La ricostruzione dello sport in termini di ordinamento giuridico solleva non poche questioni in ordine alla definizione dei relativi rapporti con l’ordinamento statale. L’ordinanza in commento offre al giusprivatista diversi spunti di riflessione sul tema dell’autonomia dello sport, sulla natura giuridica delle Federazioni sportive e dei regolamenti sportivi destinati ad essere apprezzati nei giudizi di responsabilità civile e, non da ultimo, essa intercetta, altresì, la problematica ricostruzione del concetto stesso di sport in diritto
Sport is conceived as a legal system and as a part of the international sports system; however despite its autonomy and specificity, the interaction between sport system and national legal system has significatively increased. The sport activities raise various teoretical and pratical questions concerning the branch of private law in a most diverse range of topic – which in the event of a dispute the judge must evaluate-not only related to the protection of the personal right, but also to the nature of the sports rules, the legal regime of sports associations, and finally the criteria of imputation of liability. According to this study the civil liability plays a key role in defining the relationship between Sport system and State system
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Maria Cimmino - La responsabilità civile e sportiva e i rapporti tra stato e sport: nota a Cass. ord. 18 febbraio 2020, n. 3997
1. Premessa. Il problema. - 2. I fatti di causa e i profili da esaminare. - 3. La natura giuridica dei regolamenti sportivi e quella delle Federazioni sportive alla luce delle recenti pronunce del giudice statale e di quello eurounitario e la rilevanza delle regole sportive nel giudizio di colpevolezza. - 4. Segue La responsabilità del gestore di un impianto sportivo: la responsabilità presunta e la qualità del praticante. Il problema delle linee guida e dei protocolli. - 5. Lo sport in attesa di un intervento organico del legislatore e il futuro ruolo della responsabilità spor-tiva: prospettive de iure condendo alla luce della normativa per l’emergenza covid-19.
La responsabilità sportiva, rectius la responsabilità civile in ambito sportivo, è argomento ormai da tempo ampiamente dibattuto in dottrina[1] quanto diffusamente trattato in giurisprudenza[2] giusta la riconducibilità prima facie di molteplici occasioni di danno occorse durante la pratica dello sport non solo alla regola generale dell’art. 2043 c.c., considerata l’ atipicità del fatto ivi previsto[3], ma anche, e forse soprattutto, alle altre norme del codice civile in tema di illecito extracontrattuale, attinenti alla responsabilità degli istruttori e dei genitori, dei padroni e committenti, a quelle previste per l’esercizio di attività pericolose e per la responsabilità da cose o animali in custodia[4].
Il provvedimento in commento appare degno di nota poiché, ancora una volta, lascia trasparire, per obiter dicta, i limiti di un orientamento, che, pur muovendo dal proposito indubbiamente condivisibile di confermare l’ astratta valutazione di meritevolezza delle attività sportive e dunque di rimarcare l’importanza di tutte le iniziative volte al sostegno ed alla promozione dello sport in ogni sua espressione e manifestazione[5] , tuttavia sembra rinunciare ad una rivisitazione di quel percorso ricostruttivo che ha portato, decenni orsono, a configurare un’area di non punibilità per i praticanti, ovvero di sostanziale esonero da responsabilità civile[6], con conseguenti limitazioni anche della responsabilità di altri soggetti a vario titolo coinvolti nell’evento sportivo[7], sulla base della nota e dibattuta[8] teoria dell’accettazione del rischio sportivo, nonché presupponendo apoditticamente un’equiparazione tra amatorialità ed agonismo.
Alla luce della nota teoria del rischio consentito[9] , infatti, si può dire che ancora oggi vale la regola di elaborazione giurisprudenziale per la quale in presenza di talune circostanze la responsabilità civile può essere esclusa, non sorgendo alcun obbligo risarcitorio né a carico dell’atleta né a carico di altri[10].
Se è vero che, come si osserva in dottrina[11] , l’esclusione dell’illiceità di taluni fatti lesivi che si verifichino durante la pratica sportiva non è più dovuta ad una visione statocentrica, ovvero ad una paternalistica concessione da parte dell’ordinamento statale che ammette una sospensione delle regole dettate dal codice civile, ma piuttosto risulta il frutto del riconoscimento delle regole e dei principi dell’ordinamento sportivo, primo fra tutti quelli di lealtà, la cui violazione sostanzialmente fungerebbe da criterio guida nell’apprezzamento dei casi in cui i comportamenti sportivi cessino di essere considerati tali per essere giudicati quali atti comuni della vita quotidiana secondo le ordinarie regole di responsabilità, se questo è vero, va comunque rilevato che il ricorso generalizzato alla clausola del rischio consentito sembra ancor oggi comportare un’omologazione dei giudizi in tema di responsabilità extracontrattuale in ambito sportivo[12].
Peraltro, sebbene essa promuova in buona sostanza un giudizio del caso concreto, ed una ricostruzione in concreto della stessa colpevolezza, funzionando il rischio stesso oltre che come causa di esclusione dell’antigiuridicità come criterio stesso di valutazione attenuata della regola della diligenza[13], ciò non toglie che proprio questa parametrazione ad hoc della valutazione della responsabilità potrebbe portare in taluni casi a risultati diversi da quelli che invece ci restituisce la congerie delle decisioni giurisprudenziali, tenuto conto della diversità dei profili da valutare di volta in volta, che vanno dalla qualità del partecipante all’attività, al contesto in cui questa stessa si pratica, alla natura dell’evento, al coinvolgimento nel medesimo anche di soggetti preposti titolari di ruoli ad hoc.
La varietà delle discipline sportive e quindi la diversità delle regole che ne informano l’esercizio, anche durante la gara, costituiscono in sede di giudizio una pluralità di parametri da contemplare, anche in considerazione della pratica di tipo amatoriale, non organizzata e né ufficiale di queste stesse[14].
Esistono infatti situazioni molto diverse dall’ ipotesi- che potremmo in questa sede definire paradigmatica- del pregiudizio occorso ad uno sportivo maggiorenne impegnato nello svolgimento di una gara sportiva ufficiale e consapevole del rischio inerente al tipo di sport praticato, implicitamente accettato con l’adesione alla competizione se non addirittura a monte con l’atto di tesseramento, ipotesi che peraltro, non sembra possano semplicisticamente ricondursi all’alternativa (dagli incerti confini) professionismo-amatorialità[15]; si pensi all’ipotesi del danno autocagionatosi[16], ovvero a quella dell’attività praticata da minori[17], o in contesti amicali e non ufficiali.
La casistica[18] sembra mettere sul tappeto l’esigenza di una diversa ponderazione di alcuni delicati profili capaci comunque di incidere nel giudizio di responsabilità, senza temere che la conclusione cui poi si dovesse addivenire in concreto rischi di tradursi in una negazione dell’ astratta meritevolezza di tutela dello sport e delle connesse attività umane; rimane fin troppo pacifico che ormai vasta letteratura specialistica riconosce in più ambiti disciplinari i notevoli benefici che la pratica sportiva apporta sul piano non solo sanitario in senso stretto ma psicologico, sociologico ed educativo e culturale, in una parola sociale ed evolutivo.
Se a questi risvolti risultino sensibili sia dottrina[19] che giurisprudenza, soprattutto quella penale[20] , il tema della responsabilità civile in ambito sportivo si pone come terreno dedicato di riflessione su una questione di più ampio respiro, cioè quella dei rapporti Stato-Sport, peraltro di recente tornata alla ribalta del dibattito dottrinario, in seguito al complicato percorso attivato dall’iter di riforma dell’ordinamento sportivo, avviato con la legge dell’agosto 2019[21].
La decisione de qua pare confermare detta impressione, offrendo in argomento interessanti spunti di riflessione su diversi profili, a cominciare dalla natura giuridica delle federazioni sportive e degli atti da queste poste in essere[22], in particolare i regolamenti sportivi, i quali essendo in via di prima approssimazione destinati a rilevare nei giudizi di responsabilità, sotto il profilo della colpevolezza, rimettono in discussione il ruolo stesso della colpa civile come criterio di imputazione della responsabilità nell’illecito aquiliano[23], essa evoca, anche, come si vedrà innanzi, la più delicata e complessa questione della selezione delle attività umane da ricondurre all’ampio concetto di sport in diritto, che si prospetta rilevante ai fini di una possibile delimitazione dell’operatività dell’art. 2043 c.c. e delle successive norme dettate in relazione alle cosiddette speciali figure di responsabilità, come conferma plasticamente e lapalissianamente l’espressione del giudicante sport amatoriale implicante attività agonistica.
Sotto quest’aspetto, la responsabilità civile conferma di essere, a sua volta, quella provincia[24] nella quale confluiscono esigenze ed istanze di tutela le più diverse, rimesse all’apprezzamento della giurisprudenza di merito e di legittimità chiamata ad applicarne regole e principi, e di cui la dottrina è ancora una volta sollecitata a sperimentare e verificare la centralità nella teoria generale per la capacità di intercettare non solo i più importanti temi del diritto civile, ma, attraverso questi, anche questioni talvolta trascurate o marginali al dibattito dottrinario e che sono un’interessante fucina per riflettere sull’evoluzione del diritto privato e di quello vivente in generale.
[1] Ex multis, L. Di Nella, Il fenomeno sportivo nell’ordinamento giuridico, Napoli, Esi, 2000, 257 ss.; G. De Marzo, Accettazione del rischio e responsabilità sportiva, in Riv. dir. sport., 1992, 1, 8 ss. V. Frattarolo, La responsabilità civile per le attività sportive, Milano, Giuffrè, 1984; G. Alpa, La responsabilità civile in generale e nell’attività sportiva, in Riv. dir. sport., 1984, 471 ss.
[2] M. Bessone, Casi e questioni di diritto privato, XX, La responsabilità nello sport, (G. Capilli, P.M. Putti curr.) con prefazione di G. Alpa, Milano, Giuffrè, 2002.
[3] G. Visintini, Atipicità dei fatti illeciti e danno ingiusto, in G. Conte, A.Fusaro, A.Somma, V. Zeno Zencovich (cur.), Dialoghi con Guido Alpa, un volume offerto in occasione del suo LXXI compleanno, RomaTre Press, Roma, 2018, 589 ss.; P. Trimarchi, La responsabilità civile: atti illeciti, rischio, danno, Milano, Giuffrè, 2017, 25 ss.; A. Flamini, Responsabilità civile e costituzione, in Annali della Facoltà Giuridica dell’Università di Camerino, 2013, 2, 1 ss.; P. Perlingieri, Le funzioni della responsabilità civile, in Rass. dir. civ., 2011, 1, 115 ss.; M. Franzoni, L’illecito, Giuffrè, Milano, 2010; Id., Fatti illeciti in Commentario del codice civile Scialoja –Branca, a cura di F. Galgano, Bologna-Roma, 1993, sub. Artt. 2043-2059; C.M. Bianca, Diritto civile, 5, La responsabilità, Giuffrè, Milano, 1995, 531 ss.; G. Alpa e M. Bessone, Atipicità dell'illecito, Milano, 1993; G. Alpa, Atipicità dell’illecito civile, Napoli, 1977.
[4] In argomento si rimanda a M. Pittalis, Fatti illeciti e responsabilità civile, Milano, 2016, passim; M. Calciano, Diritto dello sport. Il sistema delle responsabilità nell’analisi giurisprudenziale, Milano, Giuffrè, 2010, passim; R. Frau, La responsabilità civile sportiva nella giurisprudenza. Profili generali, in Resp. civ. e prev., 2006,6, 1028.
[5] F. Antolisei, Manuale di diritto penale, parte generale, XVI ed., a cura di L. Conti, Giuffrè, 2003, 311 ss.; F. Albeggiani, voce Sport, in Enc. dir., XLIII, Giuffrè, Milano,1990, 546.
[6] Nella prospettiva giusprivatistica la ricostruzione della responsabilità sportiva è stata anche ricondotta alla operatività di un patto di esonero dalla responsabilità civile, in tal senso F.D. Busnelli-G. Ponzanelli, Rischio sportivo e responsabilità civile, in Resp. civ. e prev., 1984, 285 ss.; sul punto in senso critico G. Liotta-L. Santoro, Lezioni di diritto sportivo, Giuffrè, Milano, 2018, 265, secondo cui invece l’attività sportiva in sé e per sé non è mai di per sé illecita se conforme al principio di lealtà, per cui l’accettazione del rischio” va tradotta nell’accettazione dell’attività sportiva, quale sintesi delle regole e dei principi che disciplinano lo sport, operante nei rapporti con i soggetti che hanno manifestato un’analoga accettazione”. Sulla compatibilità del regime dell’art. 1229 c.c. con l’illecito aquiliano, v. G. Anzani, Osservazioni sui patti di esonero della responsabilità civile, in Jus civile, 2018,3, 362 ss., il quale osserva come sia “controverso se patti analoghi a quelli contemplati dall’art. 1229 c.c. siano ammissibili, ed eventualmente a quali condizioni lo siano, in materia di responsabilità extraconttuale” e che “un patto che esonerasse dalla responsabilità aquiliana, seppure fosse in astratto ammissibile, sarebbe soggetto al principio di relatività degli effetti del contratto ex art. 1372. Secondo l’A. “La ritrosia ad ammettere patti che garantiscano una totale o parziale immunità dalla responsabilità extracontrattuale è primariamente legata alla difficoltà di immaginare un accordo preventivo sulle conseguenze dell’illecito”. Eppure si osserva che “tuttavia, le fattispecie aquiliane non richiedono l’assoluta estraneità dei soggetti coinvolti. Anzi, un “contatto” tra responsabile e danneggiato avviene anteriormente all’illecito in numerosi casi, ad esempio quando il fatto si inserisca in una relazione contrattuale, in trattative precontrattuali o nello svolgimento di una competizione sportiva”. In argomento v. G. Ponzanelli, Le clausole di esonero dalla responsabilità civile, Milano, 1984, passim; L. Cabella Pisu, Clausole di limitazione o esclusione del risarcimento, in Risarcimento del danno contrattuale ed extracontrattuale, a cura di G. Visintini, Milano, 1984, 10; P.G. Monateri, La responsabilità civile, in Tratt. di dir. civ., dir. R. Sacco, Le fonti delle obbligazioni, 3, Utet, Torino, 1998, 674 ss.
[7]L. Di Nella, Il fenomeno sportivo, cit., 259, con riferimento alle responsabilità che potrebbero insorgere nel contesto organizzativo, ad esempio in capo ai soggetti che hanno la funzione di garantire che i rischi collegati a determinate attività sportive siano ridotti al minimo. Si adduce l’esempio del medico sportivo, quella del direttore di gara, dell’istruttore e del responsabile della manutenzione degli impianti; ciascuno di questi soggetti è titolare di precisi doveri comportamentali, dal cui adempimento dipende il contenimento del pericolo di pregiudizi all’incolumità dei praticanti.
[8] C. Granelli, La responsabilidad civil en el ejercicio de actividades deportivas: la experiencia italiana, in Jus civile, 2013, 3, 1 ss.; C. Granelli, La responsabilità civile nell’esercizio di attività sportive, in La Responsabilità civile, 2012, 6, 406 ss., il quale osserva che a fronte della letterale esplosione della responsabilità extarcontrattuale e del correlativo incremento del ricorso allo strumento risarcitorio, le liti instaurate in giudizio aventi ad oggetto pregiudizi occorsi durante la pratica dello sport non hanno ricevuto nella maggioranza dei casi una risposta di accoglimento delle istanze proposte; L. Di Nella, Il fenomeno sportivo, cit., vedi anche A. P. Benedetti, Responsabilità civile sportiva. Un esempio di diritto consuetudinario?, in L. Bruscuglia, R. Romboli, Sport e ordinamenti giuridici, a cura di G. Famiglietti, Pisa, 2009, 189 ss.
[9] L. Di Nella, Il fenomeno sportivo, cit., 349 ss., il quale analizza le diverse posizioni dottrinarie, evidenziando come ora venga proposta “un’equiparazione tra le figure del consenso dell’avente diritto e dell’accettazione del rischio da un lato e le clausole di esonero dalla responsabilità contrattuale dall’altro”; secondo una diversa prospettiva l’accettazione del rischio sarebbe finalizzata ad una deroga all’art. 5 c.c. nell’ambito della pratica di sport violenti esercitati secondo una specifica regolamentazione normativa”, lasciando di fatto irrisolto il problema della sua operatività nell’ambito di sport violento. In generale si ricorre al principio del fair play ovvero al neminem laedere ovvero ancora al criterio della normalità per tentare di delimitarne l’operatività; anche in considerazione dell’ambivalenza del concetto di rischio consentito, ora usato per escludere l’antigiuridicità, ora invece come criterio di valutazione meno rigorosa della diligenza e della prudenza del danneggiante.
[10] Sul punto si rimanda a Aa.Vv., La responsabilità civile e penale negli sport del turismo. L’acqua, L’aria. I laghi, a cura di F. Morandi e U. Izzo, 2013-2015, Giappichelli, Torino.
[11] G. Liotta - L. Santoro, Lezioni, cit., 268 ss.; i quali sottolineano come “su questa linea si muove la giurisprudenza statale che configura la responsabilità nello sport qualora vengano superati i limiti di lealtà sportiva; lealtà sportiva che si identifica in quella condotta che caratterizza la pratica sportiva come autodisciplina di fronte alle provocazioni, come scontro svolto all’insegna della sportività senza inframettenze e turbamenti, nonché come dovere si sano e cavalleresco agonismo, cui nessun autentico sportivo, che non voglia tradire i propri ideali e le nobili finalità dello sport, può sottrarsi”. Osserva inoltre la dottrina che Lo sport infatti nasce nel momento in cui la reiterazione della pratica di una determinata attività fisica si trasforma in una realtà socio-culturale grazie all’assunzione di proprie regole e principi, nel rispetto dei quali risulta organizzata, accessibile e riconoscibile: in tal modo lo sport diviene istituzione. Jean-Marie Brohm definisce infatti lo sport come un sistema istituzionalizzato di pratiche competitive prevalentemente fisiche, delimitate, codificate. Così, A.G. Parisi, Sport, minori e responsabilità genitoriale, in Comparazione diritto civile, 2016, 1, ss.
[12] C. Granelli, La responsabilità, cit., 406 ss., il quale analizza il fondamento e i limiti dell’operatività del rischio consentito, in riferimento ad una triplice categoria di attività sportive, quelle per le quali esiste una disciplina legislativa ad hoc, come gli sport invernali, quelle le cui regole sono fissate dall’ordinamento sportivo e quelle prive di regolamentazione ufficiale, per le quali ultime dovrebbero valere le comuni regole prudenziali. Rileva inoltre l’A. che la generalizzata tendenza della giurisprudenza ad ammettere l’operatività del rischio consentito si estende anche a discolpa dell’atleta quando eventi lesivi coinvolgano terzi spettatori, cfr. Trib. Mil. 12 novembre 1992, in Resp. civ. prev. 1993, 616. Trib. Roma 29 gennaio 2003, in Arch. Circ., 2004, 186; Trib. Milano, cit. 616.
[13] L. Di Nella, Il fenomeno sportivo, cit., 356
[14] V.M. Costa, Ricognizione del sistema della responsabilità sportiva e prospettive di sviluppo, in Rivista della Facoltà di Scienze Motorie dell’Università di Palermo, 2011, 4, 57 ss., secondo il quale “l’attività sportiva è, infatti, variegata ed eterogenea; con la conseguenza che mutano gli interessi, di volta in volta, perseguiti dalle parti, il rischio che esse si assumono, nonché le regole che esse recepiscono nel partecipare ad ogni singola attività sportiva o meglio, nell’esprimere la propria personalità attraverso lo sport”.
[15] Il termine professionismo sportivo sul piano normativo trova ancora un suo puntuale, quanto discusso riferimento nella legge 23 marzo 1981 n. 91 che all’art 2 definisce i professionisti sportivi, in base a criteri formali soggettivi, ovvero l’appartenenza ad una delle categorie elencate, ed in parte criteri formali oggettivi, cioè la pratica di una disciplina sportiva professionistica, qualificata in tali termini dagli enti sportivi, rimandando, quindi, all’ordinamento sportivo, il compito di individuare i criteri oggettivi e quindi completare la stessa definizione normativa. Sul punto, G. Liotta- L. Santoro, Lezioni, cit.,, 148, i quali osservano come per ovviare ad una tutela minimale riservata dalla legge ai dilettanti, “la mancata qualificazione da parte delle Federazioni dell’attività sportiva come professionistica non dovrebbe comportare l’assoluta irrilevanza per l’ordinamento giuridico statale della prestazione lavorativa svolta nell’’ambito di tale attività sportiva, ove siano rinvenibili i caratteri tipici del rapporto di lavoro autonomo ovvero subordinato. In tali ipotesi, dunque, quantunque non trovi applicazione la legge n. 91/81 dovrebbe comunque applicarsi la disciplina ordinaria in materia di lavoro autonomo ovvero subordinato.
[16] Vedi C. Daini, Danno da autolesione dell’allievo (minore), di una scuola sci, nota a Cass. 17 febbraio 2014 n. 3612, in Danno e resp., 2014, 10, 900 ss., ove si ricostruisce il caso in cui “durante una lezione di sci di gruppo un allievo minorenne cade riportando la frattura della tibia sinistra. I genitori del minore agiscono in giudizio, nei confronti della scuola di sci e dell’insegnante, chiedendo il risarcimento dei danni subiti dal proprio figlio. La pretesa risarcitoria degli attori, formulata adducendo l’inadempimento dei doveri di vigilanza da parte dei convenuti, viene respinta sia in primo grado che in appello per mancanza di prova dell’inadempimento, il cui onere, secondo i Giudicanti, doveva porsi interamente in capo al danneggiato. I giudici di legittimità, con la sentenza in esame, censurano il ragionamento della Corte di Appello, ritenendo erroneo l’inquadramento della fattispecie nell’ambito della responsabilità aquiliana, sostenendo, al contrario, che il caso di specie integrerebbe un’ipotesi di responsabilità contrattuale, con il conseguente differente riparto degli oneri probatori. Nonostante la suddetta censura, la Corte, corretta la motivazione, conferma la sentenza d’appello ritenendo provato, a mezzo di presunzioni, che l’evento auto-lesivo sia da imputarsi al fortuito, così da escludere le responsabilità ipotizzate in capo ai convenuti”.
[17] In argomento, Cass. 30 marzo 2011 n. 7247, in Fam. dir., 2012, 2, 143 ss., con nota della scrivente, Audoterminazione del minore e responsabilità civile, con riferimento ad una controversia giunta all’attenzione della Suprema Corte originata da un evento lesivo occorso tra minori durante un torneo amatoriale tra associazioni sportive. I genitori del minore, che a causa di uno scontro durante un’azione di gioco aveva riportato un trauma facciale con avulsione traumatica dell’incisivo sinistro e frattura del secondo incisivo, ottengono la condanna dell’associazione sportiva al risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 2047 c.c., solo in primo grado, poiché già in appello i giudici escludono l’applicabilità alla fattispecie concreta della norma richiamata, non ritenendo incompatibile il fallo con il tipo di gioco praticato. La Suprema Corte sostanzialmente conferma l’orientamento, sebbene i ricorrenti avessero lamentato l’error in iudicando consistente nell’aver il giudicante applicato sic et simpliciter alla fattispecie in esame le regole proprie del giudizio di responsabilità dello sport professionistico
[18] Vedi pure M. Calciano, Diritto, cit., passim.
[19]A. Lepore, Responsabilità civile e tutela della persona atleta, Esi, Napoli, 2009, 169 ss., il quale rileva la necessità di rintracciare i confini di liceità delle condotte tenute dagli atleti in riferimento al caso concreto oggetto di analisi specifica, distinguendo a seconda degli sport e imponendo sotto il profilo della colpa, che quest’ultima sai valutata contestualmente in base ai soggetti coinvolti potenzialmente diversi per qualità personali e fisiche”. Ed ancora l’A. osserva che diverse possono essere le discipline applicabili per regolare la responsabilità sportiva, criticando peraltro un certo atteggiamento della dottrina a fronte della giurisprudenza la quale “ ha inteso riferirsi generalmente al paradigma della responsabilità extracontrattuale, sviluppato tuttavia attraverso diversi modelli, là dove la dottrina, dimostrandosi meno attenta alla prassi soprattutto negli anni addietro, ha preferito riferirsi a due soli schemi: all’art. 2050 c.c., sulle attività pericolose, e , soltanto residualmente all’art. 2043 c.c.”.
[20] Vedi Cass. Pen. 8 marzo 2016 n. 9559, secondo cui “La constatazione che l'esercizio, specie con i caratteri agonistici delle gare di maggior rilievo, di una disciplina sportiva, che implichi l'uso necessario (es. pugilato, lotta, ecc.) o anche solo eventuale (calcio, rugby, pallacanestro, pallanuoto ecc.) della forza fisica, costituisce un'attività rischiosa consentita dall'ordinamento, per plurime ragioni, a condizione che il rischio, appunto, sia controbilanciato da adeguate misure prevenzionali, sia sotto forma di regole precauzionali, che dall'imposizione di obblighi di cure e trattamento a carico delle società sportive operanti, costituisce un sapere largamente condiviso. Sottolinea la natura di attività a rischio consentito la sentenza di questa Corte, Sez. 4, n. 20595 del 28/4/2010, dep. 1/6/2010, Rv. 247342, la quale alle pagg. 4 e ss., chiarisce come il rischio qui preso in considerazione sia relativo e non assoluto, in quanto posto a fronte di un vantaggio sociale del pari relativo e non assoluto e come il bilanciamento degli interessi contrapposti imponga uno scrupoloso rispetto delle regole cautelari. Con la conseguenza che il rischio accettato non ricomprende le azioni volontarie poste al di fuori dell'azione di gioco (cfr., pure Sez. 5, n. 42114 del 4/7/2011, dep. 16/11/2011, Rv. 251703) o anche solo non finalizzate alla predetta azione e neppure quelle tali da apparire sproporzionate ex ante, in quanto ne sia soggettivamente percepibile la lesività delle stesse”. Vedi pure Cass. pen., sez. IV, 12 novembre 1999 n. 2765, in Foro it., 2000, II, 63 ss.; non è giustificato dall'esercizio dell'attività sportiva il comportamento dell'atleta che, nel corso di un incontro di esibizione - allenamento, non conformandosi a criteri generali di diligenza e prudenza, provochi un infortunio all’avversario”.
[21] P. Sandulli, Note a prima lettura del disegno di legge n. 1603/2019 in tema di riordino dell'ordinamento sportivo in Riv. dir. ec. sport, 2019, 1, 47 ss.
[22] L. Di Nella, Le federazioni sportive nazionali dopo la riforma, Riv. dir. sport, 2000, 1-2, 53 ss.; G. Napolitano, La riforma del C.O.N.I. e delle Federazioni sportive, Giorn. dir. amm. 2000, 2, 113 ss.
[23] Da ultimo sul ruolo della colpa in relazione alle diverse funzioni, preventiva e compensativa, v. P. Trimarchi, La responsabilità civile: atti illeciti, rischio, danno, Milano, Giuffrè, 2017, 117 ss.e V. Roppo, La responsabilità civile di Pietro Trimarchi, in Jus civile, 2017, 6, 696 ss., il quale rileva la tendenza del nostro sistema una espansione della responsabilità per colpa e di una parallela contrazione della responsabilità oggettiva, citando come esempi sistematici la nuova disciplina dei rimedi risarcitori e inibitori per la violazione dei diritti di proprietà industriale e di autore (introdotta in base alla direttiva europea c.d. enforcement n. 48/2004) e la direttiva europea n. 2004/35 in tema di danno ambientale per la quale gli Stati membri sono solo facoltizzati a introdurre il criterio della colpa, preferito dal legislatore italiano dal nuovo codice in materia. In argomento vedi G. Alpa, La responsabilità, cit., pure A. Malomo, Responsabilità civile e funzione punitiva, Esi, Napoli, 2017 e M. Franzoni, L’illecito, op.cit., 175, il quale ne evidenzia il profilo di un concetto indeterminato ed elastico. Per un approccio casisitico sulla colpa civile v. L. Mancini, La colpa nella responsabilità civile, Giuffrè, Milano, 2015, passim.
[24] G. Alpa, La responsabilità, cit., 1 ss., il quale osserva come “nella formula responsabilità civile si racchiudono infatti la teoria dell’atto illecito, la teoria del danno, gli aspetti assicurativi, ma anche le connessioni con il diritto di famiglia della proprietà, del contratto, del credito, per non parlare dei temi centrali della teoria generale del diritto, dall’uso delle clausole generali alle tecniche interpretative, alla creatività della giurisprudenza. A scorrere i repertori di giurisprudenza si può notare che una percentuale assai considerevole delle sentenze civili fa ricorso alle regole della responsabilità civile per dare soluzione a casi tradizionali, a casi nuovi, a casi “difficili”. Sulle funzioni della responsabilità civile, v. P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale, Esi, Napoli, 2020, 324 ss.; S. Rodotà, Modelli e funzioni della responsabilità civile, in Critica del diritto privato. Editoriali e saggi della Rivista critica di diritto privato, Jovene, Napoli, 2017, a cura di G. Alpa e M.R. Marella, 595 ss., il quale osserva che di fronte alla vitalità dell’istituto della responsabilità civile è contraddittorio parlare di crisi, così come la previsione di un ridimensionamento dovuto alle troppe molteplici funzioni è frutto di una valutazione critica dell’opera della giurisprudenza; secondo l’autore si tratta solo di una sottovalutazione di un processo inevitabile che peraltro non si risolve in una manipolazione di una tecnica giuridica quanto ad un incontro ed una sintonia tra un istituto che sta uscendo dalla sua vecchia pelle per rinnovarsi di fronte alle nuove domande di tutela.
La controversia trae origine da un incidente avvenuto durante una partita di calcetto “giocata a titolo amatoriale”, o almeno così qualificata dal giudicante, nel corso della quale a seguito di una scivolata uno dei partecipanti batteva il capo lungo un muretto di recinzione, riportando gravissimi danni alla propria persona.
Instaurata la lite nei confronti dell’associazione dilettantistica, nonchè della polisportiva cui questa era affiliata, che avevano a loro volta chiamato in giudizio l’ente locale e la compagnia assicurativa, e soccombendo in prime cure e in appello, il danneggiato ricorre per Cassazione a mezzo della madre, suo legale rappresentante in qualità di suo amministratore di sostegno.
In buona sostanza, l’istante sostiene- tra i motivi di ricorso -che il campo di calcetto non fosse a norma, assumendo, in particolare, che la presenza di un muretto ad una distanza reputata inferiore a quella prescritta nei regolamenti sportivi, e in quanto tale irregolare e contrastante con i regolamenti disciplinanti le norme di sicurezza per la costruzione e la gestione degli impianti sportivi, non avrebbe garantito la sicurezza necessaria e che la Corte aveva erroneamente ritenuto il contrario, peraltro omettendo di valutare l'assenza di schermature idonee ad evitare una situazione di pericolo per i giocatori.
Secondo la Corte di merito, viceversa, posto che il muretto contro il quale il ricorrente si era andato ad imbattere, si trovava ad una distanza superiore a quella minima prevista, con la conseguenza che, esclusa una condizione obiettiva di pericolosità, non poteva predicarsi la responsabilità per danni ex art. 2051 c.c.; osservava, inoltre, il giudice in appello che le dimensioni erano conformi a quelle previste per i campi di calcetto visto che le disposizioni invocate dall’attore disciplinavano al contrario la più ampia struttura dei campi di calcio, e non le gare come quella relativa al caso concreto che prevedevano il coinvolgimento di squadre con composizione più che dimezzata chiamate a disputare il gioco su terreni per i quali è prevista una misura ridotta, e comunque differente da quella relativa ad eventi con un più alto numero di partecipanti.
Il giudice di legittimità, nel confermare le gravate decisioni nei limiti della non sindacabilità in Cassazione delle questioni di mero fatto, in relazione all’allegazione dei regolamenti sportivi, si esprime condividendo le statuizioni del giudice in appello e conferma la correttezza della decisione nel merito per cui “nell'ipotesi di sport amatoriale, pur implicante attività agonistica, la consapevolezza del rischio di chi vi partecipa volontariamente riduce la soglia di responsabilità dei custodi del bene sul quale la competizione viene svolta, i quali sono tenuti ad attenersi alle normali cautele idonee a contenere il rischio nei limiti confacenti alla specifica attività sportiva, ove esso, per le sue intrinseche caratteristiche, non sia più elevato che nella media”.
Emerge dai motivi di ricorso che in appello si era discusso se i regolamenti sportivi dovessero considerarsi alla stregua delle fonti di diritto e quindi in quanto tali reputarsi soggetti al principio iura novit curia, oppure se, contrariamente, essi ricadessero nel novero dei fatti da allegare dalle parti.
Sul punto la Corte di Cassazione sembra condividere la posizione assunta dal giudice di secondo grado secondo cui, essendo atti volti a disciplinare le attività sportive di associazioni private, ispirati alla Regolamentazione del CONI, essi (cioè i regolamenti) dovevano essere considerati meri atti amministrativi, da assoggettare al regime di cui all'art. 345 cpc.; in argomento, peraltro, la Corte richiama il proprio orientamento secondo cui l'obbligo del giudice di ricercare le fonti del diritto applicabili alla fattispecie dedotta in giudizio non opera con riferimento alle norme giuridiche secondarie ed agli atti amministrativi che devono essere depositati tempestivamente dalla parte che intende avvalersene" (cfr.Cass.16089/2007; Cass. 2737/2015).
In ordine a questo primo aspetto, non è chiaro perché pur considerati atti di soggetti privati essi vengano qualificati dalla Corte come atti amministrativi. E’ anzi doveroso rilevare che il tema non può dirsi pacificamente esauritosi nel dibattito dottrinario e giurisprudenziale, nell’ambito del quale esso è stato affrontato in particolare in relazione al profilo della validità dei contratti sportivi conclusi in violazione delle previsioni del cd. ordinamento sportivo[1] e della possibilità di una cosiddetta doppia qualificazione di un atto realizzato in àmbito sportivo, una dall’ordinamento sportivo e un’altra dall’ordinamento statale; discutendosi, in tal caso, se le norme sportive, in quanto frutto di una potestà normativa delegata dal legislatore statale alle singole federazioni sportive, fossero suscettibili di assimilazione alle norme dell’ordinamento statale[2].
Secondo parte degli studiosi[3] la questione rimanderebbe innanzitutto all’interpretazione dell’art. 23 del cd. Decreto Pescante, il quale nell’assegnare a detti enti compiti a valenza pubblicistica non contempla fra questi la potestà normativa e regolamentare, essendo le Federazioni enti con personalità giuridica di diritto privato; di conseguenza i regolamenti sportivi sarebbero atti di autonomia privata in base al combinato disposto degli artt. 18 Cost., 1321 c.c. e 28 e ss. c.c. [4].
Analizzando il dato di diritto positivo, si è osservato[5], altresì, che sebbene la legge 17 ottobre 2003, n. 280 abbia espressamente riservato all’ordinamento sportivo l’emanazione di norme statutarie organizzative interne, di norme regolamentari tecniche al fine di garantire il corretto svolgimento dell’attività sportiva, di norme sanzionatorie di carattere disciplinare, tale previsione non sarebbe idonea a privare queste norme della loro natura negoziale; ciò in quanto esse altro non sarebbero che il frutto di contratti normativi conclusi nell’ambito del procedimento di costituzione degli enti o del loro funzionamento, che è come noto a formazione associativa, pertanto, il meccanismo dell’ adesione consentirebbe a quanti vi si affilino ovvero a quanti vi si tesserino tramite gli enti di primo livello di accettarne le regole di funzionamento interno.
Confermerebbe detta ricostruzione anche l’orientamento della Corte Costituzionale che con la sentenza 11 febbraio 2011 n. 49[6], ha sostanzialmente “inquadrato il fenomeno nel sistema costituzionale dell’autonomia associativa e della tutela della persona nelle formazioni sociali”[7], dal momento che l’associazionismo è strumento e luogo di esercizio di diritti di libertà per la piena espressione e maturazione della persona, riconoscendo altresì che la vita delle formazioni sociali si contraddistingue per il tratto qualificante dell’autonomia, in particolare di quella negoziale da cui trarrebbero fonte le regole sportive, in quanto tali soggette ad accettazione da parte degli aderenti[8].
Pertanto, così ricostruita la questione, dovrebbe rimanere pienamente condivisibile la tesi secondo cui “le regole dettate dalle comunità sportive per disciplinare le loro attività - siano esse regole di organizzazione, di comportamento, o tecniche - hanno, nell’ordinamento dello Stato, potenzialmente la stessa rilevanza che hanno le regole di ogni altra comunità che rientri nel catalogo delle formazioni sociali riconosciute e garantite dallo Stato”[9].
Al contrario, nel caso in commento, la Suprema Corte, sembra derivare la natura e la qualificazione dei regolamenti sportivi destinati a disciplinare le attività sportive di associazioni private in termini di atti amministrativi dalla natura della regolamentazione del CONI, evidentemente pubblicistica, richiamando così indirettamente un risalente orientamento formatosi nel 1978, quando le Federazioni erano ancora organi del CONI stesso, con la pronuncia Cass. 11 febbraio 1978 1978 n. 625[10], la quale ebbe a precisare che “la potestà riconosciuta all’ordinamento sportivo, avente come soggetto di vertice il CONI è di natura amministrativa”; che “gli atti normativi che promanano dal CONI, sono riconducibili alla categoria dei regolamenti di organizzazione e/o indipendenti”; contemporaneamente tuttavia statuendo nel senso che “la potestà normativa avente ad oggetto la regolamentazione dei rapporti tra privati è per sua natura esclusa da quelle spettanti al CONI, in quanto necessariamente oggetto di atti di normazione primaria e per sua natura riservata allo Stato”, si tratta di un orientamento che, ha escluso, è bene precisarlo la potestà legislativa regionale[11] nella materia dell’ordinamento civile.
Discende da quanto sopra che il problema della natura dei regolamenti sportivi sembrerebbe apparentemente prospettare ancora oggi una rigida alternativa, (non priva di ricadute ai fini dell’apprezzamento della responsabilità civile in ambito sportivo, di cui si dirà in prosieguo) e cioè delle due l’una: o si tratta di atti di natura privatistica posti in essere da enti di diritto privato, oppure- in quanto ad oggetto materia attinente all’interesse pubblico- questi atti dovrebbero essere a rilevanza pubblica, salvo qualificarli come sembra aver fatto la Corte d’Appello, con orientamento condiviso dal giudice di legittimità, atti amministrativi e non regolamenti, cioè quindi non aventi carattere di fonti del diritto, poiché non dotati di natura normativa, generale ed astratta.
In realtà il tema, ben lungi dal potersi liquidare nei termini di una semplice duplice prospettiva di analisi, intercetta, e non pare possa dirsi altrimenti, come già anticipato nelle premesse, il più ampio problema dei rapporti tra ordinamento statale e ordinamento sportivo, da ultimo oggetto di rivisitazione ad opera di una parte considerevole della dottrina[12].
Se è vero che in passato era stato per tradizione affrontato in una prospettiva pluralistico-ordinamentale[13], muovendo cioè dalla considerazione dello sport alla stregua di un ordinamento giuridico sia pure settoriale e minore rispetto all’ordinamento statale e pertanto subordinato ai principi fondanti di questo, in primis i valori della Carta Costituzionale, oggi invece lo stesso risulta oggetto anche di un nuovo approccio ricostruttivo da una parte degli studiosi[14], che tendono a metterne in evidenza la trasversalità e l’intreccio dei profili legati alla relativa materia con tante altri settori oggetto di intervento legislativo, come la salute, il lavoro, la concorrenza, l’impresa, la responsabilità civile, la giustizia; per questo si guarda allo sport non solo ed a volte non tanto come ordinamento ma soprattutto come un sistema di norme ed una materia la quale, alla pari di altre trasversali, come il turismo, attiene ad una pluralità di competenze, legislative o normative, esecutive ed amministrative e non solo.
Sotto quest’aspetto, la materia sport sembra da ultimo sempre più rimessa all’autoregolazione privata degli enti sportivi di primo e di secondo livello, il cui ruolo di corpi intermedi nel perseguimento di interessi generali si fonda sul principio di sussidiarietà orizzontale di cui al novellato art. 118 Cost[15]., ed è stato legittimato dal Codice del Terzo Settore, tant’è che lo svolgimento di attività sportiva dilettantistica figura tra le materie di interesse generale[16].
Del resto, il fenomeno sportivo si è sviluppato nel corso del tempo soprattutto grazie all’esplicazione della libertà costituzionale di associazione nelle sue diverse forme e declinazioni, che ha prodotto il proliferare di soggetti privati, dotati per volontà dell’ordinamento di autonomia che si è manifestata e si manifesta innanzitutto come autoregolamentazione delle attività interne; inoltre, è il richiamato principio di sussidiarietà orizzontale dell’art. 118 Cost., che autorizza a considerare l’organizzazione delle singole discipline sportive, dei praticanti e delle competizioni ad esse relative come un’espressione propria della società civile, cui lo Stato, non rinunciando allo schema della personalità giuridica di diritto privato, conferisce autonomia ed autodeterminazione, sicchè detto principio informa il sistema delle fonti del diritto nel senso che le norme private, le regole sportive, possono operare con la stessa forza della legge sugli ulteriori atti di autonomia regolati dalla fonte privata[17]. Sotto quest’aspetto, il principio di sussidiarietà applicato in un’accezione non debole, comporta un ridimensionamento dell’intervento legislativo pubblico non solo statale ma anche regionale, laddove si accetti che esistono materie e settori o se si preferisce ambiti in cui sono le formazioni sociali e gli enti associativi a fungere da «soggetti dell’organizzazione delle libertà sociali» o di soggetti della «cittadinanza societaria».
Di conseguenza, il riparto di compiti e funzioni nella materia sport, finirebbe per avere come soggetti protagonisti non solo le istituzioni del governo centrale e quelle del governo e periferico, ma anche gli enti in questo caso sportivi rispetto ai quali, in alcuni settori, come ad esempio quello della regolazione tecnica, il legislatore si limita a porre i limiti dell’agire privato per assicurare che lo stesso si confaccia con l’interesse generale.
Anche in questa prospettiva, quindi sembrerebbe confortata la tesi della natura privatistica dei regolamenti sportivi.
Non a caso la richiamata giurisprudenza della Corte Costituzionale, che sembra non abbia accantonata la prospettiva ordinamentale, esprime piuttosto uno sforzo di conciliazione con il pluralismo delle fonti e dei gruppi, nel momento in cui afferma che gli enti sportivi sono tra le formazioni sociali deputate alla formazione e manifestazione della personalità[18] e considera lo sport come “uno dei più significativi ordinamenti autonomi”[19].
Ciononostante, è la permanenza in capo alle Federazioni sportive -scorporate dal Coni e divenute enti di diritto privato- di cosiddetti compiti a valenza pubblicistica[20], previsti anche nello statuto dell’ente esponenziale dello Sport, che continua a mettere in dubbio la configurabilità di una potestà regolamentare ed amministrativa in capo a soggetti non aventi formalmente natura giuridica di enti pubblici, evocando, a sua volta, i termini di un ancora più complesso dibattito, quello cioè relativo all’individuazione del regime giuridico degli enti pubblici e dei relativi indici di riconoscimento[21], da ultimo ancorati a criteri e parametri più sostanziali che non formali[22] sulla base della rilevanza in termini di interesse generale delle attività svolte.
In una recente sentenza della Corte di Giustizia dell’11 settembre 2019 (cause riunite C-612/17 e C-613/17)[23] il giudice eurounitario è stato chiamato a pronunciarsi in forza di un giudizio di rinvio sul tema del controllo, inteso come controllo di una pubblica amministrazione su un ente senza scopo di lucro, per stabilire se alla luce di alcuni parametri normativi interni e sovranazionali le Federazioni sportive nazionali, in particolare prendendo in considerazione il caso della FIG e della FISE, dovessero essere annoverate nel catalogo delle pubbliche amministrazioni, in quanto assoggettate al controllo del CONI, ente pubblico.
Esula da questa analisi il profilo contabile, ma la decisione sembra non poco rilevante, nella misura in cui stimola la riflessione sugli indici dinamici della personalità giuridica di diritto privato, indici i quali, peraltro, trascenderebbero il mero dato qualificatorio astratto, (financo?) compreso anche quello che si evince dalla volontà manifestata dai contraenti in sede di stipula di atto costitutivo.
In particolare, alla luce dei rilievi del giudice del rinvio e nel relativo contesto di riferimento, tali indici dipenderebbero dalle seguenti circostanze : a) la classificazione di un ente privato nel settore delle istituzioni senza scopo di lucro in base al criterio della destinazione alle famiglie del servizio erogato ovvero della la produzione di beni o servizi non destinabili alla vendita; b) la configurabilità di un controllo pubblico sull’ente senza scopo di lucro in base a diversi criteri tra cui la capacità di determinarne la politica generale o il programma e/o un potere di vigilanza in senso più lato ed elastico c), infine, la gestione delle quote associative e la possibilità di considerarle come contributi pubblici e non come autofinanziamento.
Eppure neanche la decisione della Corte pare essere stata dirimente[24] in merito alla possibilità di ritenere soddisfatta la sussistenza del requisito del controllo sulla base dei poteri di indirizzo di natura sportiva (c.d. soft law) e dei poteri di riconoscimento ai fini dell’acquisto della personalità giuridica e dell’operatività nel settore dello sport, facenti capo al CONI ente pubblico; in definitiva, non pare sia stato chiarito se detti poteri debbano ascriversi sempre ad una capacità di dirigere, vincolare e condizionare l’attività gestionale dell’ente piuttosto che non a più generali, e meno penetranti, poteri di vigilanza esterna; così come non si è giunti ad una valutazione della rilevanza della natura giuridica dell’autofinanziamento dell’ente Federazione[25] e dunque dei risvolti pubblicistici da ascrivere all’apprezzamento dei suddetti indici rivelatori di un controllo pubblico sull’attività di enti privati.
A dimostrazione della complessità della questione non ci si può esimere in questa sede dal richiamare altresì l’ordinanza 12 ottobre 2019 n. 1006[26] con cui il Consiglio di Stato ha rimesso “alla Corte di giustizia UE le questioni se sulla base delle caratteristiche della normativa interna relativa all’ordinamento sportivo la Federazione calcistica italiana (e, in generale, qualsiasi Federazione sportiva nazionale) sia qualificabile come organismo di diritto pubblico, in quanto istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale”, e “se inoltre tale requisito possa configurarsi nei confronti di una Federazione sportiva quale la Federazione italiana giuoco calcio, dotata di capacità di autofinanziamento, rispetto ad un’attività non a valenza pubblicistica”.
Se è vero quindi che “il rilievo pubblicistico di alcune attività non è in grado di trasformare la natura giuridica delle Federazioni, pur avendo ricadute applicative sul tipo di atti compiuti, sulle situazioni soggettive in rilievo e sul giudice competente[27], permanendo margini di fluidità tra le attività puramente privatistiche delle Federazioni e quelle a rilevanza pubblicistiche[28], al momento pare che quella che sembrava una questione definita dal decreto Melandri con il riconoscimento espresso della natura di enti privati appaia ben lungi dal trovare una soluzione univoca[29], anche alla luce della crisi della soggettività giuridica[30] e del connesso fenomeno della procedimentalizzazione del diritto privato e della privatizzazione del diritto pubblico, per il quale non è infrequente che soggetti privati siano chiamati ad esercitare, oltre ai normali poteri di autonomia privata, anche potestà amministrative.
Considerato che nella prospettiva “ordinamentale” il giudice statale non dovrebbe poter prescindere dal richiamo alle regole sportive e tenendo altresì conto del dibattito dottrinario sui concetti di colpa e diligenza nell’illecito civile[31], giova provare a riflettere sul come e sul se rilevino queste regole, specie ai fini della possibile ricostruzione di un modello di condotta idoneo ad escludere l’illecito ed in vista di una modulazione della soglia della responsabilità civile che modifichi l’ambito di estensione del neminem laedere[32] nell’attività sportiva.
Secondo l’indirizzo prevalente[33] le regole sportive in quanto dettate non al solo scopo di disciplinare il come dell’attività ma anche al fine di prevenire pericoli e pregiudizi, sarebbero destinate a rilevare quale criterio di apprezzamento della colpa o comunque a riempire “di contenuto l’art. 2043 c.c. proprio sotto il profilo dell’antigiuridicità”; sicchè nel caso si propenda per riconoscerne la natura pubblica- ove si ritenesse di ricostruire la colpa sul modello dell’art 43 c.p.[34] che rimanda all’inosservanza di leggi, regolamenti ordini e discipline- esse sarebbero destinate ad avere rilevanza diretta ex se, sia contribuendo a definire l’antigiuridicità della condotta che eventualmente la colpa stessa, e cioè come una colpa specifica[35]; va da sé che una posizione del genere comporterebbe, nuovamente, a sua volta un’ingiustificata parificazione di trattamento tra soggetti che necessariamente versano in condizioni diverse e sono dotati di cognizioni tecniche diverse (come gli amatori occasionali e gli sportivi esperti)[36].
Prescindendo dai controversi rapporti tra colpa civile e colpa penale[37] e da quelli tra colpa specifica e colpa generica anche in diritto civile[38], alle stesse conclusioni non potrebbe giungersi ove esse si ritengano di atti di natura privata, nei limiti di quanto si dirà.
In questo diverso caso, infatti, derivando da una fonte di tipo negoziale, in primo luogo esse dovrebbero risultare vincolanti solo nei confronti degli aderenti, sicchè, in ipotesi di gara amatoriale svoltasi occasionalmente in contesti non ufficiali, risulterebbe revocabile in dubbio che se ne possa comunque riconoscere la valenza nei confronti dei partecipanti sic et simpliciter, difettando una forma di adesione/affiliazione ad un ente sportivo di riferimento; con riferimento a detti eventi, infatti, le attività umane fonte di danni ed occasioni di pericolo dovrebbero essere apprezzate come comuni atti della vita quotidiana nell’ambito di tutti quelli sussumibili nella regola dell’art. 2043 c.c.[39].; in secondo luogo, le regole sportive non potendo rilevare sotto il profilo di una violazione diretta, (come nel caso se ne affermi la natura pubblicistica), in quanto non imposte da una pubblica autorità, andrebbero apprezzate (nei confronti degli aderenti) per mezzo del filtro della diligenza, ma come colpa generica.
E’ peraltro infatti allo stato revocabile in dubbio la possibilità di una ricostruzione delle regole di gioco e di gara come vere e proprie leges artis, anche a fronte anche dell’orientamento che tende ad estendere l’operatività dell’art. 1176 c.c. dalla responsabilità per inadempimento a quella da illecito extracontrattuale[40] ; qualora ciò si ritenesse possibile con evidenti risvolti in ordine alla configurazione di un’impostazione tendenzialmente più oggettiva piuttosto che non soggettiva del relativo modello di imputazione, ciò dovrebbe poi far supporre una valutazione delle regole sportive come regole di diligenza speciale e non comune (art. 1176 c.c. comma 2), considerando l’attività sportiva nel novero di quelle svolte a titolo “professionale” ed in cui l'attività esercitata richieda, si ripete, l’applicazione di particolari cognizioni tecniche (ad oggetto la messa in atto del gesto atletico, e che si apprendono per effetto della pratica continua e dell’allenamento sotto la supervisione di istruttori specializzati), con la conseguente configurazione di una colpa analoga a quella professionale[41], ovvero di una diligenza qualificata.
Fatte salve le riserve circa la corretta utilizzazione del termine professionismo e dei suoi derivati in relazione alle attività e prestazioni sportive rispetto al significato che vi si attribuisce nell’ordinamento giuridico[42], e relativamente all’inquadramento di alcune delle attività sportive nella relativa categoria concettuale operato da parte del legislatore nel 1981- allo stato una valutazione della diligenza come diligenza specifica dell’attività esercitata ed in questo senso qualificata potrebbe ammettersi, in relazione non solo al professionismo sportivo come individuabile secondo l’art. 2 della citata legge, ma al più prendendo in considerazione piuttosto l’ampia categoria delle attività agonistiche, cioè quelle finalizzate alle competizioni, svolte da soggetti tesserati e con una certa durevolezza e costanza nel tempo, sulla base di cognizioni tecniche acquisite grazie all’appartenenza istituzionale all’ordinamento sportivo.
Al contrario, lo stesso non sembra possa dirsi per le attività amatoriali e/ o occasionali, praticate non necessariamente in contesti ufficiali, né tantomeno alla presenza di istruttori e/o supervisori, casi questi in cui o si richiede la prova «di aver adottato tutte le misure idonee a evitare il danno» o «di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno», come quelle degli artt. 2047 c.c. e segg. e oppure, applicandosi l’art. 2043 c.c., come nell’ipotesi di pregiudizio arrecato da un gareggiante all’altro, (entrambi maggiorenni e capaci di intendere e volere) necessita una diligenza commisurata non all’osservanza di regole specifiche ma un grado medio di avvedutezza secondo il modello citato di bonus pater familias, eventualmente temperato da una valutazione in concreto avuto riguardo alle circostanze del caso.
Dall’esame della casistica giurisprudenziale si evince, in realtà, che in assenza di una diversa previsione legislativa (non solo sulla qualificazione delle attività sportive, ma anche di riordino del concetto di professionismo[43]) nel giudizio di responsabilità le regole sportive di gioco, anziché come regole tecniche della specifica attività, sembrano esser valutate alla stregua di regole cautelari di comune prudenza; con la conseguenza che il parametro della conformità della condotta a queste stesse finisce per costituire solo uno dei criteri di apprezzamento della cautela comportamentale richiesta avvalorando una valutazione della culpa in concreto.
A conferma di ciò è utile richiamare due osservazioni; a) in primo luogo non sempre la violazione della regola tecnica è fonte di responsabilità civile, sebbene lo sia in sede sportiva; ritiene, infatti, la dottrina che ciò che conta non sia la formale osservanza della regola ma il rispetto sostanziale della stessa e cioè l’apprezzamento dell’avvenuta realizzazione delle finalità di tutela, alla luce del principio di lealtà sportiva, cui viene assegnato il ruolo di criterio cruciale nella distinzione dei comportamenti irregolari e illeciti anche civilmente poiché in contrasto con lo spirito sportivo e quelli invece che sebbene fallosi non siano sostanzialmente scorretti e perciò sleali[44].
In secondo luogo, si può osservare che la generalizzata applicazione del rischio consentito per escludere l’antigiuridicità e il ricorso all’orientamento elaborato nel 2002[45] ed ormai consolidatosi secondo il quale la responsabilità è esclusa se non vi è dolo, se vi è nesso tra azione di gioco ed evento lesivo e se manca un grado di irruenza incompatibile con il tipo di sport, sicchè la carica agonistica, e soprattutto l’ansia del risultato (che per l’appunto dovrebbe essere tipica di un’attività sportiva svolta da soggetti esperti e con carattere di continuità), anziché abbassare la soglia della punibilità la elevano, giustificando azioni lesive ed in ultima analisi anche pregiudizievoli, talvolta a prescindere dal contesto amicale, scolastico o ufficiale tout court[46].
[1] M. Pignalosa, Ordinamento sportivo e fonti private, in Juscivile, 2017, 6, 646 ss.; A. Lepore, Fenomeno sportivo ed autonomia privata nell’ordinamento italiano ed europeo, cit., 155 ss.; G. Santorelli, Sussidiarietà e regole di validità dei contratti sportivi, in Aa.Vv., Il principio di sussidiarietà nel diritto privato, Torino, 2014, 235 ss.; G. Facci, Il contratto immeritevole di tutela nell’ordinamento sportivo, in Contr. impr., 2013, 3, 645 ss.; Id., Ordinamento sportivo e regole di invalidità del contratto, in Riv. trim. dir. proc. Civ., 2013, 237 ss.
[2] Cass., 23 febbraio 2004, n. 3545, in Giur. it., 2004, p. 1887 ss., con nota di F. Iozzo, Cessione di calciatori e rapporto fra ordinamento statuale e normativa sportiva; Cass., 28 luglio 1981, n. 4845, in Giustizia civile 1982, 2411; si considera il contratto di cessione lecito per l’ordinamento statale, in quanto atipico, ma in pari tempo invalido per immeritevolezza, in quanto «concretamente inidoneo a realizzare un interesse meritevole di tutela, non potendo attuare, per la violazione delle suddette regole [quelle dell’ordinamento sportivo, n.d.r.], alcuna funzione nel campo dell’attività sportiva, riconosciuta dall’ordinamento dello Stato».
[3] M. Pignalosa, Ordinamento, cit., 654, secondo cui la potestà regolamentare delle Federazioni sportive deve essere ricondotta pertanto al più generale potere di autonomia privata che l’ordinamento riconosce ad ogni formazione sociale2; l’A. richiama in proposito Corte Cost., 14 dicembre 2010, n. 49, in Giust. civ., 2011, 5, 1145.
[4] Vedi L. Di Nella, Il sistema sportivo tra unitarietà dell’ordinamento e orientamenti giurisprudenziali, in Actualidad juridica Iberoamericana, 2015, 2 bis, 53 ss., il quale con riferimento alla pronuncia n. 49 del 2011 della Corte Costituzionale chiamata a giudicare della legittimità costituzionale del decreto legge 220/2003 in tema di riparto di competenze tra Stato e Sport, osserva che In linea di principio, essa segna sicuramente un considerevole passo avanti nella configurazione dei rapporti tra organizzazione sportiva e ordinamento giuridico. È significativo in tal senso l’aver inquadrato il fenomeno nel sistema costituzionale dell’autonomia associativa e della tutela della persona nelle formazioni sociali. L’autonomia negoziale è quindi la fonte delle regole sportive, anch’esse di natura negoziale quindi soggette ad accettazione. Vedi pure G. Napolitano, Sintesi della discussione Tavola Rotonda Lo sport in Italia: valori, regole, dimensione economica, Roma 7 maggio 2008, consultabile in ww.aspeninstitute.it, il quale osserva che” Rispetto agli assetti originari, il modello organizzativo del Coni, a lungo stabile e immutabile, ha conosciuto alcuni cambiamenti e adeguamenti tra il 1999 e il 2004. Allo stesso tempo, le federazioni sportive sono state trasformate in associazioni di diritto privato”.
[5] M. Pignalosa, Ordinamento, cit., 646 ss. In giurisprudenza si è espressa per la natura privatistica la Suprema Corte; vedi Cass. 3 agosto 2007 n. 17067, Pres. De Luca, che ha ritenuto:” Le disposizioni contenute nelle cosiddette "carte federali" delle federazioni sportive nazionali - aventi natura di associazione con personalità giuridica di diritto privato - rappresentano atti di autonomia organizzativa contrattuale e vanno interpretate secondo i canoni ermeneutici di cui agli artt. 1362 e segg. cod. civ.”. Sembra confortare tale indirizzo, Cass. 13 febbraio 2004 n. 2836, Pres. Sciarelli, Secondo cui La potestà regolamentare conferita all'ordinamento sportivo dall’art. 5 della legge 16 febbraio 1942 n. 426 si riferisce all'ambito amministrativo interno e non a quello dei rapporti intersoggettivi, cfr. Cass. n. 75 del 1994.
[6] P. Sandulli, In tema di risarcimento del danno derivante da un’ingiusta sanzione sportiva, tra vecchie questioni e nuovi profili di costituzionalità, in Riv. dir. ec. sport., 2017, 3, 103 ss.
[7] Sul punto vedi R. Landi, Associazioni sportive, servizi alla persona e sfide economiche, in Rass. dir. ec. sport, 2018, 2, 242 ss.
[8] Giova rilevare che la citata ricostruzione non esime le regole sportive dal controllo di meritevolezza, riconoscendo come la loro natura meramente tecnica non è di per sé fatto sufficiente a creare una zona franca di irrilevanza che le sottragga al vaglio del giudice, quante volte per esempio ponendosi in contrasto con i fondamentali principi costituzionali la loro applicazione si dovesse rivelare occasione di violazione di situazioni giuridiche soggettive protette dall’ordinamento statale ovvero dal diritto dell’Unione, come insegnano le pronunce che hanno fatto scuola sul punto dal caso Meca-Medina ai casi Walrawe e Donà.
[9] R. Caprioli, Il significato dell’autonomia nel sistema delle fonti nel diritto sportivo nazionale, in Nuova giur. civ. comm., 2007, II, 285 ss.; F. Zatti, Ordinamento sportivo ed ordinamento giuridico statutale tra autonomia e riserva di giurisdizione. Dal diritto dei privati all’ordinamento settoriale, verso una lex sportiva?, in Rass. dir. ec. sport, 2007, 3, 319 ss., il quale in una porspettiva critica osserva che questo progressivo aumento di autonomia istituzionale può addirittura fa ipotizzare che si versi in presenza non di uno ma di una pluralità di ordinamenti sportivi.
[10] In M. Bessone, Casi, cit., 59 ss.
[11] Sul punto, C. De Menech, Il diritto privato regionale, in Jus civile, 2018, 2, 151 ss.; A. M. Benedetti, Il diritto privato delle Regioni, Bologna, 2008; S. Giova, Ordinamento civile e diritto privato regionale. Un difficile equilibrio nell’unitarietà del sistema, Esi, Napoli, 2008; E. Lamarque, Regioni e ordinamento civile, Cedam, Padova, 2005; G. Alpa, L’ordinamento civile nella recente giurisprudenza costituzionale, in Contr., 2004, 175; G. Alpa, Il limite del diritto privato alla potestà normativa regionale, in Contr. impr., 2002, 606; V. Roppo, Diritto privato regionale?, in Riv. dir. priv., 2003, 11 ss.; N. Irti, Sul problema delle fonti in diritto privato, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2001, 702; S. Calzolaio, La materia "ordinamento civile": una ulteriore competenza trasversale dello Stato, in Forum Quad. cost., in www.forumcosttuzionale.it.
[12] Nella prospettiva del diritto costituzionale, si rimanda a A. Gragnani, I «punti di contatto» fra autonomia dell’ordinamento sportivo e diritti costituzionali come «rapporti multipolari di diritto costituzionale» (Sindacato «complessivo» di proporzionalità e «regola generale di preferenza» in funzione di monito preventivo al legislatore nella sentenza n. 160/2019 della Corte costituzionale), in Consultaonline, 2020, 1, 84 ss.; la quale osserva che per “l’ordinamento statale, quello sportivo rappresenta «uno dei più significativi ordinamenti autonomi». Invero, è una formazione sociale particolarmente diffusa quale luogo di sviluppo della persona umana, che persegue, fra gli altri, interessi di assoluta rilevanza costituzionale, come la tutela della salute, e dà luogo all’esercizio di attività professionali e imprenditoriali alle quali sono collegati ingenti interessi economici”. L’A. richiama la teoria dello «Stato costituzionale aperto», “elaborata dalla letteratura tedesca per indicare l’apertura dell’ordinamento costituzionale a nuovi sistemi di cooperazione e integrazione ultra-statale , che “implica la conseguente necessaria limitazione della competenza regolativa dello Stato per assicurare il rispetto dell’autonomia dell’ordinamento sportivo ma, al tempo stesso, anche il riconoscimento di inevitabili «punti di collegamento» fra i due ordinamenti, che il legislatore deve disciplinare a garanzia dei diritti costituzionali inviolabili”. Si veda anche a A. Bonomi, L’ordinamento sportivo e la costituzione, in Quad. costit., 2005, 2, 363 ss.
[13] S. Romano, L'ordinamento giuridico, Pisa, Spoerri, 1918; M.S. Giannini, Prime osservazioni sugli ordinamenti giuridici, in Riv. Dir. Sport. 1949, 1 ss.; Id., Ancora sugli ordinamenti giuridici sportivi, in Riv. trim. dir. pubbl. 1996, 674 ss.; A. Quaranta, Rapporti tra ordinamento sportivo e ordinamento giuridico, in Riv. dir. sport. 1979, 29 ss.; più di recente M. Sanino – F. Verde, Il diritto sportivo, Cedam, 2015,9 ss.
[14] L. Di Nella, Il sistema sportivo, cit., 53 ss.; vedi pure M. Salvatore, Indipendenza dell’ordinamento sportivo rispetto a quello ordinario, in giustiziacivile.com., 2019, 1, 8 ss., nonché G. Facci, La responsabilità civile delle Federazioni sportive e la "vexata quaestio" dei rapporti tra ordinamento statale ed ordinamento sportivo, in Corr. giur., 2018, 2, 204 ss.; F. Zatti, Ordinamento sportivo, cit., 3, il quale si chiede il perchè dell’analisi della dimensione giuridica del fenomeno sportivo nei termini della ricostruzione dei rapporti tar ordinamenti, quello statale e quello sportivo, ed indica le possibili ragioni nella natura sociale del fenomeno, nella sua dimensione internazionale e nella sua dinamicità evolutiva, aspetti questi che peraltro metterebbero in crisi anche la ricostruzione unitaria del significato stesso di ordinamento sportivo. Per un inquadramento della tematica in una prospettiva costituzionalmente orientata si rimanda a R. Borrello, La posizione dell'organizzazione sportiva nell'attuale quadro costituzionale: alcune riflessioni su un profilo fortemente problematico, in Giur. cost., 2019, 5, 2865 ss. E P. D’Onofrio, Il rapporto tra ordinamento statale ed ordinamento sportivo nell'attuale contesto costituzionale, in Federalismi, 2019, 12, 16 ss. Sotto il profilo della rilevanza dei rapporti tra i due ordinamenti anche in relazione al riparto di competenze Stato Regioni, vedi M. Mancini, Il riparto di competenze relative allo sport dopo la riforma del titolo V della Costituzione, tra continuità e innovazione in Le Regioni, 2010, 5, 1049 ss., il quale plasticamente osserva che “detti rapporti si possono atteggiare secondo diversi moduli e cioè : “L’ordinamento «generale» può infatti «rifiutare» e «contrastare» l’ordinamento sportivo, può manifestare nei suoi confronti assoluta «indifferenza» e «disinteresse» oppure può «assorbirne» una parte prendendone in considerazione alcuni ambiti con le più varie finalità. In realtà, molto spesso è accaduto e accade che questi tre diversi atteggiamenti convivano l’uno accanto all’altro, cosicchè l’ordinamento «generale» manifesta «indifferenza» o «rifiuto» nei confronti di una parte dei rapporti, dei soggetti e delle attività che connotano l’ordinamento sportivo e «interesse» nei confronti di un’altra. Resta inteso che il connotato della sovranità pertiene esclusivamente all’ordinamento «generale» mentre all’ordinamento sportivo, non diversamente da qualsiasi altro ordinamento «particolare», può essere riconosciuta esclusivamente una sfera più o meno ampia di autonomia, la cui de- limitazione è appunto rimessa all’ordinamento più comprensivo, che detiene pertanto il potere di ultima istanza in ordine alla demarcazione dei rispettivi confini”.
[16] A. Gambino, La riforma del Terzo settore e l’attività sportiva, in Rass. dir. ec. sport, 2018, 2, 235 ss., il quale osserva che “La riforma del Terzo settore complessivamente intesa e lo statuto regolatorio specifico dell’attività sportiva hanno certamente un punto di contatto: la regolamentazione statale di quelle attività (sportive), che, pur definite all’interno di un ordinamento peculiare avente una propria autonomia, riflette, comunque, prerogative dei consociati funzionalmente collegate allo sviluppo integrale del proprio essere, orientato da contenuti e precetti costituzionali. Ciò accade quando, oltre ad essere legato all’aspetto competitivo – dove entra in gioco, a quel punto, anche il ruolo delle federazioni – l’ordinamento sportivo realizza una missione che va ben oltre il profilo agonistico, poi- ché mira alla realizzazione di quegli interessi, di quei bisogni della persona, intesa nella sua individualità e non, che vanno dallo «stare con gli altri» alla pratica armonica dello sport, strumento di integrazione e benessere”. V. pure M. Olivi, Principio di sussidiarietà orizzontale e regole di diritto privato, in Ric. giur., 2013, 2, 479 ss., il quale analizza il tema nella prospettiva del capitale umano ed osserva che “se il diritto delle associazioni private ha fornito gli strumenti giuridici idonei a dar forma ad ogni tipo di libera aggregazione, come a tutti i movimenti politici e sindacali che hanno rappresentato (e rappresentano) i nodi fondamentali delle moderne reti sociali di cooperazione; parallelamente il diritto delle imprese private ha sviluppato attraverso la disciplina delle società mutualistiche una tecnica di organizzazione dell’impresa a carattere non spiccatamente capitalistico, e perciò idonea a promuovere – nel senso più volte chiarito – forme di cooperazione fiduciaria non egoistica, espressive di una logica sì di natura economica, ma pur sempre alternativa a quella propria dell’impresa societaria capitalistica. Fra tali due estremi, tuttavia, simbolicamente rappresentati dalla collocazione della relativa disciplina, rispettivamente nel libro I (il libro delle persone e della famiglia), e nel libro V del codice civile (il libro del lavoro e dell’impresa), l’esperienza degli ordinamenti moderni ha visto crescere la variegata fenomenologia del “sociale”, ovvero le cosiddette “istituzioni della solidarietà”; così definite per indicare un’area di relazioni sociali non mediate dal denaro e dal mercato, e nemmeno dal potere amministrativo, bensì da quell’altra risorsa di integrazione sociale – per l’appunto la solidarietà di cui all’art. 2 Cost. – che consente di soddisfare bisogni e interessi legati allo svolgimento della personalità”.
[17] A. Lepore, Fenomeno sportivo, cit., 133 ss.; il quale osserva come lo sport sia anche espressione di “autonomia. È possibilità di auto-regolamentarsi in settori specifici. La legislazione statale, infatti, può concedere a dei comuni cittadini la facoltà di creare spazi di libertà dove imporre proprie regole giuridiche o etiche come ammesso, secondo Costituzione, dagli artt. 117 e 118, in applicazione del principio di sussidiarietà. V. pure P. Perlingieri, La sussidiarietà nel diritto privato, in Rass. dir. civ., 2016, 2, 687, secondo cui “non v’è ragione di costruire una netta distinzione tra un’autonomia negoziale che realizza interessi individuali e un’autonomia negoziale che realizza interessi generali”.
[18] T. Pensabene Lionti, Il diritto allo sport: tra esigenza socialmente rilevante e interesse fondamentale della persona, in Dir. amm., 2012, 415 ss.
[19] Corte Costituzionale 25 giugno 2019 n. 160 in Federalismi, 2019, 9,2 ss, con nota di E. Lubrano, La giurisdizione meramente risarcitoria del giudice amministrativo in materia disciplinare sportiva:la Corte costituzionale (n. 160/2019)“spreca”un’occasione per la riaffermazione dell’effettività e della pienezza della tutela e della giurisdizione e Corte Costituzionale 11 febbraio 2011 n. 49 in Giust. civ., 2012, 11, 2519 ss., con nota di G. Santagada, Le sanzioni disciplinari sportive: se non sono annullabili non sono «atti amministrativi», ma «fatti storici» non arbitrabili e la domanda risarcitoria si propone davanti al giudice ordinario e in Foro it.., 2011, I,2611, I,2602, con nota di A. Palmiieri, Tutela giurisdizionale dimidiata per le sanzioni disciplinari in ambito sportivo, in Resp. civ. prev., 2011, n. 6, 417 ss. con nota di G. Facci, Il risarcimento del danno come punto di bilanciamento tra il controverso principio dell’autonomia dell’ordinamento sportivo e l’art. 24 Cost.
[20] Sul punto da ultimo Cass. Ord. 18 aprile 2019 n.10820, Pres. Amnedola, Rel.Di Florio, secondo cui “a seguito dell'entrata in vigore della legge 23 marzo 1981 n. 91, che ha parzialmente modificato i rapporti tra e Federazioni affiliate, riconoscendo a queste ultime "autonomia tecnica organizzativa e di gestione, sotto la vigilanza del C.O.N.I." (art.14), le Federazioni sportive presentano un duplice aspetto, l'uno di natura pubblicistica, riconducibile all'esercizio in senso lato di funzioni pubbliche proprie del C.O.N.I., e l'altro di natura privatistica, riconnesso alle proprie specifiche attività che, in quanto autonome, sono separate dalle prime e fanno capo unicamente alle Federazioni medesime”. La vicenda riguarda una controversia sorta a seguito di un incidente verificatosi in occasione di una gara ciclistica su strada, rispetto alla quale la Suprema Corte ha ritenuto che “il C.O.N.I. non ha alcuna competenza nella organizzazione delle singole gare sportive, poiché tale attività rientra nella autonomia tecnico-organizzativa delle singole Federazioni. (Cass. 'SU 7640/1995)”. Sul riordino del CONI, v. G. Napolitano, Il riordino del Coni, in Aa.Vv., Profili evolutivi del diritto dello sport, a cura di P. Perlingieri, Esi, Napoli, 2001, 9 ss. In giurisprudenza sui casi di esercizio di poteri a valenza pubblicistica vedi ancora Cass. 25 febbraio 2000 n. 46, (in Foro it. 2000, I, 1478, con nota di G. Vidiri, Le federazioni sportive nazionali tra vecchia e nuova disciplina la quale ha statuito nel senso che “ le federazioni sportive, nello stabilire e nel valutare le condizioni ed i requisiti per l'ammissione a competizioni sportive e campionati esercitano un potere discrezionale e la posizione del soggetto che chieda l'ammissione ha natura di interesse legittimo; con l'ammissione tale potere si consuma e la successiva attività della federazione è vincolata dalle stesse condizioni da essa poste nella fase ammissiva. Un orientamento diverso è maturato con riguardo alle ipotesi di omologazione delle piste da sci; infatti la Suprema Corte ha ritenuto che “l'omologazione di una pista da sci compiuta dalla Federazione italiana sport invernali (F.I.S.I.) per accertarne, attraverso un proprio tecnico, la conformità alla regolamentazione tecnica dalla stessa dettata per le gare di sci, è direttamente imputabile al C.O.N.I., al quale sono istituzionalmente demandate le funzioni di regolamentazione, controllo e coordinamento, ai sensi dell'art. 3 della legge 14 febbraio 1942, n. 426, delle varie attività sportive che si svolgono in Italia, e che esso esercita attraverso le Federazioni Nazionali, non rientrando, invece, nella autonomia tecnica ed organizzativa di ciascuna Federazione in riferimento ad una singola gara. Ne consegue che il rilascio del relativo certificato di omologazione nazionale da parte della F.I.S.I., in contrasto con le norme regolamentari di sicurezza e in assenza di prescrizioni atte ad eliminare situazioni di pericolo, rende responsabile direttamente il C.O.N.I. per i danni riportati da un concorrente a gara tenutasi sulla pista omologata, a seguito di incidente verificatosi a causa delle anzidette carenze della disciplina di tutela; Cass. 18 agosto 2011 n. 17343, Pres. Preden; conforme la decisione per la quale “l'omologazione di una pista da sci, collaudata per cinque anni, compiuta dalla F.I.S.I. per accertarne, attraverso un proprio tecnico, la conformità alla regolamentazione tecnica dalla stessa dettata per le gare di sci, è direttamente imputabile al C.O.N.I., al quale sono istituzionalmente demandate le funzioni di regolamentazione, controllo e coordinamento, ai sensi dell'arte. 3 della legge 14 febbraio 1942 n. 426, delle varie attivatì sportive che si svolgono in Italia, e che esso esercita attraverso le Federazioni Nazionali, in qualità' di suoi organi - in tali attivatì aventi pertanto natura pubblicistica - e non rientra invece nella autonomia tecnica - organizzativa - di natura privata - di ciascuna Federazione di una singola gara. Di conseguenza il rilascio del relativo certificato di omologazione nazionale da parte di questa ultima rende responsabile direttamente il C.O.N.I. per i danni riportati da un concorrente a seguito di incidente verificatosi per mancato rispetto, invece, di prescrizioni tecniche, aventi natura di norme interne (quali la mancanza di zone di caduta, all' esterno delle curve, prive di ostacoli, e idonea protezione di quelli contro i quali i concorrenti possono esser proiettati)”. Cass. 23 giugno 1999 n. 6400, in Corr. giur., 2000,1, 74 ss. Con nota di L. Caiazzo, Responsabilità del C.O.N.I. per danni riportati da uno sciatore su una pista omologata e in Riv. dir. sport., 1999, 2, 521 ss., con nota di L. Lambo, Ancora molte incertezze sui rapporti tra Coni e Federazioni sportive.
[21] S. Cimini, L’attualità della nozione di ente pubblico, in Federalismi, 2015, 24, 1 ss.; il quale osserva Com’è noto, da tempo una parte della dottrina si interroga sulla utilità di una nozione di ente pubblico. Il fenomeno affonda le sue radici nell’annosa difficoltà ad individuare una nozione condivisa di tale figura soggettiva. Difficoltà che deriva, fondamentalmente, come s’è visto, dalla mancanza di elementi comuni negli enti qualificati come pubblici: è questo verosimilmente il motivo principale che ha indotto il legislatore ad astenersi dal fornire una definizione di ente pubblico. A sua volta, la mancanza di una definizione individuata dalla legge o dalla Costituzione rappresenta un’ulteriore ragione che rende particolarmente difficile arrivare ad una nozione condivisa di ente pubblico. L’A. richiama la arcinota pronuncia Corte Cost., 7 aprile 1988 n. 396, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della L. 17 luglio 1890 n. 6972, ( in Foro Amm., 1988, 3141), rilevando come la giurisprudenza costituzionale richiamandosi ai principi costituzionali (in particolare all’art. 38), ha imposto al legislatore alcuni limiti alla pubblicizzazione di soggetti privati, riconoscendo nell’origine da iniziative di gruppi sociali o di singoli individui (la cui attività sia finanziata con mezzi privati e sia svolta prevalentemente da prestazioni volontarie degli stessi soci) la condizione che rende necessario il riconoscimento dell’autonomia privata, trattandosi di un presupposto che non legittima un regime pubblicistico”.
[22] S. Cimini, L’attualità della nozione di ente pubblico, op.cit.,6, il quale osserva che “A queste tradizionali difficoltà, connesse alla estrema atipicità degli enti pubblici, se ne aggiunge un’altra, che si è accentuata di recente, cioè la sempre meno netta distinzione tra pubblico e privato. La situazione è complicata, infatti, da due fenomeni, tra loro connessi, che portano ad una svalutazione della rilevanza “soggettiva” della nozione di pubblico, a favore di una sua rilevanza “oggettiva”. Il riferimento è alla tendenza per cui, da un lato, i soggetti pubblici utilizzano sempre di più gli strumenti di diritto privato, e, dall’altro, i soggetti privati diventano sempre più pubblici. Si pensi, in primo luogo, alla diffusione di forme organizzative di diritto privato attraverso: la trasformazione di enti pubblici economici in società per azioni; la trasformazione di enti pubblici non economici in associazioni e fondazioni; la privatizzazione del pubblico impiego; e così via. Anche l’attività amministrativa ha subìto trasformazioni che l’hanno avvicinata al diritto privato, attraverso: la riforma in senso aziendalistico dei controlli; l’affermazione dei principi di efficacia, economicità ed efficienza e la tendenza (invero non propriamente affermatasi) ad utilizzare moduli di diritto privato”.
[23] In argomento, P. Sandulli, La natura giuridica delle Federazioni sportive italiane e il rapporto con il Coni alla luce della sentenza della Corte di Giustizia dell’11 settembre 2019 cause riunite C-612/17 e C-613/17 FIG e FISE contro Istat e Ministero delle finanze, in Riv. dir. ec. sport, 2019, 3, 131 ss.
[24] P. Briguori, Le Federazioni Sportive sono Pubbliche Amministrazioni? Ancora incertezza dopo la pronuncia della Corte di Giustizia Europea, in Diritto e conti. Bilancio, comunità e persona, 2019, 2, 129 ss., la quale precisa “che la FIG (Federazione Italiana Golf) e la FISE (Federazione Italiana Sport Equestre) sono federazioni sportive nazionali organizzate in forma di associazioni senza scopo di lucro dotate di personalità giuridica. Si tratta di persone giuridiche di diritto privato soggette, in linea di principio, alle disposizioni del codice civile italiano. L’ISTAT aveva inserito entrambe nell’elenco 2016”; ed osserva come “il contenzioso in materia è sorto con riferimento non già alle amministrazioni in senso stretto, ma in relazione a soggetti privati dotati di personalità giuridica che l’ISTAT ha ritenuto di far rientrare nel settore S13, attingendo alle definizioni e criteri declinati nella normativa di riferimento (il regolamento – e relativi allegati - di cui al d. lgs. 549/2013)”.
[25] Pur essendo pervenuto alla determinazione che debba esservi in ordine alle sopraricordate questioni una valutazione casistica, sembra che “il giudice ad quem prospetti una risposta tendenzialmente negativa sulla sussistenza di un controllo del CONI, poiché sulla base del percorso argomentativo seguito sembra sostenere l’assenza del controllo di natura ordinamentale e gestionale del CONI sulle Federazioni. Sul terzo quesito, sembra, invece, lasciare maggiori aperture in ordine alla possibilità di ritenere che attraverso il peso del conferimento degli associati -assimilabile ai contributi pubblici – in determinate condizioni – accertabili da parte del giudice nazionale - possa ritenersi sussistente il controllo pubblico. V.P. Briguori, Le Federazioni, cit., 134.
[26] Consultabile in www.giustiziaamministrativa.it.
[27] G. Napolitano, voce Sport, in Diz. dir. pubbl., diretto da S. Cassese, cit., 5683. Con riferimento alla disciplina applicabile, l’Autore esclude la soggezione degli atti delle Federazioni al diritto amministrativo, sostenendo che per la cura degli interessi pubblici sarebbero sufficienti gli atti di indirizzo e controllo del CONI, in modo da avere una funzionalizzazione per principi inidonea ad alterare il regime privatistico degli atti federali previsto dalla normativa vigente. In argomento vedi pure G. Vidiri, Autonomia dell’ordinamento sportivo: natura privata delle federazioni e riparto della giurisdizione, in Giust. civ., 2011, 7-8, 1759 ss.; L. Di Nella, Le federazioni sportive nazionali dopo la riforma, in Riv. dir. sport., 2000, 60 ss.
[28] Si rimanda in argomento a A. Averardi, Autonomia privata ed esercizio di funzioni pubbliche. Sul problema della qualificazione delle federazioni sportive come organismi di diritto pubblico, nota a Nota a Tar Lazio sez. I ter 13 aprile 2018, n. 4100, in Riv. dir. sport., 2018, 2, 503 ss.; e Id., Tra Stato e società: le federazioni sportive nel perimetro mobile delle amministrazioni pubbliche, in Riv. dir. sport., 2016,1, 39 ss.; nonché a A. De Silvestri, Le qualificazioni giuridiche dello sport e nello sport, in Riv. dir. sport, 1992, 238; R. Caprioli, L’autonomia normativa delle federazioni sportive nazionali nel diritto privato, Napoli, 1997, 76 ss.
[29] S. Bastianon, L'incerta natura delle Federazioni Sportive nazionali: associazioni di diritto privato o organismi di diritto pubblico? Alla Corte di Giustizia l'ardua sentenza, in Riv. dir. ec. dello sport, 2019, fasc. 1, 149 ss.; ampio dibattito sviluppatosi anche prima dell’emanazione del decreto Melandri, vedi S. Cassese, Sulla natura giuridica delle federazioni sportive e sull’applicazione ad esse della disciplina del parastato, in Riv. dir. sport., 1979, 117 ss.. A. Clarizia, La natura giuridica delle federazioni sportive anche alla luce della legge del 23 marzo 1981 n. 91, in Riv. dir. sport., 1983, spec. 208; M. Sensale, La legge 23 marzo 1981, n. 91 e la natura giuridica delle federazioni sportive, in Riv. dir. sport., 1984, 490 ss.; A. Quaranta, Sulla natura giuridica delle federazioni sportive nazionali, in Riv. dir. sport, 1986, 174 ss.; R. Caprioli, Le federazioni sportive nazionali fra diritto pubblico e diritto privato, in Dir. e giur., 1989, 10. R. Frascaroli, voce Sport (Dir. pubbl. e priv.), vol. XLIII, in Enc. dir., Milano, 1990, 519; F. Fracchia, voce Sport, in Dig. disc. pubbl., vol. XIV, Torino, 1999, 470-471; C. Alvisi, Autonomia privata e autodisciplina sportiva. Il CONI e la regolamentazione dello sport, Milano, 2000, 5; G. Napolitano, voce Sport, in Diz. dir. pubbl., diretto da S. Cassese, vol. VI, Milano, 2006, 5678-5685. L. Ferrara, L’ordinamento sportivo: meno e più della libertà privata, in Dir. pubbl.,2007, 1-31. F. Pavani, Le federazioni sportive, in Giur. it., 2010, 1474 ss.
[30] A. Barba, Soggettività meta-individuale e riconoscimento della personalità giuridica, in Riv. dir. civ., 2018, 3, 647 ss.
[31] G. Alpa, La responsabilità, cit., 155 ss. il quale rileva che colpa specifica sarebbe, almeno in astratto, l’inosservanza di norme, regolamenti ordine e discipline prescritte dall’autorità; viceversa, integrerebbe una colpa generica sotto il profilo dell’imperizia o negligenza, l’inosservanza di regole tecniche idonee a evitare o diminuire il danno che, benchè non tradotte in leggi o regolamenti, siano entrate nell’uso corrente ed abitualmente applicate.
[32] Osserva la dottrina che “esse sono destinate, per così dire fisiologicamente a spiegare la loro efficacia all’interno di un vero e proprio ordinamento giuridico-peraltro distinto da quello statale ma pur sempre vigente e vincolante- e che, pertanto, riflettono per intero la complessità e poliedricità dell’ordinamento nel quale operano. G. Liotta-L.Santoro, Lezioni, cit., 259.
[33] V. Frattarolo, La responsabilità, cit. 19 ss., e in particolare 26, ove si osserva che “è evidente l’immediatezza del collegamento che è possibile stabilire con gli artt. 2043 c.c. e 43 c.p. agli effetti della valutazione della responsabilità” ed ancora, “le norme di condotta federali ben possono ricondursi alle discipline e alle norme di comune prudenza, secondo il disposto dello stesso art. 43”; nonché G. Liotta-L.Santoro, Lezioni, cit.; 260, secondo cui sotto il profilo funzionale le cosiddette regole tecniche oltre che distinguersi secondo il prevalente indirizzo in regole di gara e regole di organizzazione vanno distinte proprio in relazione alla rilevanza che esse sono destinate a spiegare nel giudizio di responsabilità civile, precisandosi che esse possono essere intese secondo una prima accezione “l’espressione abbraccia un campo più ampio di quello strettamente sportivo. Con essa si allude a quelle regole e a quei metodi che è necessario conoscere ed osservare per riuscire a conseguire il risultato utile perseguito nell’esercizio non solo di uno sport, ma anche di una scienza, di un’arte e così via….In una diversa accezione si parla di norma tecniche con riferimento a tutte quelle regole che svolgono la funzione di garantire la parità di trattamento tar coloro che partecipano od intendono partecipare ad una competizione sportiva e di assicurare la comparabilità dei risultati ottenuti dai gareggianti”. Secondo gli autori è in un’ultima accezione che le regole sportive tecniche rilevano ai fini della responsabilità civile, in relazione cioè “al ruolo di sicurezza e di salvaguardia dell’incolumità fisica del praticante”; in proposito si richiamano i casi delle regole relative alle caratteristiche della zona di caduta nel salto in lungo, a quelle della gabbia per il lancio del martello, ovvero della maschera da utilizzarsi nella scherma.
[34] Colpa e colpevolezza sono ampiamente dibattute in dottrina, ove si discute se esse configurino o meno concetti unitari e se “la colpa diversamente si configuri nella prospettiva del diritto civile ed in quella del diritto pubblico segnatamente del diritto penale e di quello amministrativo”. E che a proposito del “problema della distinzione tra colpa civile e colpa penale al fine di stabilire se tali concetti riguardino distinte forme di qualificazione” si ritiene che pur trattandosi della valutazione dei comportamenti umani, “il collegamento tra colpa e illecito penale si presenti in termini distinti da quello tar colpa e illecito civile”. Ciò si deve sostanzialmente alla tipicità dell’illecito penale ed all’atipicità dell’illecito civile, da cui scaturirebbe che nel primo la colpa è intrinseca alla definizione di un particolare reato, mentre nel secondo essa sarebbe assunti nel meccanismo dell’imputazione e come diretta conseguenza si avrebbe che mentre nel reato colposo hanno autonoma rilevanza negligenza, imperizia ed imprudenza, in quello civile la diligenza assorbirebbe l’intero concetto di colpa. Vedi C. Maiorca, Colpa civile, (teoria generale) in Enc. dir., VII, Milano, 1960, 584 e 591; in argomento si rimanda anche a C. Salvi, La responsabilità civile, in Trattato di diritto privato a cura di G. Iudica e P. Zatti, Giuffrè, Milano, 2020, 161 ss.; G. Visintini, Cos’è la responsabilità civile, Napoli, 2019, 45 ss.; G. Alpa, La responsabilità civile, Torino, Utet, 2018, 149 ss., G. Alpa- M. Bessone, I fatti illeciti, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, Torino,1982, 82, 290 e a V. Scognamiglio, Responsabilità civile, in Noviss. Dig. It., XV, Torino, 1968, 642; P. Trimarchi, Causalità e danno, Milano, 1967, 53 ss.; Id., Rischio e responsabilità oggettiva, Milano, 1961, 11 ss.; S. Rodotà, Il problema della responsabilità civile, ed. Giuffrè, Milano, 1964, 169.
[35] G. Alpa, La responsabilità, cit., 155.
[36] Osserva la dottrina che gli atleti sono selezionati dal punto di vista medico sulla base di determinati requisiti fisici e da quello sportivo sulla base delle proprie capacità atletiche per assicurare la par condicio; si sottolinea inoltre che il fatto che l’attività sportiva si pratichi in contesti ufficiali, quando ci si riferisce appunto alle gare costituisce una garanzia del bilanciamento di opposti interessi che coinvolgendo il diritto all’integrità psicofisica possano in certi c asie d entro certi limiti giustificare eventi lesivi a danno dei partecipanti. Così, L. Di Nella, Il fenomeno, cit., 363.
[37] L. Mancini, La colpa nella responsabilità civile, cit., 26 ss.; U Ruffolo, La colpa, in Diritto civile, Tratt. dir. da P. Rescigno e N. Lipari, Vol IV, Attuazione e tutela dei diritti, tomo III, La responsabilità e il danno, Giuffrè, Milano, 2009, 54 ss.
[38] G. Alpa, La responsabilità, cit., 156, che sottolinea come abbandonata una concezione della colpa venata di contenuti morali si sia accreditata sempre più ina concezione oggettiva della colpa, temperata dalla valutazione delle circostanze del caso. Comunque si rileva che gli assunti teorici sulla classificazione della colpa non sempre corrispondono alla pratica del diritto. Cfr. L. Mancini, La colpa, cit., 26 ss.; la quale osserva come l’assenza nel codice civile di una definizione compiuta ha da sempre condotto gli interpreti ad attingere alla nozione di cui all’art. 43 c.p… E’ stata così elaborata una nozione di colpa civile coincidente con il comportamento cosciente dell’agente, ancorchè non finalizzato a recare danno ad altri, da cui derivi un evento lesivo, per negligenza, imperizia, imperizia, ovvero inosservanza di norme di condotta”.
[39] G. Liotta-L.Santoro, Lezioni, cit., 260.
[40] Si tratta di un profilo dibattuto in dottrina laddove si discute se il «buon padre di famiglia», di cui regola generale dettata in tema di obbligazioni dall’art. 1176 c.c. e da altre disposizioni, è applicabile anche in sede di accertamento della colpa nella responsabilità extracontrattuale; gli interpreti si rifanno anche ad una analisi storico sulla base del concetto di colpa nel diritto romano e della sua evoluzione storico-legislativa. Sul punto, v. A. De Cupis,Il danno, Giuffrè, Milano, 1979, op. cit., 183 ss.;; P. Forchielli, voce Colpa (Diritto civile), in Enc. giur. Treccani, VI, Roma, 1988, 3 ss.; A. Ravazzoni, voce Diligenza, ivi, XI, 1989, 5.; L. Bigliazzi Geri, U Breccia, F.D. Busnelli, U. Natoli, Diritto civile, tomo 3, Obbligazioni e contratti, Utet, Torino, 1992, 701 ss.; M. Franzoni, L’illecito, in Tratt. della resp. civ., diretto da M. Franzoni, II ed., I, Milano, 2010, 1267 ss ;C.M. Bianca, Diritto civile, la responsabilità, Vol. 5, Giuffrè, Milano, 2019, 575 ss. Per la distinzione tra la colpa contrattuale per difetto di diligenza e la colpa extracontrattuale, che assegni solo a quest’ultima il ruolo di un criterio soggettivo di imputazione, a valle della violazione di un dovere di condotta nella misura in cui un pregiudizio a terzi sia la prevedibile, si rimanda a G. Osti, Revisione critica della teoria sulla impossibilità della prestazione, in Riv. dir. civ., 10, 1918, 260 ss.; G. Visintini, Cos’è la responsabilità civile, cit., p. 17 e p. 45. In giurisprudenza v. Cass. 20 febbraio 2015 n. 3367, Pres. Berruti, secondo cui “La manovra di un veicolo in retromarcia, per la difficoltà di percepire gli ostacoli e le insidie sulla strada, costituisce operazione anomala, per la quale il conducente è tenuto ad adottare una condotta particolarmente diligente e ad assicurare ogni cautela, anche avvalendosi della collaborazione di terzi che, da terra, possano fornire indicazioni, segnalazioni ed istruzioni, sì da evitare danni a cose o a persone, ivi compresi i terzi trasportati, i quali, logicamente e giustificatamente, fanno affidamento sul possesso e l'applicazione da parte del guidatore di tali adeguate conoscenze e competenze tecniche. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che, limitandosi a ricondurre il sinistro, sul piano causale, alla carenza dei mezzi di prevenzione, aveva escluso la responsabilità del conducente di un mezzo per il decesso dell'operaio su di esso trasportato, il quale, intento a rimuovere dalla carreggiata la segnaletica di cantiere, era stato sbalzato sull'asfalto dalla pedana su cui si trovava e travolto dal medesimo veicolo in fase di retromarcia)”.
[41] G. Alpa, La responsabilità, cit. 156 e 157, il quale osserva che la colpa professionale, intesa come colpa di chi esercita una professione, presuppone una normativa che disciplini le cosiddette professioni regolamentate denominate intellettuali, disciplinate da leggi speciali. Diverso discorso dovrebbe farsi dunque per le professioni non regolamentate.
[42] Sul punto R. Carmina, Attività sportiva professionistica e dilettantistica. Tutela dell’atleta e riflessi sulla disciplina degli enti sportivi, in Rassegna di diritto ed economia dello sport, 2014, 2-3, 293 ss., il quale osserva che per la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ai fini dell’applicazione del diritto comunitario non rileva la distinzione tra attività sportive professionistiche e dilettantistiche, quanto piuttosto la natura economica o meno dell’attività svolta. Inoltre la giurisprudenza comunitaria chiarisce che, ai fini della qualificazione di un’atleta quale professionista, è sufficiente che questi percepisca una retribuzione periodica a fronte di un obbligo di effettuare una prestazione sportiva in forma.
[43] Uno dei punti della legge 8 agosto 2019 recante Deleghe al Governo e altre disposizioni in materia di ordinamento sportivo, di professioni sportive nonche' di semplificazione è l’art 5 relativo al riordino e la riforma delle disposizioni in materia di enti sportivi professionistici e dilettantistici nonche' del rapporto di lavoro sportivo ed in particolare per l’individuazione della figura del lavoratore sportivo, ivi compresa la figura del direttore di gara, senza alcuna distinzione di genere, indipendentemente dalla natura dilettantistica o professionistica dell'attivita' sportiva svolta, e definizione della relativa disciplina in materia assicurativa, previdenziale e fiscale e delle regole di gestione del relativo fondo di previdenza
[44] G. Liotta-L.Santoro, Lezioni, cit., 262-263.
[45] “Il criterio per individuare in quale ipotesi il comportamento che ha provocato il danno sia esente da responsabilità civile sta nello stretto collegamento funzionale fra gioco ed evento lesivo, collegamento che va escluso se l’atto sia stato compiuto allo scopo di ledere, ovvero con una violenza incompatibile con le caratteristiche concrete del gioco, con la conseguenza che sussiste in ogni caso la responsabilità dell’agente in ipotesi di atti compiuti allo specifico scopo di ledere; la responsabilità non sussiste invece se le lesioni siano la conseguenza di un atto posto in essere senza la volontà di ledere e senza violazione delle regole dell’attività, e non sussiste neppure se, pur in presenza di violazione delle regole proprie dell’attività sportiva specificamente svolta, l’atto sia a questa funzionalmente connesso. In entrambi i casi, tuttavia, il nesso funzionale con l’attività sportiva non è idoneo ad escludere la responsabilità tutte le volte che venga impiegato un grado di violenza o irruenza incompatibile con le regole dello sport praticato, ovvero col contesto ambientale nel quale l’attività sportiva si svolge in concreto, o con la qualità delle persone che vi partecipano”. Così Cass. 8 agosto 2002 n. 12012 in Danno e resp., 2003, 529, con nota di M. Della casa, Attività sportiva e criteri di selezione della condotta illecita tra colpevolezza ed antigiuridicità e in Foro it., 2003, I, 1, 168.
[46] Emblematiche le decisioni anche di merito in caso di sport in ambito scolastico. Si rimanda a Tribunale di Bolzano 5 novembre 2018; Corte d'Appello Lecce, Sez. I, 10 aprile 2018, ma soprattutto la Suprema Corte, vedi Cass. ord., 10 aprile 2019, n. 9983, (in www.rivistadidirittosprtivo.coni.it) secondo cui In tema di danni conseguenti ad un infortunio sportivo subìto da uno studente durante una gara svoltasi all'interno della struttura scolastica nell'ora di educazione fisica, ai fini della configurabilità della responsabilità della scuola ai sensi dell'art. 2048 c.c., è necessario: a) che il danno sia conseguenza del fatto illecito di un altro studente partecipante alla gara, il quale sussiste se l'atto dannoso sia posto in essere con un grado di violenza incompatibile con le caratteristiche dello sport praticato o con il contesto ambientale nel quale l'attività sportiva si svolge o con la qualità delle persone che vi partecipano, ovvero allo specifico scopo di ledere, anche se non in violazione delle regole dell'attività svolta. Non si configura illiceità dell’atto quando questo sia compiuto senza la volontà di ledere e di violare le regole della disciplina sportiva, ovvero se, pur in presenza di una violazione delle regole dell'attività sportiva specificamente svolta, l'atto lesivo sia a questa funzionalmente connesso; b) che la scuola non abbia predisposto tutte le misure idonee ad evitare il fatto.
Del resto la propensione ad una valutazione in concreto della colpa l’unica possibile “in mancanza i analisi precise dei modelli di giudizio seguite dai giudici”[1], nella ricostruzione dell’elemento soggettivo della colpevolezza, sembra voler superare la spinosa valutazione della conoscenza e/o conoscibilità del comportamento precauzionale da tenere in vista dell’evitabilità dell’evento; se come rileva la dottrina sul piano processuale la colpa si risolve nell’inosservanza di una regola cautelare di condotta finalizzata alla prevenzione del danno[2] e se la colpa generica è accertata secondo i criteri della prevedibilità[3], l’apprezzamento del grado di rimproverabilità dell’agente in relazione alla regola di condotta violata e cioè a dire dell’abilità del praticante e del grado di esperienza da lui eventualmente acquisito, risulta un passaggio ancor più delicato in presenza di attività che richiedono speciali abilità ovvero l’applicazione di regole e conoscenze tecniche; circostanza vieppiù rilevante anche ai fini della configurabilità di ipotesi speciali di responsabilità e quindi anche sotto il profilo distribuzione dell’onere probatorio.
L’analisi della responsabilità del gestore di impianti sportivi, oggetto dell’ordinanza de qua, sembra comprovare la delicatezza delle richiamate questioni, come conferma l’orientamento giurisprudenziale formatosi in tema di responsabilità dei gestori dei maneggi; sulla base di una distinzione tra responsabilità presunta e per colpa presunta, la giurisprudenza nel ricostruire la responsabilità del gestore “in qualità di proprietario o utilizzatore del cavallo, dal cui utilizzo trae profitto”[4], ha ritenuto in linea di prima approssimazione che sia l’applicazione della norma dell’art. 2050 c.c. dettata in tema di attività pericolosa che quella dell’art. 2052 c.c. relativa alla custodia di animali, condurrebbero allo stesso risultato pratico, in quanto entrambe configurerebbero ipotesi di responsabilità presunta e non per colpa presunta, richiedendosi quindi come prova liberatoria non la semplice prova dell’uso della normale diligenza nella custodia dell’animale stesso o della mansuetudine di questo, “essendo che è irrilevante che il danno sia stato causato da impulsi interni imprevedibili o inevitabili della bestia, poiché l’imprevedibilità della bestia anziché costituire un caso fortuito è anzi una caratteristica ontologica di ogni essere privo di raziocinio”.
Detta equiparazione troverebbe tuttavia un limite nell’apprezzamento della pericolosità dell’attività, poiché, sempre a giudizio degli ermellini,” la gestione d’una scuola d’equitazione può essere in concreto pericolosa, ma può anche non esserlo: tale requisito non sussiste in astratto, ma va accertato in concreto in base alle modalità con cui viene impartito l’insegnamento, alle caratteristiche degli animali impiegati ed alla qualità degli allievi (ex permultis, Sez. 3, Sentenza n. 14747 del 17/10/2002, in motivazione). A tal fine si ritiene che di norma, impartire lezioni di equitazione a fanciulli o principianti comporta pericoli che non sussistono quando gli allievi sono esperti; con la conseguenza che la prima attività (impartire lezioni a principianti) sarebbe pericolosa, la seconda (impartire lezioni ad esperti) non lo sarebbe, il che farebbe pensare che in questa seconda ipotesi non andrebbero richiamate le regole citate ma solo quella generale dell’art. 2043 c.c”.
Pertanto se è vero che, il modello prevalente del giudizio di prevedibilità è tendenzialmente astratto, ai fini della rappresentabilità dell’evento talvolta è indispensabile tener in considerazione particolari qualità dell’agente, come l’età, l’esperienza, la forza psicofisica, le conoscenze e le attitudini; in tal senso la valorizzazione della componente previsionale della colpa non è in contrasto con l’idea di colpa ancorata ad uno standard comportamentale, che deriva dalla sommatoria di due doveri, strettamente connessi, quello di previsione e quello di condotta[5].
Discende da quanto sopra che, stando alla giurisprudenza esaminata, nel caso di atleta esperto, come in quello in cui l’allievo che svolga la sua attività in allenamento o in gara alla presenza di un istruttore qualificato, non ricorrerebbero gli estremi per l’applicazione dell’art. 2050 c.c., venendo meno la pericolosità; per di più potrebbe financo escludersi l’applicabilità dell’art. 2052 c.c. ove l’atleta stesso sia sufficientemente maturo da potersi ritenere che abbia consapevolmente accettato il rischio sportivo[6].
Il problema si ripropone anche allorquando si configurino, perché non è infrequente, a carico del gestore ulteriori fattispecie di responsabilità extracontrattuale, comunque presunte; come quella codificata all’art. 2051 c.c., e richiamata ove lo sport praticato richieda l’uso di attrezzature tecniche e dispositivi di protezione[7].
Se è vero che per configurare la predetta ipotesi di responsabilità si richiede un rapporto di custodia con la cosa (sia esso l’impianto ovvero un’attrezzatura), anche se inerte[8], ovvero una disponibilità giuridica e materiale della stessa con il correlativo il potere - dovere di intervento su di essa, tipico del proprietario del possessore o del detentore, occorre far conto dell’eventualità, contemplata dalla giurisprudenza, di un passaggio della disponibilità della cosa all'utilizzatore per specifico accordo delle parti, o per la natura del rapporto, ovvero per la situazione fattuale determinatasi cui si riconnetta anche il trasferimento in capo a questo della custodia, gestione ed intervento sulla cosa; detta circostanza pare non trascurabile poiché da essa discenderebbe che l’ingerenza dell’utilizzatore di fatto verrebbe a limitare, se non addirittura escludere, la responsabilità del gestore, escludendo il nesso causale prima ancora che l’antigiuridicità o la colpevolezza.
Con specifico riguardo a detta evenienza, è ancora una volta il grado di preparazione dell’atleta o praticante a fare la differenza. Ne è riprova il diverso ed ulteriore caso dei danni riportati dal giocatore di calcio saponato durante una partita a seguito di una scivolata ed ascritti dal danneggiato medesimo all’inidoneità dell’attrezzatura fornitagli dal gestore, che invece contestava- con argomentazione sostanzialmente condivisa dal giudicante di prime cure -come essendosi avveduto durante il gioco dell’inidoneità dell’attrezzatura la decisione di continuare a giocare si fosse concretizzata in un rischio accettato 856 ss., ed eletto dal giocatore medesimo, circostanza questa idonea ad interrompere il nesso causale escludendo la responsabilità del gestore[9].
Il tema della rilevanza delle regole sportive appare ancor più significativo in considerazione degli adempimenti da ultimo dettati di vertice ai gestori di impianti sportivi a seguito dell’emergenza sanitaria da coronavirus. da governo e istituzioni sportive, che al fine di tutelare non solo la salute dei praticanti, garantendo sicurezza e igiene delle strutture sportive, ma anche di sollevare gestori ed addetti vari da evidenti possibili responsabilità, si sono serviti dello strumento delle linee guida e dei protocolli prescrivendo una serie di cautele comportamentali con finalità preventiva del rischio sanitario.
Ciononostante ipotizzando un’assimilazione delle regole sportive alle linee guida od ai protocolli dettati al medico in ambito sanitario sotto il profilo non solo della relativa vincolatività, ma anche sotto il profilo della rilevanza ai fini della responsabilità, sostanzialmente si giungerebbe ad un risultato che al momento non è dirimente essendo noto che il cui contributo di detti strumenti alla ricostruzione dell’elemento soggettivo della responsabilità è al centro di ampio dibattito dottrinario e giurisprudenziale, alimentato dalla recente legge di riforma Gelli-Bianco[10].
Da ultimo la Suprema Corte[11] ha precisato che le c.d. linee guida (ovvero le leges artis sufficientemente condivise almeno da una parte autorevole della comunità scientifica in un determinato tempo)… sono solo un parametro di valutazione della condotta del medico: di norma una condotta conforme alle linee guida sarà diligente, mentre una condotta difforme dalle linee guida sarà negligente od imprudente. Ma ciò non impedisce che una condotta difforme dalle linee guida possa essere ritenuta diligente, se nel caso di specie esistevano particolarità tali che imponevano di non osservarle (ad esempio, nel caso in cui le linee guida prescrivano la somministrazione d'un farmaco verso il quale il paziente abbia una conclamata intolleranza, ed il medico perciò non lo somministri); e per la stessa ragione anche una condotta conforme alle linee-guida potrebbe essere ritenuta colposa, avuto riguardo alle particolarità del caso concreto (ad esempio, allorchè le linee guida suggeriscano l'esecuzione d'un intervento chirurgico d'elezione ed il medico vi si attenga, nonostante le condizioni pregresse del paziente non gli consentissero di sopportare una anestesia totale)”.
[1] G. Alpa, La Responsabilità, cit., 156.
[2] L. Mancini, La colpa, cit., 31.
[3] G. Alpa, La Responsabilità, cit., 155. Vedi pure L. Mancini, La colpa, cit., 49-50, secondo cui “Il giudizio di prevedibilità si sostanzia, dunque, nella verifica del se un uomo di media diligenza nelle stesse circostanze avrebbe potuto prevedere ed evitare l’evento dannoso, quale conseguenza della propria condotta”….. “L’evitabilità consiste, invece, nell’apprestare le misure precauzionali idonee ad evitare il verificarsi del pregiudizio prevedibile”.
[4] M. Pittalis, Sport, cit., 533.
[5] L. Mancini, La colpa, cit., 50.
[6] Cass. 15 dicembre 2015 n. 25233, in Danno e resp. 2016, 4, 365 ss., con nota di V. Vozza, La gestione di un maneggio e la responsabilità oggettiva. Una riflessione specifica richiede l’apprezzamento della pericolosità nell’ambito degli sport invernali; sul punto v. Cass. 19 febbraio 2013, n. 4018, in Danno e resp., 2013, 8-9, con nota di U. Izzo, Pericoli lungo le aree sciabili e responsabilità extracontrattuale del gestore.
[7] F. Bisanti, La responsabilità civile del gestore di un impianto sportivo nella recente giurisprudenza, orientamenti consolidati e prospettive future, in Riv. dir. ec. sport, 2014, 2, 13 ss., secondo cui “L’argomentazione logico-giuridica è degna di pregio poiché, nonostante rimanga saldamente ancorata alla norma ex art. 2051 c.c., prende in considerazione l’effettiva condotta dei giocatori, muovendo nei loro riguardi un giudizio di rimprovero per non aver segnalato la presenza delle porte in prossimità del campo, costituente ictu oculi un pericolo prevedibile ed evitabile”. Vedi anche L. Ripa, I doveri di protezione del gestore di un impianto sportivo: verso una prospettiva relazionale della sua responsabilità civile, in Rass. dir. ec. sport, 2017, 1, 131 ss.
[8] Cass. 31 ottobre 2017, n. 25856, in Danno e resp., 2018, con nota di E. Baffi e D. Nardi, Analisi economica del diritto e danno cagionato da cose in custodia, anche in E. Al Murden, Fatti illeciti. Casi e materiali, Giappichelli, Torino, 2018, 219 ss.; Cass. 26 settembre 2006, n. 20825, in Giust. civ. Mass., 2006, 10.
[9] Cass. 19 gennaio 2018 n. 1254, in Nuova giur. civ. comm., 2018, 7-8,1052 ss., con nota di P. Garraffa, La responsabilità del gestore di un impianto di calcio "saponato". Si evince dai motivi di ricorso per Cassazione che il Tribunale nel merito non avrebbe valutato al circostanza che il medesimo, quale giocatore occasionale, “non avrebbe potuto rappresentarsi da solo e in maniera compiuta l’alta rischiosità insita nel praticare lo sport con un casco poi rivelatosi non omologato” e, del resto, lo stesso giudice di primo grado, decidendo senza disporre la c.t.u. poi disposta dal giudice d’appello (e che aveva accertato l’inidoneità del casco) aveva, affidandosi ad una valutazione di comune esperienza, considerato il casco inidoneo per essere simile a quelli usati dai ciclisti”. In argomento si rimanda a F. Agnino, Danno cagionato da cose in custodia. Principi generali e fattispecie particolari, Giuffrè, Milano, 2020, 204 ss.Vedi pure Cass. 30 agosto 2013, n. 1998, secondo cui “risulta pertanto corretta l’esclusione della violazione dell’art. 2051 per l’esclusione del nesso causale, posto che il fattore determinante della causalità, che rompe il nesso, è riferito alla scelta dei giocatori di utilizzare il campo senza rimuovere le porte, dove era possibile, che nel corso del gioco, i giocatori finissero con l’urtare. La esclusione del nesso preclude l’indagine sull’imputabilità soggettiva, anche in relazione alla diversa ipotesi di cui all’art. 2043 c.c.”
[10] E. Al Mureden- M. De Pamphilis, La responsabilità professionale del medico tra evidenze cliniche e standard tecnici, in AA.VV., La nuova disciplina della responsabilità sanitaria, Bologna, Bononia University Press, 2019, 99 ss.; N. Callipari, L’applicazione della legge Gelli-Bianco (l. n. 24/2017). Primi orientamenti giurisprudenziali, in Nuova giur. civ. comm., 2019, 2, 2, 405 ss.; C. Cicero, La presunta eclissi della responsabilità medica da contatto sociale, in Riv. dir. priv., 2019, 1, 19 ss.; R. Iannone, La nuova responsabilità sanitaria: rilievi critici alla luce dei primi pronunciati delle Corti, in Danno e resp., 2019, 2, 283 ss. Vedi pure L. Mancini, La colpa, cit., 47, la quale osserva la legge Balduzzi nel rinviare alle linee guida in realtà “contiene un rinvio alle buone pratiche come discipline extragiuridiche, peraltro non univoche, atteso che in medicina non vi è uniformità di vedute in ordine alla loro individuazione… Le linee guida sono convenzionalmente descritte quanto alla loro autorevolezza e credibilità, in base ad una scala classificatoria condivisa dalla comunità…. Diversamente dalle linee guida i protocolli vanno intesi come veri e propri regolamenti comportamentali. Il loro carattere vincolante deriva per lo più da una fonte normativa di rango superiore quale la legge ovvero da regolamenti di servizio”. Ciononostante si osserva in modo problematico che “protocolli e linee guida non sono non possono incidere sulla libertà della scelta terapeutica”, il che mette in crisi la loro rilevanza nell’ambito della colpa.
[11] Cass. ord. 30 novembre 2018 n. 30998, Pres. Travaglino, Relatore Rossetti
Se si considera la diffusione che la pratica sportiva ha conosciuto dalla seconda metà del secolo scorso, unitamente al moltiplicarsi delle discipline, ma soprattutto la varietà dei contesti in cui essa si svolge, pare difficile smentire la necessità di ripensare i confini della responsabilità civile sportiva in relazione alla qualità dei praticanti, alla loro diversa condizione fisica e preprazione atletica ed alla conoscenza delle regole tecniche dell’attività ma anche alla natura dello sport praticato, ovvero alla tipologia di sport[1].
Una conferma di questa necessità, rilevata da una parte degli studiosi[2] deriva dall’ incertezza e dal relativo uso promiscuo delle espressioni sport amatoriale e sport agonistico, che rende incerta l’individuazione del quantum di diligenza richiesto o da richiedere al praticante a tal punto che non si esclude in concreto la carica e foga agonistica anche nella partita di calcio tra amici.
Sul punto, si deve rilevare che i termini di amatorialità ed agonismo, a meno di non voler adottare come punto di riferimento il requisito formale del tesseramento del praticante, risultano talvolta non tassativi per la giurisprudenza, che non disdegna usi promiscui[3], come nel caso in esame e non solo.
Emblematica di questa incertezza terminologica è la stessa regolamentazione sportiva ufficiale: lo statuto dell’UISP, Unione Italiana Sport per Tutti, ente di promozione sportiva riconosciuto dal Coni ed ente di promozione sociale, a proposito dei propri fini sociali, stabilisce di promuovere la pratica sportiva nella sua accezione ludico-motoria, non agonistica ed agonistica o competitiva, con finalità quindi formative e ricreative. Non a caso, si precisa, che l’UISP promuove e organizza attività multidisciplinari nell’ambito delle quali sotto la dicitura attività motorie- sportive sono ricomprese pratiche eterogenee, di cui, peraltro, si precisa la natura dilettantistica: a)attività promozionale, amatoriale e dilettantistico, seppure con modalità competitive, così come nella sua dimensione dello sport per tutti e quindi “nessuno escluso”, in una dimensione associativa di inclusione sociale; b) attività non agonistica, attività ludico-motorie e di avviamento alla pratica sportiva.
Eppure il tema, per quanto sottovalutato dal legislatore, e al di là di lacune normative varie[4], ancora una volta risulta affrontato nella giurisprudenza più recente, sia sovranazionale che statale.
In tal senso è possibile avere un primo riscontro richiamando, ancora, la giurisprudenza della Corte di Giustizia, che con decisione del 26 ottobre 2017, in causa C-90/16, è stata chiamata ad interpretare il significato del lemma sport ai fini della disciplina IVA, alla luce dell’art. 132, paragrafo 1, lett. m), direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006 che contempla la “pratica dello sport o dell’educazione fisica, fornite da organismi senza fini di lucro alle persone che esercitano lo sport o l’educazione fisica. Il caso nasce da una controversia che vedeva coinvolta la The Bridge Union Unlimited (EBU), ente di regolamentazione e sviluppo del bridge non duplicato; l’organismo riteneva di non dover essere assoggettato all’IVA poiché la citata norma comprendeva nel concetto di sport non solo le attività connotate da una rilevante componente fisica, potendovi rientrare anche quelle preordinate a favorire il miglioramento del benessere e della salute anche solo mentale.
Quanto alla giurisprudenza nazionale, significativa è la questione portata all’attenzione del Tribunale di Perugia[5], richiesto di decidere della natura agonistico-ufficiale od amatoriale di un evento sportivo, nella specie di una gara ciclistica organizzata da una polisportiva nel corso della quale, a fine competizione, in volata, un ciclista era stato investito dopo il traguardo, riportando danni[6].
Il giudice, chiamato a decidere se l’evento sportivo era di tipo amatoriale od agonistico per stabilire se i danni occorsi fossero o meno coperti dalla polizza assicurativa accoglie le doglianze di parte attrice ritenendo che l’evento non fosse stato organizzato da un ente a ciò ufficialmente preposto, o meglio che di questa circostanza non vi fosse prova, partendo (apoditticamente?) dall’assunto che il ruolo di organizzatore competa (sempre?) ad enti di promozione sportiva od alle federazioni, mentre in tal caso sarebbe stato svolto da un ente di primo grado, non essendovi la prova della sua affiliazione il Tribunale conclude nel senso di ritenere il carattere non ufficiale della competizione.
In altra occasione, per converso, la Suprema Corte di Cassazione[7], glissando su quella che sembrava una rilevanza meramente amatoriale dell’evento, nel senso che quest’ultimo si svolgeva al di fuori di contesti ufficiali, ha avuto modo di affermare che “non può non ritenersi agonistico un torneo sportivo fondato sulla gara e sulla competizione tra i partecipanti, come il torneo di calcio in questione, tale da implicare un maggior impegno psicofisico ai fini del prevalere di una squadra sull’altra”.
Essa ha ritenuto, conformemente ad una parte della dottrina che la qualifica amatoriale ovvero quella agonistica diventa una pura etichetta quando c’è un confronto in cui si gareggia per il miglior esercizio tecnico e fisico, in quanto sembra che l’attività competitiva non sia di esclusiva competenza delle Federazioni riconosciute dal CONI, ben potendo anche quella svolta a titolo amatoriale presentare il carattere della competitività[8].
Concludendo, alla luce di quanto osservato, giova rilevare che il riconoscimento che l’ordinamento sportivo rappresenti uno dei più significativi ordinamenti autonomi, con un livello di autonomia più elevato di quello di altri ordinamenti settoriali o minori in considerazione del suo essere articolazione dell’ordinamento internazionale e della sua specificità[9], non esclude che i rapporti di forza tra stato e sport ingenerino dei conflitti che spetta poi al giudice dirimere, e che dipendono dall’esame di aspetti di teoria generale che non attengono strettamente alla tutela dei diritti della persona[10], ma, come si è visto, per esempio alla natura giuridica delle regole sportive, ovvero a quella degli enti da cui esse in qualche modo, direttamente od indirettamente promanano, involgendo temi come i criteri di imputazione della responsabilità civile, ovvero quelli di riconoscimento della personalità giuridica di diritto privato.
Sembra, pertanto che il vero punctum dolens sia ancora oggi rappresentato dalla capacità di dettare una chiara ed il più ampia possibile disciplina della materia sport, eventualmente attraverso la modifica e riorganizzazione di norme preesistenti, anche definendo la connessa ed irrisolta questione del riparto di competenze fra Stato e Regioni, perché è da questa che scaturisce da tempo il tentativo di ridefinizione dei concetti, affatto chiari al momento, di agonismo da un lato e non agonismo od amatorialità dall’altro, ritenuti in dottrina[11] il primo di competenza dello Stato e quindi all’ordinamento sportivo, i secondi delle Regioni, salvo non ineriscano ad altre materie trasversali e/o riservate al legislatore statale.
Inoltre, pur volendo rievocare gli approdi della Corte costituzionale che nel 1987 ebbe ad utilizzare i criteri della programmaticità, ufficialità e competitività per considerare un possibile discrimen tra attività sportive a rilevanza statale ovvero regionale o locale, come indicatori utili per distinguere anche tra attività agonistiche da un lato ed amatoriali dall’altro, sembra che al momento non sia dato riscontrare in che modo tale distinzione, per quanto non trascurabile, si rifletta nell’apprezzamento della responsabilità civile, ciò non solo per il ricorso frequente ed indistinto alla clausola del rischio consentito, ma anche per un atteggiamento generalizzato che preferisce riconoscere una limitata rilevanza giuridica esimente (o meglio non esimente) alle regole del gioco sia in contesti ufficiali che amicali.
Eppure la necessità di distinguere le diverse qualificazioni dell’attività sportiva e le diverse connesse conseguenze in punto di diritto ci è da ultimo testimoniata dalla normativa emergenziale dettata dalla pandemia da coronavirus in atto.
La normativa emergenziale emanata del governo nell’anno in corso, a mezzo di più d.p.c.m., nella predisposizione delle misure di contenimento dell’epidemia da coronavirus, non potendo fare a meno di considerare le diverse tipologie di attività sportive (innanzitutto poiché si è rilevato che solo per alcune si potesse garantire l’applicazione e l’osservanza di appositi protocolli igienic- sanitari), adoperando espressioni non sempre chiare ed univoche ed attingendo alla bisogna più al dato della comune esperienza, ovvero a quello risultante dalla terminologia e dalle classificazioni adoperate dall’ordinamento sportivo, in ultima analisi lascia trasparire comunque una scelta ( necessitata) di campo; e cioè a dire la tendenza a dare un qualche rilievo al carattere dell’ufficialità e della normatività quali criteri per distinguere le attività sportive in senso stretto e tecnico dal quelle che, svolte in altri contesti all’aperto ovvero in strutture sportive come palestre e piscine, non si inquadrino nell’organizzazione sportiva ufficiale e/o siano preordinate a finalità di miglioramento e di benessere e non di competizione.
In tal senso è utile richiamare le disposizioni dell’articolo 2 comma 9 del d.p.c.m. 24 ottobre u.s. ed in particolare confrontare la lett. e) la quale contempla gli eventi e le competizioni riguardanti gli sport individuali e di squadra riconosciuti di interesse nazionale o regionale dal Comitato olimpico nazionale italiano (CONI), dal Comitato italiano paralimpico (CIP) e dalle rispettive federazioni sportive nazionali, discipline sportive associate, enti di promozione sportiva, ovvero organizzati da organismi sportivi internazionali; la lett. f) che fa riferimento a l'attività sportiva di base e l'attività motoria in genere svolte all’aperto presso centri e circoli sportivi, pubblici e privati, ed, infine, la lett. g) la quale contempla invece l’attività sportiva dilettantistica di base, le scuole e l’attività formativa di avviamento relative agli sport di contatto nonché tutte le gare, le competizioni e le attività connesse agli sport di contatto, anche se aventi carattere ludico-amatoriale.
Il citato decreto, oltre che confermare i limiti dell’ordinamento sportivo ed evidenziare i numerosi punti di contatto che lo sport presenta con materie di competenza statale, sia esso svolto a livello amatoriale che ufficiale, (è evidente che il governo ha avocato a sé ogni valutazione in merito al prosieguo od alla sospensione delle attività sportive, amatoriali o agonistiche che esse fossero), conferma evidentemente che pur accogliendo una nozione ampia ed onnicomprensiva di attività sportiva (come insegna la Carta di Rodi ed il riferimento all’attività sportiva svolta dall’individuo per il benessere), in relazione a specifiche istanze ed interessi esiste la necessità di operare una qualificazione, classificazione e differenziazione delle predette attività, per l’individuazione di compiti di gestione e organizzazione e conseguentemente delle relative responsabilità.
Alla luce di quanto sopra, nel rispetto dei principi di autonomia e specificità, pare che detta classificazione non possa che essere predisposta in funzione dall’appartenenza delle attività all’organizzazione sportiva che mette capo al CONI, da cui dipende la soggezione alle regole ed alle relative discipline, ma soprattutto la preposizione alla pratica delle stesse di soggetti qualificati, come tecnici, arbitri, allenatori, istruttori e gestori di impianti.
Con riferimento alle attività sportive riconosciute e codificate in base a regole ufficiali ed accettate nonché svolte in contesti organizzati che hanno quali referenti istituzionali soggetti come Federazioni, Discipline sportive associate, Enti di promozione sportiva ed Associazioni benemerite e Coni[12], sembrerebbe conseguentemente del tutto coerente con detta impostazione l’idea di una responsabilità civile sportiva basata su quella che la dottrina contemplando la possibilità di discipline differenziate della colpa[13], ha ricostruito come diligenza qualificata, da elaborare non in relazione, beninteso, ad una scala di riprovevolezza di tipo morale[14], ma evidentemente sulla base dell’inosservanza di specifiche discipline dello sport ufficiale praticato.
A tal fine, se si accetta che in questo caso che essa debba formare oggetto di una disciplina legislativa statale e non regionale, poiché oltre che inerire ai rapporti di diritto privato la relativa materia tocca diritti ed interessi di rango costituzionale riconducibili all’art. 24 e 101 della Costituzione, allora non sembra peregrino de iure condendo immaginare che siano maturi i tempi acciocchè lo stesso legislatore statale possa dare un impulso alla definizione dei rapporti fra Stato e sport attraverso la responsabilità civile.
Al momento, non pare che la legge delega del 2019 in tema di riforma dello sport abbia conferito al governo anche compiti in questo ambito, quindi non ci si deve attendere che l’emanando testo unico sullo sport conterrà disposizioni in questo senso, e sebbene anche questa si prospetti già come un’occasione perduta, non può farsi a meno di rilevare che in altre occasioni il codice civile è stato interessato da novelle anche di tipo chirurgico per effetto della legislazione di derivazione europea che nella materia del diritto privato si è mostrata particolarmente sensibile all’evoluzione del mercato e conseguentemente dei rapporti sociali, economici e giuridici.
L’evoluzione della responsabilità civile ad oggetto l’attività sportiva trova in tal senso un interessante spunto di comparazione nel percorso evolutivo che dalla seconda metà del secolo scorso agli inizi di questo, a livello dottrinario e giurisprudenziale prima e normativo poi, ha interessato un’altra controversa figura speciale di responsabilità civile, cioè quella della responsabilità del produttore, inizialmente incasellata nella regola generale dell’art. 2043 c.c. e poi fatta oggetto di una legislazione speciale ad hoc[15].
Il parallelo tra le due figure di responsabilità, sia pure cum grano salis, trova non uno ma più punti di contatto e confronto: la massificazione delle attività possibili fonti di danni e la disponibilità una regolamentazione di tipo tecnico che proviene da organismi terzi e di natura privata diversi dal soggetto pubblico[16], legittimati alla produzione di regole sulla base del principio di sussidiarietà e di autonomia, in grado di esprimere interessi degli aderenti; le due ipotesi sono inoltre accomunate da esigenze affini come quella di bilanciare la tutela degli acquirenti/utilizzatori/praticanti con la promozione di attività, che sebbene rischiose, hanno un rilevante valore sociale oltre che economico.
Il minimo comun denominatore è inoltre il rischio inteso nella sua vasta accezione del pericolo di un evento incerto e pregiudizievole che necessita schivare mediante norme di general prevenzione a tutela dell’incolumità individuale e collettiva.
In tal senso un’ ulteriore evoluzione normativa della responsabilità civile con l’introduzione di nuove figure speciali, che operino definitivamente un’opportuna distinzione tra attività sportive ufficiali fondate sul rispetto di regole codificate e note e/o accettate[17] ed attività amatoriali/occasionali/ufficiose da rimettere all’operatività della regola generale del 2043 c.c,, realizzerebbe una migliore perequazione dei rischi evitando che il costo sociale di attività lecite dannose ricada sempre sulla persona del danneggiato.
Vero è che la responsabilità del produttore risponde a criteri tendenzialmente oggettivi di imputazione, (il produttore è responsabile del danno da difetti del proprio prodotto recita l’art. 120 del Codice del consumo ispirandosi in maniera forte ad un principio di responsabilità se non oggettiva comunque presunta temperato dalle cause tassative di esclusione della responsabilità che il produttore deve provare e dall’onere a carico del danneggiato di provare il difetto[18]) ; mentre nel caso delle attività sportive trovando l’eventuale illecito fonte prevalentemente se non addirittura esclusivamente in particolari condotte umane che si risolvono in comportamenti spiccatamente personali e perciò, (almeno in alcune occasioni, come quelle degli sport praticati nell’ambito di una manifestazione ufficiale), più umanamente controllabili-i cosiddetti gesti atletici- il meccanismo di imputazione soggettiva fondato su una diligenza qualificata[19] sarebbe idoneo ad orientare il giudizio di colpevolezza su un piano più soggettivo e sicuramente più distante dal modello di responsabilità indiretta o per fatto altrui[20].
A dispetto delle preannunciate crisi dell’istituto e delle critiche al ruolo di supplenza che lo stesso è chiamato a svolgere, la responsabilità civile intesa come disciplina nell’ambito della più vasta materia dell’ordinamento civile, di competenza statale riservata sia pure da ultimo secondo un criterio di prevalenza[21], è inesorabilmente destinata ad esercitare un ruolo vitale e cruciale nella ricerca di quel punto di equilibrio tra ordinamento generale e ordinamento sportivo e nell’ambito di una delicata un’operazione di composizione e di bilanciamento di interessi diversi e concorrenti.
[1] La dottrina in ambito giuridico propone, un duplice approccio ricostruttivo: il primo definitorio formale, che fa leva non tanto sull’analisi della natura dell’attività praticata, quanto sulla qualità soggettiva del praticante, da identificarsi con l’appartenenza istituzionale ad un sistema organizzato preposto alla gestione delle discipline sportive, ivi comprese le manifestazioni sportive e le gare, vale a dire all’ordinamento sportivo, appartenenza la quale si acquista con l’atto formale di tesseramento sportivo. Conseguentemente, in questa prospettiva, si intende per sport l’attività praticata dal tesserato all’ordinamento sportivo in base ad un sistema di regole che ne disciplina le modalità di svolgimento in vista della partecipazione alle competizioni; lasciandosi fuori quelle attività che non si inseriscono in questo contesto testè delineato, non mirando a conseguire un risultato e quindi a formare una graduatoria stabile come quelle poste in essere in solitario, sfornite dello scopo competitivo. Si indentifica, così, il concetto di sport con le attività preordinate allo svolgimento di competizioni formali istituzionalizzate, che fanno capo ad una complessa organizzazione che si articola in un sistema di enti, individui, norme organi. Se volessimo esemplificare si potrebbe dire che c’è un’equazione sport- istituzione- agonismo. L’ altro approccio, pur preferendo ricavare la definizione di sport dal basso, indagando, cioè, la natura giuridica dell’attività posta in essere in base ad un criterio sostanziale, ed osservando in tale direzione che non è possibile aprioristicamente identificare le discipline sportive con gli sport regolamentati all’interno dell’ordinamento sportivo, poiché, “l’atto di riconoscimento a fini sportivi da parte del CONI riveste carattere costitutivo soltanto nei riguardi dell’associazione che rappresenta una specifica disciplina sportiva, in quanto attribuisce ad esso la natura di Federazione sportiva ovvero di disciplina sportiva associata con la conseguente applicazione delle relative norme statutarie, ma non già anche nei riguardi dell’attività sportiva in sé e per sé considerata, per la quale tale atto d i riconoscimento ha efficacia meramente dichiarativa”.
[2] Secondo T. Perseo, “L’attività sportiva è l’attività, praticata da chiunque non ne sia escluso per ragioni di età, di sesso e d’idoneità fisica, appartenente o no ad una federazione sportiva, che ha per oggetto l’esercizio di sport ufficialmente riconosciuti dall’ordinamento sportivo; attività non necessitata (che, peraltro, può essere esercitata anche in via esclusiva e con remunerazione) e ricreativa, ma non determinata da intenti vacui, caratteristiche che la differenziano dal lavoro e dal giuoco; attività la cui essenza sta in ogni caso in un dispendio di energie fisiche, accompagnato da tensione nervosa, che si manifesta o in esercizi atletici o in un giuoco fisico o in prova di abilità nell’uso di attrezzi o strumenti o nella guida di veicoli o animali; attività che si pone in essere, previa accurata preparazione – costituente parte integrante di essa – sotto la guida di istruttori o di allenatori e col controllo sanitario e che esprime con lealtà e con intenti seri, particolarmente al fine agonistico di primeggiare su antagonisti (che non siano nettamente inferiori per potenzialità fisica e capacità tecnica) nel corso di una competizione individuale o a squadre, da svolgersi, di regola, sotto la direzione e vigilanza di arbitri o giudici di gara, entro tempi e spazi definiti e secondo date regole; attività che, in vista del fine agonistico da cui è espressa, mette alla prova il vigore fisico, la perseveranza, la resistenza alla fatica e la forza volitiva e morale di chi la pratica ed esige, per ciò stesso, un impegno ad alto livello”.
[3] Peraltro, la difficoltà di distinguere tra agonismo ed amatorialità, laddove il primo si volesse ritenere il tratto saliente e quindi il proprium dello sport in senso stretto e tecnico, sorge non solo in riferimento a contesti amicali, ma, altresì, vieppiù ove si metta in atto un gioco che di per sé non riconducibile ad uno sport per dir così ufficiale, (il gioco del rubabandiera) cioè che non sia riconosciuto e quindi non altrettanto ufficialmente governato da apposite regole tecniche, ma che rappresenti comunque nel caso concreto, una competizione mirante a stabilire, sia pure occasionalmente, un vincitore.
[4] Come noto, in termini di hard law manca una definizione del concetto di sport, sebbene si faccia riferimento ben consapevoli dello scarso valore impegnativo della relativa previsione alla Carta di Rodi adottata dal Consiglio d’Europa, nell’ambito della Conferenza dei Ministri europei dello sport del 1992; a tenore della quale si intende per sport “sport” qualsiasi forma di attività fisica che, attraverso una partecipazione organizzata o non, abbia per obiettivo l’espressione o il miglioramento della condizione fisica e psichica, lo sviluppo delle relazioni sociali o l’ottenimento di risultati in competizioni di tutti i livelli.
[5]Si tratta di Tribunale di Perugia 11 gennaio 2018, reperibile in www.rivistadirittosportivo.coni.it.
[6] La specifica domanda del ciclista attore in prime cure poggiava sulla necessità di farsi liquidare i danni coperti a suo dire da una polizza assicurativa da lui stipulata e destinata a coprire i danni che fossero intervenuti, “durante lo svolgimento delle attività familiari, della vita di relazione e del tempo libero nonché di ogni altra attività che non abbia carattere professionale”. Il danneggiato, invocato il carattere non ufficiale, bensì amatoriale della competizione, si vedeva opporre la contestazione della compagnia assicuratrice la quale opponeva la diversa clausola della polizza che invece escludeva la copertura degli infortuni determinati dalla “partecipazione a gare o corse… organizzate dalle relative federazioni o enti sportivi similari o patrocinate dagli stessi”, con la sola eccezione delle gare aziendali o interaziendali.
[7] Cass. 13 luglio 2011 n. 153940, in giustiziasportiva.it, 2011, 2, 44 ss.
[8] Alla luce di quanto sopra appare quanto meno singolare che nonostante l’entrata in vigore della legge 86 del 2019 di riforma dell’ordinamento sportivo, penda un parallelo disegno di legge il DDL n.999 che prevede all’art. 2 di definire e distinguere la pratica sportiva dall'attività motoria, prevedendo la prima come attività strutturata sulla competizione e tesa alla misurazione del risultato, mentre la seconda come attività orientata prevalentemente alla prevenzione e alla tutela della salute e del benessere della persona; mentre all’art. 3 ai fini della qualificazione dei soggetti che praticano le attività sportive, indichi i seguenti criteri direttivi: suddivisione delle attività sportive in tre categorie: professionismo, semiprofessionismo e dilettantismo; quale esercizio di pratica sportiva svolta attraverso associazioni e polisportive senza scopo di lucro.
[9] Vedi pure G. Napolitano, Sintesi, cit., secondo il quale “Da questo punto di vista, il Trattato di Lisbona è destinato a costituire un atto fondamentale nella storia dello sport europeo: per la prima volta, si afferma la specificità dello sport e si riconosce una sfera di autonomia delle istituzioni sportive protetta dal principio di sussidiarietà. Il radicamento dello sport nel nuovo Trattato dell’Unione Europea rende ancora più importante il riferimento all’autonomia dello sport nei sistemi giuridici dei Paesi Membri”.
[10] Il riferimento è al diritto alla salute ed all’integrità psicofisica in relazione al quale la teoria dell’accettazione del rischio sportivo necessariamente incontra il limite dell’indisponibilità come si ricava dall’art 5 c.c. La questione si inserisce nella più ampia problematica dei diritti sul corpo su cui si rimanda a G. Cricenti, I diritti sul corpo, Jovene, Napoli 2008, in particolare 165 ss.
[11] M. Mancini, Il riparto, cit.,1087, il quale in relazione alle differenze tra gli sport «agonistici-ufficiali» di maggiore diffusione, da un lato, e gli sport «non agonistici», praticati per finalità meramente ludico-ricreative, dall’altro, ha osservato che i primi “con tutto il corollario di implicazioni economiche e spettacolari che si portano appresso, estendono sempre di più la propria sfera di azione da una dimensione meramente nazionale-locale ad una sovranazionale-globale, per cui necessitano ancor più di prima di una disciplina e di una regolamentazione uniformi che non possono che provenire dalle istituzioni centrali o addirittura sovranazionali. Le seconde, invece, destinate al contrario a svilupparsi in ambiti sempre più ristretti e definiti, abbisognano di discipline e regolamentazioni «locali» che siano in grado di raccogliere con immediatezza le istanze provenienti dalle comunità territoriali di riferimento e di fornire loro risposte rapide, efficaci e soprattutto modulate in base alle diverse necessità”.
[12] Il legislatore ha affidato al C.O.N.I. la funzione di “unico certificatore della effettiva attività sportiva svolta dalle società e dalle associazioni sportive dilettantistiche” (art. 7 del D.L. n. 136/2004, conv. da L. n. 186/2004). Il Registro è lo strumento che il Consiglio Nazionale del CONI ha istituito per confermare definitivamente "il riconoscimento ai fini sportivi" alle associazioni/società sportive dilettantistiche, già affiliate alle Federazioni Sportive Nazionali, alle Discipline Sportive Associate ed agli Enti di Promozione Sportiva. L’iscrizione a detto registro è consentita solo in relazione alla pratica di quelle discipline sportive formalmente riconosciute dal Coni ed inserite in un apposito elenco, periodicamente aggiornato a norma di quanto prevede lo statuto del CONI.
[13] G. Alpa, La responsabilità, cit., 162 e 163, a proposito della cosiddetta colpa soggettiva del minorato e del maggiorato.
[14] Se il consenso all’offesa non può essere di per sé atto di autonomia meritevole di tutela ex art. 1322 c.c., a meno di non voler riaffermare il dogma della volontà, (P. Perlingieri, Il diritto civile, cit., 379), parimenti il giudizio di colpevolezza si allontana dalla concezione della colpa come stato d’animo soggettivo e nesso psicologico tar autore, fatto e evento dannoso.
[15] La giurisprudenza ha assicurato una forma di tutela aquiliana al danneggiato da prodotto difettoso, ricorrendo ora alla clausola generale di cui all’art. 2043 c.c., ora alla norma dell’art. 2050 c.c. in tema di attività pericolosa, peraltro relegando in subordine lo strumento della responsabilità contrattuale, per sua natura esperibile solo da una parte del contratto nei confronti dell’altra delle parti del contratto, cioè a scapito del solo venditore e non del produttore. E. Al Murden, La sicurezza dei prodotti e la responsabilità del produttore. Casi e materiali, Giuffrè, Milano, 2017; L. Cabella Pisu, La responsabilità del produttore, in Il diritto dei consumi, a cura di Perlingieri e Caterini, III, Rende, Edizioni Scientifiche Calabresi, 2007, 437-461; G. Ponzanelli, Responsabilità del produttore, in Riv. dir. civ., 2000,2, 913 ss.; G. Alpa -M. Bessone, La responsabilità del produttore, Giuffrè, Milano 1999; A. De Berardinis, La responsabilità del produttore, in G. Alpa (a cura di), I precedenti. La formazione giurisprudenziale del diritto civile, II, Torino 2000, 1193 ss.; A. Stoppa, Responsabilità del produttore, (voce), Digesto disc. priv. (sez. civ.), XVII, Utet, Torino 1998, 119 ss.; R. Pardolesi, La responsabilità per danno da prodotti difettosi, in Nuove leggi civ. comm., 1989, 487 ss.; G. Alpa, L’attuazione della direttiva nei paesi della CEE, a cura di Alpa, Bin, Cendon, XIII, in Tratt. dir. comm. e dir. pubbl. econ. diretto da Galgano, XIII, Padova, 1989; M. Confortini, Posizioni della dottrina e della giurisprudenza italiane sul tema della responsabilità civile del produttore per la messa in commercio di prodotti (difettosi e) dannosi, in Resp. civ. prev., 1977, 544 ss.
[16] E. Bellisario, Certificazioni di qualità e responsabilità civile, Giuffrè, Milano, 2012.
[17] Si ricorda anche la bozza del decreto legislativo non ancora approvata emanando in attuazione della legge delega n. 86/2019 reca una definizione di sport come qualsiasi forma di attività fisica fondata sul rispetto di regole codificate che, attraverso una partecipazione organizzata o non, ha per obiettivo l’espressione o il miglioramento della condizione fisica e psichica, lo sviluppo delle relazioni sociali o l’ottenimento di risultati in competizioni di tutti i livelli.
[18] A. Trabucchi, Istituzioni di diritto civile, Cedam, Milano, 2019, 1336, il quale rileva che essendo problematica la prova del difetto, la giurisprudenza di merito ha fatto larga applicazione dello strumento presuntivo, ritenendo dimostrato il difetto sulla basse del nesso eziologico tra danno e prodotto, mentre la Suprema Corte richiede la prova del danno con maggior rigore, da offrirsi in concreto da parte del consumatore e non semplicemente allegando il fatto del danno connesso all’utilizzazione del prodotto stesso. Da ultimo peraltro la Suprema Corte ha escluso che la responsabilità del produttore abbia natura oggettiva statuendo nel senso che “la responsabilità da prodotto difettoso ha natura presunta, e non oggettiva, poiché prescinde dall'accertamento della colpevolezza del produttore, ma non anche dalla dimostrazione dell'esistenza di un difetto del prodotto. Incombe, pertanto, sul soggetto danneggiato - ai sensi dell'art. 120 del d.lgs. n. 206 del 2005 (cd. codice del consumo), come già previsto dall'8 del d.P.R. n. 224 del 1988 - la prova del collegamento causale non già tra prodotto e danno, bensì tra difetto e danno e, una volta fornita tale prova, incombe sul produttore - a norma dell'art. 118 dello stesso codice - la corrispondente prova liberatoria, consistente nella dimostrazione che il difetto non esisteva nel momento in cui il prodotto veniva posto in circolazione, o che all'epoca non era riconoscibile in base allo stato delle conoscenze tecnico-scientifiche”. Si tratta di Cass. 20 novembre 2018 n. 29828, Pres. Travaglino (cfr. Cass. 29 maggio 2013 n. 13458 in Corr. giur., 2014, 1, 31 ss. con nota di L. De Benedetto, Legittimazione ad agire, oneri probatori del danneggiato, conferme e richiami della Suprema Corte in materia di responsabilità da prodotto difettoso).
[19] G. Alpa, La Responsabilità, cit., 156.
[20] Rileva la dottrina che dagli orientamenti della giurisprudenza si evincerebbe la tendenza a considerare la responsabilità del produttore come responsabilità presunta e non oggettiva; ciò in quanto non ritenendosi sufficiente la prova del nesso causale tra danno e prodotto non è sufficiente a trasferire sul produttore l’onere di dimostrare l’assenza di difetti; in tal senso la valorizzazione dell’esigibilità dello standard di sicurezza e delle condizioni d’uso rivaluterebbe il profilo della colpa. Si osserva tuttavia come non siano mancate pronunce di merito (v.Trib. Trento 3 maggio 2012) con cui si è statuito che la responsabilità ha natura oggettiva, in quanto sussistente anche nelle ipotesi in cui egli non abbia colpe dirette, qualora in fase di produzione non abbia agito né in maniera dolosa né in maniera colposa e dunque per il solo fatto di creare una situazione di pericolo, quale può essere la commercializzazione di un prodotto difettoso. V. E. Al Murden, La sicurezza, cit., 189.
[21] F. Benelli, Materie statali e materie regionali: ambiti, tipi e relazioni, in Le Regioni, 2011, 2-3, 251 ss.; Id.,I criteri di allocazione delle competenze nella giurisprudenza costituzionale dopo la riforma del titolo V della Costituzione, in Le Istituzioni del federalismo, 2007, 1, 11 ss.