Il “tormentoso rompicapo” del dies a quo della prescrizione rappresenta una tra le più controverse e rilevanti questioni che connotano l’istituto della prescrizione; infatti, il legame necessario tra la sussistenza del diritto ed il trascorrere del tempo finisce per essere gravemente pregiudicato qualora sussista incertezza circa la data di inizio della decorrenza del termine, riflettendosi tale incertezza inevitabilmente sulla funzione stessa dell’istituto, che, di fatto, ne può risultare in taluni casi compromessa. Il tema, ampiamente studiato nelle sue linee generali con riferimento agli artt. 2935 e 2947 c.c., si è peculiarmente riproposto, a fare data dal 2006, con riferimento al contratto di assicurazione sulla vita all’esito di una serie di provvedimenti legislativi che hanno variamente inciso sul termine di prescrizione dei diritti dei beneficiari alla liquidazione delle polizze, onerando nel contempo le Compagnie a devolvere al “Fondo per l’indennizzo dei risparmiatori vittime di frodi finanziarie” gli importi dovuti se non reclamati entro il termine di prescrizione.
The “tormenting puzzle” of the dies a quo of the prescription represents one of the most controversial and relevant issues that characterize the institution of the prescription; in fact, the necessary link between the existence of the law and the passage of time ends up being seriously affected if there is uncertainty about the starting date of the term, this uncertainty inevitably reflecting on the very function of the institution, which, in fact, it can be compromised in some cases. The theme, extensively studied in its general lines with reference to arts. 2935 and 2947 of the Italian Civil Code, with reference to the life insurance contract as of 2006, it was specifically proposed again as a result of a series of legislative measures that have variously affected the limitation period of the beneficiaries' rights to liquidate policies, at the same time charging the Companies to donate to the "Fund for the compensation of savers victims of financial fraud" the amounts due if not claimed within the limitation period.
Keywords: Prescription – dies a quo – life insurace.
Articoli Correlati: prescrizione - assicurazione vita - dies a quo
1. Il “tormentoso rompicapo” del dies a quo della prescrizione: considerazioni introduttive - 2. Segue. Brevi cenni dell’evoluzione interpretativa delle Corti - 3. Il dies a quo della prescrizione nell’assicurazione sulla vita - 4. Segue. Cronaca di un “guazzabuglio” legislativo - 5. Segue. La mutata prassi assicurativa, le motivazioni del contenzioso e l’orientamento della giurisprudenza - 6. La ratio della prescrizione breve di cui all’art. 2952, comma 2, cod. civ., ante-riforma - 7. Il ruolo centrale dell’interesse del debitore nella prescrizione (breve e non) e i censurabili approdi di taluna giurisprudenza - 8. Rilievi conclusivi - NOTE
Nella recensione di Brunetto Carpino – edita nel 1973 [1] – al volume di Alberto Auricchio – “Appunti sulla prescrizione” – edito nel 1971 [2], “si discorreva della prescrizione come di un istituto che sembrava aver ricevuto una sistemazione soddisfacente, se non addirittura definitiva”, si ricordava, altresì, che tale giudizio era condiviso anche al di fuori della cerchia degli studiosi del diritto civile.
Quanto tali convinzioni potessero dirsi poco profetiche [3] lo ha dimostrato la successiva evoluzione giurisprudenziale ed il dibattito della dottrina, sviluppatosi su molteplici aspetti dell’istituto, rispetto al quale, può ben dirsi, che le incertezze, a tutt’oggi, sono l’unica vera certezza.
E ciò, in particolare, si riscontra sulla questione, storicamente centrale dell’istituto, del cd. exordium praescriptionis, ossia della determinazione del dies a quo dal quale inizia a decorrere il termine entro il quale si compie la prescrizione.
È proprio a tal riguardo, infatti, che può affermarsi senz’altro che il “tormentoso rompicapo della prescrizione” [4] è tema ancora irrisolto, quanto meno nel nostro ordinamento, che, da un lato, in argomento, prospetta l’affermarsi di un diritto vivente, che in maniera fin troppo disinvolta e non sempre appieno consapevole delle conseguenze, spesso abnormi per il debitore, lega il dies a quo della decorrenza del termine a parametri talvolta eccessivamente incerti ed in talune ipotesi del tutto irragionevoli, dall’altra registra, a differenza di altri sistemi giuridici [5], l’assenza di interventi legislativi, volti a risistemare la materia, restituendo, così, all’istituto quella fisiologica e prioritaria funzione che è tradizionalmente destinato a svolgere, di presidio della certezza del diritto e dell’ordine sociale. Funzione sul cui “altare” ben si giustifica quello che Carnelutti [6], con la consueta efficacia, descrisse come “una specie di miracolo per cui il diritto diventa non diritto e viceversa. Per essa, soprattutto, si rende manifesto che anche il diritto, come un essere vivente, nasce e muore”.
Con questa iconica descrizione Francesco Carnelutti metteva efficacemente in evidenza il legame necessario tra la sussistenza (nascita e morte [7]) del diritto ed il trascorrere del tempo; ed è evidente che tale legame finisca per essere gravemente pregiudicato qualora sussista incertezza del dies a quo della decorrenza del termine, riflettendosi tale incertezza inevitabilmente sulla funzione stessa dell’istituto, che, di fatto, ne risulta annichilita ed in taluni casi compromessa.
È in quest’ottica e tenendo conto di quanto innanzi che, durante i lavori preparatori del code civil, fu espresso il giudizio secondo cui “de toutes les institutions, la prescription est la plus nécessaire à l’ordre social” e, il nostro legislatore, sanando una lacuna testuale del codice del 1865, si preoccupò di prevedere, nel vigente codice civile, tra le disposizioni generali in tema di prescrizione, che essa, per l’illecito da responsabilità contrattuale, “comincia a decorrere dal momento in cui il diritto può essere fatto valere” (art. 2935 cod. civ.) e, nel contempo, il successivo art. 2947 cod. civ., nell’introdurre la disciplina speciale delle “prescrizioni brevi”, sancì, per l’illecito aquiliano, che il “diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito si prescrive in cinque anni dal giorno in cui il fatto si è verificato”.
Il dettato delle due norme non è affatto coincidente, sebbene, nell’interpretazione specie di matrice giurisprudenziale, la seconda è stata letta in continuità con la prima, il che, a mio parere, appare discutibile e non appieno giustificato dal dato letterale; ed infatti, se si può concordare con il giudizio espresso nel 2008 dalle sezioni unite della Cassazione [8], laddove, per l’illecito contrattuale, rimarcano che l’individuazione del dies a quo (o exordium praescriptionis) nel codice civile è affidata “ad indicazioni piuttosto scarne e molto generiche”, rinvenibili esclusivamente nell’art. 2935 cod. civ., norma che, legando l’exordium alla possibilità di far valere il diritto, si presta “a molteplici e contrapposte interpretazioni”, viceversa la regola dettata per l’illecito aquiliano lascia un ben minore spazio interpretativo, allorché testualmente fa decorrere espressamente l’exordium “dal giorno in cui il fatto si è verificato” [9].
Espressione fin troppo chiara salvo il dover intendere il termine “fatto” quale equipollente del termine “danno”, nell’ipotesi in cui non vi sia coincidenza cronologica tra il comportamento illecito ed il verificarsi del danno [10].
Benché non possa essere questa la sede per ripercorrere, neppure nelle grandi linee, i termini del complesso dibattito, svoltosi in circa 80 anni, sul dettato dell’art. 2935 cod. civ., sembra utile, con riferimento al tema più circoscritto che qui si affronta del dies a quo della prescrizione nel contratto di assicurazione sulla vita, ricordare le motivazioni che furono espresse nella relazione al codice civile a sostegno dell’allora neonata disposizione.
Ebbene, nella relazione del Ministro Guardasigilli al codice civile, si legge che la finalità della norma è quella di colmare una lacuna circa il momento iniziale della decorrenza della prescrizione, e perciò l’articolo in questione “dà formulazione legislativa al principio che la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”, con la significativa precisazione che “l’espressione deve essere intesa con riferimento alla possibilità legale, non influendo sul decorso della prescrizione, salve le eccezioni stabilite dalla legge, l’impossibilità di fatto di agire in cui venga a trovarsi il titolare del diritto”.
In coerente rispondenza a tale orientamento interpretativo, nella successiva giurisprudenza, tanto di merito quanto di legittimità, si andò così affermando la massima secondo la quale l’espressione “la prescrizione comincia a decorrere dal momento in cui il diritto può essere fatto valere” doveva essere intesa nel senso restrittivo volta a circoscrivere alle sole cause giuridiche impeditive dell’esercizio del diritto il decorso e non già ai semplici ostacoli di fatto che può incontrare il suo titolare.
L’interpretazione tradizionale tendeva, così, a conformare il sistema della prescrizione a favore dei convenuti, e, perciò, il dies a quo veniva “concepito come coincidente con il momento della verificazione dell’evento dannoso”.
In altri termini si tendeva ad interpretare la locuzione di cui all’art. 2935 cod. civ. quale riferimento alla possibilità legale di esercitare il diritto, con la conseguenza che non si ritenevano rilevanti limiti fattuali alla decorrenza dei termini di prescrizione, ma solo impedimenti legali circoscritti, in linea di principio, alla soggezione del diritto in questione ad una condizione sospensiva ovvero ad un termine iniziale [11].
Tuttavia, com’è noto, tale orientamento fu criticato “soprattutto nel campo del danno alla persona”, e, in particolare, dopo l’ingresso dirompente, nel diritto vivente, del danno biologico, affermatosi con particolare riferimento ai cd. danni lungo latenti. Con ciò riferendosi a quei danni rispetto i quali il momento di inflizione della lesione, ossia il danno, generalmente non coincide con il momento della percezione di esso da parte del danneggiato.
La svolta in materia, da parte della giurisprudenza, è stata segnata, infatti, dal già citato arresto delle Sezioni Unite, con la sentenza n. 576 del 2008, che hanno risolto il contrasto sorto in tema di individuazione del dies a quo applicando i criteri della conoscibilità del danno e della rapportabilità causale.
Si giunse perciò a spostare il dies a quo dal verificarsi del “fatto”, o, meglio, del “danno” all’esteriorizzazione del “danno”, ovvero al momento della sua conoscibilità.
È, tuttavia, singolare che tale percorso interpretativo si sia affermato con riferimento ad una fattispecie qualificata come illecito aquiliano, dunque rientrante nella previsione di cui all’art. 2947 cod. civ., benché letta in continuità con l’art. 2935 cod. civ.
Alla stregua di tale impostazione il disposto, contenuto nell’art. 2935 cod. civ., secondo cui la prescrizione “comincia a decorrere dal momento in cui il diritto può essere fatto valere”, andrebbe correttamente interpretato nel senso che l’assenza di consapevolezza da parte del danneggiato dell’esistenza del diritto è da considerarsi come fatto impeditivo del decorso della prescrizione, dies a quo che, pertanto, va spostato in avanti rispetto al fatto causativo del danno, od anche all’insorgere di esso, e precisamente individuato nel momento in cui il danno si manifesta come oggettivamente percepibile e riconoscibile, anche in relazione alla sua rilevanza giuridica, seguendo appunto il criterio della conoscibilità oggettiva.
A tale criterio, inoltre, ne andava aggiunto un secondo: cd. della rapportabilità causale. Ossia della riferibilità, in termini di causa ed effetto, anche alla luce del criterio “del più probabile che non”, della lesione conosciuta ad una determinata condotta.
In più di un arresto giurisprudenziale si legge che tale criterio, di precipuo interesse in tema di risarcimento dei cd. danni stocastici, deve essere condotto in via prognostica ed in astratto, occorrendo valutare se, al momento di conoscenza della lesione, visto lo stato dell’arte della scienza medica, il danneggiato, impiegando l’ordinaria diligenza, avrebbe potuto riconoscere la relazione causale tra una data condotta e la lesione da lui riconosciuta.
Esempio tristemente noto al riguardo si è realizzato con il contenzioso ingenerato a seguito della patologia del contagio da Hiv, ove non solo la manifestazione del danno si presentava in epoca molto successiva rispetto al fatto ma, altresì, per anni, vi è stata grande incertezza circa il nesso causale [12].
L’attuale emergenza COVID e le scarse conoscenze in ordine agli eventuali effetti collaterali, a lungo termine, dei vaccini impiegati potrebbero in un prossimo futuro rappresentare un nuovo esempio in materia, riprospettando analoghe problematiche interpretative.
L’orientamento di cui innanzi, ove è palese lo spostamento della chiave interpretativa in favore del soggetto creditore, ha attecchito pure nell’ampia casistica della responsabilità civile professionale, questa volta certamente collocabile nell’ambito della responsabilità contrattuale.
E così, il ragionamento di cui innanzi è stato, nella sostanza, replicato, nel presupposto, invero in taluni casi perlomeno dubbio, che, pure in molteplici ipotesi di responsabilità professionale, anche al di fuori del campo medico-sanitario, possa ricorrere un danno cd. lungo latente e, dunque, sussista o possa sussistere uno iato temporale, anche molto rilevante, tra il momento in cui il danno si è prodotto, peraltro non sempre, rectius quasi mai, coincidente con il fatto (inadempimento od errato adempimento della prestazione professionale), che ne è causa, e la maturata consapevolezza da parte del danneggiato dell’esistenza del diritto al risarcimento ma, anche, della rapportabilità causale del danno all’inadempimento della prestazione professionale.
Tale duplice carenza è, perciò, considerata, in più di un arresto della giurisprudenza, come fatto impeditivo del decorso della prescrizione [13].
Il tema controverso del dies a quo del decorso della prescrizione, come sopra del tutto sommariamente accennato, è oggetto di un dibattitto ciclicamente ricorrente, non sempre legato al dato positivo e non scevro da prese di posizione ideologiche, probabilmente giustificabili in ragione dell’esigenza di una risistemazione della materia, peraltro, come già detto, avvenuta in sistemi giuridici vicini al nostro, per cultura e tradizione.
Tuttavia, si rileva che se il tema è stato ampiamente studiato nelle sue linee generali con riferimento alle citate norme del codice civile, non ha, invece, riscosso la necessaria attenzione con riferimento alla specifica disciplina dettata, per il contratto di assicurazione, dall’art. 2952 cod. civ.
Ed invero, se può affermarsi che la norma non ha posto insormontabili problemi interpretativi con riferimento al primo comma di detto articolo, laddove stabilisce che “Il diritto al pagamento delle rate di premio si prescrive in un anno dalle singole scadenze”, viceversa ha visto il proliferare, negli ultimi quindici anni, di un rilevante contenzioso con riferimento all’individuazione del dies a quo della prescrizione in relazione al disposto del II comma concernente gli “altri diritti derivanti dal contratto di assicurazione”.
Disposizione quest’ultima che nel prevedere, nella sua formulazione originaria, il termine brevissimo di un anno per tutti “gli altri diritti” derivanti dal contratto di assicurazione, è stata oggetto, a partire dal 2008, di due interventi riformatori incidenti proprio sul termine di prescrizione, discriminando, infine, tra “gli altri diritti” quelli derivanti dalla liquidazione delle polizze vita.
Ed infatti, il termine in questione è stato, in un primo momento, elevato a due anni dall’art. 3, comma 2 ter, d.l. 28 agosto 2008, n. 134, conv. in l. 27 ottobre 2008, n. 166, per tutti gli “altri diritti” derivanti dal contratto di assicurazione, e, poi, portato a dieci anni (con d.l. 18 ottobre 2012, n. 179) per i soli diritti, al pagamento del capitale o della rendita, derivanti dal contratto di assicurazione sulla vita.
E così, il legislatore recependo le indicazioni della dottrina circa “l’inadeguatezza del termine breve in relazione ai contratti assicurativi connotati da funzione previdenziale” [14] ha opportunamente discriminato il tempo della prescrizione dei diritti derivanti dall’assicurazione sulla vita da quello concernente “gli altri diritti” derivanti dal contratto di assicurazione.
Detto significativo intervento riformatore, come è stato sottolineato [15], è stato adottato tenendo conto che la estrema brevità del termine prescrizionale, relativo, peraltro, a diritti volti a soddisfare una finalità previdenziale [16], ha determinato un grave noncumento per i beneficiari delle polizze vita per il mancato esercizio, nell’angusto termine prescrizionale, dei diritti derivanti da esse, solitamente per la mancata conoscenza dell’esistenza stessa della polizza o della circostanza dell’avvenuta designazione quali beneficiari dei relativi diritti alla liquidazione, in tempo utile per evitare la prescrizione.
Tale progressivo allungamento del termine di prescrizione, da un primigenio tempo brevissimo fino a quello attualmente fissato in maniera conforme al tempo di prescrizione ordinaria in materia di obbligazioni, avvenuto, peraltro, senza decontestualizzare la prescrizione dei diritti derivanti dall’assicurazione sulla vita dal capo 2 della sezione IV del libro VI del codice, riferito alle cd. “prescrizioni brevi”, ma non ha impedito, però, il proliferare, in ragione dell’accavallarsi di una serie di improvvide norme speciali sui cd. “conti dormienti”, di un copioso contenzioso relativamente ai contratti di assicurazione sulla vita, segnatamente nell’assicurazione in caso di morte dell’assicurato.
Fattispecie nella quale possono, in concreto, per quanto interessa ai fini di queste riflessioni, ricorrere due ipotesi ove, con maggiore probabilità, può innescarsi un contenzioso tra le Compagnie di assicurazione ed il beneficiario: la prima, in cui l’assicurato premuoia rispetto alla scadenza del termine fissato nella polizza e gli eredi dell’assicurato rinvengano la polizza molto successivamente rispetto alla data del decesso; la seconda, più frequente, in cui il contratto preveda che il contraente assicurato possa designare un terzo quale beneficiario del diritto alla liquidazione della polizza. Designazione che, com’è noto, a norma dell’art. 1920 cod. civ., può essere fatta nel contratto di assicurazione, o con successiva dichiarazione scritta comunicata all’assicuratore, o, come più spesso accade, per testamento.
In tale ultima ipotesi va considerato da un lato che, per effetto della designazione, come sopra effettuata, “il terzo acquista un diritto proprio ai vantaggi dell’assicurazione”, dall’altro che se la designazione è contenuta in un testamento olografo potrebbe, in pratica, decorrere un rilevante lasso temporale tra il rinvenimento o, comunque, la conoscenza da parte del terzo beneficiario e l’evento morte dal quale sorge il diritto alla liquidazione della polizza.
Così individuato il quadro codicistico di riferimento e la “china scivolosa” di applicazione di esso, la questione, come si diceva, ha acquisito particolare rilievo in ragione di un accavallarsi di norme speciali emanate a fare data dal 2006, per le polizze vita stipulate anteriormente al 2012, anno in cui, il testo del II^ comma dell’art. 2952 cod. civ. è stato finalmente riformato con la fissazione in dieci anni del termine di prescrizione dei diritti derivanti da tali tipi di polizza.
Ed infatti, la legge finanziaria per l’anno 2006, 23 dicembre 2005, n. 266, all’art. 1, comma 343, istituiva un Fondo per l’indennizzo dei risparmiatori vittime di frodi finanziarie alimentato “dall’importo dei conti correnti e dei rapporti bancari definiti come dormienti all’interno del sistema bancario nonché del comparto assicurativo e finanziario”.
Successivamente, come si fatto cenno, con il d.l. n. 134/2008, convertito nella l. n. 166/2008, veniva modificato il testo dell’art. 2952 cod. civ. elevando il termine di prescrizione degli “altri diritti” derivanti dal contratto di assicurazione a due anni “dal giorno in cui si è verificato il fatto su cui il diritto si fonda” ma, nel contempo, con la medesima disposizione di legge, si imponeva agli operatori, e, quindi, alle Compagnie di assicurazioni, la devoluzione al “Fondo per l’indennizzo dei risparmiatori vittime di frodi finanziarie”, istituito presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze (c.d. MEF), degli importi dovuti ai beneficiari di polizze assicurative, non reclamati entro il nuovo termine di prescrizione di cui all’art. 2952 cod. civ.
Segnatamente il Decreto aggiungeva alla disciplina dei rapporti definiti “dormienti” di cui alla menzionata legge finanziaria 2006, alcune specifiche previsioni anche in relazione ai contratti di assicurazione sulla vita; introduceva, infatti, il comma 345-quater, intitolato in Rubrica “Provvista del fondo: importi dovuti ai beneficiari dei contratti di assicurazione ramo vita non reclamati entro il termine di prescrizione del relativo diritto” che così recita: “Gli importi dovuti ai beneficiari dei contratti di cui all’articolo 2, comma 1, del codice delle assicurazioni private, di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, che non sono reclamati entro il termine di prescrizione del relativo diritto, sono devoluti al fondo di cui al comma 343 entro il 31 maggio dell’anno successivo a quello in cui scade il termine di prescrizione”.
Il Decreto inoltre precisava, con il comma 345-octies, che l’obbligo di devoluzione sussiste “anche con riferimento agli importi per i quali gli eventi che determinano la prescrizione del diritto dei beneficiari si siano verificati dopo il 1° gennaio 2006 e di cui siano venute a conoscenza successivamente alla data di entrata in vigore della presente disposizione”, prevedendo (comma 345-sexies) una serie di sanzioni amministrative a carico degli intermediari e quindi anche delle Compagnie assicurative per l’omessa comunicazione e devoluzione al Ministero dell’economia e delle finanze, degli importi di cui ai commi 345, 345-ter, 345-quater e quinquies.
Infine, il decreto legge 25 marzo 2010 n. 40 eliminava la retroattività della normativa, prevedendo di destinare al Fondo Depositi Dormienti tutte le prestazioni maturate a partire dal 28 ottobre 2007. Ancora successivamente il citato decreto legge del 18 ottobre 2012, n. 179 stabiliva, modificando nuovamente l’articolo 2952 del codice civile, che il termine per la prescrizione dei diritti derivanti dai contratti di assicurazione sulla vita è di 10 anni.
Tuttavia, con tale ultimo intervento normativo, il legislatore altresì stabiliva che risultano estinte per prescrizione tutte le prestazioni assicurative per le quali il relativo termine – biennale – è già maturato entro il 19 ottobre 2012, operando il nuovo termine decennale esclusivamente per il futuro.
In ragione di tale susseguirsi farraginoso di norme le Compagnie di assicurazione, che, anche per uniformarsi all’articolo 8 della circolare dell’ISVAP n. 403D del 30 giugno 2000 [17], avevano assunto la prassi consolidata di non eccepire la prescrizione breve, maturata in loro favore, laddove il beneficiario avesse reclamato la liquidazione della polizza tardivamente rispetto al termine di un anno/due anni dal decesso dell’assicurato, si sono trovate nella scomoda condizione di essere costrette, in ragione del mutato quadro normativo di riferimento e degli obblighi di devoluzione innanzi richiamati, ad eccepire la maturata prescrizione, o, in mancanza, di dover corrispondere due volte l’importo oggetto di liquidazione, al MEF ed ai beneficiari delle polizze.
E poiché tale duplice pagamento avrebbe rappresentato un costo insostenibile per le Assicurazioni, idoneo a compromettere anche la tenuta del comparto e, peraltro, pure difficilmente giustificabile in una corretta governance gestionale, le Compagnie hanno incominciato ad eccepire la prescrizione breve maturata, denegando, di conseguenza, la liquidazione della polizza in favore dei beneficiari che, tardivamente, ne reclamavano la liquidazione.
L’irrigidimento delle Assicurazioni, per le ragioni innanzi esposte, ha comportato l’incardinamento di una serie di contenziosi nei quali il tema dell’exordium praescriptionis è tornato, così, alla ribalta prepotentemente, giacché i beneficiari, quali eredi dell’assicurato deceduto ab intestato o quali terzi beneficiari della polizza designati nel testamento a norma dell’art. 1920 cod. civ., hanno reclamato il loro diritto alla liquidazione delle polizze, argomentando, a sostegno la mancata prescrizione del diritto fatto valere, dalla circostanza della mancata conoscenza di tale diritto maturato in loro favore avendo appreso dell’esistenza di esso solo con il rinvenimento della polizza o del testamento, avvenuti allorquando erano già trascorsi i due anni dalla morte dell’assicurato.
Si è riproposta così, anche nel campo assicurativo, la irrisolta e controversia problematica generale dell’incidenza o meno dell’elemento soggettivo, rappresentato dalla consapevolezza in capo al soggetto creditore del diritto vantato, sul dies a quo del decorso della prescrizione; tempo che andrebbe, quindi, conteggiato dall’acquisizione di tale soggettiva contezza e non già dall’elemento oggettivo, che, nell’assicurazione in caso di morte, è rappresentato dall’evento morte dell’assicurato, individuato, invece, dalle Compagnie, quale “giorno in cui si è verificato il fatto su cui il diritto si fonda”.
Nonostante qualche sporadica adesione manifestata a tali argomentazioni [18], deve tuttavia segnalarsi che esse hanno avuto uno scarso seguito in giurisprudenza, che, perlomeno in relazione alla questione in oggetto, sembra orientata a prediligere il criterio oggettivo in ordine alla fissazione del dies a quo della prescrizione.
E così si rileva, in più di una decisione, che il fatto su cui si fonda il diritto alla liquidazione della polizza non può coincidere con la circostanza o l’accadimento – assolutamente incerto e rimesso esclusivamente alla valutazione del creditore – in cui il soggetto legittimato ad esigere la liquidazione della polizza viene a scoprire l’esistenza di essa o della sua designazione quale terzo beneficiario contenuta nel testamento, ma, necessariamente, coincide con il verificarsi dell’evento preso in considerazione dal contratto di assicurazione ovvero, nel caso di specie, la morte dell’assicurato [19], prima della scadenza del termine prefissato nella polizza.
Ritenere diversamente, legando il decorso della prescrizione alla conoscenza che abbia avuto il soggetto beneficiario dell’esistenza della polizza in suo favore, significherebbe rimettere al suo arbitrio la scadenza del predetto termine, che il legislatore ha previsto per preservare la certezza dei rapporti giuridici [20].
È sulla scorta di tali argomentazioni che ritrovano, così, nella giurisprudenza che si è occupata delle segnalate controversie, consenso ed esplicito richiamo massime, non più recenti e ritenute in altri contesti in materia di prescrizione superate, secondo cui l’impossibilità di far valere il diritto, alla quale l’art. 2935 cod. civ. attribuisce rilevanza di fatto impeditivo della decorrenza della prescrizione, è solo quella che deriva da cause giuridiche che ostacolino l’esercizio del diritto e non comprende anche gli impedimenti soggettivi o gli ostacoli di mero fatto, per i quali il successivo art. 2941 cod. civ. prevede solo specifiche e tassative ipotesi di sospensione tra le quali, salvo l’ipotesi di dolo prevista dal n. 8 del citato articolo, non rientra l’ignoranza, da parte del titolare, del fatto generatore del suo diritto [21], né il dubbio soggettivo sulla esistenza di tale diritto ed il ritardo indotto dalla necessità del suo accertamento [22].
Si registra, così, nella materia assicurativa, una discontinuità con i più recenti arresti giurisprudenziali riguardanti il tempo del decorso della prescrizione in materia di responsabilità contrattuale ed aquiliana, che, come si diceva nell’introduzione di questo scritto, appaiono sempre più volti a legare l’exordium praescriptionis al dato, molto spesso del tutto incerto, della conoscibilità soggettiva del diritto da parte del soggetto creditore, discostandosi così in maniera netta da quanto enunciato nella già citata relazione del Ministro Guardasigilli al codice civile, nello spiegare le finalità dell’introduzione nel codice civile del disposto dell’art. 2935 cod. civ.
Preso atto di quanto sopra c’è da interrogarsi sulle ragioni di tale dicotomico orientamento, anche per comprendere se esso si giustifichi in ragione della scelta legislativa, a monte, di sottoporre determinati diritti ad un termine di prescrizione breve.
Ebbene, per i diritti derivanti in generale dal contratto di assicurazione la ratio di una durata particolarmente contenuta, anche raffrontandola con le prescrizioni brevi in altri campi, dei termini di prescrizione contenuti nel II comma dell’art. 2952 cod. civ. (prima della riforma relativa alla durata della prescrizione dei diritti derivanti dall’assicurazione sulla vita), è stata individuata nell’opportunità di un rapido accertamento delle circostanze a cui è collegata la prestazione assicurativa, nonché nelle esigenze organizzative e gestionali delle imprese assicurative [23], unitamente ad una considerazione di carattere generale che ravvisa nella previsione di un tempo breve del maturare della prescrizione il riflesso della finalità dell’istituto, accentuato nelle cd. prescrizioni brevi, di far conseguire certezza a determinati rapporti [24].
Tutte ragioni queste che vanno condivise e che possono senz’altro accreditarsi come fondate ed incompatibili con un decorso del termine legato a vicende soggettive del creditore, che, per di più, sarebbero ben difficilmente conciliabili con il favor debitoris che, soprattutto nelle prescrizioni brevi, ma non solo, ispira la disciplina in questione.
Ed infatti, non sempre è adeguatamente valutato, che è proprio nella prioritaria considerazione di tale connotato che si esplicita la funzione della prescrizione, consistente nel garantire la certezza del diritto, collegandola all’interesse privato del soggetto passivo dell’obbligazione alla liberazione attraverso l’estinzione del correlativo diritto di credito [25].
Attorno a tale combinazione ruota tutta la disciplina ed il funzionamento stesso della prescrizione, giacché è il soggetto debitore ad avere la disponibilità dell’effetto estintivo del rapporto attraverso la rinuncia esplicita alla prescrizione o tenendo un comportamento incompatibile con l’intento di volersene avvalere. È appena il caso di ricordare, infatti, che l’art. 2938 cod. civ. sancisce che il giudice non può rilevare d’ufficio la prescrizione non opposta, ma essa per estinguere il rapporto debito/credito deve essere eccepita dal soggetto che vi abbia interesse, ben potendo la mancata eccezione rilevare come tacita rinuncia ad avvalersi dell’efficacia estintiva ai sensi dell’art 2937 cod. civ. [26].
Quanto innanzi, invero, appare inspiegabilmente ben poco considerato da taluna giurisprudenza, se non addirittura completamente negletto nelle decisioni, specie recenti, che, nel determinare in base a fattori sempre più soggettivi il dies a quo della prescrizione, sembrano dimentiche che l’istituto in questione, per il quale come ricordavo, Carnelutti diceva che si avvera quella “specie di miracolo per cui il diritto diventa non diritto”, è concepito nell’interesse del debitore [27].
Angolo di prospettiva questo, ovviamente tanto più da considerare quanto minore è il tempo della prescrizione, giacché proprio nelle prescrizioni brevi il ridotto o ridottissimo tempo in cui matura la facoltà per il soggetto debitore di eccepire l’estinzione del diritto, è espressione di una precisa scelta del legislatore che, con l’intento di dare certezza a determinate situazioni giuridiche, enfatizza in misura inversamente proporzionale al tempo della prescrizione l’interesse del debitore a liberarsi del vincolo [28].
Ed è evidente che se ciò non è prioritariamente tenuto in conto, si rischia di compromettere il funzionamento stesso dell’istituto in una prospettiva interpretativa distorsiva e ben poco legata al dato normativo, che, in talune ipotesi, finisce per negarne, di fatto, l’operatività, tradendone le finalità.
E, perciò, se si considera quanto innanzi appaiono del tutto evidenti quanto siano abnormi ed errate talune decisioni che, anche quando rese con riferimento a fattispecie in cui opera il tempo ordinario di prescrizione, finiscono per spostare talmente in avanti il “giorno in cui il diritto può essere fatto valere” rispetto alla data in cui il diritto è sorto, da determinare di fatto una sorta d’imprescrittibilità del diritto, in una lettura dell’istituto in questione che lascia in ombra e, perciò, sacrifica pesantemente l’interesse soggettivo attorno al quale esso, per espressa scelta del legislatore, ruota.
Gli esempi emblematici non mancano: si pensi a quanto si legge in una recentissima decisione del Tribunale delle imprese di Napoli [29] ove il Collegio si spinge ad affermare, a proposito della prescrizione del danno da intesa anticoncorrenziale reclamato dai sottoscrittori di fideiussione omnibus asseritamente nulla, che “se si condivide la tesi che discetta di lungo-latenza del danno antitrust da intendersi come distacco temporale tra il momento di inflizione del danno da parte del danneggiante ed il momento della sua percezione da parte del danneggiato, allora l’onere probatorio incombe su chi solleva l’eccezione che deve provare il momento in cui chi agisce abbia assunto l’adeguata e ragionevole percezione del danno subito e della sua ingiustizia (cfr. Cass. n. 2305/2007). Nel caso in esame parte convenuta nel sollevare l’eccezione di prescrizione si limita a ritenere decorso il termine prescrizionale dal momento in cui è stato sottoscritto il contratto fideiussorio senza fornire alcun elemento per individuare il momento in cui il danno è stato realmente percepito dal danneggiato, da cui si deve far decorrere il dies a quo della prescrizione”.
È del tutto evidente, nella fattispecie in questione, che non solo il Collegio onera la parte convenuta di fornire una prova impossibile, ma altresì, nel legare il decorso della prescrizione all’elemento del tutto soggettivo della cd. percezione del danno e della sua ingiustizia da parte del fideiussore escludendo parametri oggettivi legati alla data della fideiussione o, quantomeno, alla data di in cui è stato emanato il provvedimento della Banca d’Italia [30] che ha sancito l’illegittimità dell’intesa [31], finisca per spostare indefinitivamente in avanti il decorso del termine della prescrizione.
Analogamente, appare priva di ogni ragionevolezza la recente decisione della Cassazione [32], in tema di responsabilità professionale dell’avvocato, ove si afferma che “il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno inizia a decorrere non dal momento in cui la condotta del professionista determina l’evento dannoso, bensì da quello nel quale essa è oggettivamente percepibile e conoscibile dal danneggiato, vale a dire dalla formazione del giudicato”.
Nella specie, peraltro, la S.C. ha chiarito che il principio massimato riguarda non solo la figura dell’avvocato, ma ogni altro professionista che presti assistenza nel giudizio al proprio mandante, in ragione della peculiarità dell’inserimento dell’esecuzione del rapporto professionale nella struttura del processo [33].
Ebbene, anche in tal caso è fin troppo evidente che assumere che, solo dalla data di formazione del giudicato, e non, quantomeno, dalla decisione relativa al primo grado del giudizio, ove certamente è già ben percepibile dal cliente danneggiato l’eventuale inadempimento al contratto d’opera addebitabile al professionista, significa di fatto impedire il decorso della prescrizione per anni ed anni, senza che ciò abbia alcuna adeguata giustificazione. Significa di fatto essere dimentichi di quale sia l’interesse tutelato dall’istituto della prescrizione che, come già detto, va colto “collocandosi nell’angolo di visuale di chi si avvantaggia della prescrizione” giacché se questa per operare deve essere eccepita dal convenuto significa che il legislatore ha inteso rimettere alla sua valutazione l’esercizio di “un diritto alla liberazione, conferitogli dal compiuto decorso del termine” [34].
Quanto innanzi, così come emerge da un’interpretazione legata al dato normativo dell’intera disciplina della prescrizione, comporta che ogni qual volta l’interprete, segnatamente il Giudice, ritenga di dover aggravare la posizione del debitore, spostando in avanti il dies a quo del decorso del termine, rispetto al fatto che ha determinato l’insorgere del diritto, ciò debba essere motivato in maniera solida e circostanziata, in funzione delle effettive specifiche peculiarità di determinate fattispecie dannose, nella consapevolezza che la ratio dell’istituto si fonda su un preciso favor debitoris [35], rischiando altrimenti di tradire anche il basilare principio di ragionevolezza [36].
Senza tacere, con specifico riferimento alla responsabilità professionale, che interpretazioni come quelle appena citate rischiano di creare anche un perverso cortocircuito in danno del professionista laddove questi, trascorsi molti anni dalla data in cui ha malamente eseguito la prestazione d’opera professionale senza ricevere alcuna richiesta risarcitoria, abbia dismesso l’assicurazione professionale per cessazione dell’attività. In tale ipotesi, operando il regime claims made, unico di fatto esistente sul mercato delle assicurazioni professionali, non è affatto detto che, anche le recenti previsioni legislative che per la responsabilità professionale degli avvocati e degli operatori del comparto sanitario obbligano le Compagnie a fornire una postuma decennale, siano sufficienti ad assicurare da un lato al danneggiato il ristoro del pregiudizio subito e, dall’altro, al danneggiante ed ai suoi eredi la tranquillità [37] della copertura assicurativa [38].
[1] B. Carpino, Gli «Appunti sulla prescrizione» di Alberto Auricchio, in Riv. dir. civ., 1973, II, 665 ss.
[2] A. Auricchio, Appunti sulla prescrizione, Napoli, 1971.
[3] Lo sottolinea E. Minervini, La prescrizione ed i «terzi», Napoli, 1994, 11 ss.
[4] F. Messineo, Variazioni sul concetto di «rinunzia alla prescrizione» (art. 2937, comma 1, cod. civ.), in Riv. Trim. dir. proc. civ., 1957, 505.
[5] Al riguardo, con particolare riferimento al diritto francese e tedesco, cfr., S. Patti, Certezza e giustizia nel diritto della prescrizione in Europa, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2010, 21 ss., e, in particolare, 26 ss.; E. Calzolaio, La riforma della prescrizione in Francia nella prospettiva del diritto privato europeo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2011, 1088 ss.; R. Capoli, La nuova disciplina della prescrizione nel codice civile tedesco: spunti per una riforma italiana, in Corr.e giur., 9, 2006, 1321 ss.
[6] F. Carnelutti, Appunti sulla prescrizione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1933, I, p. 32.
[7] È appena il caso di ricordare che il Carnelutti scriveva in un periodo in cui la prescrizione era disciplinata come istituto bifronte: prescrizione estintiva ed acquisitiva.
[8] Cass. civ., sez. un., 11 gennaio 2008, n. 576, in Mass. giur. it., 2008.
[9] Il punto è ben evidenziato In Cass. 28 gennaio 2004, n. 1547, in Giur. it., 2004, 1581, ove si legge: “La formulazione letterale dell’art. 2947, comma 1, cod. civ. (“il diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito si prescrive in cinque anni dal giorno in cui il fatto si è verificato”) non consente di ravvisare elementi dubbi o lacune che possano giustificare l’elaborazione di ipotesi non previste e suscettibili di diversa regolamentazione, anche perché, se costituisce ius receptum che l’essenziale ratio dell’istituto della prescrizione debba essere ravvisata nell’esigenza della certezza dei rapporti giuridici, è palese come con tale esigenza si ponga in contrasto la pretesa di far decorrere la prescrizione de qua non dalla data, certa, in cui il fatto dannoso si è verificato ma dal momento, diverso ed assolutamente incerto, in cui il danneggiato possa aver avuto conoscenza del danno e del suo diritto di farlo valere”.
[10] Tuttavia nella citata sentenza delle sezioni unite n. 576/2008 si enuncia che: “La responsabilità del ministero della salute per i danni conseguenti ad infezioni da virus Hbv, Hiv e Hcv contratte da soggetti emotrasfusi è di natura extracontrattuale, né sono ipotizzabili, al riguardo, figure di reato tali da innalzare i termini di prescrizione (epidemia colposa o lesioni colpose plurime); ne consegue che il diritto al risarcimento del danno da parte di chi assume di aver contratto tali patologie per fatto doloso o colposo di un terzo è soggetto al termine di prescrizione quinquennale che decorre, a norma degli art. 2935 e 2947, comma 1, cod. civ., non dal giorno in cui il terzo determina la modificazione causativa del danno o dal momento in cui la malattia si manifesta all’esterno, bensì da quello in cui tale malattia viene percepita o può essere percepita, quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo, usando l’ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche (a tal fine coincidente non con la comunicazione del responso della commissione medica ospedaliera di cui all’art. 4 l. n. 210/1992, bensì con la proposizione della relativa domanda amministrativa)”.
[11] In ragione di tale orientamento interpretativo delle Corti, conforme alla Relazione al codice civile, per un lungo periodo la vexata questio dell’exordium praescriptionis è rimasta in un cono d’ombra, anche nei contributi della dottrina.
[12] Nella più volte citata sentenza delle sezioni unite significativamente si legge che “Qualora … non sia conoscibile la causa del contagio, la prescrizione non può iniziare a decorrere, poiché la malattia, sofferta come tragica fatalità non imputabile ad un terzo, non è idonea in sé a concretizzare il “fatto” che l’art. 2947 cod. civ., comma 1, individua quale esordio della prescrizione” (all’epoca, analogamente, Cass. 21 febbraio 2003, n. 2645; Cass. 5 luglio 2004, n. 12287; Cass. 8 maggio 2006, n. 10493).
[13] Trib. Roma, sez. XIII, 11 luglio 2019, in Banca dati Pluris; Trib. Santa Maria Capua Vetere, sez. IV, 5 gennaio 2018, in Banca dati Pluris, ove si legge: “Il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da responsabilità professionale (nel genus della responsabilità ex contractu) inizia a decorrere non dal momento in cui la condotta del professionista determina l’evento dannoso, bensì da quello in cui la produzione del danno si manifesta all’esterno divenendo oggettivamente percepibile e riconoscibile da chi ha interesse a farlo valere”. Analogamente Cass. civ., sez. III, sent. 22 settembre 2017, n. 22059, in CED Cassazione, 2017: “In tema di azione risarcitoria per responsabilità professionale, ai fini dell’individuazione del momento iniziale di decorrenza del termine prescrizionale, si deve avere riguardo all’esistenza di un danno risarcibile ed al suo manifestarsi all’esterno come percepibile dal danneggiato alla stregua della diligenza da quest’ultimo esigibile ai sensi dell’art. 1176 cod. civ., secondo standards obiettivi e in relazione alla specifica attività del professionista, in base ad un accertamento di fatto rimesso al giudice del merito”.
[14] P.E. Corrias, Le assicurazioni sulla vita, in Tratt. Dir. Civ. e comm. Cicu-Messineo, IV, Milano, 2021, 268.
[15] P.E. Corrias, op. ult. cit., 268.
[16] Non è un caso che la previsione del termine ordinario di prescrizione riguardi le sole polizze vita.
[17] La citata circolare ISVAP aveva ribadito non l’obbligo ma la facoltà dell’impresa assicurativa di invocare il decorso del termine prescrizionale e per quanto riguarda la denuncia dei sinistri ed aveva invitato le 5 compagnie assicurative a valutare le richieste di liquidazione eventualmente tardive in un’ottica di ragionevolezza.
[18] Si tratta di decisioni per lo più inedite e che spesso accolgono la domanda soprattutto ravvisando nel comportamento ante causam della Compagnia una rinuncia tacita a fare valere la prescrizione, Cfr., ad esempio, Trib. Lecce 7 settembre 2016, n. 3779; Trib. Napoli 9 ottobre 2017, n. 10036.
[19] Cass. 15 settembre 2020, n. 19112, in Resp. civ. e prev., 2021, 1, 264.
[20] In tal senso, di recente, App. Napoli, sez. III, 24 novembre 2021, n. 4376/21, inedita; analogamente App. Salerno 2 febbraio 2022, n. 143, inedita; Trib. Nocera Inf. 26 settembre 2018, n. 8405, inedita; Trib. Napoli Nord 3 gennaio 2017, inedita; Trib Nola 22 ottobre 2015, inedita; Trib. Perugia 20 giugno 2012, n. 895, inedita. Per la giurisprudenza più risalente cfr., App. Roma 11 giugno 2009, in Resp. civ. e prev., 2010, 5, 1145; App. Roma 2 ottobre 2008, Massima redazionale banca dati Pluris, ove si legge: “La norma di cui all’art. 1920 cod. civ. – secondo cui il terzo beneficiario di un’assicurazione sulla vita acquista un diritto proprio ai vantaggi dell’assicurazione – deve intendersi nel senso che il diritto all’indennità nasce in suo favore dal contratto, sicché egli può rivolgersi direttamente all’assicuratore per ottenere la prestazione, e non già nel senso che il diritto del terzo beneficiario sia del tutto svincolato dalle clausole e dalle pattuizioni contenute nel contratto di assicurazione. Ciò posto l’assicuratore ben può opporre al beneficiario eccezioni ed eventuali clausole limitative previste dal contratto, quale l’eccezione di prescrizione del diritto del terzo alla indennità, diritto che, ai sensi dell’art. 2952, comma secondo, cod. civ., si prescrive in un anno dal giorno in cui si è verificato il fatto su cui esso si fonda e non già nell’ordinario termine decennale. Né costituisce fatto idoneo a sospendere il decorso del termine prescrizionale la semplice contestazione dell’assicuratore in ordine all’operatività della polizza, circostanza, che al contrario, dovrebbe far determinare l’assicurato a proporre tempestivamente le opportune domande”.
[21] Tuttavia sul problema della configurabilità o meno di un obbligo gravante sull’assicuratore, nella ricorrenza di un’assicurazione sulla vita a favore del terzo, d’informare il beneficiario della prestazione in suo favore, e sulle conseguenze della mancata informazione, cfr., S. Landini, La situazione giuridica del beneficiario nell’assicurazione sulla vita a favore di terzo, in V. Barba, S. Landini (a cura di), I contratti di assicurazione come strumento di pianificazione del passaggio generazionale e di gestione del patrimonio familiare, Napoli, 2020, p. 102, ove si legge: “in caso di assicurazione sulla vita a favore di terzo, ove la conoscenza della designazione sia stata successiva all’evento morte il termine di prescrizione non potrà iniziare a decorrere che dal momento della recezione della suddetta dichiarazione”; in argomento vedi anche P.E. Corrias, Le assicurazioni sulla vita, cit., 270, che evidenzia come un tale obbligo è ricavabile non solo dai principi generali di correttezza e buona fede ma anche dall’attuale disciplina dettata dall’art. 183, comma 1, lett. a), cod. ass. In senso contrario vedi, però, Cass. 18 giugno 1998, n. 6062, in Corr. giur., 1998, 8, 897. Merita al riguardo precisare che, in molti casi, le Compagnie non sono a conoscenza della designazione del terzo beneficiario giacché essa avviene nel testamento; in tale caso, ovviamente, alcun obbligo informativo può ipotizzarsi a carico dell’Assicuratore. Così come, specie nella vigenza del termine breve di prescrizione, è accaduto molto spesso che le Compagnie apprendessero del decesso dell’assicurato allorquando il termine di prescrizione dei diritti alla liquidazione della polizza erano già spirati. In ogni caso si ritiene che la mancata informazione del terzo beneficiario non influisca sul dies a quo del decorso della prescrizione, quanto, piuttosto, dia luogo ad un’eventuale ipotesi di responsabilità contrattuale e ad un consequenziale obbligo risarcitorio da parte della Compagnia, sempreché, ovviamente, tale carenza informativa non sia addebitabile all’assicurato, per previsione negoziale, o, comunque, non sia addebitabile alla Compagnia.
[22] Cfr. Cass. 7 novembre 2005, n. 21495, in Mass. giur. it., 2005; Cass. 22 giugno 2007, n. 14576, in Mass. giur. it., 2007. D’altra parte proprio in materia successoria è consolidato l’orientamento giurisprudenziale (cfr., tra le altre, Cass. 25 novembre 1997, n. 11809, in Mass. giur. it., 1997) e dottrinale (cfr., per tutti, L. Mengoni, Successione necessaria, in Tratt. dir. civ. e comm. già diretto da Cicu, Messineo e continuato da Mengoni, III ed., Milano, 1992, 320) che assoggetta la decorrenza del termine ordinario per la proposizione dell’azione di riduzione dalla data di apertura della successione senza che possa avere rilievo l’individuazione del momento in cui il legittimario pretermesso abbia scoperto la lesione della propria quota di riserva (in senso contrario, ma, a quanto consta, in posizione isolata, L. Ricca, Conoscenza del testamento e decorrenza del termine per l’accettazione, in Giust. civ., 1963, I, 1433-1434, che attribuisce determinante rilevanza alla conoscenza del testamento contenente disposizioni lesive della legittima ai fini del decorso del termine di prescrizione per l’esercizio dell’azione di riduzione. Termine che decorrerebbe non già dall’apertura della successione bensì dalla data di pubblicazione del testamento).
[23] Cfr., al riguardo, A. Donati, Trattato di diritto delle assicurazioni private, Milano, 1952, II, 512 ss., e, per una rassegna ragionata, S. Toffoli, Prescrizione dei diritti derivanti dal contratto di assicurazione, in Le assicurazioni, a cura di A. La Torre, Milano, 2014, 573.
[24] G. Scalfi, Manuale delle assicurazioni private, Milano, 1994, 177 ss.
[25] Per tutti, A. Auricchio, Appunti sulla prescrizione, cit., 32 ss.; B. Grasso, sulla distinzione tra prescrizione e decadenza, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1970, 868; Id., voce Prescrizione (dir. priv.), in Enc. dir., vol XXXV, Milano, 1986, 57.
[26] Ed è proprio in tale logica che ben si giustifica l’orientamento, espresso da talune sentenze della Cassazione (da ultima, ord. 26 settembre 2018, n. 23069), che hanno escluso la sussistenza di un dovere, gravante sull’assicuratore e desumibile dalle clausole generali contenute negli artt. 1175 e 1375 cod. civ., di avvisare l’assicurato dell’imminente prescrizione dei diritti di credito derivanti dalla polizza. In proposito si è sancito che “I doveri di correttezza e buona fede previsti dagli artt. 1175 e 1375 cod. civ. – essendo diretti a salvaguardare l’utilità della controparte nei limiti dell’interesse proprio, dell’accessorietà all’obbligazione pattuita e della necessità di non snaturare la causa contrattuale – non impongono al debitore di avvertire il creditore dell’imminente scadenza del termine di prescrizione del suo credito”. Si evidenzia, condivisibilmente dalla Cassazione, che il principio di correttezza contenuto nell’art. 1175 cod. civ. trova un limite di applicazione nella sussistenza di un contrapposto e parimenti meritevole interesse proprio del creditore a fare valere l’estinzione del diritto per la maturata prescrizione; limite che sorge, come nel caso considerato, allorquando l’adempimento di esso imporrebbe al soggetto obbligato un apprezzabile sacrificio dei propri diritti o del proprio interesse. Si sottolinea, altresì, che se si ammettesse che qualunque debitore d’una prestazione abbia l’obbligo, scaturente dal dovere di correttezza, d’informare il creditore che il suo credito sia sul punto di prescriversi, si giungerebbe ad una paradossale conseguenza: infatti, supposta l’esistenza di quell’obbligo, si perverrebbe al risultato che ove il debitore lo osservi, ed informi il creditore dell’imminente prescrizione, quest’ultimo verosimilmente la eviterà; se il debitore non lo osservi, ed il credito si prescriva, il debitore sarà obbligato a risarcire un danno pari al credito perduto. Risarcimento oggetto d’un diritto il cui creditore, all’approssimarsi del maturare della prescrizione, avrà diritto di essere avvertito pena il risarcimento danno, e così via all’infinito. Nell’uno, come nell’altro caso, dunque, il rapporto obbligatorio mai si esaurirebbe e mai diverrebbe “quesito”: approdo, quest’ultimo che sì porrebbe in contrasto col millenario fondamento dell’istituto della prescrizione, che è quello di dare certezza e stabilità ai rapporti giuridici.
[27] B. Grasso, op. e loc. ult. cit.; ma sul punto cfr., anche, le limpide considerazioni di P. Vitucci, La prescrizione, Tomo primo, artt. 2934-2940 cod. civ., in Il codice civile Commentario, diretto da P. Schlesinger, Milano, 1990, 38 ss. che efficacemente evidenzia, a proposito dell’individuazione dell’interesse tutelato dalla prescrizione, che esso “si intende soltanto lasciandosi alle spalle tutti i discorsi sulla certezza delle situazioni giuridiche, abbandonando ancora la prospettiva dell’art. 2934, incentrata sulla perdita del diritto, e collocandosi invece nell’angolo visuale di chi si avvantaggia della prescrizione”.
[28] Considerazione quella espressa nel testo che, seppure non espressamente enunciata, riecheggia in una decisione della Cassazione del 13 gennaio 2015, n. 289, in CED Cassazione, 2015, ove si legge: “Il testo dell’art. 2952 cod. civ. deve essere interpretato in termini rigorosi, anche in considerazione del fatto che il termine di prescrizione ivi previsto è straordinariamente breve [...] e che sono sconsigliabili interpretazioni della lettera della legge che, ancorando la decorrenza del termine a date e a comportamenti non identificabili in modo certo, possano pregiudicare ulteriormente la certezza dei rapporti e l’esercizio dei diritti spettanti all’assicurato”.
[29] Si tratta della sentenza n. 8688 del 6 ottobre 2021, inedita.
[30] Trattasi del noto provvedimento n. 55 del 2 maggio 2005 con il quale la Banca d’Italia ha sancito che “gli articoli 2, 6 e 8 dello schema contrattuale predisposto dall’ABI per la fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie (fideiussione omnibus) contengono disposizioni che, nella misura in cui vengano applicate in modo uniforme, sono in contrasto con l’articolo 2, comma 2, lettera a), della legge n. 287/90”.
[31] Sul punto significativamente Cass. 27 febbraio 2020, n.5381, in Danno e resp., fasc. 5, 2020, 613, sancisce che il dies a quo della prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da illecito antitrust “comincia a decorrere dal momento in cui sia stato avviato, con pubblicità legale, il procedimento innanzi all’AGCOM per l’accertamento dell’abuso di posizione dominante”.
[32] Cass. civ., sez. III, ord. 3 novembre 2020, n. 24270, in Quot. giur., 2020.
[33] Parimenti per rimanere alla casistica nelle professioni di area legale la giurisprudenza, in tema di azione risarcitoria per responsabilità professionale del notaio, ha ritenuto che il dies a quo del termine prescrizionale non decorre dalla data della stipula del rogito, bensì dal momento in cui il danno risarcibile sia divenuto oggettivamente percepibile e riconoscibile da parte del danneggiato (Cass. civ., sez. III, 18 febbraio 2016, n. 3176, in Danno e resp., 2016, 12, 1177, con nota di Petruzzi), giacché, si sostiene, solo in quel momento il cliente ha potuto avere la percezione di aver subito un danno e, inoltre, che tale danno fosse riferibile alla negligenza del professionista nel rogare l’atto.
[34] Sul punto, con esemplare chiarezza, P. Vitucci, La prescrizione, cit., 39.
[35] A differenza di quanto si ritiene nella più volte citata decisione delle sezioni unite n. 576/2008, rappresenta un indiretto argomento a sostegno di quanto prospettato nel testo quello, che si trae da talune espresse previsioni legislative, ove il legislatore, esprimendo un’eccezione rispetto ad una regola, ha ritenuto di dover specificamente ed espressamente legare il dies a quo del decorso della prescrizione al requisito della conoscibilità da parte del danneggiato del danno e del nesso causale, Cfr., l. 31 dicembre 1962, n. 1860, art. 23, comma 1, (“impiego pacifico dell’energia nucleare”), nel testo novellato dal d.P.R. 10 maggio 1975, n. 519, che dispone “le azioni per il risarcimento dei danni alle cose e alle persone dipendenti da incidenti nucleari si prescrivono nel termine di tre anni dal giorno in cui il danneggiato abbia avuto conoscenza del danno e dell’identità dell’esercente responsabile oppure avrebbe dovuto ragionevolmente esserne venuto a conoscenza”. Inoltre il d.P.R. 24 maggio 1988, n. 224, art. 13, commi 1 e 2, (recante “attuazione della direttiva CEE numero 85/374 relativa al riavvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi, ai sensi della l. 16 aprile 1987, n. 183, art. 15”) prescrive che “Il diritto al risarcimento del danno si prescrive in tre anni dal giorno in cui il danneggiato ha avuto o avrebbe dovuto avere conoscenza del danno, del difetto e dell’identità del responsabile. Nel caso di aggravamento del danno, la prescrizione non comincia a decorrere prima del giorno in cui il danneggiato ha avuto o avrebbe dovuto avere conoscenza di un danno di gravità sufficiente a giustificare l’esercizio di un’azione giudiziaria”.
[36] Sul punto, con molta incisività, C. Costantini, Le prescrizioni brevi, in P.G. Monateri, C. Costantini, Tratt. Dir. Civ., – La parte generale del diritto civile, 5, La prescrizione, Torino, 2009, 285 e 289, ove si sottolinea, in senso fortemente critico rispetto all’interpretazione fornita dalla oramai prevalente giurisprudenza dell’art. 2947 cod. civ., “che facendo slittare la decorrenza della prescrizione dalla data di verificazione del fatto al momento dell’esteriorizzazione o ancora della conoscenza/conoscibilità dell’evento dannoso, si svuota integralmente di significato e di ragionevolezza la previsione di una disciplina derogatoria, quindi come tale eccezionale e di stretta interpretazione, rispetto alla generale dettata dall’art. 2946 cod. civ.”. giustificando così “una assolutamente inaccettabile espansione temporale della prescrizione che diviene impredicibile” e dipendente da una serie di fattori ingovernabili.
[37] Sul punto cfr., anche, le incisive notazioni di A.M. Garofalo, L’assicurazione claims made e il dialogo tra formanti, in Riv. dir. civ., 2019, 4, 1039, ma anche di M. Barella, Danno lungolatente, dies a quo della prescrizione e “abuso” nell’illecito antitrust, in Danno e resp., fasc. 5, 2020, 617, che condivisibilmente evidenziano che la lungo-latenza ingenera, anche per il danneggiante, un grave rischio, giacché lo espone agli sfavorevoli esiti di un’azione giudiziaria a tempo pressocché indeterminato, vanificando, così, quasi completamente gli effetti dell’istituto della prescrizione.
[38] È forse proprio in ragione di tali preoccupazioni che in un recente disegno di legge, volto a modificare ed integrare la vigente disciplina in materia di equo compenso delle prestazioni professionali, approvato dalla Camera dei deputati il 13 ottobre 2021 e trasmesso dal Presidente della Camera dei deputati alla Presidenza del Senato il 14 ottobre 2021, rubricato con il n. 2419, all’art. 8, intitolato “Prescrizione per l’esercizio dell’azione di responsabilità professionale”, si legge “Il termine di prescrizione per l’esercizio dell’azione di responsabilità professionale decorre dal giorno del compimento della prestazione da parte del professionista”.