828, in Danno e resp., 2003, 816.
[5] In tal senso, cfr. già Corte Costituzionale, 88/1979. Nella legislazione successiva al codice si rinviene un cospicuo ampliamento dei casi di espresso riconoscimento del risarcimento del danno non patrimoniale anche al di fuori dell'ipotesi di reato, in relazione alla compromissione di valori personali (articolo 2 della legge 117/88: risarcimento anche dei danni non patrimoniali derivanti dalla privazione della libertà personale cagionati dall'esercizio di funzioni giudiziarie; articolo 29, comma 9, della legge 675/96: impiego di modalità illecite nella raccolta di dati personali; articolo 44, comma 7, del decreto legislativo 286/98: adozione di atti discriminatori per motivi razziali, etnici o religiosi; articolo 2 della legge 89/2001: mancato rispetto del termine ragionevole di durata del processo).
[6] Cass. civ., 11 novembre 2008 nn. 26972, 26973, 26974, 26975, in Riv. dir. civ., 2009, 1, 97 ss.
[7] In questa pronuncia le Sezioni unite pongono un fondamentale criterio ermeneutico secondo cui: “La risarcibilità del danno non patrimoniale postula, sul piano dell’ingiustizia del danno, la selezione degli interessi dalla cui lesione consegue il danno. Selezione che avviene a livello normativo, negli specifici casi determinati dalla legge, o in via di interpretazione da parte del giudice, chiamato ad individuare la sussistenza, alla stregua della Costituzione, di uno specifico diritto inviolabile della persona necessariamente presidiato dalla minima tutela risarcitoria”. Il richiamo operato nella sentenza de qua conferma che il risarcimento può essere accordato soltanto per il ristoro del c.d. danno conseguenza e sottolinea che la funzione del risarcimento è riparatoria e non punitiva .
Tale pronuncia sembra in tal modo smentire definitivamente quella giurisprudenza di merito che talvolta in tema di illecito endofamiliare afferma che il danno è in re ipsa.
[8] Cass. civ., 7 giugno 2000, n. 7713; Cass. civ., 10 maggio 2005, n. 9801, Cass. civ., 15 settembre 2011, n. 18853; in tal senso cfr. anche Trib. Venezia, 30 giugno 2004; App. Bologna, 10 febbraio 2004.
[9] Cass. civ., 13 febbraio 2005, n. 3079, la quale osserva come il risarcimento de quo non assume funzione punitiva o sanzionatoria ma risponde all’esigenza di assicurare al danneggiato un’adeguata riparazione come utilità sostitutiva. In ispecie, la domanda risarcitoria ricomprende non tanto il pregiudizio in sé quanto un danno da quantificarsi ipso iure in ragione sia di mancata percezione di quanto dovuto a titolo di risarcimento sia dal ristoro derivante dalla perdita di chance per la privazione della prospettiva di inserimento sociale e lavorativo adeguato alla condizione socio-economica di appartenenza del genitore inadempiente.
[10] Trib. Milano, 23 luglio 2014, in www.Altalex.com il quale sottolinea come, un’ ipotesi di illecito endofamiliare è proprio quella da privazione del rapporto genitoriale, in cui soggetto attivo è il genitore che omette di svolgere il ruolo da egli stesso scelto con la procreazione e soggetto passivo è il minore, che perde, senza sua colpa, uno dei genitori. La “perdita” del genitore non è compensata dalla presenza dell’altro o dei parenti prossimi; non è nemmeno compensata dal mero sostegno economico. E’ perdita che segna la vita del bambino e che determina un danno alla sua stessa identità personale.
[11] Cass. civ., 27 maggio 2019, n. 14382, in www.dirittoegiustizia.it la quale ha, altresì, ribadito che la responsabilità genitoriale costituisce un dovere personale irriducibile e non delegabile. Il padre, “professatosi” assente, ha violato attraverso la sua condotta omissiva i principi costituzionali e codicistici riguardanti la responsabilità genitoriale, arrecando alla figlia danni meritevoli di essere rifusi.
[12] Cfr. in tal senso Trib. Roma, 1 agosto 2019 n. 15949; Trib. Cuneo, 31 agosto 2019, n. 445; Trib. Bolzano, 13 marzo 2020, n.286; Trib. Ragusa, 05 febbraio 2020, n.122; Trib. Lecce, 1 ottobre 2019, n. 3024; Trib. Cagliari, 12 febbraio 2020, il quale evidenzia come possa considerarsi provato, mediante un meccanismo presuntivo, come la condotta gravemente omissiva del padre convenuto abbia determinato, fin dalla nascita della figlia e senza soluzione di continuità, “un grave stato di sofferenza psicologica ("i suoi silenzi durante questi ventitrè anni mi hanno causato una grande sofferenza") derivante dalla privazione ingiustificata della figura paterna, sia sotto il profilo della relazione affettiva, oltre che sotto il profilo della negazione dello status sociale conseguente; conseguentemente, si è così determinata una lesione di carattere irreversibile, con riferimento ad entrambe le sfere sopradescritte, del sopra descritto diritto di natura costituzionale”; Tribunale Ragusa, 05/02/2020, n.122; Trib. Lecce, 05 novembre 2019, n.3364 il quale osserva come la "perdita" del genitore non è compensata dalla presenza dell'altro o dei parenti prossimi; non è nemmeno compensata dal mero sostegno economico. E' perdita che segna la vita del fanciullo; è perdita che causa un danno alla sua stessa identità personale. Giova ricordare, che, attraverso la figura materna e paterna il minore sviluppa armoniosamente la sua identità e attraverso i genitori. Senza entrambi i genitori il minore viene privato della «famiglia», l'ambiente primario, la società naturale all'interno della quale i singoli si costruiscono come adulti e come persone." (conformemente Trib. Milano 16/2014); rebus sic stantibus, "non può trovare accoglimento la domanda di risarcimento danni da “perdita di chance” non avendo parte ricorrente provato che, ove egli fosse stato prontamente riconosciuto dal padre naturale ed avesse ricevuto da esso un contributo di mantenimento conforme al tenore di vita goduto dal padre, egli, con alta probabilità, avrebbe avuto una realizzazione professionale pari a quella dei figli legittimi del convenuto”; non va trascurato l’orientamento espresso dalla Corte Costituzionale, 15 dicembre 2010, n. 355 la quale ribadisce come “la componentistica del danno patito dal minore è duplice, essendo il medesimo connaturato da una dimensione patrimoniale, la quale inerisce la perdita di sostegno economico che il minore avrebbe avuto se il genitore fosse stato presente, che tiene altresì conto dalla perdita delle chances - che il figlio avrebbe potuto avere se educato e cresciuto dal proprio genitore - , e non patrimoniale, la quale, come evidenziato tanto dalla dottrina quanto dalla giurisprudenza, involge lo "strappo insanabile al tessuto connettivo primario della famiglia”.
[13] Il Tribunale di Roma, in un precedente approdo, evidenzia come non sia, quindi, sufficiente, allo scopo risarcitorio, dedurre che il genitore inadempiente fosse o fosse stato un dirigente della p.a. senza specificare e provare il tenore di vita del genitore predetto, le sue condizioni reddituali e patrimoniali, le sue condizioni sociali, e le opportunità od i traguardi cui la vittima avrebbe potuto aspirare ove il genitore avesse onorato i propri doveri parentali, nonché le concrete condizioni in cui essa è vissuta, potendo contare solo sul rapporto affettivo, economico, sociale e relazionale dell'altro genitore" (Trib. Roma, 4 febbraio 2011).
[14] In tal senso App. Napoli, 08 luglio 2020, n. 2522, la quale osserva come l'obbligazione di mantenimento dei figli nati fuori del matrimonio sorge con la nascita per il solo fatto di averli generati e persiste fino al momento del conseguimento della loro indipendenza economica, per cui, nell'ipotesi in cui il figlio sia stato riconosciuto da uno solo dei genitori, il quale abbia assunto l'onere esclusivo della crescita anche per la parte dell'altro, egli ha diritto di regresso nei confronti di quest'ultimo per la corrispondente quota; Trib. Cagliari, 12 febbraio 202020, il quale puntualizza come sia configurabile un fatto illecito permanente, in cui il comportamento del genitore assente, oltre a produrre l'evento dannoso, lo continua ad alimentare per tutto il tempo in cui questo perdura, avendosi così coesistenza dell'uno e dell'altro (Cass.civ., sez. III, 20 dicembre 2000, n. 16009); in questa ipotesi, caratterizzate dal perdurare nel tempo del comportamento lesivo e dal suo non esaurirsi in unu actu perficitur (che cioè si esaurisce in un lasso di tempo definito, lasciando peraltro permanere i suoi effetti nel tempo, come nell'illecito istantaneo con effetti permanenti) la prescrizione ricomincia a decorrere ogni giorno successivo a quello in cui il danno si è manifestato per la prima volta, fino alla cessazione della predetta condotta dannosa, sicchè il diritto al risarcimento sorge in modo continuo via via che il danno si produce, ed in modo continuo si prescrive se non esercitato entro cinque anni dal momento in cui si verifica.(Cass. civ., 24 agosto 2007, n.17985; Cass. civ., 2 aprile 2004, n. 6512).
[15] Trib. Roma, 17 giugno 2019; si veda sul punto anche Cass. civ., 5652/12.
[16] Cass. civ., sez. I, 10 aprile 2012, n. 5652, in www.diritto.it; nelle stesso senso, Trib. Roma, 11 settembre 2020, n. 12223.
[17] Trib. Campobasso, sez penale, 15 novembre 2019, n. 474.
[18] Ex multiis, Cass. civ., 10 aprile 2012 n. 5652, cit.; Cass. civ., 10 maggio 2005 n. 9801, cit.; Trib. Venezia, 18 aprile 2006, cit.; Trib. Venezia, 14 maggio 2009, in Resp. civ. prev., 2009, 9, 1885, Trib. Firenze 13 giugno 2000, in Fam. e dir., 2001, 161, con nota di M. Dogliotti, La famiglia e l’"altro diritto”: responsabilità civile, danno biologico, danno esistenziale; Trib. Milano, 4 giugno 2002, in Nuova giur. civ. comm., 2003, I, 278,.
[19] Trib. Venezia,18 aprile 2006, cit.; Trib. Venezia 14 maggio 2009, cit., 9, 1885, con nota di P. CENDON; Trib. Firenze 13 giugno 2000, in Fam. e dir., 2001, 161, con nota di M. Dogliotti, La famiglia e l'« altro » diritto: responsabilità civile, danno biologico, danno esistenziale, cit.; Trib. Milano, 4 giugno 2002, cit. Nella giurisprudenza di legittimità, cfr. Cass. civ., 10 aprile 2012 n. 5652, in www.Altalex.com.
[20] Cass. civ., 22 novembre 2013 n. 26205, in Giur. it., 2014, 7, 1592 ss.
[21] L’incidenza dell’elemento soggettivo dell’illecito sulla quantificazione del danno è questione vivacemente dibattuta in dottrina e giurisprudenza, sulla quale si tornerà nel paragrafo conclusivo del presente contributo.
[22] Trib. Cagliari, 25 gennaio 2017, in www.osservatoriofamiglia.it.
[23] In questi termini, Trib. Parma, 23 dicembre 2013 n. 1659, in www.dejure.it.
La questione della natura della responsabilità da illecito endofamiliare, apparentemente pacifica in giurisprudenza[1], che la riconduce nell’ambito della responsabilità aquiliana, costituisce al contrario oggetto di un vivace dibattito dottrinale, nell’ambito del quale rilievo centrale assume la distinzione tra la nozione di obbligazione, caratterizzata dall’immanente requisito della patrimonialità, e quella di dovere e/o obbligo in senso stretto[2]. Secondo un certo orientamento, il rapporto familiare esulerebbe dalle dinamiche proprie del rapporto obbligatorio[3], caratterizzato dal principio della determinazione patrimoniale e quantitativa della prestazione[4], nonché dalla certezza del “quantum” che il debitore deve corrispondere al creditore[5]; ex adverso, l'indeterminatezza delle “prestazioni” nei rapporti non patrimoniali implica una asimmetria strutturale[6], discendente, appunto, dalla mancata individuazione a priori della misura dei diritti e degli obblighi imposti alle parti nonché dalla differente situazione sostanziale, ma in taluni casi anche formale, in cui esse versano[7].
Inoltre, a differenza di quanto può accadere nei rapporti patrimoniali, in tutti quelli di carattere non patrimoniale, come è particolarmente evidente nei rapporti familiari, la “prestazione” (non patrimoniale) può essere eseguita soltanto dal soggetto obbligato, non essendo possibile “l'adempimento” del terzo (ex art. 1180 c.c.) né la sostituzione della persona del “debitore” (ex artt. 1268 ss. c.c.); a ciò si aggiunga che l'interesse del “creditore” non può trovare la sua realizzazione in via coattiva[8]. Si tratta, tuttavia, di una obiezione che non giustificherebbe una conclusione in termini di totale estraneità dei rapporti in parola alla struttura minima e alla relativa disciplina dei rapporti obbligatori[9] potendosi essa replicare con riferimento ad alcune specie di obbligazioni, in particolare per quelle di fare caratterizzate dall'intuitus personae[10].
Si è altresì sostenuto che i rapporti di natura familiare sono inquadrabili come “rapporti giuridici formalmente strutturati con il linguaggio dogmatico del diritto e del dovere”[11], ma estranei alla logica economica e, dunque, rientranti in un ambito problematico differente da quello dell'obbligazione, ma pur sempre concernente la teorica del rapporto giuridico[12].
Circa il tipo di responsabilità ascrivibile al soggetto che commetta un illecito endofamilare, è pacifico che la violazione di obblighi a contenuto prettamente economico possa comportare l'applicazione di rimedi che incidono sul patrimonio dello stesso soggetto inadempiente, stante l’attrazione di tali obblighi nella categoria delle obbligazioni[13]. In realtà, a taluni doveri familiari, sebbene i profili patrimoniali si intreccino spesso indissolubilmente con quelli personali[14], sarebbe certamente possibile attribuire la qualifica di obbligazione (come nel caso degli obblighi di mantenimento o di contribuzione ai bisogni della famiglia), e alla relativa violazione quella di inadempimento. Altri doveri familiari non sono inquadrabili invece nella categoria delle obbligazioni perché hanno un contenuto insuscettibile di valutazione economica e perché sono incoercibili (come nel caso dei doveri di fedeltà e di coabitazione); tuttavia essi hanno comunque natura giuridica, e parimenti giuridiche sono le conseguenze della loro violazione[15], e le sanzioni irrogabili non possono circoscriversi alle misure tipiche previste dal diritto della famiglia, atteso che i rimedi in parola assolvono a specifiche funzioni, che non sempre garantiscono il ristoro da un pregiudizio e non sempre soddisfano il soggetto offeso.
Secondo una diversa impostazione[16], la responsabilità del soggetto che incorra in illecito endofamiliare non dovrebbe comunque essere qualificata come aquiliana, bensì come contrattuale atteso che la violazione potrebbe provenire soltanto da chi debba osservare puntuali obblighi di fedeltà, assistenza e collaborazione alla cui stregua deve essere valutata la responsabilità scaturente dall’inadempimento di una obbligazione nascente dalla legge[17], mentre la responsabilità di cui all'art. 2043 c.c., “è concepita per risolvere i problemi di danno tra persone senza un previo rapporto giuridico, laddove è la responsabilità da inadempimento di obblighi (o contrattuale) a dare forma agli obblighi risarcitori nei casi in cui il danno è la risultante della violazione di una regola inerente al rapporto”[18].
Ancora, si è osservato che l'applicazione della tutela aquiliana apparirebbe eccessiva a fronte di comportamenti colposi e non già dolosi, quale, ad esempio, una violazione per mera negligenza di uno dei doveri familiari, in presenza dei quali “la responsabilità extracontrattuale si presenta come una reazione brutale al danno infrafamiliare”, in quanto “la colpa come mera negligenza (...) si rivela una ragione ben povera per spiegare un'interferenza così grave come la responsabilità nel diritto di famiglia”[19]. Tuttavia, allo stesso tempo, ridurre le ipotesi di risarcimento alle sole fattispecie dolose, pur apparendo una soluzione migliore e condivisibile in termini di opportunità, snaturerebbe definitivamente l'istituto di cui all'art. 2043 c.c.[20]
Inoltre, l’impostazione che attribuisce natura contrattuale all’illecito endofamiliare risponderebbe in maniera più efficace alla ratio di fondo dell'intervento giurisprudenziale, ovverosia la tutela dell'individuo nelle relazioni familiari, considerato il favorevole regime giuridico, in primis probatorio, a favore del soggetto danneggiato dall’inadempimento[21].
Più specificamente, attenta dottrina[22] ha proposto di inquadrare la responsabilità in esame nella figura degli obblighi di protezione[23] (Schutzpflichten), elaborati originariamente dalla dottrina tedesca. Tali obblighi “non sarebbero accessori di un obbligo di prestazione che in realtà non sussiste, ma costituirebbero ugualmente un vincolo, di contenuto ridotto rispetto a quello dell'obbligazione ordinaria, a metà strada tra l'assenza di rapporto previo che caratterizza la responsabilità extracontrattuale ed il rapporto obbligatorio di prestazione, all'inadempimento del quale, in genere, si riferisce la responsabilità contrattuale”. Secondo la dottrina che ci occupa, sarebbe possibile ricondurre l'illecito endofamiliare all'interno degli Schutzpflichten, e dunque pur sempre alla responsabilità da inadempimento, riconoscendo “la comunanza nella natura giuridica di figure di responsabilità da violazione di obblighi di protezione che nel matrimonio si inverano nei doveri matrimoniali”[24].
L’orientamento favorevole all'estensione del regime della responsabilità contrattuale alla violazione dei doveri familiari è stato oggetto di una duplice critica. La prima, e più evidente ed immediata, fondata sul disposto dell'art. 1174 c.c., ai sensi del quale la prestazione oggetto dell'obbligazione deve essere suscettibile di valutazione economica; una seconda, attinente alla già segnalata incoercibilità degli obblighi stessi, sottolineandosi come “gli obblighi personali sono incoercibili e, ove se ne prescrivesse una tutela per equivalente, quest'ultima realizzerebbe un obiettivo eccentrico: si incentiverebbe la litigiosità solo per far conseguire un surrogato economico sacrificando un bene personale come la relazione coniugale”[25].
Si è dunque sostenuto che sia “più corretto ritenere che il fenomeno descritto dall'art. 1218 c.c. trovi applicazione solo con riguardo a quei doveri giuridici tecnicamente qualificabili come ‘obbligazioni' e dunque caratterizzati dalla patrimonialità, secondo quanto disposto dall'art. 1174 c.c., laddove le violazioni degli altri doveri lasceranno aperto il campo alla valutazione di ingiustizia del danno per una possibile applicazione dell'art. 2043 c.c.”[26].
Alla luce di quanto esposto, a parere della scrivente, emerge che il rapporto giuridico andrà qualificato come patrimoniale o non patrimoniale avuto riguardo alla struttura della singolare relazione interpersonale; se la funzione del legame consiste nella formazione, nell'affermazione, nella valorizzazione dell'identità personale altrui il rapporto de quo andrà qualificato come non patrimoniale con conseguente applicazione della disciplina prevista in ambito di responsabilità di cui all’art. 2043 c.c.
Pertanto, si potrebbe concludere che, a seconda del diritto-dovere familiare violato, la responsabilità civile imputabile al trasgressore possa avere natura diversa, contrattuale ovvero extracontrattuale, in presenza o meno del carattere della patrimonialità dell’interesse leso[27].
Ad ogni buon conto, al fine di evitare che la crisi della famiglia generi automatismi risarcitori che sarebbero forieri di abusi nell’utilizzo dell’istituto dell’illecito endofamiliare, occorre che la condotta del genitore inadempiente cagioni inequivocabilmente un danno ingiusto nella sfera giuridica del danneggiato, scaturente dalla lesione di un interesse meritevole di tutela secondo l'ordinamento giuridico.
Alla luce di tali considerazioni, deve ritenersi che si potrà invocare la tutela aquiliana solamente in presenza di condotte intrinsecamente gravi, che incarnino un'effettiva "aggressione ai diritti fondamentali della persona", mentre destituiti di fondamento saranno quei comportamenti che abbiano una minima efficacia lesiva, e che, per la loro scarsa rilevanza, siano suscettibili di trovare composizione all'interno della famiglia, in forza di quello spirito di tolleranza e di mutua assistenza che stigmatizzano il cosortium coniugalis.
[1] Il recente approdo della Cassazione civile (sentenza n. 06518 del 09.03.2020) stabilisce che “è principio di diritto quello secondo cui, in tema di illecito endofamiliare, il rispetto della dignità e della personalità, nella sua interezza, di ogni componente del nucleo familiare sia un diritto inviolabile, senza che rilevino una presunta specificità del contesto familiare, che violerebbe il principio di uguaglianza, e, al contrario, l’altrettanto presunta specificità delle misure tipiche del diritto di famiglia, che sottrarrebbe la violazione alle censure generali sul piano della responsabilità aquiliana”. In relazione all’onere della prova, gli Ermellini chiariscono che -in ambito di illecito endofamiliare - lo stesso paradigma normativo dell’art. 2043 c.c. postula che, “oltre alla prova del danno e del nesso di causalità, il danneggiato che agisca a fini risarcitori debba anche provare che il pregiudizio da esso allegato è conseguenza di una condotta illecita del danneggiante, non essendo per vero configurabile una responsabilità risarcitoria da fatto illecito se, nel concorso degli altri due elementi che definiscono lo statuto giuridico della responsabilità extracontrattuale, non sia provato anche il concorso del terzo ovvero una condotta colposa o dolosa del soggetto obbligato”.
[2] M. Giorgianni, L’obbligazione (la parte generale delle obbligazioni), Milano, 1968, 34 ss., il quale osserva come distinguere con precisione tra obbligazioni e doveri è comunque arduo; le parti dell'obbligazione dovrebbero essere sempre determinate e taluni doveri familiari sarebbero « obblighi » e non « obbligazioni » solo per la non patrimonialità del comportamento richiesto. Cfr. altresì, S. Romano, Doveri. Obblighi, in Frammenti di un dizionario giuridico, Milano, 1947, 91.
[3] A. Nicolussi, Obblighi familiari di protezione e responsabilità, in Eur. e dir. priv., 2008, 934.cit.
[4] U. Breccia, Le obbligazioni, in Trattato G. Iudica-P. Zatti ( a cura di), Milano, 1991, 19, cit.
[5] Si v. B. Izzi, Il rapporto giuridico non patrimoniale, Milano, 2012, 20.
[6] A proposito L. Mengoni, La famiglia in una società complessa, in Iustitia, 1990,12, precisa che l'identità di diritti e di doveri tra i coniugi ha affermato una situazione simmetrica, ma non nel senso «che il matrimonio sia stato ridotto a puro rapporto senza più la concomitanza di uno status: la simmetria delle posizioni dei coniugi non si specifica qui come reciprocità, e nell'assenza di reciprocità, nell'estraneità alla logica del do ut des sta l'elemento differenziatore del matrimonio dal contenuto definito dall'art. 1321».
[7] In questo senso D. La Rocca, Diritti e denaro. Il valore della patrimonialità, Milano, 2006, 226: ne consegue, quindi, un modello relazionale alternativo al rapporto obbligatorio – pure improntato sulla cooperazione, ma nella dominante contrapposizione delle parti – definito dall'art. 1173 c.c. e strutturato nei termini di cui all'art. 1174 c.c.: un rapporto alternativo a struttura non patrimoniale (seppure supportato anche da elementi patrimoniali), non definibile soltanto per differenza rispetto al modello dell'obbligazione, o attraverso qualificazioni linguistiche (obbligo invece di obbligazione), e tantomeno relegabile all'ambito della rilevanza esclusivamente sociale (non giuridica) tale profilo problematico; G. Cian, Interesse del creditore e patrimonialità della prestazione (valore normativo dell'art. 1174 c.c.), I, Note introduttive, cit., 199; E. Roppo, Coniugi. I) I rapporti personali e patrimoniali tra i coniugi, in Enc. giur., VIII, Roma, 1988; G. Facci, Violazione dei doveri familiari e responsabilità civile, in Resp. civ. e prev., 2007, 582 ss.
[8] Cfr. G. Facci, Infedeltà coniugale e risarcimento del danno: un ulteriore intervento della S.C., in Fam. e dir., 2013, 128.
[9] R. Senigalia, Famiglia e rapporto giuridico non patrimoniale, in Giust. civ., 2019, 97 ss.
[10] G. Facci, Violazione dei doveri familiari e responsabilità civile, cit., 586 il quale osserva che anche con riferimento alla prestazione oggetto dell'obbligazione possono verificarsi ipotesi di incoercibilità e in nessun caso la violazione di un dovere dà luogo automaticamente all'obbligazione risarcitoria; B. Izzi, Il rapporto giuridico non patrimoniale, cit., 271 s., il quale ritiene che «più che la possibilità di ottenere una tutela in forma specifica senza la collaborazione del soggetto passivo, quello che conta è l'esigibilità del comportamento e la possibilità di azionare anche rimedi diversi (quali ad esempio quello risarcitorio.
[11] Così anche Cass. civ., 15 settembre 2011, n. 18853, in Fam. pers. e succ., 2012, 92 ss., in cui si precisa che «i doveri che derivano ai coniugi dal matrimonio non sono di carattere esclusivamente morale ma hanno natura giuridica, come si desume dal riferimento contenuto nell'art. 143 c.c. alle nozioni di dovere, di obbligo e di diritto e dall'espresso riconoscimento nell'art. 160 c.c., alla loro inderogabilità, nonché dalle conseguenze di ordine giuridico che l'ordinamento fa derivare dalla loro violazione, cosicché deve ritenersi che l'interesse di ciascun coniuge nei confronti dell'altro alla loro osservanza abbia valenza di diritto soggettivo».
[12] Si rinvia ad A. Nicolussi, Diritto soggettivo e rapporto giuridico. Cenni di teoria generale tra diritto privato e diritto pubblico, in Eur. e dir. priv., 2014, 1191 ss.
[13] A. Palazzo, La filiazione, in Trattato A. Cicu - F. Messineo, II ed. aggiornata alla l. 219 del 2012 sullo status di filiazione, Milano, 2013, 614-615.
[14] C. Favilli, La responsabilità adeguata alla famiglia, Torino, 2015, 1 ss.
[15] P. Virgadamo, Rapporti familiari e danno non patrimoniale: la tutela dell'individuo tra diritti personali a inviolabilità strutturale e interessi familiari a inviolabilità dinamica, in Il diritto di famiglia e delle persone, 2006, 1896 ss.; C. Favilli, La responsabilità adeguata alla famiglia, cit., 367 ss.
[16] G.C. Giacobbe - P. Trabucchi, Un “profeta” inascoltato!, in Dir. di famiglia, 20012, 169 ss.; M. Paradiso, Famiglia e responsabilità civile endofamiliare, cit., 17; A. Nicolussi, Obblighi familiari di protezione e responsabilità, cit., 936; G. Vettori, Diritti della persona e unità della famiglia trent'anni dopo, in Fam. pers. succ., 2007, 200; G.F. Basini, Alcune considerazioni in tema di risarcibilità del danno tra i coniugi, in Resp. civ. prev., 2011, 981 ss.
[17] G. Oberto, La responsabilità contrattuale nei rapporti familiari, Milano, 2006, 13.
[18] A. Nicolussi, Obblighi familiari di protezione e responsabilità, cit., 937; C. Castronovo, La nuova responsabilità civile, Milano, 2006, 455 ss. e 559 ss.
[19] A. Nicolussi, Obblighi familiari di protezione e responsabilità, cit., 937; contra, P. Cendon - G. Sebastio, Lui, lei e il danno. La responsabilità civile tra i coniugi, in Resp. civ. prev., 2002, 1257, 1304, secondo i quali la semplice negligenza in capo al convenuto sarà, di norma, sufficiente per l'affermazione di un obbligo risarcitorio in relazione all'importanza del diritto leso dell'altro coniuge.
[20] A. Nicolussi, Obblighi familiari di protezione e responsabilità, cit., 937.
[21] Su tutte, Cass. civ., 11 gennaio 2008 n. 577, in Danno e resp., 2008, 871 ss.,
[22] A. Nicolussi, Obblighi familiari di protezione e responsabilità, cit., 959 ss.; A. Gatto, Natura della responsabilità derivante dalla violazione dell'obbligo di fedeltà tra coniugi, in Giust. civ., 2012, 11, 2602 ss.
[23] Si veda C. Castronovo, La nuova responsabilità civile, cit., 559 ss.; Id., Obblighi di protezione, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1990, XXI, 2.
[24] A. Nicolussi, Obblighi familiari di protezione e responsabilità, cit., 961.
[25] A. Nicolussi, Obblighi familiari di protezione e responsabilità, cit., 946.
[26] G. Oberto, La responsabilità contrattuale nei rapporti familiari, cit., 16.
[27] Ne scaturisce che il dovere di fedeltà, ha carattere strettamente personale e la sua lesione comporterebbe il ristoro dei danni patiti applicando le regole sulla responsabilità extracontrattuale; ex adverso, l’obbligo di contribuire ai bisogni della famiglia, che l’art. 143 c..c poter a carico di entrambi i coniugi, è un dovere di carattere prettamente economico ed in caso di inadempimento potrebbe esperirsi il rimedio di cui all’art. 1218 c.c. Cfr. tal senso P. Morozzo Della Rocca, Violazione dei doveri coniugali, immunità o responsabilità?, in Riv. crit. dir. priv., 1988, 623; G. Oberto, La responsabilità contrattuale nei rapporti familiari, cit., 23; G. Facci, Il danno da adulterio, in Resp. civ. prev., 2012, 1481 ss.
Il problema della quantificazione del danno costituisce uno dei profili più vivacemente dibattuti nell’ambito dell’illecito endofamiliare, ancora lontano dal trovare un’univoca sistemazione in sede giurisprudenziale.
[1] E’ pacifica una complementarietà tra la gravità soggettiva dell'illecito e l'entità del danno da riparare, dal momento che la prima viene a determinare un incremento delle conseguenze dannose patite dalla vittima: in questo senso E. Navaretta Funzioni del risarcimento e quantificazione dei danni non patrimoniali, in Resp. civ. prev., 2008, 500; M. Bianca, Diritto civile, La responsabilità, V, Milano, 2012, 207.
[2] G. Facci, Illeciti endofamiliari tra risarcimento e sanzione, in Resp. civ. prev., 2019. 421; sulla rilevanza dell'elemento soggettivo del dolo, che caratterizza la condotta particolarmente grave assunta dal responsabile cfr. Cass. civ., 7 giugno 2000, n. 7713, in Fam. dir., 2001, 159; App. Bologna, 10 febbraio 2004, in Fam. dir., 2006, 511, che condanna il padre al pagamento di una cospicua somma a favore del figlio sottolineando che il questi, ben consapevole della propria paternità, non ha fatto nulla per sopperire alle carenze in cui versava il figlio e per alleviare e colmare uno stato di disagio, non solo economico, molto grave; Trib. Venezia, 30 giugno 2004, in Fam. dir., 2005, 297, che sottolinea la condotta dolosa del padre "pervicace nel disinteresse verso la figlia".
[3] P. G. Monateri, Le Sezioni Unite e le molteplici funzioni della responsabilità civile, in Nuova giur. civ. comm., 2017, 1411; tale impostazione stata suffragata anche da alcuni recenti precedenti di merito sul danno da lutto: all’uopo cfr. Trib. Torino, 15 novembre 2018, n. 5255, riguardante il risarcimento del danno da lutto patito dalla madre dello studente morto per un gravissimo trauma cranio provocato dal crollo della controsoffittatura di un’aula di una scuola; Trib. Bologna, 31 agosto 2010, n. 2379, in Resp. civ. prev., 2011, 1125.
[4] M. Franzoni Antigiuridicità del comportamento e prevenzione della responsabilità civile, in Resp. civ., 2008, 303; sulla importanza attribuita alla funzione sanzionatoria negli illeciti di dolo, si segnalano le riflessioni di G. Alpa, La responsabilità civile, in Trattato di diritto civile, Milano, 1999, 236; C. Scognamiglio, Il danno morale soggettivo, in Nuova giur. civ. comm., 2010, 256.
[5] cfr. G. Facci, I nuovi danni nella famiglia che cambia, Milano, 2009, 88.
[6] Ex plurimis, Trib. Forlì, 13 gennaio 2009, in Resp. civ., 2009, 573; App. Bologna, 16 maggio 2006, ivi, 2006, 856.
[7] Cass. civ., 22 novembre 2013, n. 26205; Cass. civ., 31 luglio 2015, n. 16222, riguardante un caso di falso riconoscimento e poi disconoscimento; Cass. civ., 22 luglio 2014, n. 16657, in Foro it., 2015, 2149; Trib. Milano, 13 marzo 2017, in Fam. dir., 2018, 397, con nota di A. Scalera, riguardante un caso di condotta paterna, caratterizzata dal rifiuto di ogni approccio e contatto con il figlio disabile; Trib. Milano, 23 luglio 2014, ibidem, 2015, 43, con nota di S. Veronesi, Sulla determinazione tabellare del danno endofamiliare. In dottrina, C. Bona, Rimborsi e risarcimenti per l'assenza paterna: tra equità e tabelle, in Foro it., 2015, 2154 ss. (nota a Cass. sez. I, 22 luglio 2014 n. 16657, 2154; D. Amram, Conferme per l'adozione di una tabella?, in Danno e resp., 2014, 719; B. Tassone, Il danno intrafamigliare e la sua quantificazione: nuovi spunti di law & psychology, in Danno e resp., 2014, 724.
[8] App. Brescia, 1 marzo 2012; Trib. Milano, 23 luglio 2014, in www.Altalex.it; Trib. Lecce, Sez. I, 01 ottobre 2019, n. 3024, in jusdicere.it il quale ribadisce che Il relativo quantum risarcitorio - che prescinde dallo status economico del genitore - va liquidato in via equitativa e nella liquidazione si possono prendere a riferimento, con gli opportuni correttivi, le somme previste dalle tabelle del Tribunale di Milano con sentenza del 23.07.2014 per la perdita del rapporto parentale. Il Tribunale di Lecce ha stabilito che, non ricoprendo alcuna funzione genitoriale, il convenuto ha realizzato l'illecito endofamiliare, privando completamente l'attrice della figura paterna e quindi del suo diritto alla bigenitorialità; Trib. Milano, 05.10.2016; Trib. Torino, 5 giugno 2014 in www.Altalex.it il quale osserva che la liquidazione del danno non patrimoniale conseguente al mancato riconoscimento dello status di filiazione da parte del genitore va liquidato in via equitativa sulla base delle prove processuali ricondotte alle ricadute negative sulla salute e sulla vita del figlio. A tali fini è utilizzabile il criterio del minimo tabellare in uso per la liquidazione del danno da morte del padre. Tuttavia, tale parametro va corretto tenendo conto della differenza tra lutto da morte e abbandono. Fino alla maggiore età del figlio, l'unico legittimato attivo all'azione di risarcimento ex art. 2043 c.c., per il danno conseguente all'inadempimento del mantenimento del figlio, e degli altri strumenti tipici del sistema penale e civile, è la madre. Contra, in giurisprudenza, App. Napoli, 18 luglio 2013, in www.ilcaso.it, ritiene che “le stesse peculiarità dell'illecito endofamiliare, qui essenzialmente omissivo, rendono del tutto inadeguata l'applicazione delle c.d. Tabelle predisposte presso taluni uffici giudiziari”.
[9] F. Galletti, Il danno c.d. da privazione del rapporto genitoriale e le tabelle di Milano come possibile risposta al problema della relativa quantificazione, in Resp. civ. prev., 2015, 2, 562 ss.
[10] Cfr. Cass. civ., 16 febbraio 2015, n. 3079; Cass. civ., 22 luglio 2014, n. 16657, in il caso.it: la violazione dei doveri di mantenimento, istruzione ed educazione dei genitori verso la prole, a causa del disinteresse mostrato nei confronti dei figli per lunghi anni, integra gli estremi dell'illecito civile, cagionando la lesione di diritti costituzionalmente protetti, e dà luogo ad un'autonoma azione dei medesimi figli volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell'art. 2059 c.c. La voce di pregiudizio in esame sfugge a precise quantificazioni in moneta e, pertanto, si impone la liquidazione in via equitativa ex art. 1226 cod. civ. In merito alla quantificazione in concreto, in caso di danno endofamiliare da privazione del rapporto genitoriale, può essere applicata, come riferimento liquidatorio, la voce ad hoc prevista dalle tabelle giurisprudenziali adottate dall’Osservatorio sulla Giustizia Civile di Milano (“perdita del genitore”).
[11] Cass. civ., 22 novembre 2013 n. 26205, in Giur. it., 2014, 7, 1592 ss. Polemico sulla questione cfr. L. Gaudino, Paternità, obblighi, responsabilità: il risarcimento del danno per lesione del diritto al rapporto parentale, cit., 607 ss.
[12] cfr. Trib. Matera, 7 dicembre 2017 e Trib. Trieste, 22 dicembre 2017, in Resp. civ. prev., 2018, 2, 607 ss., con nota di L. Gaudino, Paternità, obblighi, responsabilità: il risarcimento del danno per lesione del diritto al rapporto parentale, cit.; Trib. Torino, 5 giugno 2014, in www.ilcaso.it.; Trib. Roma, 18 novembre 2014, in www.diritto24.ilsole24ore.com.
[13] G. Facci, Il risarcimento del danno patrimoniale da uccisione di un familiare, in La responsabilità nelle relazioni familiari, a cura di M. Sesta, Torino, 2008, 409 ss.; M. Franzoni, Il risarcimento del danno non patrimoniale da uccisione del familiare, ivi, 389 ss. In giurisprudenza, cfr. Cass. civ., 9 maggio 2011 n. 10107, in Resp. civ. prev., 2011, 2235 ss., la quale precisa che la relativa quantificazione del danno da morte da congiunto va operata considerando tutti gli elementi della fattispecie e, in caso di ricorso a valori tabellari, che vanno in ogni caso esplicitati, effettuandone la necessaria “personalizzazione”; Trib. Torino, 05 Giugno 2014, in ilcaso.it il quale ribadisce che un valido criterio di riferimento per il risarcimento danni è costituito dal minimo tabellare in uso per la liquidazione del danno da morte del padre. “Tale parametro, però, deve essere assoggettato a una serie di correttivi, i quali tengano conto, da un lato della ontologica differenza tra lutto da morte (che può essere solo elaborato) e lutto da abbandono (teoricamente emendabile), dall’altra delle effettive conseguenze negative sulla vita del minore”; contra, Trib. Cagliari, 12 febbraio 2020, cit.
[14] L. Gaudino, Paternità, obblighi, responsabilità: il risarcimento del danno per lesione del diritto al rapporto parentale, cit., 607 ss.; G. La Malfa Ribolla, La tutela risarcitoria per assenza del genitore, tra conferme della responsabilità civile endofamiliare e dubbi sulla coerenza del sistema, in Studium iuris, 2014, 880 ss.
[15] A. Scalera, Il danno da privazione della figura paterna: alcune incertezze applicative, in Fam. e dir., 2018, 403; Trib. Trieste, 22 dicembre 2017, in Resp. civ. prev., 2018, 2, 607 ss., ove testualmente si legge: “Il mancato riconoscimento da parte della figura genitoriale paterna è diverso dal lutto perché nel caso del non riconoscimento il soggetto ha difficoltà ad elaborare, è portatore di aspettative che lo conducono a vivere in una specie di “limbo”: c'è una parte sospesa, un vuoto all'interno del quale può costruire un suo mondo alternativo e fantastico che può essere più o meno ancorato alla realtà”.
[16] A. Mendola, Danno da privazione del rapporto genitoriale e le nuove frontiere della responsabilità civile, cit., 905.
[17] Trib. Vicenza, 24 ottobre 2019, in il caso.it il quale precisa come “il danno da attività illecita di questo tipo deve essere circoscritto al mero pretium doloris e la misura del ristoro non patrimoniale da mancato riconoscimento della paternità naturale non può che riferirsi all’arco di vita che va dalla nascita al compimento della maggiore età in quanto il figlio può scegliere se agire o meno contro il padre se è a conoscenza della sua identità ; diversamente Trib. Lecce 1 ottobre 2019, n. 3024, cit., sottolinea che “va escluso il concorso colposo nella produzione del danno, ex art.12227 c.c., in ipotesi di inerzia dei figli in ordine al momento da essi prescelto per l’iniziativa giudiziale, in quanto liberamente e legittimamente determinabile da parte dei titolari del diritto, oltre che del tutto ininfluente, rispetto alla configurazione e determinazione del danno non patrimoniale riconosciuto (in tal senso cfr. anche Cass. civ., n. 26205/2013).
[18] Interessante è, pertanto, anche l'impostazione dottrinale che discetta di liquidazione ad hoc, in cui la base di calcolo è costituita dalla mediana delle liquidazioni operate per ogni mese di assenza del genitore, da moltiplicarsi per il numero di mesi in cui il genitore si è disinteressato dei figli. In tal senso, cfr. C. Bona, Rimborsi e risarcimenti per l'“assenza” paterna: tra equità e tabelle, cit. 2154.
[19] B. Tassone, Il danno intrafamigliare e la sua quantificazione, cit., 729; nello stesso senso cfr. Trib. Lecce-Maglie, 3 settembre 2008, in Fam. pers. succ., 2009, 785 nonché Trib. Cagliari, 25 agosto 2006, in Riv. giur. sarda, 2008, 11.