L’intervento della Suprema corte investe la questione dei controversi rapporti tra la mora e l’usura, nel faticoso tentativo di fronteggiare le incertezze generate da un’ondivaga giurisprudenza di merito e di guidare l’interprete nell’eterogeneità di vedute in dottrina. Già in precedenza la Suprema corte aveva ricavato la rilevanza usuraria degli interessi moratori da una sostanziale identità di funzione tra interessi corrispettivi e moratori, da cui discende l’irragionevolezza di un trattamento differenziato ai fini del rilievo dell’usura. Pronunziatesi in senso favorevole all’inclusione degli interessi di mora nella fattispecie di usura in astratto, le Sezioni Unite si occupano dell’ulteriore questione delle modalità di accertamento dell’usurarietà di tale species di interessi, quindi si pronunciano sulle controverse conseguenze della nullità dell’interesse di mora usurario sul rapporto obbligatorio e, infine, affrontano il nodo della possibilità per il debitore di agire per l’accertamento del carattere usurario degli interessi anche prima che si sia verificato l’inadempimento presupposto per la decorrenza degli interessi di mora. L’A., dopo un’attenta disamina delle soluzioni delle Sezioni Unite, ne pone in rilievo gli aspetti critici e, in conclusione, reputa il quadro ricomposto dalla Cassazione non puntualmente supportato dal sistema delle regole legislative e afflitto da non poche aporie, frutto del tentativo di conciliare interessi contrapposti anche a discapito della coerenza.
The intervention of the Supreme Court involves the question of the controversial relationships between default interests and usury, in a laborious attempt to face the uncertainties generated by a wavering jurisprudence of merit and to guide the interpreter in the heterogeneity of views in doctrine. Previously, the Supreme Court had derived the usurious relevance of default interests from a substantial identity of function between payment interests and default interests, from which derives the unreasonableness of a differentiated treatment for the purposes of the relevance of usury. Ruling in favor of the inclusion of default interests in the case of usury in abstract, the United Sections deal with the further question of how to ascertain the usuriousness of this species of interest, then rule on the controversial consequences of the nullity of the usurious default interest on the obligatory relationship and, finally, address the issue of the possibility for the debtor to act for the ascertainment of the usurious nature of the interests even before the default has occurred as a prerequisite for the start of the default interests. The A., after a careful examination of the solutions of the United Sections, highlights the critical aspects and, in conclusion, considers the framework recomposed by the Supreme Court not punctually supported by the system of legislative rules and afflicted by many aporias, resulting from the attempt to reconcile opposing interests even at the expense of coherence.
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Pierluigi Mazzamuto - L’usurarietà degli interessi moratori. Considerazioni critiche sulla sentenza delle Sezioni Unite 18 settembre 2020, n. 19597
1. Premessa. - 2. Il casus decisus. - 3. Il rilievo degli interessi moratori ai fini anti-usura. - 4. Accertamento dell’usurarietà degli interessi moratori: affermazione e negazione del principio di simmetria. - 5. La “transtipicità” del rimedio applicabile e il ricalcolo nella misura degli interessi corrispettivi leciti. - 6. L’interesse ad agire tra usura in astratto e in concreto. - 7. Conclusioni.
Con la sentenza 18 settembre 2020, n. 19597[1], l’intervento della Suprema corte – non estraneo, quantomeno nell’ultimo lustro, alle ambiguità applicative destate dalla legislazione anti-usura[2] – investe la “questione di massima di particolare importanza”[3] dei controversi rapporti tra la mora e l’usura, nel faticoso tentativo di fronteggiare le incertezze generate da un’ondivaga giurisprudenza di merito e di guidare l’interprete nell’eterogeneità di vedute in dottrina.
A tal fine la Corte, a Sezioni Unite, enuncia sette principi di diritto:
1) sulla compatibilità tra la disciplina anti-usura e gli interessi moratori («La disciplina antiusura si applica agli interessi moratori, intendendo essa sanzionare la pattuizione di interessi eccessivi convenuti al momento della stipula del contratto quale corrispettivo per la concessione del denaro, ma anche la promessa di qualsiasi somma usuraria sia dovuta in relazione al contratto concluso»);
2) sull’accertamento dell’usurarietà degli interessi moratori in presenza di una rilevazione media ministeriale («La mancata indicazione dell’interesse di mora nell’ambito del T.e.g.m. non preclude l’applicazione dei decreti ministeriali, i quali contengano comunque la rilevazione del tasso medio praticato dagli operatori professionali, statisticamente rilevato in modo del pari oggettivo ed unitario, essendo questo idoneo a palesare che una clausola sugli interessi moratori sia usuraria, perché “fuori mercato”, donde la formula: “T.e.g.m., più la maggiorazione media degli interessi moratori, il tutto moltiplicato per il coefficiente in aumento, più i punti percentuali aggiuntivi, previsti quale ulteriore tolleranza dal predetto decreto”»);
3) sull’accertamento dell’usurarietà degli interessi moratori in assenza di una rilevazione media ministeriale («Ove i decreti ministeriali non rechino neppure l’indicazione della maggiorazione media dei moratori, resta il termine di confronto del T.e.g.m. così come rilevato, con la maggiorazione ivi prevista»);
4) sul rimedio applicabile («Si applica l’art. 1815, comma 2, cod. civ., onde non sono dovuti gli interessi moratori pattuiti, ma vige l’art. 1224, comma 1, cod. civ., con la conseguente debenza degli interessi nella misura dei corrispettivi lecitamente convenuti»);
5) sull’interesse ad agire del finanziato («Anche in corso di rapporto sussiste l’interesse ad agire del finanziato per la declaratoria di usurarietà degli interessi pattuiti, tenuto conto del tasso-soglia al momento dell’accordo; una volta verificatosi l’inadempimento ed il presupposto per l’applicazione degli interessi di mora, la valutazione di usurarietà attiene all’interesse in concreto applicato dopo l’inadempimento»);
6) sulla concorrenza con la disciplina consumeristica («Nei contratti conclusi con un consumatore, concorre la tutela prevista dagli artt. 33, comma 2, lett. f e 36, comma 1, codice del consumo di cui al D.lgs. n. 206 del 2005, già artt. 1469-bis e 1469-quinquies cod. civ.»);
7) sull’onere probatorio («L’onere probatorio nelle controversie sulla debenza e sulla misura degli interessi moratori, ai sensi dell’art. 2697 cod. civ., si atteggia nel senso che, da un lato, il debitore, il quale intenda provare l’entità usuraria degli stessi, ha l’onere di dedurre il tipo contrattuale, la clausola negoziale, il tasso moratorio in concreto applicato, l’eventuale qualità di consumatore, la misura del T.e.g.m. nel periodo considerato, con gli altri elementi contenuti nel decreto ministeriale di riferimento; dall’altro lato, è onere della controparte allegare e provare i fatti modificativi o estintivi dell’altrui diritto»).
La sequenza dei principi di diritto delle Sezioni Unite contiene l’affermazione della rilevanza usuraria degli interessi moratori ma delinea un itinerario, teso a dare corpo a tale rilevanza, che si presenta alternativo rispetto al dato normativo ricavabile dalla legislazione anti-usura.
In luogo dell’orientamento verso l’istanza di tutela del debitore sovvenuto, con la quale la Corte si sarebbe dovuta piuttosto misurare, l’impressione è che, nell’individuare le ragioni sottese alla legislazione del 1996, il favor debitoris dichiarato dalla Suprema Corte rimanga tradito da una maggiore attenzione alle ben note logiche del primato del credito, inclini in verità a preservare i soggetti forti del mercato creditizio in luogo degli originari destinatari della tutela.
La percezione di un «fine (che) non giustifica i mezzi»[4] e la disillusione che «in medio stat virtus»[5] insinuano allora il dubbio che la fiducia riposta nell’opera chiarificatrice della Cassazione non sia stata ripagata da un arresto in grado di porre fine alla tormentata saga e che, come accade per le soluzioni di compromesso, abbia semmai destato ulteriori incertezze.
[1] A commento di Cass., sez. un., 18 settembre 2020, n. 19597, si vedano: A. Stilo, Usura e interessi di mora: secondo le Sezioni Unite è questione di simmetria, in Contratti, 2020, p. 639 ss.; C. Colombo, Interessi di mora e disciplina antiusura. Prime osservazioni a margine della pronuncia delle Sezioni Unite, in Giustiziacivile.com, 2020; G. Guizzi, Usura e interessi di mora: e quindi uscimmo a riveder le stelle?, in Corr. giur., 2020, p. 1305 ss.; E. Quadri, La via delle sezioni unite alla rilevanza usuraria degli interessi moratori, in Nuova giur. civ. comm., 2021, p. 184 ss.; F. Piraino, Gli interessi moratori usurari ma contra legem, ivi, p. 196 ss.; Id., Le Sezioni Unite su usura e interessi moratori: il fine non giustifica i mezzi, in Contratti, 2021, p. 5 ss.; G. Colangelo, Le Sezioni Unite della Cassazione e la salvezza degli interessi moratori: il divorzio dalla matematica e la tutela del contraente forte, ivi, p. 89 ss.; P. Iamiceli, Credito al consumo, nullità parziale e integrazione del contratto: la sorte dei tassi moratori tra vessatorietà della clausola e disciplina anti-usura, ivi, p. 102 ss.; L. Morisi, Usura e interessi di mora: in medio stat virtus?, ivi, p. 113 ss.; U. Salanitro, Il disincanto del Giudice. Gli interessi moratori usurari nel prisma delle Sezioni Unite, in Banca, borsa, tit. cred., 2021, p. 1 ss.; A. Gentili, Usura e interessi moratori dal punto di vista della ratio legis, in Riv. dir. banc., 2021, 1, p. 93 ss.; A. Didone, Le Sezioni Unite e l’«usura degli interessi moratori». Spunti critici, ivi, p. 107 ss.; F. Astone, Usura e interessi moratori: la parola finale, tra principi legislativi e diritto giurisprudenziale, ivi, 2, p. 231 ss.; C.A. Valenza-A. Cinque, Interessi moratori e usura. Riflessioni a margine di Cass., sez. un., 18 settembre 2020, n. 19597, in Contr. impr., 2021, 2, p. 630 ss.; A. Palmieri, Usura e interessi moratori: questo matrimonio s’ha da fare, in Foro it., 2021, 2, p. 581 ss.; A. Barenghi, Mora usuraria e interessi corrispettivi: le Sezioni unite disinnescano il contenzioso, in Giur. it., 2021, 3, p. 572 ss.; M. Scotto Di Carlo, Le Sezioni Unite sull’applicazione della disciplina antiusura agli interessi moratori: luci e ombre, in Danno resp., 2021, 2, p. 207 ss.; B. Petrazzini, Interessi moratori e usura: l’intervento delle Sezioni unite, in Giur. it., 2021, 6, p. 1395 ss.; F. Greco-A. Zurlo, Interessi moratori, usurarietà e tutela consumeristica: considerazioni a margine dell’alchimia delle Sezioni Unite, in Resp. civ. e prev., 2021, 4, p. 1192 ss.
[2] L’intervento delle Sezioni Unite segue i precedenti di Cass., sez. un., 19 ottobre 2017, n. 24675, sull’usura sopravvenuta (in Foro it., 2017, I, c. 3274 ss., con nota di G. Carriero, Usura sopravvenuta. C’era una volta?; e ivi, c. 3285 ss., con nota di G. La Rocca, Usura sopravvenuta e «sana e prudente gestione» della banca: le sezioni unite impongono di rimeditare la legge sull’usura a venti anni dall’entrata in vigore; in Ilcaso.it, 28 febbraio 2017, con nota di A. Dolmetta, Al vaglio delle Sezioni Unite l’usura sopravvenuta; in Dir. civ. cont., 30 ottobre 2017, con nota di S. Alecci, Le Sezioni Unite e il tramonto dell’«usura sopravvenuta»; in Corriere giur., 2017, p. 1484 ss., con nota di S. Pagliantini, L’usurarietà sopravvenuta ed il canone delle SS.UU.: ultimo atto?; e ivi, p. 1495 ss., con nota di G. Guizzi, Le Sezioni Unite e il de profundis per l’usura sopravvenuta; in Riv. dir. ec. trasp. amb., vol. XVI, 2018, p. 52 ss., con nota di F. Giuliani, Riflessioni su Cassazione 19 ottobre 2017 n. 24675: le Sezioni Unite decretano il definitivo tramonto dell’usura sopravvenuta) e di Cass., sez. un., 20 giugno 2018, n. 16303, sui rapporti tra usura e commissione di massimo scoperto (in Guida al dir., 2018, 30, p. 26 ss., con nota di F. Mazzini, Il Cms oggetto di separata comparazione; in Ilcaso.it, 2018, con nota di R. Marcelli, Le Sezioni Unite (n. 16303/18) legittimano la rilevazione usuraria della CMS, secondo le modalità della circolare Banca d’Italia del 2 dicembre 2005; in Banca, borsa, tit. cred., 2018, II, p. 659 ss., con nota di U. Salanitro, Dal rigetto dell’usura sopravvenuta all’affermazione del principio di simmetria: la strategia delle Sezioni Unite; in Rep. Foro it., 2019, voce Usura, n. 39; in Foro it., 2019, I, c. 591 ss., con nota di G. Colangelo, L’usura, la commissione sul massimo scoperto e la Cassazione euroscettica; in Giur. it., 2019, p. 858 ss., con nota di M. Callegari-L. Quattrocchio, Sezioni Unite e la rilevanza della commissione di massimo scoperto: due punti di vista a confronto; in Nuova giur. comm., 2019, p. 84 ss., con nota di N. Rizzo, Le Sezioni Unite consacrano la simmetria come principio della legge anti-usura ma si perdono all’ultimo miglio; in Resp. civ. prev., 2019, p. 876 ss., con nota di M. Robustella, Le Sezioni Unite sulla commissione di massimo scoperto: una soluzione di compromesso tra certezza del diritto e giustizia sostanziale; in Riv. dir. ec. trasp. amb., vol. XVII, 2019, p. 55 ss., con nota di A. Purpura, Commissione di massimo scoperto e usura. Riflessioni a margine di Cassazione 20 giugno 2018, n. 16303).
[3] Il riferimento è a Cass. civ., sez. I, 22 ottobre 2019, n. 26946, in Contratti, 2020, I, p. 29 ss., con nota di L. Morisi, Alla ricerca di una soluzione definitiva (e convincente) in tema di interessi moratori usurari; ivi, p. 138 ss., con nota di F. Piraino, Interessi moratori, usura e c.d. clausola di salvaguardia; in Corriere giur., 2020, I, p. 26 ss., con nota di C. Colombo, Interessi di mora e usura: la parola alle Sezioni Unite; in Riv. not., 2020, I, p. 104 ss., con nota di C. Cicero-M. Maxia, La questione dei rapporti tra interessi moratori e usura, in attesa delle Sezioni unite; in Nuova giur. civ. comm., 2020, p. 593 ss., con nota di F. Piraino, La rilevanza degli interessi moratori nel giudizio di usura in astratto; ivi, p. 655 ss., con nota di E. Quadri, Interessi moratori e usura: i nodi che le Sezioni Unite dovranno sciogliere; in Giur. it., 2020, p. 1334 ss., con nota di A. Barenghi, A volte ritornano: si riapre il problema della mora oggettivamente usuraria.
[4] F. Piraino, Le Sezioni Unite su usura e interessi moratori: il fine non giustifica i mezzi, cit., p. 5 ss.
[5] L. Morisi, Usura e interessi di mora: in medio stat virtus?, cit., p. 113 ss.
La controversia che ha dato origine alla sentenza in commento ruota attorno all’inadempimento di un contratto di credito al consumo, a fronte del quale una società finanziaria aveva ottenuto un decreto ingiuntivo per il pagamento delle rate scadute, nonché degli interessi moratori al tasso del 17,57 % annuo e di due penali pattuite per l’inadempimento del consumatore.
All’esito del giudizio di opposizione al decreto, il Tribunale di Genova ha riscontrato l’abusività delle clausole contenute nelle condizioni generali di contratto relative alle conseguenze dell’inadempimento e ha riconosciuto anche l’usurarietà degli interessi moratori, revocando su tali premesse il provvedimento in parziale accoglimento delle ragioni del consumatore. La decisione veniva condivisa dalla Corte di appello di Genova, sulle base delle medesime ragioni, e da ciò il rigetto delle impugnazioni promosse contro la pronuncia di primo grado.
In seguito alla proposizione del ricorso per cassazione ad opera della società finanziaria, la Prima sezione della Corte di cassazione, con ordinanza interlocutoria del 22 ottobre 2019 n. 26946, ha rimesso al Primo Presidente la questione di particolare importanza, prospettata nel ricorso fra i motivi di impugnazione e incentrata sull’applicabilità o meno della disciplina anti-usura agli interessi moratori e sulle conseguenze dell’avvenuto superamento del tasso soglia[1].
E segnatamente, l’ordinanza ventila che la rilevanza usuraria degli interessi moratori potrebbe risultare preclusa dall’esclusione degli interessi moratori tra le voci di costo rilevate trimestralmente dal Ministero dell’Economia e delle Finanze al fine di determinare il tasso effettivo globale medio (TEGM) e ciò in ossequio al principio di c.d. “simmetria” tra le voci di costo adoperate nella rilevazione media e quelle prese concretamente in considerazione dal giudice per il computo del tasso effettivo globale (TEG).
Nell’eventualità della rilevanza usuraria degli interessi moratori, l’ordinanza solleva l’ulteriore questione se il superamento del tasso soglia implichi o meno il venir meno degli interessi, dopo la risoluzione per inadempimento del contratto di finanziamento, e, dunque, «la questione se sia corretta, in presenza di riscontrata nullità o inefficacia della clausola sugli interessi moratori, la statuizione di un residuo obbligo di pagamento della sola sorte capitale per le rate scadute e a scadere, nonché se esista una motivazione al riguardo» (punto 4 della sentenza delle Sezioni Unite).
Rimesse le questioni alle Sezioni Unite, il Supremo consesso le ha dunque affrontate e ha concluso, elaborando i principi di diritto evocati in premessa.
[1] Cass., sez. I, 22 ottobre 2019, n. 26946, cit., che ha rimesso al Primo Presidente l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite delle due seguenti questioni: «a) se alla stregua del tenore letterale degli artt. 644 c.p. e 2 l. n. 108/1996, nonché dalle indicazioni emergenti dai lavori preparatori di quest’ultima legge, sia consentito escludere l’assoggettamento degli interessi di mora alla disciplina antiusura in quanto non costituenti oggetto di rilevazione ai fini della determinazione del TEGM; b) in caso contrario, se, ai fini della verifica in ordine al carattere usurario degli interessi, sia sufficiente la comparazione con il tasso soglia determinato in base alla rilevazione del TEGM di cui all’art. 2, comma 1, l. n. 108/1996, oppure se la mera rilevazione del relativo tasso medio imponga di verificarne l’avvenuto superamento nel caso concreto e con quali modalità».
La risposta positiva alla questione prodromica della compatibilità tra la legislazione anti-usura e gli interessi moratori non costituisce di certo un punto di novità nella giurisprudenza di legittimità (rispetto alle più controverse questioni relative al quomodo di tale rilevanza).
Già in precedenza la Suprema corte aveva ricavato la rilevanza usuraria degli interessi moratori da una sostanziale identità di funzione tra interessi corrispettivi e moratori, da cui discende l’irragionevolezza di un trattamento differenziato ai fini del rilievo dell’usura[1].
Una considerazione “troppo angusta” di corrispettività[2] avrebbe occultato, già per troppo tempo[3], l’affinità funzionale degli interessi moratori agli interessi corrispettivi, entrambi preordinati a tenere indenne il creditore della perduta possibilità di impiegare il capitale dovutogli, in linea con il principio della naturale fecondità del denaro.
In dottrina si sottolinea che la redditività della fase fisiologica del rapporto pecuniario viene impiegata, in seguito all’inadempimento, in funzione di reazione alla violazione del vincolo obbligatorio, attraverso la tecnica della maggiorazione dell’interesse, la quale tuttavia non snatura quest’ultimo, preservandone l’essenza di strumento di remunerazione del finanziamento ora esteso all’intera durata del ritardo nell’adempimento[4].
Né le inevitabili distinzioni operanti tra le due species sotto altri profili (come la diversità di causazione e la conseguente natura volontaria o meno della remunerazione del capitale che esse rappresentano o, ancora, il diverso fondamento normativo[5]) riuscirebbero a privare gli interessi moratori di rilievo usurario. D’altronde, laddove così non fosse il creditore beneficerebbe di una retribuzione usuraria della mora, che lo alletterebbe in misura maggiore di quanto non facciano gli interessi corrispettivi, assoggettati alle cautele contro gli approfittamenti usurari del creditore.
Diversa, semmai, è la logica sottesa all’art. 1284 c.c., che – aggiunto dall’art. 17, comma 1, del decreto legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito nella legge 10 novembre 2014, n. 162 – prevede che, in assenza di convenzione di interessi di mora, il saggio degli interessi legali per i crediti sub iudice opera dal momento in cui è proposta la domanda giudiziale, in una misura pari «a quello previsto dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali». In questo caso, l’elevato tasso di interesse avrebbe cura di dissuadere i debitori inadempienti a stare in giudizio speculativamente permanendo il loro inadempimento, palesando un’intenzione normativa che è quella di deflazione del contenzioso[6].
La soluzione adottata della sentenza in commento sottrae, quindi, gli interessi moratori convenuti in una misura sproporzionata al rimedio della riduzione equitativa ex art. 1384 c.c.[7]: previsione normativa applicabile sulla scorta di una (pur discussa) equiparazione tra gli interessi moratori e la clausola penale[8] (che la Corte ripropone), con conseguente difformità applicativa sul piano nazionale (come espresso al punto 6 della sentenza).
Rispetto all’alternativa di includere gli interessi moratori nella fattispecie di usura in concreto[9], conformemente a un certo orientamento dell’ABF[10], la pronuncia in commento è contraria, propendendo per la loro collocazione nell’alveo dell’usura in astratto[11] sulla scorta di ragioni che attingono sia all’argomento letterale sia a quello teleologico.
In primo luogo, una diversa indicazione non sarebbe riscontrabile dal combinato disposto degli artt. 644, commi 1, 2 e 4, c.p., e 1815, comma 2, c.c., nonché dall’art. 2 della legge n. 108/1996, e dall’art. 1 del d.l. n. 394/2000. Quest’ultima previsione offre un argomento decisivo per ritenere che l’usurarietà vada valutata al momento della pattuizione e «a qualsiasi titolo», essendo dunque irrilevante la qualità giuridica della fonte dell’obbligazione da interessi per l’assoggettamento alle norme anti-usura, come comprovato dai lavori preparatori della stessa legge[12].
Ma è dalle rationes della disciplina richiamata che la Cassazione trae un argomento dirimente a sostegno della soluzione “inclusiva”: le istanze di repressione della criminalità economica, di direzione del mercato creditizio e di stabilità del sistema bancario sono considerate recessive rispetto alla «esigenza primaria di non lasciare il debitore alla mercé del finanziatore: il quale, se è subordinato al rispetto del limite della soglia usuraria quando pattuisce i costi complessivi del credito, non può dirsi immune dal controllo quando, scaduta la rata o decorso il termine pattuito per la restituzione della somma, il denaro non venga restituito e siano applicati gli interessi di mora, alla cui misura l’ordinamento (cfr. art. 41 Cost.) e la disciplina ad hoc dettata dal legislatore ordinario non restano indifferenti» (punto 6 della pronuncia in commento).
La soluzione accolta dalla Corte su questo primo punto non spazza, tuttavia, ogni perplessità. In senso contrario all’argomento letterale addotto, potrebbe invece argomentarsi che la locuzione «a qualunque titolo» è collocata dopo le parole «promessi o comunque convenuti», e non immediatamente dopo il termine «interessi»[13]: il che potrebbe costituire indice del riferimento dell’inciso ai soli costi accessori del credito di fonte negoziale, e non anche ai costi della mora.
Quanto all’argomento sistematico, quella dichiarata prevalenza della tutela del fruitore del finanziamento tra le varie ragioni sottese alla repressione degli interessi usurari è ben presto deposta dalla stessa Corte, più avanti nel corpo della motivazione, quando si scende sul terreno dell’accertamento dell’usurarietà degli interessi moratori e si adotta una modalità diversa rispetto a quella dei corrispettivi. E oltretutto, lo stesso computo del tasso di usura per il tramite di un tasso-soglia ricavato dalla media di mercato dei costi delle diverse categorie di finanziamento (TEGM), com’è noto funzionale a calmierare i costi dei finanziamenti, è un vistoso indice di come l’esigenza di direzione del mercato del credito non sia obiettivo che possa essere facilmente dismesso, se non in difformità del dato normativo[14].
[1] Cass., sez. I, 30 ottobre 2018, n. 27442, in Giur. it., 2019, p. 2616 ss., con nota di A. Barenghi, Interessi moratori e usura: una presa di posizione enciclopedica della Cassazione; in Foro it., 2019, I, c. 2134 ss., con nota di B. Nazeraj, Gli sviluppi dell’acceso dibattito sulla rilevanza degli interessi moratori ai fini della disciplina dell’usura; in Banca, borsa, tit. cred., 2019, II, p. 1 ss., con nota di P.L. Fausti, Luci e ombre sugli interessi moratori: tra decisioni e novità normative; ivi, p. 43 ss., con nota di L. Pascucci, Interessi moratori e usura: interpretazione abrogante dell’art. 1815, comma 2, c.c. in una recente decisione della Suprema Corte; in Dir. civ. cont., 21 dicembre 2018, con nota di A. Purpura, Interessi moratori e usura. Considerazioni a margine di Cassazione 30 ottobre 2018, n. 27442; in Corriere giur., p. 153 ss., con nota di G. Guizzi, La cassazione e l’usura... per fatto del debitore.
[2] Così N. Rizzo, Gli interessi moratori usurari nella teoria delle obbligazioni pecuniarie, in Banca, borsa, titoli di credito, 2018, 3, p. 359 ss.
[3] Specie laddove si avvalori l’assunto, portato avanti da Cass., sez. I, 30 ottobre 2018, n. 27442, cit., secondo cui il discrimine tra interessi corrispettivi e moratori costituisca un «falso storico», che la Cassazione denuncia essersi affermato per fini circoscritti, tramandato per «pigrizia esegetica» e privo in epoca attuale di una giustificazione teorica. Già nel diritto romano classico le usurae moratoriae, non diversamente da altri interessi dovuti per diritto pretorio (c.d. ex officio iudicis), remuneravano egualmente il capitale e quel limite dettato per l’usura pattizia, oltre il quale gli interessi erano illegittimi, si applicava anche all’usura originata da mora. Cfr. A. Arnese, Usura e modus. Il problema del sovraindebitamento dal mondo antico all’attualità, Bari, 2013, p. 1 ss.; A. Cherchi, Ricerche sulle “usurae” convenzionali nel diritto romano classico, Napoli, 2012, p. 1 ss.
[4] Cfr. in proposito F. Piraino, Interessi moratori, usura e c.d. clausola di salvaguardia, cit., p. 141 ss.
[5] A ben vedere il distinto fondamento normativo attuale dei due tipi di interessi costituisce soltanto il retaggio dell’unificazione del codice civile e di commercio sotto il medesimo codice del 1942: l’art. 1282 c.c., quale trasposizione dell’art. 40 cod. comm. del 1882, estesa a tutti i crediti, e l’art. 1224 c.c., quale derivato dell’art. 1831 cod. civ. del 1865.
[6] S. Pagliantini, Spigolature su di un idolum fori: la c.d. usura legale del nuovo art. 1284 c.c., in Gli interessi usurari. Quattro voci su un tema controverso, a cura di G. D’Amico, 2ª ed., Torino, 2017, p. 65 ss., spec. p. 71.
[7] Come di recente sancito da Cass, sez. III, 17 ottobre 2019, n. 26286, favorevole all’applicazione dell’art. 1384 c.c. agli interessi convenzionali di mora.
[8] Sull’equiparazione tra gli interessi moratori al tasso convenzionale e la clausola penale, ex multis, C.M. Bianca, Dell’inadempimento delle obbligazioni, cit., p. 303; Id., Diritto civile, vol. 4, L’obbligazione, cit., p. 240; T. Ascarelli, Obbligazioni pecuniarie, sub Artt. 1277-1284, in Commentario del codice civile, a cura di A. Scialoja-G. Branca, Bologna-Roma, 1959, p. 564; U. Natoli, L’attuazione del rapporto obbligatorio, vol. IV, Milano, 1964, p. 136; M. Fragali, Del mutuo, sub Artt. 1813-1822, in Commentario del codice civile, a cura di A. Scialoja-G. Branca, Bologna-Roma, 2a ed., 1966, p. 360; M. Libertini, voce Interessi, in Enc. dir., vol. XXII, Milano, 1972, p. 129; E. Quadri, Le obbligazioni pecuniarie, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, vol. IX, Torino, 1984, p. 563; O.T. Scozzafava, Gli interessi monetari, cit., p. 112; S. Mazzarese, Clausola penale, sub Artt. 1382-1384, cit., p. 133 ss.; contra N. Muccioli, Clausole abusive e nullità di protezione: il caso degli interessi moratori eccessivi, in Riv. dir. comm., 2015, p. 501, che esclude alla clausola penale l’applicazione dell’art. 1224, comma 1, c.c. Cfr. F. Piraino, Usura e interessi, in Gli interessi usurari, cit., p. 158.
In giurisprudenza, si vedano Cass. civ., sez. II, 17 marzo 1994, n. 2538, in Rep. Foro it., 1994, voce Interessi, n. 4.; Cass. civ., sez. III, 21 giugno 2001, n. 8481; Cass. civ., sez. III, 18 novembre 2010, n. 23273, che ha applicato l’art. 1384 c.c. agli interessi moratori, come assai di recente, altresì, Cass. civ., sez. III, 17 ottobre 2019, n. 26286, che ha sancito che «nei rapporti bancari, gli interessi corrispettivi e quelli moratori contrattualmente previsti vengono percepiti ricorrendo presupposti diversi ed antitetici, giacché i primi costituiscono la controprestazione del mutuante e i secondi hanno natura di clausola penale, in quanto costituiscono una determinazione convenzionale preventiva del danno da inadempimento»; nella giurisprudenza ABF, ex multis, ABF, Coll. coord., 23 maggio 2014, n. 3412; ABF Napoli, 3 maggio 2016, n. 4046.
[9] In favore della quale E. Quadri, Usura e legislazione civile, in Corr. giur., 1999, p. 894; Id., voce Usura (dir. civ.), in Enc. giur., agg. VIII, Roma, 2000, p. 1 ss.; Id., Interessi moratori e usura: i nodi che le Sezioni Unite dovranno sciogliere, cit., p. 657; U. Salanitro, Usura e interessi moratori: ratio legis e disapplicazione del tasso-soglia, in Gli interessi usurari, cit., p. 123 ss., spec. p. 126 ss.; G. Carriero, Credito, interessi, usura: tra contratto e mercato, in Banca, borsa, titoli di credito, 2016, 1, p. 104 ss.; L. Morisi, Usura e interessi di mora: in medio stat virtus?, cit., par. 3.
[10] Tra le tante, ABF, Coll. coord., 28 marzo 2014, n. 1875, in Foro it., 2014, I, p. 1130 ss., che prevede che «il soddisfacimento delle ragioni creditorie non è più affidato alla fisiologica esecuzione del contratto, ma ai rimedi che assistono il debitore deluso, il quale può anche rimanere tale per sempre. Da ciò deriva la necessità logica di differenziare i due tipi di interessi»; in Nuova giur. civ. comm., 2014, p. 928 ss., con nota di M.N. Mizzau, La riduzione equitativa degli interessi moratori sproporzionati nell’attuale mercato del credito; ABF Roma, 17 gennaio 2014, n. 260, e ABF, Coll. coord., 30 aprile 2014, n. 2666, entrambe in Nuova giur. civ. comm., 2014, I, p. 482 ss., con nota di F. Volpe, Usura e interessi moratori nel linguaggio dell’Arbitro bancario e finanziario; ABF Roma, 23 maggio 2014, in Contratti, 2014, p. 737 ss., con nota di F.P. Patti, Clausola vessatoria sugli interessi moratori e integrazione del contratto; ABF, Coll. coord., 24 giugno 2014, n. 3955, in Contratti, 2015, p. 257 ss., con nota di G. Colangelo, Interessi moratori. Divergenze tra ABF e Corte UE, Corte costituzionale e Corte di Cassazione.
[11] In tal senso, di recente, F. Piraino, Usura e interessi, in Gli interessi usurari, cit., p. 151 ss., spec. p. 192 ss.; Id., Gli interessi moratori usurari ma contra legem, in Nuova giur. civ. comm., 2021, p. 196 ss.; Id., Le Sezioni Unite su usura e interessi moratori: il fine non giustifica i mezzi, in Contratti, 2021, p. 5 ss.; L. Pascucci, Usura e oneri eventuali, Torino, 2019, p. 51 ss. G. D’Amico, Interessi usurari e contratti bancari, in Gli interessi usurari, cit., p. 30 ss.; A. Purpura, Autonomia privata, responsabilità e attuazione coattiva del credito, Torino, 2020, p. 103 ss.; E. Labella, Interessi di mora e applicabilità della normativa antiusura, in Contratti, 2017, 2, p. 133 ss.
[12] In tal senso, la Relativa relazione di accompagnamento in aula (al punto 4 del d.d.l. S-4941) confermava l’intento legislativo di chiarire che l’accertamento di usurarietà attenesse a qualunque tipo di tasso di interesse «sia esso corrispettivo, compensativo o moratorio».
[13] Cfr. L. Morisi, Usura e interessi di mora: in medio stat virtus?, cit., par. 2; F. Piraino, Le Sezioni Unite su usura e interessi moratori: il fine non giustifica i mezzi, cit., p. 9.
[14] Come osservato da G. D’Amico, Postilla (2017). Sul c.d. “principio di simmetria” tra elementi che concorrono alla determinazione del T.E.G. (ai fini del giudizio di “usurarietà”) ed elementi oggetto di rilevazione ai fini della determinazione del T.E.G.M., in Gli interessi usurari, cit., p. 63 e F. Piraino, Le Sezioni Unite su usura e interessi moratori: il fine non giustifica i mezzi, cit., p. 9 e, di recente, anche da Valenza-Cinque, Interessi moratori e usura. Riflessioni a margine di Cass., sez. un., 18 settembre 2020, n. 19597, cit., pp. 644 e 645.
Pronunziatesi in senso favorevole all’inclusione degli interessi di mora nella fattispecie di usura in astratto, le Sezioni Unite giungono poi alla questione ulteriore delle modalità di accertamento dell’usurarietà di tale species di interessi.
È noto che la soluzione di un confronto puro e semplice del saggio di interesse pattuito nel contratto con il tasso soglia calcolato con riferimento a quel tipo di contratto, senza tenere in conto alcuna maggiorazione o incremento, abbia attratto le obiezioni di quanti osservano che la rilevazione media che dà origine al tasso soglia debba necessariamente adeguarsi alle diverse vicende del rapporto di obbligazione, così da conformare il giudizio di usurarietà in modo coerente[1].
Si sostiene, quindi, che la funzione di contenimento dei costi del credito, svolta dalla soglia di usura, richieda il raffronto tra entità omogenee.
Tra le voci di costo oggetto di rilevazione trimestrale non rientra la maggiorazione media degli interessi corrispettivi dovuta alla previsione di clausole sul tasso convenzionale degli interessi moratori: la ragione dell’esclusione è usualmente individuata, anche dalla Banca d’Italia nelle proprie Istruzioni, nell’esigenza di contenere l’innalzamento del tasso soglia che deriverebbe dalla presa in considerazione anche della misura media degli interessi moratori e di scongiurare, così, che sotto il vessillo della maggior tutela del debitore-sovvenuto si consumi un’eterogenesi dei fini.
E tuttavia, in dottrina e in giurisprudenza si suole appigliarsi ai decreti trimestrali del Ministero dell’Economia e delle Finanze che, a partire dal d.m. 25 marzo 2003, riportano i risultati di un’indagine di mercato secondo cui, nei casi di ritardato pagamento, la maggiorazione stabilita contrattualmente è mediamente pari a 2,1 punti percentuali.
A dispetto della sua mera finalità conoscitiva e della mancata cadenza trimestrale, tale dato percentuale viene talvolta adoperato per calibrare una soglia di usura ad hoc per gli interessi moratori, come, d’altro canto, è suggerito addirittura dall’art. 4, comma 4, dei “Chiarimenti in materia di applicazione della legge antiusura” resi dalla Banca d’Italia il 3 luglio 2013[2].
Dal d.m. 21 dicembre 2017, inoltre, si è cominciato a distinguere all’interno di tale tasso, in base alla diversità di operazione, tra mutuo ipotecario ultraquinquennale (maggiorazione media pari a 1,9 %), leasing (maggiorazione media pari a 4,1 %) e il complesso degli altri prestiti (maggiorazione media pari a 3,1 %).
Di contro, però, una parte della dottrina ha osservato che il raffronto tra TEGM e TEG sarebbe di per sé asimmetrico, in quanto i due tassi assolvono a funzioni diverse, alle quali tecnicamente non possono che corrispondere calcoli e modalità di inclusione differenti: il tasso-soglia, che assume a sua base il TEGM, include esclusivamente i costi fisiologici, effettuando una stima statistica attraverso modelli mutevoli nel tempo che accompagnano l’evoluzione del mercato e rappresentando, dunque, un dato storico e generale; il TEG invece costituisce un dato concreto, di portata prescrittiva, coincidente con le commissioni, le remunerazioni a qualsiasi titolo e le spese previste dal contratto per l’erogazione del credito (art. 644, comma 4, c.p.)[3].
Le differenze contenutistiche tra i due tassi avrebbero peraltro il pregio di conferire una certa elasticità all’accertamento dell’usurarietà degli interessi, in modo da consentire che il singolo contratto di finanziamento possa contemplare anche remunerazioni o vantaggi ulteriori, c.d. “atipici”, senza la necessità di ricorrere a una maggiorazione aggiuntiva[4].
Imporre invece l’omogeneità, laddove il raffronto operi fisiologicamente tra due elementi asimmetrici, comporterebbe il rischio di concedere agli istituti di credito impunità per l’inclusione di tutti quei costi estranei alla rilevazione trimestrale, che pertanto sfuggirebbero al sindacato giudiziale di usura fintantoché le istruzioni della Banca d’Italia non ne diano conto. E risulta ulteriormente discutibile che l’introduzione di un tasso soglia ad hoc, sprovvisto di un supporto normativo – e dunque contra legem – serva per giustificare eventuali approfittamenti degli istituti di credito, lesivi proprio di quell’istanza di tutela del finanziato.
Orbene, le Sezioni Unite – nonostante in altre occasioni le sezioni semplici abbiano disapprovato quella prassi seguita dalla Banca d’Italia[5] – si orientano dapprima per l’affermazione del principio di simmetria (punto 7, ii.3 della sentenza), mostrandosi favorevoli all’applicazione di quella maggiorazione media prevista per gli interessi moratori laddove i decreti ministeriali la rilevino (e, così facendo, si pongono sulla stessa scia del precedente sulla commissione di massimo scoperto[6]), per poi negare lo stesso principio in caso di assenza di una rilevazione media ministeriale, come avveniva prima del d.m. 25 marzo 2003 (punto 7, iii della sentenza), in nome di quella logica “compromissoria” che pervade la pronuncia. In questo caso quel margine, previsto nella legge anti-usura, di tolleranza sino al raggiungimento della soglia, offrirebbe – secondo le Sezioni Unite – uno spazio di manovra per l’applicazione di un interesse moratorio lecito. Eppure, una siffatta deroga non sarebbe possibile ammetterla nei confronti di un principio, come quello di simmetria, ricavato per via di “astrazione generalizzatrice” dal complesso delle norme sull’usura[7], come tale immune da ipotesi in cui esso non operi, che ne inficerebbero la portata[8].
Ne consegue che la soluzione adottata – dunque una terza via tra quella della rilevazione autonoma dell’usurarietà dei moratori e quella opposta, più ossequiosa al dato normativo – sottende alla duplicità dell’accertamento di usura un profilo di contraddittorietà, che oltretutto giungerebbe a discriminare il cliente di un’operazione assistita da rilevazione trimestrale, rispetto a quel cliente che, assunte le vesti di parte di un’operazione sprovvista di rilevazione trimestrale, sarebbe beneficiato dal più facile esubero dalla soglia.
[1] Tra i tanti, cfr. G. D’Amico, Interessi usurari e contratti bancari, in Gli interessi usurari, cit., p. 30 ss. e U. Salanitro, Usura e interessi moratori: ratio legis e disapplicazione del tasso-soglia, in Gli interessi usurari, cit., p. 141 ss.
[2] Si osserva d’altronde che le indicazioni della Banca d’Italia costituiscono una “norma tecnica autorizzata”, che non viola il potere del legislatore in materia penale, ma riflette, semmai, un riconoscimento alla posizione di garanzia ricoperta dall’autorità di vigilanza, espressione di un raccordo tra la politica e la tecnica, nel quale la prima evita di ingerirsi negli spazi di regolazione riservati alla seconda. Cfr. A. Purpura, Autonomia privata, responsabilità e attuazione coattiva del credito, cit., p. 110; F. Capriglione, Il rapporto tra politica e tecnica. Le Autorità di vertice, in Manuale di diritto bancario e finanziario, a cura di F. Capriglione, Milano, 2016, p. 117 ss.
[3] F. Piraino, Interessi moratori, usura e c.d. clausola di salvaguardia, cit., p. 147.
[4] F. Piraino, Le Sezioni Unite su usura e interessi moratori: il fine non giustifica i mezzi, cit., p. 11.
[5] Così Cass., sez. I, 30 ottobre 2018, n. 27442, cit., che in assenza di una previsione normativa ha definito «fantomatico» quel tasso di “mora-soglia” ottenuto dall’incremento praticato conformemente alla rilevazione contenuta nei decreti ministeriali.
[6] Così Cass., sez. un., 20 giugno 2018, n. 16303, cit., che ha stabilito che le commissioni di massimo scoperto devono essere oggetto di una comparazione separata rispetto a quella riguardante il TEG, prevedendo il raffronto con un apposito tasso soglia per le commissioni, c.d. “CMS soglia”, ottenuto dall’aumento della media delle commissioni sino alla metà del loro valore, indicata nei decreti ministeriali emanati ai sensi dell’art. 2, comma 1, della legge n. 108 del 1996. In questo caso, tuttavia, l’eventuale eccedenza della commissione in concreto applicata sulla “CMS soglia” non basta a desumerne l’usurarietà, potendo essere compensata dal “margine” corrispondente alla differenza tra il tasso soglia di usura e il tasso d’interesse praticato in concreto. Per il caso in cui la commissione superi il relativo limite ma gli interessi si attestino sotto soglia, la Corte rileva che «qualora l’eccedenza della commissione rispetto alla “CMS soglia” sia inferiore a tale “margine” è da ritenere che non si determini un supero delle soglie di legge».
[7] Cfr., tra tutti, L. Mengoni, Spunti per una teoria delle clausole generali, in Riv. crit. dir. priv., 1986, p. 10 ss., ora in Scritti, I, Metodo e teoria giuridica, a cura di C. Castronovo-A. Albanese-A. Nicolussi, Milano, 2011, p. 165 ss.
[8] Così F. Piraino, Le Sezioni Unite su usura e interessi moratori: il fine non giustifica i mezzi, cit., p. 12.
Individuata la modalità di accertamento dell’usura degli interessi di mora, le Sezioni Unite si pronunciano sulle controverse conseguenze della nullità dell’interesse di mora usurario sul rapporto obbligatorio[1], determinandosi in senso favorevole all’applicazione della sanzione della gratuità del contratto agli interessi usurari moratori, come previsto dall’art. 1815, comma 2, c.c.
La Cassazione osserva che, se in altri ordinamenti europei il legislatore ha scelto diversamente – ad esempio prevedendo la mera restituzione del surplus rispetto alla soglia – il legislatore italiano ha invece optato in senso contrario, avallando una pacifica “transtipicità” della previsione normativa, che risponde all’esigenza di preservare il prezzo del denaro.
Il Collegio reputa però che, in caso di superamento del tasso soglia – peraltro opportunamente modificato, come si è già chiarito – per effetto della clausola di determinazione del tasso convenzionale degli interessi moratori la “sanzione” della caducazione integrale riguardi soltanto gli interessi moratori, senza estendersi agli interessi corrispettivi e agli altri costi e remunerazioni.
In altri termini, le Sezioni Unite istituiscono – anche in questo caso in difformità rispetto al dato normativo – un sindacato individualizzato degli interessi moratori in forza del quale, ove l’interesse corrispettivo sia di per sé considerato lecito e solo la misura degli interessi moratori applicati comporti il superamento della predetta soglia usuraria, solo questi ultimi vanno considerati illeciti e preclusi, mentre continueranno a essere dovuti gli interessi corrispettivi ai quali, in quanto leciti, si potranno commisurare gli interessi moratori azzerati dalla nullità ex art. 1815, comma 2, c.c., in applicazione dell’art. 1224, comma 1, secondo periodo, c.c. In tal modo, la Suprema corte ritiene di scongiurare l’esito odioso di lasciare l’inadempimento del debitore sovvenuto sprovvisto di conseguenze sul fronte risarcitorio[2], tenuto conto che la natura usuraria degli interessi moratori al tasso convenzionale non cancella il fatto che un inadempimento del contratto di finanziamento da parte del sovvenuto vi è comunque stato.
Riproponendo sinteticamente in questa sede il dibattito antecedente alla pronuncia in commento, la soluzione di applicare agli interessi moratori usurari la sanzione civilistica prevista per gli interessi corrispettivi dall’art. 1815, comma 2, c.c. sconta una serie di obiezioni che peraltro si ripropongono anche al cospetto della decisione in commento.
Una prima obiezione è di ordine sistematico: nel suo riferirsi all’obbligo di corrispondere interessi nel mutuo, l’art. 1815, comma 1, c.c. guarda ai soli interessi convenzionali corrispettivi e, pertanto, il comma successivo non può avere una portata applicativa più ampia, estendendosi anche agli interessi moratori[3]. Nonostante l’affinità strutturale e funzionale in precedenza evidenziata, non può essere trascurata l’incontestabile diversità della causa delle due tipologie di interessi. A ciò si aggiunga un argomento pragmatico, legato alla giustezza della soluzione applicativa: l’estensione dell’art. 1815, comma 2, c.c. agli interessi moratori rischierebbe di premiare con la gratuità del mutuo la mora del debitore, la quale rimarrebbe senza effetto nell’economia del rapporto a scapito del creditore che ha subìto l’altrui inadempimento.
In questa direzione già la Relazione del Ministro Grandi al vigente codice civile giustificava – al par. 594 – la mancata riproduzione nel codice del 1942 dell’art. 1831, comma 4, del codice previgente, che comminava il divieto di pattuire in forma orale interessi oltre la misura legale, con l’esigenza di evitare il vantaggio ingiusto del debitore, che «poteva sentirsi incoraggiato a promettere spontaneamente un interesse usuraio per non corrispondere poi nemmeno quello legale».
Alla medesima conclusione si giungerebbe valorizzando la predicata natura “eccezionale” dell’art. 1815, comma 2, c.c.[4]: a) sia nella misura in cui consenta l’eccezionale sopravvivenza del negozio nullo (in tale direzione opererebbe la regola posta dall’art. 1423 c.c., secondo cui la convalida del negozio nullo non è ammessa che nelle sole ipotesi previste dalla legge); b) sia nella misura in cui deroghi alla regola sancita dall’art. 1424 c.c., secondo cui la conversione del negozio nullo opera qualora le parti, ove fossero state consapevoli della nullità, avrebbero concluso il diverso negozio, avuto riguardo allo scopo perseguito. L’eccezionalità della conversione, imposta alle parti, sarebbe dunque insuscettibile di un’applicazione analogica, alla quale osterebbe l’art. 14 delle Preleggi.
Ad ogni modo, si potrebbe ovviare all’inapplicabilità dell’art. 1815, comma 2, c.c. agli interessi moratori, facendo ricorso per la pattuizione usuraia del tasso degli interessi moratori alla nullità ex art. 1418 c.c. (ma a condizione che manchi altra previsione normativa applicabile, come si desume dalla clausola di esclusione «salvo che la legge disponga diversamente»); anche tale soluzione, tuttavia, non mette al riparo dal rischio di sollecitare gli approfittamenti del debitore connessi alla mancata repressione della mora.
Già da tempo risalente rispetto alla decisione del giudice di legittimità, la ricerca di soluzioni alternative da applicare ai moratori, in luogo dell’art. 1815, comma 2, c.c., si era orientata: a) alla riduzione equitativa della liquidazione sottesa ai moratori ex art. 1384 c.c. (come si è anticipato, dando per scontato una equiparazione degli interessi moratori alla penale e con il rischio di soluzioni non omogenee); b) alla nullità del negozio in frode alla legge ai sensi dell’art. 1344 c.c. per elusione della disciplina anti-usura, specie nella giurisprudenza ABF[5], laddove il creditore avesse posto al debitore un termine per l’adempimento di immediata scadenza, in modo da accrescere gli interessi moratori da corrispondere in luogo dei corrispettivi (essendo solo questi ultimi travolti dalla “mannaia” dell’art. 1815, comma 2, c.c.; c) alla nullità parziale ai sensi dell’art. 1419, comma 1, c.c., della sola porzione di interesse eccedente la soglia, soluzione che avrebbe lasciato impregiudicata l’onerosità del contratto[6], applicando agli interessi convenzionali moratori le norme generali che vogliono che essi vengano ricalcolati al tasso legale come previsto dall’art. 1224 c.c.[7].
Vero è che anche l’applicazione di quest’ultima previsione normativa agli interessi moratori usurari, per consentirne un ricalcolo nella misura legale, non è andata esente da critiche. Si è infatti osservato che la corresponsione degli interessi nella loro misura legale genererebbe un prezzo imposto, sviando l’originaria connotazione funzionale della legislazione anti-usura[8].
Tornando alla pronuncia in commento, occorre evidenziare un’ulteriore contraddizione: a prescindere dal rimedio utilizzabile, il sindacato di usurarietà degli interessi moratori distinto rispetto a tutte le altre voci di costo e di remunerazione comporta che la loro eventuale sporgenza rispetto al tasso soglia non si riverbera sull’eventuale interesse corrispettivo, il quale resta lecito nella misura originariamente pattuita senza subire alcuna conseguenza.
Ne discende che il loro ricalcolo nella misura dei corrispettivi leciti ex art. 1224, comma 1, c.c. potrebbe operare anche nel caso in cui si ricorra, in luogo dell’art. 1815, comma 2, c.c. alla nullità parziale ex art. 1419 c.c. È evidente, allora, che la premessa, costituita dall’estensione dell’art. 1815, comma 2, c.c. agli interessi moratori e dalla conseguente applicazione dell’effetto “sanzionatorio” della gratuità del finanziamento anche sotto il profilo delle conseguenze dell’inadempimento, finisce per essere smentita sul piano delle conseguenze concrete, visto che gli interessi moratori vengono considerati comunque dovuti e, per di più, non al tasso legale, ma nella ben più elevata misura del tasso convenzionale degli interessi corrispettivi leciti.
Una soluzione, questa, che, anche a voler sorvolare sulla contraddizione, svela la ratio decidendi inespressa della pronuncia in esame: quella di censurare la pratica della maggiorazione eccessiva degli interessi moratori e, in pari tempo, garantire alle banche un adeguato risarcimento da ritardo nella restituzione della somma finanziata, nonostante la consumata usura in astratto.
Nella logica della deterrenza dell’inadempimento del sovvenuto, in luogo degli interessi moratori usurari, un qualche interesse va corrisposto. D’altronde, spesso la legislazione quanto l’autonomia privata fissano soglie di inadempimento rilevante (come negli artt. 40, comma 2, e 120-quinquiesdecies t.u.b.) senza il cui esubero la mora non scatterebbe.
Nel nome allora di una tutela del creditore dai ritardati pagamenti, piuttosto che la tanto declamata tutela del debitore, si mette capo a una diversità di trattamento tra le conseguenze dell’usura di un interesse corrispettivo e quelle dell’usura di un interesse moratorio.
Una differenziazione, peraltro, già caldeggiata dalle Sezioni Unite laddove esse avevano diversificato le modalità di accertamento dell’usura dei due tipi di interessi con la creazione di una soglia ad hoc, sia pur contra legem. Ecco allora che la Corte, nell’individuazione del costo dell’inadempimento pur in presenza di usura, piuttosto che ridurre gli interessi moratori usurari nella misura conseguente all’applicazione del tasso legale – del tutto ineffettiva sul piano della reazione all’inadempimento – stabilisce una loro decurtazione alla misura degli interessi corrispettivi dichiarati nulli.
È difficilmente contestabile che la soluzione, anche in questo caso, cerchi con un certo affanno di realizzare un compromesso, già sotteso all’arbitraria sottoposizione degli interessi moratori a un vaglio distinto da quello dei corrispettivi.
Il bilanciamento degli interessi contrapposti finisce però per pendere a favore della preservazione dell’istituto di credito sotto le spoglie dell’esigenza di riduzione del contenzioso, perseguita disincentivando la contestazione del carattere usurario dei contratti di finanziamento, alla luce della circostanza che il debitore dovrebbe comunque corrispondere gli interessi nella misura dei corrispettivi leciti. Una deflazione che è ben maggiore rispetto a quanto lo sia nella prospettiva dell’abbattimento degli interessi moratori alla sola misura legale[9].
Conseguentemente, il risultato è tutt’altro che confortante per il debitore, in quanto ci si allontana da quella funzione di repressione dell’usura, perseguita con lo strumento della drastica riduzione della redditività del contratto di finanziamento a tutela del finanziato.
Tuttavia – come le Sezioni Unite ricordano al punto 5, vii della pronuncia in commento – resterebbe parimenti salda, in capo al debitore, la possibilità di ricorrere alla nullità prevista dall’art. 33, comma 2, lett. f , cod. cons., nei soli contratti conclusi tra professionisti e consumatori, qualificando l’interesse moratorio usurario come una clausola abusiva (e fino a prova contraria) e conseguendone l’inefficacia della sola clausola vessatoria, fermo restando che il contratto possa continuare a produrre effetti per le sue previsioni lecite.
Una siffatta facoltà risulta consentita dall’art. 6 direttiva 93/13/CEE, che prevede che il contratto, una volta che la clausola abusiva sia stata disapplicata, «resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive». Una tale previsione normativa, come nell’interpretazione compiuta dalla Corte di Giustizia[10], è stata tradizionalmente considerata di ostacolo all’integrazione giudiziale del contratto, che sostituisca alla clausola abusiva una disposizione suppletiva, tale da infliggere al creditore la perdita di un rimedio effettivo contro l’inadempimento del consumatore[11].
Ed anche di recente, la Corte di Giustizia ha chiarito che la direttiva non è scalfita da una prescrizione nazionale (nella specie, dovuta ai precedenti giurisprudenziali della Corte Suprema spagnola) secondo cui, pur caduta la clausola sugli interessi moratori, continuano ad essere dovuti quelli corrispettivi, e ciò in quanto la direttiva 93/13/CEE non osta a che si giunga alla soppressione integrale di questi interessi, pur continuando a maturare gli interessi corrispettivi previsti da detto contratto.
Orbene, la constatazione che la tutela consumeristica ammetta la repressione della pattuizione usuraria senza svincolare il consumatore inadempiente dall’obbligo di risarcire, e dunque consentendo l’operatività delle parti lecite della convenzione tra professionista e consumatore, costituisce per le Sezioni Unite ulteriore argomento per potere avvalorare la perdurante vincolatività per il “non consumatore” delle clausole contrattuali relative alla misura degli interessi corrispettivi leciti. Viceversa, il trattamento del debitore “non consumatore” in mora, se fosse del tutto svincolato dalla corresponsione dei corrispettivi leciti (come accadrebbe applicando la sanzione della conversione del finanziamento da oneroso in gratuito) sarebbe addirittura migliore di quello del consumatore moroso, il quale resta tenuto a corrispondere gli interessi dovuti in forza del contratto epurato della pattuizione abusiva[12].
Dinanzi al debitore consumatore opererebbe, allora, un cumulo di rimedi, il cui concorso però pone un’altra questione[13], che le Sezioni Unite rinviano alla decisione delle sezioni semplici.
[1] Per una ricognizione del dibattito sulle conseguenze dell’usurarietà degli interessi moratori, tra i tanti, cfr. A. Purpura, Autonomia privata, responsabilità e attuazione coattiva del credito, Torino, 2020, pp. 111-122.
[2] Così invece Cass. civ., 17 ottobre 2019, n. 26286, che ha esteso la regola della “gratuità” anche all’inadempimento.
[3] Cfr. E. Labella, Interessi di mora e applicabilità della normativa anti-usura, cit., p. 133 ss.
[4] Come già in A. Gentili, I contratti usurari: tipologie e rimedi, in Riv. dir. civ., 2001, I, p. 370 ss.; L. Nivarra, Il mutuo civile e l’usura, in I contratti per l’impresa, II, Banca, mercati, società, a cura di G. Gitti, M. Maugeri, M. Notari, Bologna, 2012, p. 33; G. Bonilini, La sanzione civile dell’usura, in Contratti, 1996, p. 226.
[5] In tal senso ABF, Coll. coord., 28 marzo 2014, n. 1875, cit.; cfr. ABF, Coll. coord., 23 maggio 2014, n. 3412; ABF Napoli, 3 maggio 2016, 4046; conforme, sul punto, Trib. pen. Roma, 3 giugno 2014, n. 9577; Trib. civ. Roma, 7 maggio 2015.
[6] Così S. Pagliantini, Spigolature su di un idolum fori: la c.d. usura legale del nuovo art. 1284 c.c., cit., p. 77, spec. nt. 31, che ravvisa nell’art. 1419, comma 1, c.c. una «specificità connotativa» dei moratori.
[7] Il principale precedente giurisprudenziale in proposito è Cass., sez. I, 30 ottobre 2018, n. 27442, cit.; ma in tal senso anche G. Passagnoli, Il contratto usurario tra interpretazione giurisprudenziale e interpretazione “autentica”, in Squilibrio e usura nei contratti, a cura di G. Vettori, Padova, 2002, p. 60 ss.; F. Piraino, Usura e interessi, in Gli interessi usurari, cit., p. 212, spec. p. 217; S. Pagliantini, Spigolature su di un idolum fori: la c.d. usura legale del nuovo art. 1284 c.c., cit., p. 75 ss.
[8] Cfr. N. Rizzo, Gli interessi moratori usurari nella teoria delle obbligazioni pecuniarie, cit., p. 388 ss.
[9] Così F. Piraino, Le Sezioni Unite su usura e interessi moratori: il fine non giustifica i mezzi, cit., p. 14.
[10] Così CGUE, 14 giugno 2012, causa C-618/10, Banco Español de Crédito SA c. J. Calderón Camino, in Contratti, 2013, p. 16 ss., con nota di A. D’Adda, Giurisprudenza comunitaria e «massimo effetto utile per il consumatore»: nullità (parziale) necessaria della clausola abusiva e integrazione del contratto; CGUE, 30 maggio 2013, causa C-488/11, Asbeek Brusse e de Man Garabito c. Jahani BV, in Foro it., 2014, IV, 3, e in questa Rivista, 2013, p. 388 ss., con nota di R. Alessi, Clausole vessatorie, nullità di protezione e poteri del giudice: alcuni punti fermi dopo le sentenze Joros e Asbeek Brusse; CGUE, 30 aprile 2014, n. 26, causa C-26/13, Árpád Kásler e Hajnalka Káslerné Rábai c. OTP Jelzálogbank Zrt, in Contratti, 2014, p. 854 ss., con nota di S. Pagliantini, L’equilibrio soggettivo dello scambio (e l’integrazione) tra Corte di Giustizia, Corte costituzionale ed ABF: “il mondo di ieri” o un trompe l’oeil concettuale?, cit., e in Dir. civ. cont., 25 giugno 2014, con nota di A. D’Adda, Il giudice nazionale può rideterminare il contenuto della clausola abusiva essenziale applicando una disposizione di diritto nazionale di natura suppletiva; CGUE 21 gennaio 2015, cause riunite C-482/13, C-484/13, C-485/13, C-487/13, Unicaja Banco, SA e Caixabank SA c. José Hidalgo Rueda e a., in Nuova giur. civ. comm., 2015, I, p. 417 ss., con nota di S. Pagliantini, Il restatement della Corte di Giustizia sull’integrazione del contratto del consumatore nel prisma armonizzato delle fonti; più di recente CGUE, 7 agosto 2018, cause riunite C 96/16, Banco Santander SA, e C-94/17, Rafael Ramon Escobedo Cortes, punto 73.
[11] Così S. Pagliantini, Interessi moratori, usura e c.d. clausola di salvaguardia, Profili sull’integrazione del contratto abusivo parzialmente nullo, in G. D’Amico-S. Pagliantini, Nullità per abuso e integrazione del contratto. Saggi, Torino, 2013, p. 110 ss.; S. Pagliantini, Profili sull’integrazione del contratto abusivo parzialmente nullo, ivi, p. 110 ss.; Principio di effettività e clausole generali: il canone “armonizzante” della Corte di giustizia, in Giurisprudenza per principi e autonomia privata, a cura di S. Mazzamuto-L. Nivarra, Torino, 2016, p. 98; S. Pagliantini, L’armonizzazione minima tra regole e principi (studio preliminare sul diritto contrattuale derivato), in G. D’Amico-S. Pagliantini, L’armonizzazione degli ordinamenti dell’Unione europea tra principi e regole. Studi, Torino, 2018, p. 57, nt. 68, lett. b; U. Salanitro, Usura e interessi moratori: ratio legis e disapplicazione del tasso-soglia, cit., p. 137 ss.
[12] Sul punto, cfr. F. Piraino, Interessi moratori, usura e c.d. clausola di salvaguardia, cit., p. 158.
[13] Si tratta della questione sollecitata dalla mancata declaratoria giudiziale di inefficacia della clausola per vessatorietà della pattuizione: a seguito dell’accertamento del carattere vessatorio della clausola che stabiliva il tasso degli interessi moratori, la sentenza impugnata non si sarebbe limitata a dichiararne l’inefficacia, donde la conseguente applicazione del tasso degli interessi corrispettivi stabilito nel contratto, ma ne ha previsto la più rigorosa sanzione della nullità ai sensi dell’art. 1815, comma 2, c.c.
A questo punto, le Sezioni Unite affrontano il nodo della possibilità per il debitore di agire per l’accertamento del carattere usurario degli interessi anche prima che si sia verificato l’inadempimento presupposto per la decorrenza degli interessi di mora: questione che sta alla base del contrasto tra la tesi della potenzialità e quella della effettività[1]. La prima replica alla seconda che non occorre la sussistenza effettiva dell’inadempimento, stante la potenzialità del superamento del tasso soglia, costituendo l’usura d’altronde un reato di pericolo, con la conseguenza che per tutte le voci di costo e di remunerazione, incluse quelle eventuali, bisogna fare riferimento al momento della pattuizione e non a quello della dazione.
Le Sezioni Unite prospettano allora (al punto 7, vi della sentenza) la possibilità per il debitore cliente di agire per l’accertamento del carattere usurario degli interessi moratori anche prima che si sia verificato l’inadempimento che li rende dovuti. E, dunque, anche in corso di rapporto sussiste l’interesse ad agire del finanziato per la declaratoria di usurarietà degli interessi pattuiti, tenuto conto del tasso-soglia al momento dell’accordo.
Ma in questo caso la pronunzia di nullità avrà contenuto di mero accertamento in astratto, senza determinare la liberazione dall’obbligo di corrispondere gli interessi moratori né l’immediata rideterminazione del loro ammontare. Solo una volta che si sia verificato l’inadempimento, la valutazione di usurarietà atterrà all’interesse in concreto applicato, consentendo l’applicazione del criterio dell’effettività in luogo di quello della potenzialità.
E allora la liberazione dall’obbligo di corrispondere interessi si avrà soltanto a condizione che l’istituto di credito, in caso di inadempimento, proceda all’applicazione degli interessi moratori al tasso usurario accertato in sentenza; mentre, qualora il creditore bancario si determini ad applicare in concreto un tasso più basso, gli interessi moratori saranno dovuti nella misura determinata da questo tasso minore e, se contenuto entro il tasso soglia, ne discenderà la preclusione della loro caducazione.
Una tale evenienza potrebbe ricorrere dinanzi a una c.d. “clausola di salvaguardia”[2], adoperata dapprima dalle banche nei confronti dell’usura sopravvenuta e praticabile anche per gli interessi moratori, che consentirebbe di rendere variabile il tasso, in modo da evitare l’esubero del tasso soglia. Ma in assenza di una clausola di salvaguardia o di qualunque altro fondamento pattizio, la soluzione delle Sezioni Unite si rivela di ardua applicazione[3], perché la banca non sarebbe legittimata a domandare il pagamento di interessi moratori a un tasso più basso di quello pattuito ma superiore a quello degli interessi corrispettivi, purché sotto la soglia.
Eppure, in questo modo le Sezioni Unite, senza alcun fondamento normativo, disgiungono l’accertamento dell’usurarietà dall’inefficacia, generando una figura ibrida, caratterizzata da una sorta di nullità parziale condizionata all’applicazione di quel tasso usurario da parte della banca[4], che in tal modo andrebbe a convalidare la nullità già accertata dal giudice, in palese contrasto con la tipicità delle ipotesi di convalida del negozio nullo (art. 1423 c.c.)[5].
È estremamente significativo che la Cassazione, tornata da ultimo a pronunziarsi sul carattere usurario degli interessi moratori, ha confermato la decisione delle Sezioni Unite, discostandosene però proprio sul punto dell’applicazione del principio di effettiva dazione degli interessi moratori usurari ai fini della loro caducazione[6].
[1] Cfr. L. Pascucci, Usura e oneri eventuali, cit., p. 29 ss.
[2] Sul punto cfr. A. Stilo, Usura e interessi di mora: secondo le Sezioni Unite è questione di simmetria, cit., p. 664 ss.
[3] Concordi U. Salanitro, Il disincanto del Giudice. Gli interessi moratori usurari nel prisma delle Sezioni Unite, cit., par. 4; G. Guizzi, Usura e interessi di mora: e quindi uscimmo a riveder le stelle?, cit., p. 1311 ss.; F. Piraino, Le Sezioni Unite su usura e interessi moratori: il fine non giustifica i mezzi, cit., p. 16.
[4] Così A. Stilo, Usura e interessi di mora: secondo le Sezioni Unite è questione di simmetria, cit., p. 663.
[5] Conforme F. Piraino, Interessi moratori, usura e c.d. clausola di salvaguardia, cit., p. 16.
[6] Cass., 13 maggio 2021, n. 12964, in Giur. it., 2021, p. 2064 ss., con nota di A. Barenghi, Ancora sull’usura automatica degli interessi moratori, la quale chiarisce che «la regola della usura vale dunque anche per gli interessi di mora. Inoltre, essa vale sol che gli interessi vengano pattuiti, in quanto l’articolo 644 c.p. qualifica come illecita la condotta di chi si fa dare, sì, ma anche semplicemente promettere, interessi a tasso usuraio; senza considerare che la sanzione della nullità mira a tutelare il debitore, e sarebbe vanificata se costui potesse agire per la nullità della clausola solo dopo aver corrisposto gli interessi e, dunque dopo averla attuata adempiendovi. Cò detto, e dunque affermato che anche la mera pattuizione di interessi moratori a tasso di usura è nulla, è infondato il motivo nella parte in cui asserisce che tale nullità si estende agli interessi corrispettivi».
In conclusione, la soluzione delle Sezioni Unite, sotto i profili esaminati, va reputata inidonea a realizzare quell’auspicata solidità dell’esito interpretativo che è consustanziale alla funzione di nomofilachia, sia perché il quadro ricomposto dalle Cassazione non appare puntualmente supportato dal sistema delle regole legislative, che peraltro sono di rilevanza penale, sia perché esso è afflitto da non poche aporie, frutto del tentativo non riuscito di conciliare interessi contrapposti anche a discapito della coerenza:
- il proclamato fine di tutela del debitore sovvenuto è stato più volte disatteso a favore della tenuta del sistema creditizio: sia nel prevedere un tasso ad hoc, che senza fondamento normativo renda più difficile l’esubero della soglia di usura a vantaggio del creditore, sia nel prevedere che il debitore beneficiato dall’inefficacia degli interessi moratori usurari debba comunque corrispondere gli interessi nella misura dei corrispettivi leciti;
- l’omogeneità funzionale tra le due categorie di interessi non è tale da fare sbiadire la distinzione in punto di accertamento e di conseguenza della usurarietà;
- il principio di simmetria nella rilevazione dell’usura per gli interessi moratori è stato per un verso affermato, scegliendo la via della maggiorazione media, laddove prevista dai decreti ministeriali, e al contempo è stato disatteso, nel caso in cui i decreti ministeriali non abbiano riportato alcuna rilevazione media;
- l’art. 1815, comma 2, c.c. viene esteso anche agli interessi moratori ma poi, per fronteggiare la mora ed evitare approfittamenti debitori, la gratuità non viene in rilievo;
- l’usura in astratto sembra in punto di fatto disapplicata per gli interessi moratori, giusta il metodo dell’effettività della maturazione ai fini della loro caducazione, più consono alla fattispecie dell’usura in concreto (art. 644, comma 4, c.p.), ma poi con riguardo all’interesse ad agire l’usura in astratto torna ad operare anche nei confronti degli interessi moratori;
- l’interesse ad agire per il debitore è stato previsto anche prima dell’inadempimento, a sostegno di un’azione di accertamento dell’inefficacia dell’interesse pattuito, ma poi è con l’applicazione in concreto del tasso usurario in seguito all’inadempimento che si determinano gli effetti di quell’inefficacia accertata in precedenza, quando c’era solo potenzialità usuraria, smentendo il principio consolidato per cui l’inefficacia della clausola o del contratto nulli preesiste alla pronuncia del giudice, tesa soltanto ad accertarne la sussistenza.