L’intervento della Suprema corte investe la questione dei controversi rapporti tra la mora e l’usura, nel faticoso tentativo di fronteggiare le incertezze generate da un’ondivaga giurisprudenza di merito e di guidare l’interprete nell’eterogeneità di vedute in dottrina. Già in precedenza la Suprema corte aveva ricavato la rilevanza usuraria degli interessi moratori da una sostanziale identità di funzione tra interessi corrispettivi e moratori, da cui discende l’irragionevolezza di un trattamento differenziato ai fini del rilievo dell’usura. Pronunziatesi in senso favorevole all’inclusione degli interessi di mora nella fattispecie di usura in astratto, le Sezioni Unite si occupano dell’ulteriore questione delle modalità di accertamento dell’usurarietà di tale species di interessi, quindi si pronunciano sulle controverse conseguenze della nullità dell’interesse di mora usurario sul rapporto obbligatorio e, infine, affrontano il nodo della possibilità per il debitore di agire per l’accertamento del carattere usurario degli interessi anche prima che si sia verificato l’inadempimento presupposto per la decorrenza degli interessi di mora. L’A., dopo un’attenta disamina delle soluzioni delle Sezioni Unite, ne pone in rilievo gli aspetti critici e, in conclusione, reputa il quadro ricomposto dalla Cassazione non puntualmente supportato dal sistema delle regole legislative e afflitto da non poche aporie, frutto del tentativo di conciliare interessi contrapposti anche a discapito della coerenza.
The intervention of the Supreme Court involves the question of the controversial relationships between default interests and usury, in a laborious attempt to face the uncertainties generated by a wavering jurisprudence of merit and to guide the interpreter in the heterogeneity of views in doctrine. Previously, the Supreme Court had derived the usurious relevance of default interests from a substantial identity of function between payment interests and default interests, from which derives the unreasonableness of a differentiated treatment for the purposes of the relevance of usury. Ruling in favor of the inclusion of default interests in the case of usury in abstract, the United Sections deal with the further question of how to ascertain the usuriousness of this species of interest, then rule on the controversial consequences of the nullity of the usurious default interest on the obligatory relationship and, finally, address the issue of the possibility for the debtor to act for the ascertainment of the usurious nature of the interests even before the default has occurred as a prerequisite for the start of the default interests. The A., after a careful examination of the solutions of the United Sections, highlights the critical aspects and, in conclusion, considers the framework recomposed by the Supreme Court not punctually supported by the system of legislative rules and afflicted by many aporias, resulting from the attempt to reconcile opposing interests even at the expense of coherence.
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Pierluigi Mazzamuto - L’usurarietà degli interessi moratori. Considerazioni critiche sulla sentenza delle Sezioni Unite 18 settembre 2020, n. 19597
1. Premessa. - 2. Il casus decisus. - 3. Il rilievo degli interessi moratori ai fini anti-usura. - 4. Accertamento dell’usurarietà degli interessi moratori: affermazione e negazione del principio di simmetria. - 5. La “transtipicità” del rimedio applicabile e il ricalcolo nella misura degli interessi corrispettivi leciti. - 6. L’interesse ad agire tra usura in astratto e in concreto. - 7. Conclusioni.
Con la sentenza 18 settembre 2020, n. 19597[1], l’intervento della Suprema corte – non estraneo, quantomeno nell’ultimo lustro, alle ambiguità applicative destate dalla legislazione anti-usura[2] – investe la “questione di massima di particolare importanza”[3] dei controversi rapporti tra la mora e l’usura, nel faticoso tentativo di fronteggiare le incertezze generate da un’ondivaga giurisprudenza di merito e di guidare l’interprete nell’eterogeneità di vedute in dottrina. A tal fine la Corte, a Sezioni Unite, enuncia sette principi di diritto: 1) sulla compatibilità tra la disciplina anti-usura e gli interessi moratori («La disciplina antiusura si applica agli interessi moratori, intendendo essa sanzionare la pattuizione di interessi eccessivi convenuti al momento della stipula del contratto quale corrispettivo per la concessione del denaro, ma anche la promessa di qualsiasi somma usuraria sia dovuta in relazione al contratto concluso»); 2) sull’accertamento dell’usurarietà degli interessi moratori in presenza di una rilevazione media ministeriale («La mancata indicazione dell’interesse di mora nell’ambito del T.e.g.m. non preclude l’applicazione dei decreti ministeriali, i quali contengano comunque la rilevazione del tasso medio praticato dagli operatori professionali, statisticamente rilevato in modo del pari oggettivo ed unitario, essendo questo idoneo a palesare che una clausola sugli interessi moratori sia usuraria, perché “fuori mercato”, donde la formula: “T.e.g.m., più la maggiorazione media degli interessi moratori, il tutto moltiplicato per il coefficiente in aumento, più i punti percentuali aggiuntivi, previsti quale ulteriore tolleranza dal predetto decreto”»); 3) sull’accertamento dell’usurarietà degli interessi moratori in assenza di una rilevazione media ministeriale («Ove i decreti ministeriali non rechino neppure l’indicazione della maggiorazione media dei moratori, resta il termine di confronto del T.e.g.m. così come rilevato, con la maggiorazione ivi prevista»); 4) sul rimedio applicabile («Si applica l’art. 1815, comma 2, cod. civ., onde non sono dovuti gli interessi moratori pattuiti, ma vige l’art. 1224, comma 1, cod. civ., con la conseguente debenza degli interessi nella misura dei [continua ..]
La controversia che ha dato origine alla sentenza in commento ruota attorno all’inadempimento di un contratto di credito al consumo, a fronte del quale una società finanziaria aveva ottenuto un decreto ingiuntivo per il pagamento delle rate scadute, nonché degli interessi moratori al tasso del 17,57 % annuo e di due penali pattuite per l’inadempimento del consumatore. All’esito del giudizio di opposizione al decreto, il Tribunale di Genova ha riscontrato l’abusività delle clausole contenute nelle condizioni generali di contratto relative alle conseguenze dell’inadempimento e ha riconosciuto anche l’usurarietà degli interessi moratori, revocando su tali premesse il provvedimento in parziale accoglimento delle ragioni del consumatore. La decisione veniva condivisa dalla Corte di appello di Genova, sulle base delle medesime ragioni, e da ciò il rigetto delle impugnazioni promosse contro la pronuncia di primo grado. In seguito alla proposizione del ricorso per cassazione ad opera della società finanziaria, la Prima sezione della Corte di cassazione, con ordinanza interlocutoria del 22 ottobre 2019 n. 26946, ha rimesso al Primo Presidente la questione di particolare importanza, prospettata nel ricorso fra i motivi di impugnazione e incentrata sull’applicabilità o meno della disciplina anti-usura agli interessi moratori e sulle conseguenze dell’avvenuto superamento del tasso soglia[1]. E segnatamente, l’ordinanza ventila che la rilevanza usuraria degli interessi moratori potrebbe risultare preclusa dall’esclusione degli interessi moratori tra le voci di costo rilevate trimestralmente dal Ministero dell’Economia e delle Finanze al fine di determinare il tasso effettivo globale medio (TEGM) e ciò in ossequio al principio di c.d. “simmetria” tra le voci di costo adoperate nella rilevazione media e quelle prese concretamente in considerazione dal giudice per il computo del tasso effettivo globale (TEG). Nell’eventualità della rilevanza usuraria degli interessi moratori, l’ordinanza solleva l’ulteriore questione se il superamento del tasso soglia implichi o meno il venir meno degli interessi, dopo la risoluzione per inadempimento del contratto di finanziamento, e, dunque, «la questione se sia corretta, in presenza di riscontrata nullità o inefficacia della clausola sugli interessi moratori, la [continua ..]
La risposta positiva alla questione prodromica della compatibilità tra la legislazione anti-usura e gli interessi moratori non costituisce di certo un punto di novità nella giurisprudenza di legittimità (rispetto alle più controverse questioni relative al quomodo di tale rilevanza). Già in precedenza la Suprema corte aveva ricavato la rilevanza usuraria degli interessi moratori da una sostanziale identità di funzione tra interessi corrispettivi e moratori, da cui discende l’irragionevolezza di un trattamento differenziato ai fini del rilievo dell’usura[1]. Una considerazione “troppo angusta” di corrispettività[2] avrebbe occultato, già per troppo tempo[3], l’affinità funzionale degli interessi moratori agli interessi corrispettivi, entrambi preordinati a tenere indenne il creditore della perduta possibilità di impiegare il capitale dovutogli, in linea con il principio della naturale fecondità del denaro. In dottrina si sottolinea che la redditività della fase fisiologica del rapporto pecuniario viene impiegata, in seguito all’inadempimento, in funzione di reazione alla violazione del vincolo obbligatorio, attraverso la tecnica della maggiorazione dell’interesse, la quale tuttavia non snatura quest’ultimo, preservandone l’essenza di strumento di remunerazione del finanziamento ora esteso all’intera durata del ritardo nell’adempimento[4]. Né le inevitabili distinzioni operanti tra le due species sotto altri profili (come la diversità di causazione e la conseguente natura volontaria o meno della remunerazione del capitale che esse rappresentano o, ancora, il diverso fondamento normativo[5]) riuscirebbero a privare gli interessi moratori di rilievo usurario. D’altronde, laddove così non fosse il creditore beneficerebbe di una retribuzione usuraria della mora, che lo alletterebbe in misura maggiore di quanto non facciano gli interessi corrispettivi, assoggettati alle cautele contro gli approfittamenti usurari del creditore. Diversa, semmai, è la logica sottesa all’art. 1284 c.c., che – aggiunto dall’art. 17, comma 1, del decreto legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito nella legge 10 novembre 2014, n. 162 – prevede che, in assenza di convenzione di interessi di mora, il saggio degli interessi legali per i crediti sub iudice opera dal momento in cui [continua ..]
Pronunziatesi in senso favorevole all’inclusione degli interessi di mora nella fattispecie di usura in astratto, le Sezioni Unite giungono poi alla questione ulteriore delle modalità di accertamento dell’usurarietà di tale species di interessi. È noto che la soluzione di un confronto puro e semplice del saggio di interesse pattuito nel contratto con il tasso soglia calcolato con riferimento a quel tipo di contratto, senza tenere in conto alcuna maggiorazione o incremento, abbia attratto le obiezioni di quanti osservano che la rilevazione media che dà origine al tasso soglia debba necessariamente adeguarsi alle diverse vicende del rapporto di obbligazione, così da conformare il giudizio di usurarietà in modo coerente[1]. Si sostiene, quindi, che la funzione di contenimento dei costi del credito, svolta dalla soglia di usura, richieda il raffronto tra entità omogenee. Tra le voci di costo oggetto di rilevazione trimestrale non rientra la maggiorazione media degli interessi corrispettivi dovuta alla previsione di clausole sul tasso convenzionale degli interessi moratori: la ragione dell’esclusione è usualmente individuata, anche dalla Banca d’Italia nelle proprie Istruzioni, nell’esigenza di contenere l’innalzamento del tasso soglia che deriverebbe dalla presa in considerazione anche della misura media degli interessi moratori e di scongiurare, così, che sotto il vessillo della maggior tutela del debitore-sovvenuto si consumi un’eterogenesi dei fini. E tuttavia, in dottrina e in giurisprudenza si suole appigliarsi ai decreti trimestrali del Ministero dell’Economia e delle Finanze che, a partire dal d.m. 25 marzo 2003, riportano i risultati di un’indagine di mercato secondo cui, nei casi di ritardato pagamento, la maggiorazione stabilita contrattualmente è mediamente pari a 2,1 punti percentuali. A dispetto della sua mera finalità conoscitiva e della mancata cadenza trimestrale, tale dato percentuale viene talvolta adoperato per calibrare una soglia di usura ad hoc per gli interessi moratori, come, d’altro canto, è suggerito addirittura dall’art. 4, comma 4, dei “Chiarimenti in materia di applicazione della legge antiusura” resi dalla Banca d’Italia il 3 luglio 2013[2]. Dal d.m. 21 dicembre 2017, inoltre, si è cominciato a distinguere all’interno di tale tasso, in base alla [continua ..]
Individuata la modalità di accertamento dell’usura degli interessi di mora, le Sezioni Unite si pronunciano sulle controverse conseguenze della nullità dell’interesse di mora usurario sul rapporto obbligatorio[1], determinandosi in senso favorevole all’applicazione della sanzione della gratuità del contratto agli interessi usurari moratori, come previsto dall’art. 1815, comma 2, c.c. La Cassazione osserva che, se in altri ordinamenti europei il legislatore ha scelto diversamente – ad esempio prevedendo la mera restituzione del surplus rispetto alla soglia – il legislatore italiano ha invece optato in senso contrario, avallando una pacifica “transtipicità” della previsione normativa, che risponde all’esigenza di preservare il prezzo del denaro. Il Collegio reputa però che, in caso di superamento del tasso soglia – peraltro opportunamente modificato, come si è già chiarito – per effetto della clausola di determinazione del tasso convenzionale degli interessi moratori la “sanzione” della caducazione integrale riguardi soltanto gli interessi moratori, senza estendersi agli interessi corrispettivi e agli altri costi e remunerazioni. In altri termini, le Sezioni Unite istituiscono – anche in questo caso in difformità rispetto al dato normativo – un sindacato individualizzato degli interessi moratori in forza del quale, ove l’interesse corrispettivo sia di per sé considerato lecito e solo la misura degli interessi moratori applicati comporti il superamento della predetta soglia usuraria, solo questi ultimi vanno considerati illeciti e preclusi, mentre continueranno a essere dovuti gli interessi corrispettivi ai quali, in quanto leciti, si potranno commisurare gli interessi moratori azzerati dalla nullità ex art. 1815, comma 2, c.c., in applicazione dell’art. 1224, comma 1, secondo periodo, c.c. In tal modo, la Suprema corte ritiene di scongiurare l’esito odioso di lasciare l’inadempimento del debitore sovvenuto sprovvisto di conseguenze sul fronte risarcitorio[2], tenuto conto che la natura usuraria degli interessi moratori al tasso convenzionale non cancella il fatto che un inadempimento del contratto di finanziamento da parte del sovvenuto vi è comunque stato. Riproponendo sinteticamente in questa sede il dibattito antecedente alla pronuncia in commento, la soluzione [continua ..]
A questo punto, le Sezioni Unite affrontano il nodo della possibilità per il debitore di agire per l’accertamento del carattere usurario degli interessi anche prima che si sia verificato l’inadempimento presupposto per la decorrenza degli interessi di mora: questione che sta alla base del contrasto tra la tesi della potenzialità e quella della effettività[1]. La prima replica alla seconda che non occorre la sussistenza effettiva dell’inadempimento, stante la potenzialità del superamento del tasso soglia, costituendo l’usura d’altronde un reato di pericolo, con la conseguenza che per tutte le voci di costo e di remunerazione, incluse quelle eventuali, bisogna fare riferimento al momento della pattuizione e non a quello della dazione. Le Sezioni Unite prospettano allora (al punto 7, vi della sentenza) la possibilità per il debitore cliente di agire per l’accertamento del carattere usurario degli interessi moratori anche prima che si sia verificato l’inadempimento che li rende dovuti. E, dunque, anche in corso di rapporto sussiste l’interesse ad agire del finanziato per la declaratoria di usurarietà degli interessi pattuiti, tenuto conto del tasso-soglia al momento dell’accordo. Ma in questo caso la pronunzia di nullità avrà contenuto di mero accertamento in astratto, senza determinare la liberazione dall’obbligo di corrispondere gli interessi moratori né l’immediata rideterminazione del loro ammontare. Solo una volta che si sia verificato l’inadempimento, la valutazione di usurarietà atterrà all’interesse in concreto applicato, consentendo l’applicazione del criterio dell’effettività in luogo di quello della potenzialità. E allora la liberazione dall’obbligo di corrispondere interessi si avrà soltanto a condizione che l’istituto di credito, in caso di inadempimento, proceda all’applicazione degli interessi moratori al tasso usurario accertato in sentenza; mentre, qualora il creditore bancario si determini ad applicare in concreto un tasso più basso, gli interessi moratori saranno dovuti nella misura determinata da questo tasso minore e, se contenuto entro il tasso soglia, ne discenderà la preclusione della loro caducazione. Una tale evenienza potrebbe ricorrere dinanzi a una c.d. “clausola di salvaguardia”[2], adoperata dapprima [continua ..]