La difficile configurazione giuridica del buono postale fruttifero (BFP) ha per lungo tempo alimentato diversi contrasti giurisprudenziali. Con la pronuncia n. 24639 del settembre 2021 la Suprema Corte si è espressa su una risalente questione ermeneutica concernente l’estensibilità o meno della disciplina specificamente prevista per i libretti di risparmio ai BFP. Dopo una rassegna delle principali argomentazioni sul tema, l’Autore analizza la normativa applicabile in punto di legittimazione alla riscossione – nel caso di morte di un cointestatario – di un buono postale fruttifero cui sia apposta la clausola di “pari facoltà di rimborso”. Sulla base della recente pronuncia della Prima Sezione civile è possibile rinvenire un parallelismo tra la struttura del BFP e la categoria dei documenti di legittimazione che, nella ormai consolidata visione, permette a ciascun cointestatario superstite di richiedere – ed ottenere – il rimborso dell’intera somma portata dal titolo.
The complex legal configuration of the postal saving certificate has been for a long time a point of difference in the case-law. In its judgment No. 24639 of September 2021, the Supreme Court ruled on a long-standing interpretative issue concerning the applicability to postal savings certificates of the rules specifically provided for savings books. Once described the main arguments on the matter, the Author analyses the signer’s legitimacy at collection – in case of death of the co-signer – of a postal saving certificate order with an “equal repayment option”. On the basis of the most recent judgment of the First Civil Section of the Italian Supreme Court of Cassation (Corte Suprema di Cassazione), it seems possible to find a parallelism between the structure of the postal saving certificate and the category of documents of legitimation (documenti di legittimazione) which allows each surviving co-signer to require – and obtain – the refund of the full amount.
Articoli Correlati: buoni postali fruttiferi
Carla Failla - Buono postale fruttifero cointestato e la clausola di «pari facoltà di rimborso»: a proposito di Cass., sez. I, 13 settembre 2021, n. 24639
1. Premessa. La regolamentazione dei buoni postali fruttiferi. - 2. Parallelismo tra libretti di risparmio e buoni postali fruttiferi. - 3. La diversa natura giuridica dei buoni postali fruttiferi. - 4. La «rimborsabilità a vista». - 5. Il caso di specie: la clausola di «pari facoltà di rimborso». - 5.1. Segue. La legittimazione alla riscossione. - 5.2. Segue. Comunione di diritti reali e contitolarità di diritti di credito. - 5.3. Segue. Protezione dell’erede del cointestatario defunto. - 5.4. Segue. Equiparazione ai titoli di stato. - 6. Conclusioni.
Le operazioni di raccolta mediante emissione di buoni postali fruttiferi e libretti di risparmio (i quali, congiuntamente considerati, formano il cd. «risparmio postale»[1]) costituiscono l’attività storicamente realizzata dalle Poste Italiane[2].
I buoni postali fruttiferi (da qui in avanti anche BFP) vennero introdotti nel nostro ordinamento con il d.l. 16 dicembre 1924, n. 2106 quale forma di finanziamento pubblico alternativo ai buoni ordinari del Tesoro. Successivamente[3], la regolamentazione dei buoni venne affidata alla Cassa Depositi e Prestiti con lo scopo di concorrere così alla dotazione della provvista necessaria per lo svolgimento della funzione legislativamente a questa assegnata[4]; trattavasi nella sostanza di uno strumento differente dal libretto postale, caratterizzato principalmente dalla maggiorazione anno per anno di un tasso di interesse estremamente vantaggioso per il creditore.
Prima dell’inizio del processo di trasformazione delle Poste Italiane e della Cassa in società per azioni[5], la disciplina contrattuale applicabile ai buoni postali fruttiferi si trovava regolata nel Codice Postale e delle Telecomunicazioni (d.p.r. 29 marzo 1973, n. 156 e successivo regolamento attuativo d.p.r. 17 agosto 1989, n. 256). Quella disciplina – ancora applicabile ai buoni emessi in data antecedente al d.lgs. 30 luglio 1999, n. 284 – governava un rapporto giuridico riconosciuto come di diritto privato[6], nonostante prevedesse un meccanismo di variazione unilaterale delle pattuizioni per mezzo di decreti ministeriali[7]; quale quello rimesso al Ministro del Tesoro dall’articolo 173 (d.p.r. 156/1973)[8].
Nel 1999 si è assistito ad una ridefinizione dell’assetto disciplinare del risparmio postale e, dunque, anche dei buoni fruttiferi, principale strumento di sua gestione[9]. Con l’articolo 2, comma 2° del d.lgs. 284/1999 il legislatore ha infatti incaricato il Ministro del Tesoro di stabilire «le caratteristiche e le altre condizioni dei depositi di cui all’articolo 1, comma 1, lettera a), dei libretti di risparmio postale, dei buoni fruttiferi postali e [di] altri prodotti finanziari».
Tramite il decreto MEF 19 dicembre 2000, n. 1355800 (“Condizioni generali di emissione di buoni postali fruttiferi ed emissione di due nuove serie di buoni”), attuativo della suddetta delega, è stato disposto (articolo 1) che i buoni postali fruttiferi «emessi dalla Cassa depositi e prestiti con la garanzia dello Stato e collocati da Poste italiane S.p.a.» fossero «nominativi, non cedibili, salvo il trasferimento per successione per causa di morte del titolare o per cause che determinano successione a titolo universale» e all’articolo 2 che la loro emissione venisse effettuata «per “serie” con decreti del Ministro (...) ove sono indicati il prezzo, il taglio, il tasso di interesse, la durata, l’eventuale importo massimo sottoscrivibile da un unico soggetto nella giornata lavorativa, nonché ogni altro elemento ritenuto necessario». In secondo luogo, il Ministro del tesoro ha attuato, tramite lo stesso decreto, la ulteriore delega contenuta nel d.lgs. del 1999 concernente l’adozione delle «norme in materia di pubblicità, trasparenza e comunicazioni periodiche ai risparmiatori»[10].
Il successivo decreto ministeriale (d.m. MEF 6 ottobre 2004), nei fatti sostituendosi al precedente del 2000, tramite l’articolo 1 comma 3° ha attribuito alla Cassa Depositi e Prestiti (e, quindi, non più al Ministero) il potere di «defini[re] [le] condizioni di emissione e [le] caratteristiche dei predetti prodotti»; nondimeno, i profili caratterizzanti i buoni postali fruttiferi – «prodotti finanziari nominativi [che] non sono cedibili salvo il trasferimento per successione per causa di morte del titolare o per cause che determinino successione a titolo universale, e [che] non possono essere dati in pegno»[11] – rimanevano sostanzialmente invariati.
Per il resto mette poi conto osservare come la riconducibilità dei BFP ad un regime di impronta nel complesso privatistica – sussistente sin già dalla prima emissione di BFP – sia stata confermata non soltanto dalla “privatizzazione” delle Poste Italiane e della Cassa Depositi e Prestiti, ma altresì dalla compatibilità, meglio sovrapponibilità, dell’attività di emissione dei buoni postali a quella propriamente svolta dalle banche[12], desumibile a chiare lettere dalla sottoposizione della Cassa alla disciplina prevista dal Titolo V del T.U.B.[13]. A tal proposito, si noti che in direzione del tutto convergente a tale riconducibilità militerebbe l’articolo 6 comma 2° del predetto decreto nel prevedere che «per il collocamento dei buoni postali fruttiferi rappresentati da documento cartaceo viene consegnato al sottoscrittore il documento medesimo unitamente al regolamento del prestito», nonché il foglio informativo[14]; mette infine conto rilevare che, nonostante la disciplina appena considerata si mostri priva di ogni richiamo alla tipica normativa che regola i rapporti tra cliente e intermediario nelle operazioni di raccolta del risparmio, è inevitabile ricondurre la materia, quantomeno dal punto di vista sostanziale, nell’ambito della disciplina di trasparenza bancaria[15].
[1] Così l’art. 1, lett. h), d.p.r. 14 marzo 2001, n. 144 (“Regolamento recante norme sui servizi di bancoposta”).
[2] Precisamente, a far data dal 1924. Sui buoni postali fruttiferi nella vigenza della disciplina dettata dal codice postale del 1973 e dalle relative norme attuative v., ex multis, G. Falcone, Buoni postali fruttiferi, in D. disc. priv., sez. comm., II, 1987, pp. 382 ss.; nonché Calabrò, Poste e telecomunicazioni, in Enc. giur., 1985, pp. 2 ss.; Montel, Poste e telecomunicazioni, in D. disc. pubbl., XI, 1996, p. 364. Con riferimento alla normativa successiva al d.lgs. 30 luglio 1999, n. 284, v. Rocchietti March, Poste, in Enc. giur., 2002, pp. 7 ss. Infine, per una disamina delle principali caratteristiche del titolo de quo si rimanda a De Poli, Buoni postali fruttiferi e letteralità, in Nuova giur. civ. comm., I, 2008, pp. 137 ss.; Rotondo, Regime giuridico dei buoni postali fruttiferi: tra eterointegrazione del contratto e tutela dell’affidamento del cliente, in Banca Borsa Titoli di credito, II, 2016, pp. 633 ss.
Circa la portata dell’attività «storicamente realizzata dalle Poste», si pensi che la dimensione quantitativa propria del risparmio postale nel mercato odierno ammonta – secondo i dati rinvenibili nei documenti di bilancio della Cassa al 31 dicembre 2020 – a 275 miliardi di euro.
[3] Per il tramite della l. 14 giugno 1928, n. 1398.
[4] In merito ai primi periodi di vigenza dei buoni fruttiferi postali quali «titoli del debito pubblico» si segnala Buscema, Buono (in generale), in Enciclopedia del diritto, V, 1959, p. 708; nonché G. Falcone, Buoni postali fruttiferi cit. Tramite il d.lgs. 30 luglio 1999, n. 284 veniva previsto che la Cassa Depositi e Prestiti svolgesse l’attività – tra le altre di interesse economico generale – di «concedere finanziamenti, sotto qualsiasi forma, allo Stato, alle regioni, agli enti locali, agli altri enti pubblici, ai gestori di pubblici servizi, alle società a cui la Cassa partecipa e agli altri soggetti indicati dalla legge» (cfr. art. 1, co. 1, lett. b).
[5] L’articolo 5 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269 (convertito dalla l. 24 novembre 2003, n. 326 e successive modificazioni) ha disposto la trasformazione della Cassa Depositi e Prestiti in società per azioni.
[6] C. Cost., 10-17 marzo 1988, n. 303, ha definito i rapporti delle Poste con gli utenti «come rapporti contrattuali, fondamentalmente soggetti al regime del diritto privato».
[7] Con il d.m. 28 giugno 1986, n. 148 vennero estesi i nuovi – e inferiori – tassi anche ai buoni postali fruttiferi già emessi, creando così una discrasia tra gli importi indicati nei titoli e quelli maturati secondo gli adeguamenti legislativi; tale circostanza diede inevitabilmente vita a numerosi contenziosi. Secondo la lettura applicativa affermatasi a quel tempo – e successivamente confermata dalle Sezioni Unite (v. Cass. Sez. Un., 11 febbraio 2019, n. 3963, in Contratti, 2019, 263, con commento di U. Carnevali, I buoni postali fruttiferi, la riduzione unilaterale dei tassi d’interesse originariamente fissati e le Sezioni Unite; S. Costa, Buoni fruttiferi postali e modifica unilaterale delle condizioni economiche, in Corr. Giur., 2019, p. 484) – la variazione operava mediante una dinamica priva dei requisiti strutturali del ius variandi privatistico: ossia, non era richiesta una specifica pattuizione e approvazione della clausola. Inoltre, – sul piano delle condizioni di efficacia – era sufficiente la sola pubblicità legale del decreto ministeriale modificativo dei tassi (non essendo necessario alcun atto recettizio di esercizio del potere). In materia si veda, da ultimo, Cass., Sez. Un., 11 febbraio 2019, n. 3963 in Banca Borsa Titoli di credito, VI, 2019, pp. 673 ss.; inoltre, fra le tante, v. Cass., 31 luglio 2017, n. 19002; Cass., 16 dicembre 2005, n. 27809; Trib. Benevento, 28 gennaio 2019, in pluris.it.; Trib. Bologna, 19 maggio 2017, in dejure.it; Trib. Santa Maria Capua Vetere, 10 novembre 2014, in Banca Borsa Titoli di credito, II, 2016, 630; Trib. Santa Maria Capua Vetere, 21 maggio 2015, in Banca Borsa Titoli di credito, II, 2016, 630; Trib. Livorno, 26 maggio 2016, in pluris.it; App. Palermo, 8 marzo 2016, in pluris.it; Trib. Roma, 22 febbraio 2013 in pluris.it; Trib. Como, 6 giugno 2011, in dejure.it.
[8] In particolare, l’articolo 173 del d.p.r. 156/1973 prevedeva: «il saggio di interesse fissato con d.m. 18 settembre 1974 per i buoni postali fruttiferi della serie emessa dal 1° ottobre 1974 viene esteso, con effetto dalla stessa data, ai buoni di tutte le precedenti serie». A ben vedere, il testo originario della norma prevedeva la possibilità di variazioni dei rendimenti – disposte per ogni serie – per mezzo di decreto del Ministro del tesoro (di concerto con il Ministro delle poste e delle comunicazioni, sentito il CICR, da pubblicarsi sulla Gazzetta Ufficiale e riportarsi a tergo dei titoli); gli effetti della variazione erano validi soltanto per i buoni emessi dal giorno dell’entrata in vigore del decreto stesso, mentre a quelli emessi anteriormente continuavano ad applicarsi le tabelle di rendimento apposte sul titolo. La disposizione subiva una prima modifica con il d.l. 30 settembre 1974, n. 460, ed una seconda in sede di conversione – avvenuta con la l. 25 novembre 1974, n. 588 – che fissava la sua formulazione definitiva fino al d.lgs 284/1999. Avverso questa disposizione è stata sollevata, inoltre, questione di legittimità costituzionale. In merito la Consulta rimetteva gli atti al giudice a quo affinché ne valutasse la perdurante rilevanza anche a seguito dell’abrogazione della norma impugnata (cfr. Corte cost., ord. 6 marzo 2001, n. 47, in Foro it., Rep. 2001, voce Posta, n. 14; ma v. altresì Corte cost., 7 novembre 2003, n. 333, in Foro it., Rep. 2004, voce Posta, nn. 4-5). A tal proposito, con riferimento al problema della prevalenza o meno del tasso indicato sul buono postale fruttifero rispetto al tasso fissato con un decreto precedente alla sua emissione si veda Palmieri, Nota a Cassazione, sezioni unite, sentenza 15 giugno 2007, n. 13979, in Foro it., 2007, p. 2692; De Poli, Buoni postali fruttiferi e letteralità cit.
[9] L’articolo 7 del d.lgs. 284/1999, che ha trovato esecuzione nell’articolo 9 del d.m. 19 dicembre 2000 – nel testo richiamato – ha previsto che «a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto è abrogato, ai sensi dell’art. 7, comma 3, del decreto legislativo 30 luglio 1999 n. 284, il capo VI del titolo I del libro III del decreto del Presidente della Repubblica 29 marzo 1973, n. 156, e le relative norme di esecuzione contenute nel titolo VI del decreto del Presidente della Repubblica giugno 1989, n. 256. I buoni fruttiferi postali delle serie emesse alla data di entrata in vigore del presente decreto, nonché le operazioni relative ai medesimi buoni, restano regolati dalle disposizioni richiamate dal precedente comma».
[10] In merito a tale delega, l’articolo 3 del d.m. 19 dicembre 2000 ha previsto – con riferimento al rapporto negoziale diretto tra le parti – che «per il collocamento dei buoni fruttiferi postali rappresentati da documento cartaceo viene consegnato al sottoscrittore il titolo e il foglio informativo contenente la descrizione delle caratteristiche dell’investimento» (mentre per il collocamento di quelli non rappresentati da documento cartaceo veniva stabilito che i contratti «sono redatti per iscritto e un esemplare è consegnato al sottoscrittore, unitamente al foglio informativo dell’emissione»). All’articolo 6 del medesimo decreto veniva inserita, poi, una norma in punto di comunicazioni pubblicitarie: «Poste italiane S.p.a. espone nei propri locali aperti al pubblico un avviso sulle condizioni praticate, rinviando a fogli informativi, che saranno consegnati ai sottoscrittori, la descrizione dettagliata delle caratteristiche dei buoni fruttiferi postali». Per quanto attiene, invece, alle comunicazioni in corso di rapporto provenienti dall’emittente, veniva prescritto che esse fossero «effettuate mediante avvisi su quotidiani a diffusione nazionale di cui uno economico». Non facendosi riferimento a modifiche in corso di rapporto, si riteneva soppresso il precedente meccanismo di variazione – per decreto – dei tassi (cfr. Malvagna, Buoni fruttiferi postali e trasparenza, in Riv. dir. banc., I, 2019, pp. 547 ss.).
[11] Così l’articolo 4 comma 1° d.m. MEF 6 ottobre 2004.
[12] Il risparmio postale è stato definito dal d.p.r. 14 marzo 2001, n. 144 come la «la raccolta di fondi attraverso libretti di risparmio postale e buoni postali fruttiferi effettuata da Poste per conto della Cassa depositi e prestiti»; veniva inoltre disposto che le attività di bancoposta comprendessero la «raccolta del risparmio postale». L’applicabilità della disciplina bancaria nel caso di specie rafforzerebbe il potere – già previsto dalla disciplina di riferimento – di variare le condizioni originarie per il tramite dell’art. 118 (in materia di variazione unilaterale delle condizioni contrattuali). Infine, è previsto che a «Poste si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni attuative previste per le banche, salva l’adozione di disposizioni specifiche da parte delle autorità competenti» e anche quelle del testo unico della finanza (cfr. artt. 1, 2 d.pr. 144/2001). Sull’attività di bancoposta in generale si rimanda a Cesarini, Costi, Tutino (a cura di), Bancoposta e mercati, Bologna, Il Mulino, 1999; Condemi, La regolamentazione delle attività di Poste italiane, in Mondo banc., 4, 2002, pp. 65 ss.; Valentino, Taglia il traguardo la rivisitazione dei servizi finanziari di bancoposta, in Dir. e prat. soc., 10, 2001, pp. 27 ss.
[13] Sottoposizione avvenuta per il tramite del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni nella l. 24 novembre 2003, n. 326 (cfr. art. 5). In attuazione del menzionato d.l. è stato successivamente emanato il d.m. del Ministro dell’economia 5 dicembre 2003.
[14] In particolare, in punto di comunicazioni gravanti sull’emittente, veniva previsto al comma 4° del medesimo articolo che «le comunicazioni della CDP S.p.a. ai titolari dei buoni postali fruttiferi vengono effettuate mediante l'inserzione di appositi avvisi nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica e nel sito web della CDP S.p.a.»; inoltre «al fine di garantire l'effettiva conoscenza delle informazioni pubblicate, queste ultime possono essere rese note anche mediante l'esposizione di appositi avvisi nei locali aperti al pubblico di Poste italiane S.p.a., nonché mediante pubblicazione su quotidiani a diffusione nazionale, di cui uno economico, con l'indicazione degli estremi della pubblicazione della Gazzetta Ufficiale della Repubblica ovvero con l'avvertenza che l’avviso è in corso di pubblicazione»; cfr. Malvagna, Buoni fruttiferi postali e trasparenza cit.
[15] Si fa riferimento alla l. 17 febbraio 1992, n. 154 (poi versata nel Titolo VI del T.U.B). Tale parallelismo, in primis, è possibile per il fatto che la Cassa Depositi e Prestiti, emittente dei buoni postali fruttiferi, è un ente che per legge svolge un’attività di intermediazione creditizia (cfr. l’art. 1 d.lgs. 30 luglio 1999, n. 284) per quanto essa sia sottratta all’applicazione della direttiva CRD IV (cfr. art. 2, par. 5, punto 12 della direttiva). Il legislatore si è infatti mosso nel senso della positiva definizione dei rapporti tra risparmio postale e normativa di trasparenza. Per completezza si rinvia a Malvagna, Buoni fruttiferi postali e trasparenza cit., il quale afferma: «l’esito di tale intervento non è stato quello della soggezione incondizionata dell’operazione alla normativa di trasparenza. Diversamente, la parificazione disciplinare delle operazioni di risparmio postale alla raccolta bancaria, se a una prima impressione appare affermata dalla lettera della legge (il d.p.r. 14 marzo 2001, n. 14411 in materia di servizi di bancoposta, tra le quali si annovera testualmente il risparmio postale), subito si trova circondata da condizioni, limiti e cautele, all’interno di un quadro normativo fortemente ambiguo, se non proprio contraddittorio». A ben vedere, l’ABF ha stabilito che, sebbene siano ammessi i ricorsi per controversie relative ai buoni postali fruttiferi (come anche ai libretti di risparmio), a questi non devono applicarsi le disposizioni di trasparenza della Banca d’Italia; la normativa di riferimento sarebbe infatti quella dettata dal Ministro dell’Economia e delle Finanze (MEF) nel d.m. del 6 ottobre 2004, recentemente modificato con il d.m. del 5 ottobre 2020.
Ora, stante questo quadro di massima, con la recente pronuncia n. 24639 del settembre 2021[1] la Suprema Corte si è pronunciata su una risalente questione ermeneutica concernente l’estensibilità o meno della disciplina specificamente prevista per i libretti di risparmio ai buoni postali fruttiferi. In particolare, la Corte risponde ad un quesito su cui vi è stato un radicato e diffuso contrasto, sia nella più recente giurisprudenza arbitrale[2] sia nella giurisprudenza ordinaria[3], sintetizzabile con il seguente interrogativo: la disciplina espressamente prevista per il rimborso dei libretti di risparmio con clausola di «pari facoltà», in caso di decesso di un cointestatario, è applicabile anche ai buoni postali fruttiferi?
La querelle interpretativa origina invero dalla stessa normativa di riferimento, la quale certamente non fornisce una linea interpretativa chiara ed univoca, sebbene dalla rassegna delle norme che regolano la figura del libretto di risparmio sia possibile tracciare un parallelismo piuttosto stringente tra lo stesso e il buono postale fruttifero.
Ciò che ha fatto emergere profili di contraddittorietà nelle posizioni assunte dalla giurisprudenza è stato, ex multis, l’articolo 187 del d.p.r. n. 256/1989, il quale prevede che il rimborso a saldo del credito del libretto di risparmio intestato a persona defunta, oppure cointestato a due o più persone, una delle quali sia deceduta, anche in presenza della clausola di «pari facoltà» venga eseguito con quietanza di tutti gli aventi diritto[4]. Non paiono così emergere dubbi interpretativi circa la modalità di rimborso di un libretto postale che presenti le caratteristiche sopra enunciate: la quietanza di tutti gli aventi diritto e, pertanto, anche di tutti gli eredi del cointestatario defunto, è condizione necessaria ai fini dell’operazione di liquidazione.
Ora, la possibilità di estendere tale disciplina alla analoga fattispecie di decesso di un cointestatario di un buono postale fruttifero con clausola di «pari facoltà di rimborso» è stata ricondotta, essenzialmente, a due norme: l’articolo 182 del d.p.r. n. 156/1973 e l’articolo 203 del d.p.r. n. 256/1989. L’articolo 182, avente carattere generale, stabilisce – se «non sia disposto diversamente dal (presente) capo [VI]» – che «al servizio dei buoni postali fruttiferi si applicano le norme che regolano il servizio dei libretti postali di risparmio»; l’articolo 203, in merito alla peculiare fattispecie qui considerata, prevede che «le norme relative al servizio dei libretti di risparmio postali, di cui al titolo V del presente regolamento, sono estese al servizio dei buoni postali fruttiferi, in quanto applicabili e sempreché non sia diversamente disposto dalle norme del presente titolo VI».
Si è osservato che, nel rapporto tra norme giuridiche, la deroga di una norma all’altra postula evidentemente che entrambe si riferiscano alla medesima fattispecie[5]. Su tale presupposto, rilevato che nel titolo VI del d.p.r. n. 256/1989 non vi è alcun riferimento alla disciplina applicabile in caso di decesso di uno dei cointestatari di un buono postale fruttifero con clausola di «pari facoltà di rimborso», parte della giurisprudenza ha ritenuto di non poter fare riferimento alla previsione di raccordo contenuta nella parte finale del menzionato articolo 203; piuttosto, si è avuto riguardo alla prima parte della norma, la quale prevede un’estensione in via sussidiaria della disciplina in materia di libretti di risparmio.
Sotto il profilo sistematico, il richiamato rinvio è sicuramente indice sintomatico di alcune lacune nella normativa dei buoni postali fruttiferi; senonché, da un canto una sua portata onnicomprensiva escluderebbe ogni autonomia della disciplina dei buoni postali, dall’altro, riconoscere a quest’ultima una totale autosufficienza delegittimerebbe la stessa previsione ex articolo 203 del d.p.r. n. 256/1989.
D’altra parte, l’articolo 187 è stato interpretato – da chi sostiene un parallelismo tra i due titoli – non come limitativo di diritti e dunque da interpretare in modo tassativo (il che comporterebbe, ex adverso, la sua applicazione alla sola fattispecie negoziale dei libretti di risparmio cointestati), quanto piuttosto come incidente soltanto sul profilo della legittimazione attiva ad ottenere il rimborso del titolo e, di conseguenza, estendibile anche ai buoni postali[6].
È chiaro che ci si trovi dinnanzi ad una materia di non facile interpretazione: l’intersezione tra regole è stata sì materia di dibattito, ma per vero poi lumeggiata dall’intervento del legislatore che, seppur in riferimento ai rapporti giuridici originatisi successivamente alla sua entrata in vigore, con il d.m. del 2000 ha previsto all’articolo 1 comma 4° che «i buoni fruttiferi postali possono essere intestati a più soggetti, con facoltà per i medesimi di compiere operazioni anche separatamente» e al contempo ha abrogato, inter alia, l’articolo 203 dell’ormai noto d.p.r. n. 256/1989.
Tale quadro normativo particolarmente intricato è venuto all’attenzione della giurisprudenza – la quale ha preso posizioni spesso contrastanti[7] – in ragione della prassi di Poste Italiane di rifiutare il pagamento dell’intero montante del buono postale fruttifero al cointestatario superstite; l’assunto da cui muove la parte debitrice nel ritenere applicabile al caso di specie la disciplina in materia di libretti di risparmio si fonda sull’asserita omogeneità morfologica tra i due titoli e sulla presunta assenza di una disposizione dedicata alla riscossione dei buoni nel caso di morte di un cointestatario.
Per un verso l’ABF – insieme alla variegata tipologia di problematiche che interessano i buoni postali fruttiferi [8] – è stato investito da un ragguardevole contenzioso inerente alla riscossione delle serie cointestate con clausola di «pari facoltà di rimborso». Da ultimo[9] il Collegio di coordinamento si è pronunciato nuovamente sul quesito, riconoscendo – in linea con il recente orientamento delineatosi nei vari Collegi – il diritto del contitolare di riscuotere l’intero montante anche a seguito del decesso di uno dei cointestatari.
Sul piano della giurisprudenza di legittimità, invece, la Corte di Cassazione – in assenza di altri precedenti – dava corpo ad un importante revirement rispetto agli orientamenti ormai diffusi nella giurisprudenza di merito[10] affermando che «in assenza di una previsione specifica, al rimborso dei buoni postali fruttiferi cointestati è applicabile per analogia la disciplina prevista dall’articolo 187, comma 1, dal d.p.r. n. 256 del 1989, relativo ai libretti di risparmio postale (per effetto del rinvio di cui all’art. 203, comma 1, dell’anzidetto regolamento), sicché, nel caso di decesso di uno degli intestatari, il rimborso viene eseguito con quietanza di tutti gli aventi diritto» (Cass. sez. VI, 10 giugno 2020, n. 11137). A breve distanza di tempo, la stessa Sezione VI con la pronuncia Cass. 5 agosto 2020 n. 16683 riapriva il dibattito ribaltando la posizione poco prima assunta e – visto il rilievo nomofilattico della questione sottesa alla clausola di «pari facoltà di rimborso» – rimetteva la causa alla Prima Sezione civile per la pubblica udienza.
Si è così giunti alla significativa pronuncia in commento che non soltanto ha ridimensionato – seppur entro il circoscritto ambito qui considerato – le pretese di Poste Italiane, ma ha altresì ribadito a chiare lettere quanto già da tempo era andato delineandosi in sede giurisprudenziale, vale a dire la legittimazione di ciascun cointestatario superstite ad ottenere il rimborso dell’intera somma portata dal documento.
[1] Cass., Sez. I Civile, 13 settembre 2021, n. 24639.
[2] A tal riguardo, si evidenzia come tendessero per l’applicabilità della disciplina prevista in materia di libretti di risparmio ai buoni postali fruttiferi, ex multis, i seguenti Collegi: ABF Milano (6270/2019; 7946/2015; 4447/2015), ABF Roma (21 dicembre 2016 n. 11308 e 8 settembre 2015, n. 6658); ABF Napoli (30 giugno 2016 n. 6048); mentre, in senso contrario, si richiamano altre decisioni, in particolare, ABF Palermo (4991/2018; 6445/2019); ABF Torino (1165/2019); ABF Bari (8192/2019; 6333/2019); ABF Bologna (15553/2017; 4251/2019).
[3] La Corte d’Appello di Roma – con sentenza del 25 gennaio 2018 n. 557 – ha ritenuto applicabile anche ai buoni postali fruttiferi la normativa relativa ai libretti di risparmio. Si riscontrano, invece, numerose pronunce indirizzate verso la soluzione diametralmente opposta: Tribunale di Ferrara, 24 marzo 2020; Corte d’appello di Milano, sentenza del 12 marzo 2020; Corte d’Appello di Milano, 17 luglio 2019, n. 3203 e 25 ottobre 2017, n. 4504; Tribunale di Verona, 26 maggio 2019; Corte d’Appello di Torino, 24 luglio 2017, n. 1660; Tribunale di Lecco, 23 marzo 2017 e 20 febbraio 2015; Tribunale di Ascoli Piceno, 1° marzo 2016; Tribunale di Cosenza, 2 luglio 2010 e 31 gennaio 2011; Tribunale di Genova, 27 febbraio 2006.
[4] L’articolo 187 del d.p.r. 17 agosto 1989, n. 256 è, inoltre, una precisazione della regola generale già dettata dall’articolo 156 del medesimo d.p.r. il quale richiede sempre – in caso di libretto intestato a più persone – la quietanza simultanea di tutti gli intestatari «a meno che nell’intestazione del libretto non siano designati quelli fra essi che non hanno la facoltà di riscuotere singolarmente».
[5] ABF, Collegio di Coordinamento, 10 ottobre 2019, n. 22747; l’Arbitro ripropone le argomentazioni espresse dal Collegio di Roma nell’ordinanza di rimessione del 25 luglio 2019.
[6] Tesi che si era inizialmente diffusa nella giurisprudenza arbitrale (cfr. tra tutte ABF di Bologna, 28 novembre 2017, n. 15553).
[7] V. nt. 17 e 18.
[8] La relazione annuale sull’attività dell’ABF relativa all’anno 2020 – pubblicata nel luglio 2021 – contiene un rilevante dato: le controversie su depositi a risparmio e buoni fruttiferi postali costituiscono la seconda voce più significativa (pari al 14% sul totale delle decisioni rese dall’Arbitro) dopo la cessione del quinto. Soltanto nel 2019 le decisioni in merito occupavano il 12% sul totale. Cfr. Relazione sull’attività dell’Arbitro Bancario Finanziario, anno 2020, Numero 11, luglio 2021.
[9] ABF, Collegio di coordinamento, del 10 ottobre 2019, n. 22747
[10] V. nt. 18
La asserita assimilabilità dei libretti di risparmio e dei buoni postali, certamente supportata da una base normativa, trova un insormontabile ostacolo nella “diversa” natura giuridica del buono postale fruttifero. È infatti ormai prevalente la tesi che ammette la natura di titolo di credito del libretto di risparmio[1], ovverosia è accertata e accettata la sua attitudine ad incorporare un diritto di credito esercitabile da parte del possessore del documento. I buoni postali fruttiferi, per converso, sono «meri titoli di legittimazione» e hanno, pertanto, la sola funzione di identificare l’avente diritto alla prestazione[2].
Ritenuto che nel caso del titolo di credito si sia in presenza di una promessa[3] unilaterale del debitore di effettuare una prestazione, da cui derivano un’obbligazione del promittente e un diritto del creditore, ben si comprende la funzione del documento costitutivo[4]; il diritto di credito, infatti, è racchiuso nel titolo e, in considerazione del legame che si instaura tramite il fenomeno della c.d. incorporazione[5], resta immedesimato nel documento. Diversamente, il «contrassegno» o documento di legittimazione[6], già chiamato titolo apparente, costituisce sicuramente un tipo di documento di efficacia più accentuata del documento meramente probatorio, pur tuttavia senza raggiungere l’efficacia “costitutiva” del titolo di credito[7].
L’articolo 2002 c.c. stabilisce testualmente: «le norme di questo titolo [il V, Titoli di credito, del IV libro del codice civile] non si applicano ai documenti che servono solo per identificare l’avente diritto alla prestazione, (…)»; il documento di legittimazione, pertanto, serve essenzialmente ad agevolare l’esecuzione di un contratto da parte del debitore, approntando un mezzo di particolare efficacia per l’identificazione della persona del creditore, in quanto l’avente diritto, di per sé, è indifferente al debitore: manca cioè l’intuitus personae creditoris.
Si è detto, inoltre, che tale funzione – legittimante l’adempimento di un’obbligazione scaturente da separato contratto – non sia limitata all’aspetto “passivo”, ma che si estenda anche all’aspetto “attivo”, dando il diritto al possessore di pretendere la prestazione senza sottostare ad alcun onere probatorio[8].
Si aggiunga, poi, nel segno della eterogeneità tra buoni postali fruttiferi (quali titoli di legittimazione) e titoli di credito, la frequente presenza nei primi della clausola di incedibilità, «siccome escludente il connotato della incorporazione, idoneo a consentire una mobilizzazione del diritto facilitata rispetto alla comune cessione»[9].
Infatti, mentre il titolo di credito è una «res fatta per la circolazione»[10], il contrassegno di legittimazione è privo di tale funzione. Ed in tale prospettiva sembra avere una funzione probante della natura di documento di legittimazione del buono postale fruttifero l’articolo 204 del d.p.r. n. 256/1989, che al terzo comma prevede: «i buoni non sono sequestrabili né pignorabili, tranne che per ordine del magistrato penale; non sono cedibili, salvo il trasferimento per successione a termine di legge, e non posso essere dati in pegno».
La deroga al principio generale di libera cedibilità dei crediti[11], oltre ad essere un’ulteriore conferma della impossibilità di ricondurre il buono postale fruttifero alla categoria generale dei titoli di credito, sottolineerebbe ancora una volta la distanza sussistente con il diverso strumento di risparmio postale, ossia il libretto. Il buono, infatti, si caratterizza per un marcato rafforzamento del diritto dell’intestatario ad ottenere il rimborso «a vista» della somma portata dal documento.
[1] Tra tutte si segnalano Cass. 9 febbraio 1981, n. 798; Cass. 15 luglio 1987, n. 6242; Cass. 13 maggio 2020, n. 8877.
[2] Circa il riconoscimento della natura di documento di legittimazione al buono postale fruttifero in giurisprudenza si richiama, ex multis, Cass. Sez. Un. 15 giugno 2007, n. 13979; preceduta da Cass. 16 dicembre 2005, n. 27809 e successivamente confermata da Cass. 28 febbraio 2018, n. 4761 con nota di Bencini, Buoni postali fruttiferi: cosa sono e quando scade il diritto al rimborso, in Diritto e Giustizia, 2018, pp. 14 ss.; Cass., Civ., Sez. Un. 11 febbraio 2019, n. 3963 con nota di G. Satta, Buoni postali: la parola alle Sezioni Unite, in Diritto e Giustizia, 28, 2019, p. 3; con nota di Carnevali, in Contr., 2019, pp. 267 ss.; con nota di Costa, in Corr. Giur. 2019, pp. 484 ss.; già prima cfr. Cass. Civ., Sez. I, 16 dicembre 2005, n. 27809 in dejure.it; in letteratura cfr. M. Franchi, La sopravvenuta variazione in pejus del tasso di interesse dei buoni postali fruttiferi emessi prima del decreto del Ministero del tesoro del 19 dicembre 2000, in Banca Borsa Titoli di credito, II, 2019, pp. 688 ss.; Rotondo, Regime giuridico dei buoni postali fruttiferi: tra eterointegrazione del contratto e tutela dell’affidamento del cliente, in Banca Borsa Titoli di credito, II, 2016, pp. 633 ss.; De Poli, Buoni postali fruttiferi e letteralità cit., p. 139. Per la tesi contraria, ormai superata, v. Buscema, Buono (in generale) cit.; Calabrò, Poste e telecomunicazioni cit.; Falcone, Buoni postali fruttiferi cit., il quale, in particolare, precisa che «il buono non incorpora il diritto di credito: permane sempre la pura funzione probatoria ed infatti ne è vietata la cedibilità». Sui documenti di legittimazione in generale si rimanda a F. Messineo, Contrassegni e titoli di legittimazione, in Manuale di diritto civile e commerciale, Milano, v. V, 1972, 166 bis; Tedeschi, Titoli di credito impropri e documenti di legittimazione, in D. disc. priv. sez. comm., XV, 1998, pp. 493 ss.; Maccarone, Documenti di legittimazione e titoli impropri, in Enc. giur., 1999, pp. 1 ss.; F. Martorano, Titoli di credito. Titoli non dematerializzati, in Trattato Cicu-Messineo, 2002, pp. 217 ss.; Spatazza, La fattispecie tra tipicità e figure affini, in Trattato Cottino, VII, 2006, pp. 236 ss.; Di Amato, I titoli di credito, in Trattato Rescigno, 13, V, II ed., 2008, pp. 270 ss.; Galgano, Dei titoli di credito. Art. 1992-2027, in Commentario Scialoja-Branca, III ed., 2010, pp. 210 ss.; Briolini, Documento di legittimazione e titolo improprio, in Dizionari del diritto privato promossi da N. Irti, Milano, 2011, pp. 387 ss.
[3] Cioè, una dichiarazione di volontà e non mero atto giuridico; v. F. Messineo, Il Titolo di credito, in Manuale di diritto civile e commerciale, Milano, v. V, 1972, 164 bis.
[4] Tedeschi, Titoli di credito impropri e documenti di legittimazione cit.; F. Messineo, Il Titolo di credito cit.
[5] La ratio sottesa al fenomeno della incorporazione del diritto (cartolare) in un documento (il titolo di credito) è da rinvenirsi nella funzione tipica dello strumento, nonché quella di essere volto – principalmente – alla circolazione della ricchezza mobiliare che si attribuisce allo stesso, costituendo un mezzo più rapido ed efficiente della consueta pattuizione contrattuale. Trattasi, cioè, di un collegamento tra la titolarità del credito ed il possesso del documento in cui lo stesso è, appunto, incorporato. Cfr. in merito F. Martorano, Titoli di credito, Milano, 1994, pp. 19 ss. secondo cui si realizzerebbe un’inversione concettuale del rapporto tra documento e diritto per cui l’acquisto di quest’ultimo diviene l’effetto e la conseguenza del possesso – o proprietà – del titolo.
[6] Si allude alla ripartizione interna dei documenti di legittimazione fra «titoli di legittimazione» e «contrassegni di legittimazione». Questi ultimi, seppur non rientranti nella categoria dei titoli di credito, garantiscono una sorta di unicità della prestazione oggetto del documento; cosicché il creditore, per l’individualità della pretesa, potrà provare agevolmente il suo diritto. I “semplici” titoli di legittimazione, invece, attribuiscono a chiunque li possieda il medesimo diritto alla prestazione, senza che la titolarità sia caratterizzata da peculiarità dimostrabili da fonti estranee al documento. A favore della esposta suddivisione si segnalano, tra gli altri, F. Messineo, Contrassegni e titoli di legittimazione cit.; F. Martorano, Titoli di credito. Titoli non dematerializzati cit.; Di Amato, I titoli di credito cit.; in senso contrario Spatazza, La fattispecie tra tipicità e figure affini cit.; Briolini, Documento di legittimazione e titolo improprio cit.; Maccarone, Documenti di legittimazione e titoli impropri cit.
[7] Trib. S. Maria Capua V., 21 maggio 2015, con nota di G. Rotondo, Regime giuridico dei buoni postali fruttiferi: tra eterointegrazione del contratto e tutela dell’affidamento del cliente., in Banca Borsa Titoli di Credito, 5, 2016, p. 633; già Tedeschi, Titoli di credito impropri e documenti di legittimazione cit., p. 507; F. Messineo, Contrassegni e titoli di legittimazione cit.
[8] F. Martorano, Titoli di credito, in Enciclopedia del diritto, Milano, XLIV, 1979, pp. 572 ss., in cui si richiama il pensiero di Bianca, Il debitore e i mutamenti del destinatario del pagamento, Milano, 1963, p. 300; Pellizzi, Principi di diritto cartolare, Padova, 1967, p. 183; in senso contrario F. Messineo, Contrassegni e titoli di legittimazione cit., p. 485.
[9] Così F. Martorano, Titoli di credito. Titoli non dematerializzati cit.; cfr. in materia in incedibilità dei documenti di legittimazione Tedeschi, Titoli di credito impropri e documenti di legittimazione cit., 507; F. Martorano, Titoli di credito cit.; De Luca, L’antifattispecie cartolare. Contributo allo studio dei titoli di credito, in Banca Borsa Titoli di Credito, I, 2017, p. 93.
[10] Così F. Messineo, Il Titolo di credito cit. Cfr. C. Honorati, Titoli di credito, in Enciclopedia del diritto, Annali VI, Milano, 2013, p. 983, per cui il titolo di credito non è un tipo concreto di documento, bensì un tipo di funzione economica. La relativa definizione ed il rapporto giuridico che essa esprime, infatti, sarebbe il risultato di una «fortunata costruzione dottrinale», finalizzata al soddisfacimento di specifiche esigenze economiche volte ad una più efficiente circolazione della ricchezza (in merito v. Chiomenti, Il titolo di credito. Fattispecie e disciplina, Milano, 1977, p. 4). Sulla funzione dei titoli di credito v. tra i molti Tedeschi, Titoli di credito, in D. disc. priv., sez. comm., XV, 1998, p. 418; Spada, Introduzione al diritto dei titoli di credito. Documenti circolanti, circolazione intermediata e password, Torino, III ed., 2012, pp. 77 ss.; De Luca, L’antifattispecie cartolare. Contributo allo studio dei titoli di credito cit.
[11] Si segnala, quale corollario di quanto appena sostenuto, la previsione di cui all’articolo 1260 c.c. secondo cui i crediti sono per natura cedibili, anche contro la volontà del debitore, salvo espresso patto contrario. La disciplina in materia di titoli di credito infatti – posta la centralità che assume la funzione di circolazione del titolo – prevede delle garanzie maggiori rispetto alla generale disciplina della cessione ordinaria: vengono cioè messi in rilievo gli interessi dei terzi cessionari che ripongono legittimo affidamento sulla letteralità ed esigibilità del diritto. Tramite la disciplina dei titoli di credito l’ordinamento ha quindi predisposto delle norme a tutela dei terzi, che sono invece assenti – o in ogni caso meno incisive – nella disciplina della cessione ordinaria. Il debitore e il creditore – e talvolta la legge – che intendano rinunciare all’applicazione del complesso di regole posto a garanzia della libera cedibilità dei titoli, dovranno pertanto indicare espressamente che il credito seguirà la forma e gli effetti propri della cessione ordinaria (dovranno cioè stabilire che si tratti di un documento di sola legittimazione o di un titolo improprio). In merito cfr. De Luca, L’antifattispecie cartolare. Contributo allo studio dei titoli di credito cit., p. 102.
Sulla base di tale assunto, sembra doversi escludere l’applicabilità ai buoni postali fruttiferi della normativa di rinvio sopra menzionata, su cui ha invece fatto leva parte della giurisprudenza stante la apparente omogeneità delle fattispecie. A contrario, resta applicabile l’articolo 178 del d.p.r. n. 156/1973, a mente del quale i buoni postali sono «rimborsabili a vista» presso gli uffici di emissione. Nella specifica ipotesi di buono cointestato – a seguito della morte di uno dei cointestatari – sebbene sia indubbio che il titolo in oggetto svolga la mera funzione di identificare l’avente diritto ad una prestazione, senza incorporare alcun diritto cartolare e senza svolgere la funzione di far circolare il credito, deve comunque escludersi che il debitore possa rifiutare la prestazione, sia pure per tutelare le ragioni di terzi[1].
Ammettere tale ipotesi significherebbe, infatti, vanificare la funzione che l’ordinamento ha ad essi assegnato. In particolare, nel titolo VI del d.p.r. n. 256/1989 – cui si riferisce l’articolo 203 nella misura in cui prevede che le norme relative al servizio dei libretti di risparmio postale si applicano ai buoni «sempreché non sia diversamente disposto dalle norme del presente titolo» – viene stabilito che «i buoni sono rimborsabili a vista presso l’ufficio di emissione, per capitale ed interessi, previo confronto dei titoli con le corrispondenti registrazioni operate all’atto della emissione» (all’articolo 208 comma 1°); tale norma avrebbe un chiaro contenuto derogatorio rispetto alla disciplina dettata ex articolo 203, essendo inoltre perfettamente aderente ed in piena conferma del dettato normativo di cui all’articolo 178 del d.p.r. n. 156/1973[2]. È di tale avviso chi ritiene l’articolo 187 del d.p.r. n. 256/1989 norma limitativa di diritti e per tale ragione inestensibile[3].
Per di più, si noti che la formulazione letterale del citato articolo 203 non sembra ad ogni modo voler estendere tutte le norme di cui al titolo V del provvedimento ai buoni postali fruttiferi, caratterizzati comunque da una evidenziata peculiarità; infatti, la rubrica della norma si riferisce al «servizio dei buoni» e all’applicabilità a quest’ultimo delle «norme relative alle casse postali di risparmio». È legittimo dubitare che, tramite il testo della disposizione che estende l’applicabilità delle «norme relative al servizio dei libretti di risparmio postali (…) al servizio dei buoni postali fruttiferi», volesse farsi riferimento alle sole norme organizzative che disciplinano la prestazione del servizio da parte delle casse postali di risparmio e non, invece, alle norme che regolano i rapporti tra l’intermediario e i titolari dei buoni (o i loro eredi)[4].
[1] Cfr. ABF, Collegio di Coordinamento, 10 ottobre 2019, n. 22747.
[2] Cfr. Corte d’Appello di Milano 25 ottobre 2017, n. 4504.
[3] «Trattandosi di una disposizione limitativa di diritti e, come tale, da interpretare in modo tassativo e, dunque, da limitare alla sola fattispecie negoziale per la quale è stata formulata, ossia quella dei libretti postali cointestati» (così la decisione ABF Bologna n. 15553/2017); cfr. inoltre ABF Bologna n. 14631/2019.
[4] Così ABF Milano, 3 settembre 2019, n. 20407.
Orbene, con la decisione in commento la Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi giusto su tale risalente controversia. In particolare, i giudici di legittimità si sono espressi circa la possibilità o meno di rimborsare l’intera somma portata da un buono postale fruttifero (emesso in data 4 novembre 1994) dotato della clausola di «pari facoltà di rimborso», di cui la ricorrente era cointestataria superstite per sopravvenuto decesso dell’altro contitolare.
L’assunto secondo cui la disciplina dei buoni postali non regolerebbe il caso di decesso di uno dei cointestatari non può, a detta della Corte, essere collocato a premessa scontata della diretta applicabilità della normativa in materia di libretti di risparmio. Pertanto, viene delineato un quadro giuridico che permette di fare chiarezza circa la linea interpretativa da seguire in una simile circostanza.
Viene nuovamente affermata la natura del buono postale fruttifero quale documento di legittimazione ex articolo 2002 c.c. e su tale premessa la Corte imbastisce il proprio – condivisibile – iter argomentativo.
La rilevante differenza che corre tra il buono ed il libretto di risparmio è tale da incidere, in primis, sul funzionamento della clausola della «pari facoltà di rimborso». Se è vero che l’articolo 187 del d.p.r. n. 256/1989 prevede che il rimborso di un libretto di risparmio intestato a persona defunta oppure cointestato – anche in presenza della citata clausola – venga eseguito con quietanza di tutti gli aventi diritto, ciò non vale per il caso di un buono postale fruttifero che presenti le medesime caratteristiche.
Piuttosto, la clausola – apposta ad un buono fruttifero – rafforza il diritto ad ottenere il rimborso «a vista» dei cointestatari, già previsto in chiave generale e astratta dagli articoli 178 d.p.r. n. 156/1973 – 208 d.p.r. n. 256/1989, e persegue lo scopo di preservare l’immediata liquidabilità del titolo, caratteristica specifica dell’investimento postale in oggetto. L’applicabilità della diversa disciplina prevista per i libretti di risparmio e il conseguente inadempimento della suddetta clausola, porterebbero inevitabilmente il debitore ad incorrere in responsabilità contrattuale[1], senza dire, poi, del consolidato orientamento che ritiene predominanti i dati risultanti sul testo dei buoni postali[2].
[1] Sull’inadempimento quale vicenda patologica dell’obbligazione si veda per tutti Bianca, Diritto Civile, La responsabilità, Milano, 2003, pp. 3 ss.
[2] La sentenza in commento – Cass. 13 settembre 2021, n. 24639) – richiama l’ormai consolidato orientamento (ex multis Cass. 31 luglio 2017, n. 19002; Cass. 28 febbraio 2018, n. 4761).
La previsione della clausola di cui si è appena accennato svolge una particolare funzione che si inserisce in una più ampia fattispecie: la legittimazione alla riscossione. È d’uopo precisare che la dichiarata inapplicabilità della normativa propria dei titoli di credito ai documenti di legittimazione può riferirsi, sicuramente, alla parte afferente ai dati differenziali evidenti, ma non all’intero corpo della stessa[1]; sarebbe infatti applicabile per analogia quella parte connessa a connotati comuni di cui è in ogni caso lecito presumere l’esistenza[2]. In tal senso, la portata negativa dell’articolo 2002 c.c. deve intendersi limitata a quelle disposizioni che sono espressione dell’incorporazione del diritto nel documento (articoli 1993, 1994 e 1997 c.c.) e non, invece, a quelle (articoli 1992 e 2023 c.c.) che si riferiscono alla legittimazione del possessore le quali, nei limiti della compatibilità[3], devono invece ritenersi applicabili anche ai documenti di legittimazione. In particolare, è possibile tracciare un parallelismo con i cd. titoli nominativi che, per definizione, recano il nome del primo prenditore – che è soggetto determinato – e hanno bisogno di una seconda conforme intestazione nel registro dell’emittente[4].
In tale prospettiva, il già citato marcato rafforzamento del diritto di credito dell’intestatario del buono postale fruttifero sulla somma portata dal documento giustifica la estensione di un tratto peculiare dei titoli di credito: il diritto (cartolare) può essere esercitato anche senza la puntuale dimostrazione della titolarità e della capacità di ricevere l’adempimento[5], quest’ultima intesa come facoltà del possessore qualificato di pretendere la prestazione[6]. In tal senso i documenti di legittimazione, pur non costituendo titoli di credito e non richiedendo l’applicazione della relativa disciplina, oltre a determinare sicuramente l’attribuzione di una legittimazione passiva – assimilabile a quella prevista ex articolo 1992 c.c. – in forza della quale il debitore che effettui la prestazione al possessore (anche non titolare) è liberato[7], attribuirebbero al possessore anche la cd. legittimazione attiva tipica dei titoli di credito, nonché il diritto di pretendere il pagamento sulla base della mera presentazione del documento[8].
Se già la sola estensione di tale predicato tipico dei titoli di credito giustificherebbe la riscossione del buono postale fruttifero da parte del “semplice” possessore del buono, la sua legittimazione viene ulteriormente rafforzata dalla la suddetta clausola di «pari facoltà», la quale consente senza dubbio a tutti gli eventuali cointestatari di riscuotere l’intero credito.
Invero, il tenore testuale di tale pattuizione – inserita di frequente nei buoni postali cointestati ad una pluralità di soggetti – si manifesta inequivocabile; ossia, non è desumibile, di per sé, una sua inapplicazione nel caso di decesso di uno dei cointestatari.
Anche a voler prescindere dalla parziale assimilazione dei documenti di legittimazione ai titoli di credito – la quale giustificherebbe ulteriormente la «pari facoltà di rimborso» del possessore del buono postale – si evidenzia che ancor prima dell’intervento risolutivo della Cassazione si escludeva l’assegnazione di un significato diverso da quello della “legittimazione disgiunta” anche in caso di morte di un intestatario alla suddetta clausola per il tramite di un diverso – ma pur sempre plausibile – argomento: trattandosi di una clausola predisposta in via unilaterale dal contraente Poste, il principio di cui all’articolo 1370 c.c. avrebbe assicurato, nel dubbio, una interpretazione contra proferentem della stessa. Ossia, in risposta alla prassi di ritenere la «pari facoltà» nulla per contrarietà a norme imperative ex articolo 1419 comma 2° c.c., con conseguente sostituzione della regola dettata in materia di libretti di risparmio [9], si reputava il comportamento tenuto dalle Poste integrante gli estremi della responsabilità precontrattuale, posto che il contenuto del contratto di cui al buono postale fruttifero segue la modalità strutturale della predisposizione unilaterale ex articolo 1341 c.c. Nella fase di formazione del contratto il predisponente avrebbe, cioè, violato gli obblighi che la legge prescrive ai sensi degli articoli 1337 e 1338 c.c. per non aver dato notizia all’altra parte dell’esistenza di una causa di invalidità del contratto; circostanza ulteriormente aggravata in ragione della disparità strutturale che connota il rapporto de quo, essendo una parte – le Poste – un’impresa[10].
Secondo tale interpretazione, la natura di impresa del predisponente e il peso prevalente che assume il tenore letterale del titolo varrebbero – di per sé stessi – a fondare la ragionevolezza dell’affidamento del cointestatario. In particolare, l’attività svolta da Poste Italiane sarebbe un elemento determinante su cui l’investitore ripone la propria fiducia[11]; inoltre, la stessa funzione dei buoni, sui quali non potrebbero ricadere inadempimenti imputabili all’impresa[12], basterebbe da sola ad escludere la eventuale colpa del sottoscrittore per «aver confidato (…) nella validità del contratto»[13].
Al di là della correttezza o meno nel considerare la clausola di «pari facoltà di rimborso» quale predisposizione unilaterale delle Poste, ciò che risalta anche in tale ricostruzione è che lo schema sotteso alla pattuizione de qua risponde ad una logica di garanzia dell’intestatario – sia pure in termini di “legittimazione disgiunta” – alla riscossione dell’intero montante.
[1] Così F. Martorano, Titoli improprio e documenti di legittimazione, in Enciclopedia del diritto, Milano, XLIV, 1979, pp. 655 ss.; cfr. inoltre De Luca, L’antifattispecie cartolare. Contributo allo studio dei titoli di credito cit.
[2] Sarebbe infatti «inspiegabile come mai solo rispetto ai documenti qui considerati, e non rispetto a tutti gli altri chirografi di credito, il legislatore abbia sentito il bisogno di dettare una norma apparentemente addirittura superflua nella sua ovvietà», F. Martorano, Titoli di credito cit.
[3] In particolare, resta ferma la differenza – rispetto ai titoli di credito – nel fondamento della legittimazione attiva: mentre nei documenti di legittimazione questa si riconnette alla funzione probatoria della qualità di contribuente originario o di cessionario del credito, nei titoli di credito la stessa costituisce corollario del fenomeno dell’incorporazione. In questi ultimi, cioè, è pregnante la connessione della titolarità del credito ad una posizione reale rispetto al documento. Cfr. F. Martorano, Titoli improprio e documenti di legittimazione cit.; Angelici, La legittimazione dell’azionista nel sistema Monte titoli, in Riv. dir. civ., I, 1988, p. 250.
[4] I titoli «a legittimazione nominale» sono infatti caratterizzati dal fatto che il nome dell’intestatario risulta, oltre che dalla chartula, anche dal registro dell’emittente; cfr. Chinè – Zoppini, Manuale di diritto civile, XII Edizione 2020-2021. Sui titoli nominativi si rimanda a Libonati, I titoli di credito nominativi, Milano, 1965, pp. 54 ss.; F. Martorano, Titoli di credito cit.
[5] De Luca, L’antifattispecie cartolare. Contributo allo studio dei titoli di credito cit.; Cfr. Oppo, Diritto cartolare, diritto cambiario, diritto comune: una discussione sul titolo di credito, in Riv. dir. civ., 1979, II, p. 185; Guizzi, Il titolo azionario come strumento di legittimazione. La circolazione delle azioni tra diritto cartolare, diritto comune e diritto del mercato finanziario, Milano, 2000; Pellizzi, Principi di diritto cartolare cit.; F. Messineo, Contrassegni e titoli di legittimazione cit.
[6] Così come nel campo dei diritti reali, la tutela del possesso ha un fondamento autonomo rispetto a quello della tutela della proprietà. In merito v. F. Martorano, Titoli di credito cit.
[7] V. Spatazza, La fattispecie tra tipicità e figure affini cit., in merito all’applicazione ai documenti di legittimazione della disciplina di cui all’articolo 1992 c.c.; in senso contrario Libonati, Titoli di credito e strumenti finanziari, Milano, 1999, pp. 85 ss.; Maccarone, Documenti di legittimazione e titoli impropri cit.; Martorano Titoli di credito. Titoli non dematerializzati cit., p. 223; Tedeschi, Titoli di credito impropri e documenti di legittimazione cit. Invero, sarebbe proprio il fenomeno dell’incorporazione del credito nel documento cartaceo ad avere l’effetto di estendere a quest’ultimo l’applicazione della regola “possesso vale titolo”; in merito si veda C. Honorati, Titoli di credito cit.; Tedeschi, Titoli di credito cit.; Buonocore, Titoli di credito in generale, in Istituzioni di diritto privato, XIX ed. a cura Bessone, 2012, p. 911.
[8] In senso favorevole al riconoscimento della legittimazione attiva ai documenti ex articolo 2002 c.c. si veda Fiorentino, Dei titoli di credito. Art. 1992-2027, in Commentario Scialoja-Branca, Bologna-Roma, II ed., 1974, subart. 2002, pp. 132 ss; Valentino, Documenti di legittimazione, titoli impropri e adempimento, Napoli, 1988, pp. 28 ss.; Pérez Millán, Documenti di legittimazione e titoli impropri, Padova, 2005, pp. 42 ss.; G.F. Campobasso, Diritto commerciale. Contratti, titoli di credito, procedure Concorsuali, a cura di M. Campobasso, Torino, v. III, V ed., 2014, pp. 258 ss., 274 s.: Di Amato, I titoli di credito cit., p. 271; Libonati, I titoli di credito nominativi cit., ritiene, inoltre, la suddetta legittimazione un elemento necessario ai fini dell’esercizio del diritto.
[9] Si ritiene che tale prassi fosse il rimedio più espediente per sottrarre dalla portata della pattuizione il caso di morte di un cointestatario. Sulla imperatività delle norme inserite di diritto nel contratto cfr. Casella, Nullità parziale del contratto e inserzione automatica di clausole, Milano, 1974; D’Adda, Nullità parziale e tecniche di adattamento del contratto, Padova, 2008.
[10] Cfr. Dolmetta, La violazione di «obblighi di fattispecie» da parte di intermediari finanziari, in Contr., 2008, pp. 84 s.; Dolmetta, Efficienza del mercato e «favor naturalis» per le imprese bancarie, in Riv. dir. civ., 5, 2018, p. 1241: «l’impresa non è estranea al prodotto immesso sul mercato (…). E, dunque, il produttore: che, come tale, ne assume le responsabilità e ne sopporta i rischi (…). E che, di conseguenza, va trattato come tale nella (confezione e nella) lettura delle norme, come pure nella lettura dei comportamenti»; in ambito di diritto bancario si rimanda a Maggiolo, Predisposizione e “scambi senza accordo” nei contratti bancari, in Banca Borsa Titoli di Credito, I, 2002, pp. 31 ss.; Scoditti, Pubblicità e responsabilità precontrattuale nei rapporti bancari, in Banca Borsa Titoli di Credito, I, 2012, p. 354, il quale afferma che «la riconduzione dell’atto all’attività di impresa ha delle particolari conseguenze: le patologie dell’atto sono imputabili ad irregolarità sul piano dell’attività. Se le regole sulla formazione, conclusione ed esecuzione del rapporto integrano la disciplina dell’attività d’impresa, vuol dire che la violazione di tali regole solo all’impresa bancari, e non anche al cliente».
[11] È ormai da ritenersi acquisita dalla giurisprudenza la natura di impresa delle Poste Italiane; cfr. Cass., Sez. Un., 15 giugno 2007, n. 13979 secondo cui «Occorre ricordare che, anche quando servizi come quello in esame erano offerti da un’azienda dello Stato (…) essi si caratterizzavano per l’essere organizzati e gestiti in forma d’impresa: donde già allora conseguiva “la conformazione dei rapporti con gli urenti come rapporti contrattuali, fondamentalmente soggetti al diritto privato” (così Corte Cost., 17 marzo 1988, n. 303). E, se è pur vero che tali rapporti erano nondimeno destinati a subire anche gli effetti di una normativa speciale, che ancora risentiva della natura soggettiva pubblica dell’amministrazione postale, è altrettanto vero che la loro attrazione nella sera del diritto comune era (ed è oggi a maggior ragione) tanto più accentata proprio per i servizi di bancoposta, comprendenti l’emissione dei buoni postali fruttiferi, che sono sempre stati del tutto privi di lineamenti autoritativi ed ai quali oggettivamente ineriscono connotazioni contrattuali, giacché per struttura e funzione, essi sostanzialmente non si discostano dagli analoghi servizi resi sul mercato dalle imprese bancarie (cfr. in tal senso, esplicitamente, Corte cost., 30 dicembre 1997, n. 463)».
[12] L’applicazione dell’unitario corpo di regole di protezione del cliente dettate in funzione dell’efficienza e della competitività delle imprese produttrici discende – in primo luogo – dalle clausole generali e dai valori costituzionali di cui agli artt. 2 e 47 Cost. (v. Dolmetta, Trasparenza dei prodotti bancari, Regole, Bologna, 2013, passim.). Inoltre, in una prospettiva di identità funzionale fra servizi bancari e di bancoposta «sembra corretto assumere che all’identità di bisogno finanziario soddisfatto, e cioè all’identità del prodotto dal lato della domanda di mercato, debba corrispondere una medesima risposta normativa di tutela» così Malvagna, Buoni fruttiferi postali e trasparenza cit.
[13] Si precisa che non vale a mettere in discussione la ragionevolezza dell’affidamento del cointestatario l’obiezione per cui giurisprudenza e dottrina hanno ritenuto (prevalentemente) incompatibile con il dovere di diligenza ex articolo 1338 c.c. l’informazione sulle cause di invalidità determinate da violazione di norme imperative per il principio ignorantia legis non excusat. A tal proposito cfr. Mattei, Consenso viziato, lesione e abuso della controparte, in Riv. dir. civ., II, 1988, pp. 653 ss.; Criscuoli, Riflessi civilistici della costituzionalizzazione del principio penale di colpevolezza in tema di «error iuris», in Riv. trim. dir. proc. civ., 1998, pp. 719 ss.
Quanto appena evidenziato dirime una ulteriore questione, sorta nel caso di specie e anch’essa motivo di diversi contrasti giurisprudenziali. Parlare di legittimazione attiva, infatti, come si è già avuto modo di sottolineare, suppone l’accettazione della tesi per cui i titoli di credito e i documenti di legittimazione abbiano dei connotati comuni.
In particolare, nella controversia cui è stata chiamata ad esprimersi la Corte, Poste Italiane ha richiamato la disciplina della «comunione di diritti reali» al fine di denunciare la «violazione e falsa applicazione degli artt. 1100, 1102, 1111 c.c.». A detta della ricorrente, quando la proprietà di un bene, e dunque anche di un diritto di credito, spetti a più persone, si applicano le norme sulla comunione ordinaria; pertanto – seguendo tale logica – alla morte di uno dei cointestatari, si applicherebbe la disciplina prevista dall’articolo 1102 c.c. secondo cui «qualora la cosa comune sia alterata o addirittura sottratta definitivamente alla possibilità di godimento collettivo, si rientra nell’ambito dell’appropriazione del bene comune, per legittimare il quale è necessario il consenso di tutti i partecipanti».
Il rimborso della propria quota, seppur legittimo, sarebbe inoltre – a detta delle Poste – subordinato alla procedura di scioglimento della comunione prevista dall’articolo 1111 c.c.
Orbene, nel caso di specie la Corte precisa quanto già osservato nell’ordinanza interlocutoria: in primo luogo, la conformazione dei buoni postali cointestati rinvia alla figura della contitolarità nei diritti di credito, piuttosto che alla comunione di diritti reali; inoltre, si discute esclusivamente della legittimazione attiva alla prestazione, posizione soggettiva che – come ampiamente sottolineato – si distingue dalla contitolarità del relativo diritto.
Facendo pertanto un passo indietro rispetto alla funzione della legittimazione attiva, bisogna interrogarsi sulla natura della “coesistenza” del diritto de quo.
Per accogliere una eterogeneità degli istituti, basti ricordare che la fattispecie della comunione dei diritti[1] è definita nel vigente ordinamento come l’ipotesi in cui «la proprietà o altro diritto reale spetta in comune a più persone»[2]. In conformità alla tradizione romanistica, infatti, si escludono a priori i crediti dall’istituto della comunione[3]. Da ciò consegue che, per il caso di contitolarità del diritto di credito e – per analogia – di contitolarità del buono postale fruttifero, troverà applicazione la disciplina generale in tema di obbligazioni. In particolare, nel caso di specie, è espressamente pattuita la solidarietà attiva, e ciò si evince dalla apposizione della più volte citata clausola di «pari facoltà di rimborso». Pertanto, nonostante l’articolo 1298 c.c. preveda che «nei rapporti interni l’obbligazione in solido si divide tra i diversi debitori o tra i diversi creditori, salvo che sia stata contratta nell’interesse esclusivo di alcuno di essi. Le parti di ciascuno si presumono uguali, se non risulta diversamente», in ordine ai rapporti “esterni” dovrà tenersi conto di quanto disposto dall’articolo 1292 c.c., il quale stabilisce che ciascun creditore ha diritto di chiedere l’adempimento dell’intera obbligazione.
[1] Si fa riferimento alla comunione ordinaria, disciplinata in termini generali nel libro III del codice civile del 1942 (Libro della proprietà, Titolo VII, Capo I, artt. 1100-1116). In realtà, è pacifica in dottrina la incompatibilità delle norme sulla comproprietà con le norme sulla comunione dei crediti. Cfr. tra tutti A. Guarino, Comunione (dir. civ.), in Enciclopedia del diritto, VIII, Milano, 1961, p. 252; Fragali, La comunione, in Trattato Cicu-Messineo, XIII, Milano, 1983, p. 119; Palazzo, Comunione, in D. disc. priv. sez. civ., III, Torino, 1998, p. 168. In merito alla categoria dei diritti (assoluti o relativi) di godimento di cosa altrui già F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, v. II, Milano, 1946; Giorgianni, Contributo alla teoria dei diritti di godimento su cosa altrui, Milano, 1940.
[2] Articolo 1100 c.c.
[3] Nonostante tale indiscutibile dato, «la considerazione esegetica della legge impone di aggiungere che anche taluni diritti di obbligazione, e più precisamente quelli che si usa chiamare “diritti relativi di godimento” sono interessati dall’istituto della comunione» (A. Guarino, Comunione (dir. civ.) cit.).
Facendo leva sulla applicabilità della disciplina in tema di obbligazioni solidali, potrebbe sostenersi che, sulla base del combinato disposto degli articoli 1295 c.c. e 1298 c.c., si debbano in qualche modo tutelare i soggetti che succedono al defunto nella titolarità del rapporto di credito.
Risponde sicuramente ad una ratio di tutela dell’erede o degli eredi del contitolare, l’articolo 187 del d.p.r. n. 256/1989, allorché, i subentrati nel diritto di credito per effetto dell’apertura della successione, rimarrebbero altrimenti pregiudicati dalla riscossione effettuata per l’intero dal cointestatario superstite. Per tale ragione, se è vero che la norma incide in senso negativo sulla legittimazione a riscuotere le somme indicate nel titolo, al contempo, concorre indubbiamente ad assicurare tutela agli eredi. In particolare, si ritiene ammissibile una limitazione – per il cointestatario superstite – della facoltà di disporre del proprio diritto a favore di un interesse meritevole di maggiore tutela: il punto di equilibrio è da rinvenirsi nell’espressa previsione della quietanza di tutti gli aventi diritto per procedere alla riscossione.
Anche tale logica è stata posta alla base della estensione della disciplina prevista in materia di libretti di risparmio ai buoni postali fruttiferi. Invero, è stato dimostrato che dalla letteralità del dato codicistico che definisce il documento di legittimazione consegue l’inapplicabilità ai buoni postali della normativa di rinvio, restando, viceversa, applicabile l’articolo 178 del d.p.r. 156/1973. Ritenere al contrario applicabile la normativa di rinvio, sulla base di una asserita ratio di tutela degli eredi, sovvertirebbe la struttura sistematica su cui si fondano i titoli di legittimazione, nonché quella di identificare l’avente diritto ad una prestazione, senza incorporare alcun diritto cartolare e senza svolgere la funzione di far circolare il credito.
Infatti, nonostante la protezione dell’erede o dei coeredi del cointestatario defunto sia sicuramente meritevole di tutela, la normativa di riferimento non ne fa menzione e non può essere distorta – seppur ragionevolmente – per perseguire fini ad essa estranei. È pacifico, come sottolineato dalla Corte nel caso di specie, che «la riscossione riservata all’intestatario superstite in nulla interferisca con la spettanza del credito, sicché colui che abbia riscosso rimarrà tenuto nei rapporti interni» nei confronti dei soggetti eventualmente pretermessi, venuti a conoscenza aliunde dell’esistenza dei buoni intestati anche ai propri danti causa[1]. E anche in tale prospettiva appare risolutiva l’appartenenza a due piani distinti e separati dei concetti di titolarità e legittimazione alla riscossione del credito: l’obbligazione solidale infatti, sulla base dell’articolo 1295 c.c., si divide fra gli eredi in proporzione delle quote, senza che ciò incida sulla disciplina del rapporto obbligatorio; ossia, la riscossione da parte di uno soltanto dei creditori solidali non influirà sul profilo della spettanza del credito, rimanendo – tuttavia – circoscritte al piano dei rapporti interni le pretese degli eredi del cointestatario defunto.
Tale soluzione si trova in una posizione di continuità con quanto stabilito sia dalla giurisprudenza arbitrale sia dalla giurisprudenza ordinaria in materia di crediti: il singolo coerede è infatti legittimato a far valere il credito del de cuius caduto in successione sia limitatamente alla propria quota sia per l’intero, senza che l’intermediario resistente possa eccepire l’inammissibilità del ricorso deducendo la necessità del litisconsorzio ovvero richiedendo la chiamata in causa degli altri coeredi; parallelamente, il pagamento compiuto dall’intermediario resistente al coerede ricorrente avrà efficacia liberatoria anche nei confronti dei coeredi che non hanno agito, i quali potranno far valere le proprie ragioni solo nei confronti del medesimo ricorrente[2].
Di recente, la Suprema Corte si è espressa ad esempio circa l’ipotesi di conto cointestato con firma disgiunta e decesso di uno dei cointestatari[3] affermando che, in tale circostanza, viene a realizzarsi – ai sensi dell’articolo 1854 c.c.[4] – una solidarietà dal lato attivo dell’obbligazione che sopravvive alla morte di uno dei contitolari; pertanto, il cointestatario ha diritto di chiedere l’adempimento dell’intero saldo del conto che, una volta conseguito, ha per la banca effetto liberatorio verso gli eredi dell’altro contitolare[5]. Ebbene se solo si pensi che in tale ipotesi i creditori sono addirittura contitolari di una giacenza, non è difficile accogliere una equivalente soluzione anche in caso di coesistenza di un “semplice” diritto alla prestazione.
A ben vedere, le ragioni di pretesa degli eredi – in relazione ai buoni postali fruttiferi – risultano modulate e persino recessive rispetto alla urgenza di «rimborsabilità» che caratterizza la struttura stessa del titolo.
È frequente nella prassi il caso di cointestazione tra soggetti che sono legati tra loro da un vincolo di parentela in forza del quale, alla morte di uno, verranno chiamati all’eredità dell’altro. Tale ipotesi – seppur non trattata nel caso di specie – è spesso stata motivo di ulteriori riflessioni circa la riscossione di un buono postale fruttifero cointestato con clausola di «pari facoltà di rimborso».
Si pensi al caso di un buono postale sottoscritto da due genitori con il proprio figlio: tale circostanza, oltre a generare i medesimi interrogativi su cui ci si è sopra soffermati, pone ulteriori dubbi.
Si è sostenuto che l’intestazione congiunta si sostanzi in una donazione indiretta a favore di un figlio; cioè, l’id quod plerumque accidit sarebbe che i buoni vengano acquistati solo con denaro dei genitori e che la cointestazione rientri pertanto in quella fattispecie – regolata dall’articolo 809 c.c. – definita come «liberalità non donativa» ovvero «liberalità indiretta»[6].
In realtà, la giurisprudenza ha chiarito che la cointestazione di un buono postale fruttifero – nella specie operata da un genitore per ripartire fra i figli anticipatamente il proprio patrimonio – può configurare una donazione indiretta ove sia accertato, oltre l’utilizzo di denaro esclusivo del genitore, anche il suo animus donandi[7]. Attraverso il negozio direttamente concluso con il terzo depositario, infatti, la parte che investe il proprio denaro consegue l’effetto ulteriore di attuare un’attribuzione patrimoniale in favore di colui che ne diventa beneficiario per la corrispondente quota, essendo questi – quale contitolare del titolo nominativo a firma disgiunta – legittimato a fare valere i relativi diritti[8].
Inoltre, posto che la richiesta di rimborso dell’intero ammontare del buono da parte dell’erede del cointestatario defunto determina l’esercizio del diritto alla prestazione (riferibile a tutti gli intestatari), ove si ritenesse che tale diritto possa essere esercitato dal superstite esclusivamente in qualità di erede del cointestatario defunto, ciò potrebbe – in astratto – comportare accettazione tacita dell’eredità in conformità al disposto dell’articolo 476 c.c.[9]. Tuttavia, la identificazione del buono postale fruttifero quale documento di legittimazione ex articolo 2002 c.c. e la conseguente inapplicabilità della disciplina in materia di libretto di risparmio, in tale circostanza, avrebbe la ulteriore funzione di “salvaguardare” l’erede del cointestatario defunto: la riscossione del buono e l’esercizio del diritto alla prestazione sarebbero, infatti, l’estrinsecazione della semplice legittimazione attiva che discende dal possesso del titolo e dalla qualità di intestatario e non – invece – un atto dispositivo del patrimonio del defunto. In tal senso, la richiesta di rimborso integrale del buono – che comprende la quota del de cuius – non importerebbe di per sé l’esercizio di un diritto che l’intestatario superstite non avrebbe facoltà di esercitare se non in qualità di erede e, pertanto, non integrerebbe i requisiti di cui all’articolo 476 c.c.
Per vero, il fatto che la riscossione non venga considerata, generaliter, un atto conservativo bensì dispositivo del patrimonio ereditario[10], non deve far perdere di vista la prevalente funzione identificativa dell’avente diritto alla prestazione precipuamente assegnata al buono postale fruttifero. Infatti, se è vero che la riscossione di per sé – e pertanto nella teoria anche quella del titolo qui considerato – costituisce un atto dispositivo del patrimonio e, quindi, un atto di accettazione tacita dell’eredità, altrettanto vero è che – in tale circostanza – subentra quale elemento risolutivo del dubbio esegetico, nuovamente, la natura giuridica del buono postale fruttifero: ossia, la natura di documento ex articolo 2002 c.c. permette di ritenere il rimborso conseguenza unica della legittimazione attiva riconosciuta al possessore del titolo.
Volendo ipotizzare poi il caso di decesso di entrambi i cointestatari, quanto finora detto permetterebbe all’erede di uno – in possesso del titolo munito di clausola di «pari facoltà di rimborso» – di riscuotere l’intero ammontare; i rapporti con gli eventuali eredi dell’altro cointestatario, pretermessi, rimarrebbero anche in tale ipotesi estranei al perimetro di interesse.
[1] Così ABF, Collegio di Coordinamento, 10 ottobre 2019, n. 22747.
[2] V. Cass. Civ., Sez. Un., 15 giugno 2007, n. 13979; Cass. Civ., Sez. I, 3 giugno 2014, n. 12385; ABF, Collegio di Coordinamento, 20 dicembre 2018, n. 27252.
[3] Si segnala in merito E. Minervini, Conto corrente bancario cointestato e morte del cointestatario, in Banca Borsa Titoli di Credito, 6, 2017, p. 746; nonché E. Minervini, Il conto corrente bancario cointestato a firme disgiunte e la morte del cointestatario, in Dir. succ. fam., 2015, pp. 729 ss.; Martino, Contratto di conto corrente bancario, pluralizzazione successoria della parte contrattuale e attuazione del credito, in Contr. e impr., 2014, p. 739.
[4] Sulla non esaustività della disciplina prevista all’articolo 1854 c.c. v. ex multis Salanitro, Le banche e i contratti bancari, in Trattato Vassalli, Torino, 1983, p. 138; Tarzia, Il contratto di conto corrente bancario, Milano, 1990, p. 89; Cavallo, Le operazioni bancarie in conto corrente, in AA.VV., I contratti bancari, Milano, 1999, pp. 293 ss.
[5] Cass. Civ., Sez. II, 19 marzo 2021, n. 7862. Nell’ambito dei rapporti bancari, il mancato frazionamento dei crediti ereditari (diversamente dai debiti) veniva già affermato da Cass. Sez. Un., 29 novembre 2007, n. 24657, con nota di Timpano, in Riv. Not., II, 2008, pp. 944 ss.; con nota di Di Mauro, in Fam. pers. succ., 2008, pp. 305 ss. Resta fermo il fatto che – con particolare riferimento alla fattispecie del deposito bancario a firma disgiunta – la giurisprudenza ordinaria e arbitrale sono d’accordo nel tenere distinto il piano delle relazioni tra la banca e i contitolari da quello interno ai contitolari stessi: cfr. Cadilli, Raccolta bancaria e depositi. La competenza dell’ABF e gli orientamenti, in Banca Borsa Titoli di credito, I, 2013, p. 181. Da ultimo, ABF Collegio di coordinamento, 20 dicembre 2018 n. 2752, per cui «l’esigenza di tutelare l’intermediario resistente da condotte abusive del coerede che promuove il ricorso senza coinvolgere gli altri coeredi trova adeguato soddisfacimento nella circostanza che il pagamento che l’intermediario fa nelle mani del coerede ricorrente ha efficacia liberatoria anche nei confronti degli altri, essendo tale liberazione corollario necessario della legittimazione attiva spettante al singolo coerede»; il Collegio afferma, pertanto, il principio per cui «il singolo coerede è legittimato a far valere davanti all’ABF il credito del de cuius caduto in successione sia limitatamente alla propria quota, sia per l’intero, senza che l’intermediario resistente possa eccepire l’inammissibilità del ricorso deducendo la necessità del litisconsorzio (…)».
[6] L’articolo 809 c.c., rubricato “Norme sulle donazioni applicabili ad altri atti di liberalità”, rivestirebbe la funzione di raggruppare tutti quei negozi che – pur non rientrando nel tipo contrattuale di cui all’art. 769 c.c. – perseguono gli stessi scopi. Sulle liberalità non donative v. Narici, Le liberalità non donative, in Fava (cur.), Successioni e donazioni, Milano, 2017, pp. 2641 ss.; Iaccarino, Le principali ipotesi di donazioni indirette, in Iaccarino (dir.), Successioni e donazioni, II, Torino, 2017, pp. 2548 ss.; Iaccarino, Liberalità indirette, Codice delle successioni e delle donazioni, Torino, 2014, pp. 1368 ss.; Capozzi, Successioni e donazioni, Tomo II, Milano, 2014, p. 1651; Iaccarino, Enunciazione dell’intento liberale quale metodologia operativa, Milano, 2011, p. 45; Moretti, Art. 809, in Gabrielli (dir.), Commentario del codice civile, 2010, pp. 591 ss.; Palazzo, Le donazioni, in Bonilini (dir.), Trattato di diritto delle successioni e donazioni, VI, Milano, 2009, pp. 88 ss.; Iaccarino, Donazioni indirette e “ars stipulatoria”, Milano, 2008; Amadio, La nozione di liberalità non donativa nel codice civile, in Liberalità non donative e attività notarile. I quaderni della fondazione italiana per il Notariato, 2008, pp. 8 ss.; Tassinari, Ipotesi dubbie di liberalità non donative, Liberalità non donative e attività notarile. I quaderni della fondazione italiana per il Notariato, 2008, pp. 23 ss.; Cataudella, Successioni e donazioni. La donazione, in Bessone (dir.), Trattato di diritto privato, V, Torino, 2005, p. 58; Gatt, La liberalità, Torino, 2002; Alcaro, Le donazioni indirette, in Vita not., 2001, pp. 1059 ss.; Palazzo, Le donazioni. Art.769-809, in Comm. Schlensiger, Milano, 1994, p. 191; Checchini, v. Liberalità (atti di), in Enc. Giur. Treccani, XVIII, Roma, 1990; Carnevali, Le donazioni, in Rescigno (dir.), Trattato di diritto privato, VI, Successioni, Tomo II, Torino, 1982, p. 449; Casulli, v. Donazione, in Enc. dir., Milano, 1964, pp. 988 ss.; Torrente, La donazione, in Cicu - Messineo (dir.), Trattato di diritto civile e commerciale, XXII, Milano, 1956, pp. 59 ss.
[7] Sul concetto di animus donandi – nonché la volontà di donare – quale elemento di affinità tra la donazione e gli atti di cui all’art. 809 c.c. che permette di valutare l’intento soggettivo del donante si rimanda a Biondi, Le donazioni, in Vassalli (dir.), Trattato di diritto civile italiano, Tomo IV, Torino, 1961, pp. 96 ss., ripresa da Celli, La donazione di cosa altrui, in Riv. not., 3, 2017, pp. 451 ss.; nonché Cataudella, Successioni e donazioni. La donazione cit., p. 55; Amadio, La nozione di liberalità non donativa nel codice civile cit.; Piccinini, Gli atti di liberalità, in Rescigno (dir.), Trattato breve delle successioni e donazioni, Padova, 2010, p. 360.
[8] V. ex multis Cass. 9 maggio 2013, n. 10991.
[9] Per una ricostruzione delle fattispecie concrete che danno luogo ad accettazione tacita, si rimanda a Bianca, Diritto civile, Le successioni, v. II, 2, Milano, 2015, p. 98; Gorgoni, Dell’accettazione dell’eredità, in Il Codice civile. Commentario, fondato da Schlesinger, diretto da Busnelli, Milano, 2014; Cicero, Accettazione di eredità, in D. disc. priv. sez. civ., Aggiornamento, Torino, 2013, pp. 1 ss; Saporito, L’accettazione dell’eredità, in Tratt. breve succ. e don., diretto da Rescigno, coord. da Ieva, II ed., Padova, 2010, p. 271; Perlingieri, L’acquisto dell’eredità, in Calvo e Giov. Perlingieri (a cura di), Diritto delle successioni, v. I, Napoli, 2008, p. 169; Musolino, L’accettazione tacita e l’accettazione ex lege dell’eredità, in Riv. not., 2004, p. 226; Barbagallo e Basso, Gli atti che importano accettazione della eredità, 1999, p. 1538; già F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, v. III, VIII ed., parte seconda, Milano, 1952, p. 249.
[10] A conferma di tale assunto, costituisce accettazione tacita dell’eredità – ai sensi del citato articolo – la riscossione da parte del chiamato di un assegno rilasciato al de cuius (v. Cass. 5 novembre 1999, n. 12327).
Un ulteriore cenno merita, infine, l’ultimo motivo di doglianza rappresentato da parte di Poste S.p.a. concernente la presunta violazione «dell’art. 48 commi 3 e 4 d.lgs. n. 346/1999 (testo unico in materia di imposta sulle successioni e donazioni)». In materia di imposta sulle successioni e donazioni è previsto un vincolo di indisponibilità della prestazione per cui, a seguito della morte dell’intestatario di somme depositate presso un istituto di credito, è necessario procedersi al blocco di qualsiasi operazione di pagamento sino alla esibizione della dichiarazione di successione ovvero di una dichiarazione scritta dell’interessato che attesti l’insussistenza di tale obbligo[1].
È stato più volte ribadito che i buoni postali fruttiferi siano, ai fini dell’imposta di successione[2], equiparabili ai titoli di Stato e che – come tali – non rientrino nell’attivo ereditario; da ciò consegue l’inesistenza di un «obbligo da parte del contribuente di denunziare i buoni nella dichiarazione di successione»[3].
Le voci critiche – tra cui quella di Poste – si levano in funzione di una predilezione per la declinazione della suddetta equiparazione in chiave avvalorativa della tutela degli eredi del cointestatario, giustificata attraverso un doppio ordine di argomenti: il suddetto parallelismo, da un punto di vista strettamente fiscale, comporterebbe un’estrema difficoltà per gli eredi di venire a conoscenza della medesima esistenza dei buoni, nonché del credito ivi incorporato; ciò, pertanto, giustificherebbe l’estensibilità della disciplina in materia di libretti di risparmio alla peculiare fattispecie di rimborso di un buono postale fruttifero in caso di decesso di un cointestatario.
A ben vedere, la giurisprudenza più recente – e a tale interpretazione ha aderito l’odierna Corte – ha avuto cura di rimarcare che all’inesistenza dell’obbligo del contribuente di denunziare i buoni nella dichiarazione corrisponda l’impossibilità per il debitore di «rifiutare il rimborso del buono (…) non essendo tenuto ad alcun divieto di esecuzione della prestazione, che viceversa non può legittimamente rifiutare».
Vero è – come è stato anche ribadito da chi rifiuta la riconoscibilità di un diritto di rimborsabilità del cointestatario superstite – che l’inesistenza del menzionato obbligo giuridico renda difficile per gli altri eredi di venire a conoscenza del relativo credito. Altrettanto vero è, però, che proprio tale esclusione elimina l’obbligo di inserire i buoni postali nell’asse ereditario, non essendo per di più prescritto da alcuna norma che la disciplina dei medesimi debba essere volta anche a salvaguardare gli interessi dei coeredi[4].
Senza dire, poi, che la clausola di «pari facoltà di rimborso» – contrattualmente apposta dalle parti – perderebbe di significato se si riconoscesse agli eredi del cointestatario defunto una posizione meritevole di maggiore tutela.
[1] Tale vincolo si rifletterebbe – sul piano dei doveri posti a carico dell’intermediario – in uno specifico obbligo di condotta a non svincolare la somma in capo all’intermediario debitore. A tal proposito si evidenzia che, nelle varie pronunce ABF, a sostegno di tale argomento si rimanda spesso alla decisione del Collegio di Coordinamento n. 5305 del 18 ottobre 2013 in cui veniva rilevato che «la disposizione di cui all’articolo 48, comma 4, (…) impone al debitore un vincolo dal quale deriva per l’intermediario un vero e proprio divieto di esecuzione della prestazione (alla stregua di una impossibilità giuridica sopravvenuta) (…) in funzione di interessi pubblici ritenuti preminenti dal legislatore». Si ritiene di dover sottolineare che in tale ipotesi il Collegio veniva chiamato ad occuparsi della questione in oggetto in ordine alla diversa fattispecie della cointestazione di deposito bancario a risparmio, ferma comunque l’estraneità della questione fiscale rispetto al «profilo relativo alla legittimazione dei cointestatari, che resta regolata dalle disposizioni del codice civile».
[2] Articolo 12, lett. i) d.lgs. n. 346/1990.
[3] V. anche Risoluzione del 13 luglio 1999 n. 115 - Min. Finanze - Dip. Entrate Aff. Giuridici Serv. IV.
[4] ABF, Collegio di Coordinamento, 10 ottobre 2019, n. 22747.
In conclusione, la pronuncia della Suprema Corte ha abbracciato le argomentazioni logico-giuridiche[1] promosse dalla giurisprudenza ABF e da sporadiche – ma eloquenti – pronunce di merito. In assenza di precedenti di legittimità, nella ormai piena consapevolezza del notevole rilievo nomofilattico della questione, la Prima Sezione civile si è quindi pronunciata in ordine alla disciplina applicabile in punto di legittimazione alla riscossione – nel caso di morte di un cointestatario – di un buono postale fruttifero[2] cui sia apposta la clausola di «pari facoltà di rimborso».
È evidente che la normativa di riferimento abbia posto particolari criticità in ordine alle modalità di rimborso di un buono postale in una tale peculiare fattispecie. D’altronde, sul piano normativo la problematica veniva risolta dal legislatore – per i rapporti giuridici successivi al 2000[3] – tramite l’abrogazione della disciplina di cui oggi si discute e il riconoscimento della facoltà dei diversi intestatari di compiere operazioni anche separatamente. Certo, la risposta chiarificatoria del legislatore non ha giovato alla giurisprudenza e alla dottrina che si sono più volte dovute adoperare per trovare una soluzione alle fattispecie ancora sottoposte al “vecchio” regime, propendendo ora per una soluzione garantista del diritto dell’intestatario ora per una lettura – apparentemente – fedele al dato testuale, con la conseguenza di ingenerare dubbi interpretativi e spesso di tradire l’intento del legislatore.
La Prima Sezione civile – in un contesto di forti contrasti – ha fornito la chiave di lettura risolutiva della suddetta normativa. In particolare, è stato chiarito come il tenore letterale della clausola che attribuisce a ciascun cointestatario la disgiunta facoltà di ottenere il rimborso dell’intero montante non si scontri con quelle norme – erroneamente – ritenute imperative e, anzi, rafforzi la disciplina prevista in chiave generale e astratta per i buoni postali fruttiferi. Quest’ultima, senza eccezione alcuna – sulla base della diversa natura giuridica del titolo de quo – ne assicura la «rimborsabilità a vista».
[1] Contrariamente al precedente – Cass. 10 giugno 2020, n. 11137 – la Corte ripropone quanto sostenuto dalla Sezione VI nella ordinanza interlocutoria n. 16683/2020
[2] Si precisa che si fa esclusivo riferimento ai buoni postali fruttiferi soggetti ratione temporis alla disciplina del codice postale e delle telecomunicazioni e al relativo regolamento di attuazione (d.p.r. 29 marzo 1973, n. 156 e successivo regolamento attuativo d.p.r. 17 agosto 1989, n. 256).
[3] D.m. 19 dicembre 2000, n. 1355800.