Jus CivileCC BY-NC-SA Commercial Licence ISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

Informazione e minori: una lettura integrata per una tutela uniforme (di Benedetta Agostinelli, Professore associato di Diritto privato – Università degli Studi Roma Tre)


Se la peculiare attenzione riservata al minore mira a salvaguardare l’armonico sviluppo psico-fisico di una persona ancora priva di esperienza  e di adeguati strumenti di conoscenza, occorre che ad essere armonizzati e non contradditori siano prima di tutto i mezzi impiegati per perseguire tale obiettivo, in particolare quando il minore è destinatario della comunicazione ovvero protagonista della cronaca o egli stesso fornitore dell’informazione che lo riguarda, come accade con il consenso al trattamento dei suoi dati personali. Solo una lettura integrata delle norme a lui dedicate, non sempre coerenti, può garantire una tutela effettiva, specialmente quando è esposto nel vasto e spesso pericoloso mondo della rete.

 

Information and minors: an integrated reading for uniform protection

If the special attention given to the child is intended to safeguard his harmonious pycho-physical development as he still lacks experience and adequate knowledge tools it matters that the means used to achieve the objective must be harmonised and consistent, particularly when the child is the recipient of the communication or protagonist of the news or he himself provides the information, as it happens with the consent to the processing of personal data. Only an integrated reading of the rules dedicated to minors can assure an effective protection, especially when they are exposed in the large and often dangerous world of web.

Keywords: minors protection – advertising – information – privacy – consent.

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SOMMARIO:

1. Lo sviluppo fisico, psichico e morale del minore, fondamento della sua tutela - 2. Il minore destinatario dell’informazione: la pubblicità commerciale - 3. Il minore oggetto dell’informazione, tra privacy e cronaca - 4. Il minore soggetto dell’informazione: lo speciale “consenso digitale” al trattamento dei dati personali - 5. Aporie e frammentazioni nella tutela del minore: la necessità di una lettura integrata delle misure di protezione del “baby-consumatore” e del “baby-internauta” - NOTE


1. Lo sviluppo fisico, psichico e morale del minore, fondamento della sua tutela

Plurime le declinazioni possibili del rapporto tra informazione e minore età, dove si coglie, sul piano positivo, l’istanza di dare rilievo, oltre e più che alla situazione giuridica protetta in sé, al suo titolare, in quanto persona in formazione, ancora non pienamente matura, meritevole perciò di uno speciale trattamento.

A seconda del tipo di informazione e del suo campo di incidenza, rispetto ad essa il minore può esserne destinatario, oggetto, soggetto. In ciascuno di questi casi è presa variamente in considerazione la sua strutturale vulnerabilità.

Se l’attenzione riservata dall’ordinamento si presenta a prima vista frastagliata quanto alle modalità di tutela, occorre domandarsi se possa, in ragione del peculiare soggetto coinvolto, ricavarsi dalle distinte discipline, esaminandone alcune esemplificative, una ratio comune nell’intervento, un obiettivo ultimo, che possa essere tenuto presente per armonizzarle al meglio tra loro, per la massima utilità possibile; se poi, a fronte del riconoscimento univoco della necessaria protezione della categoria – nelle fonti più diverse, dalle convenzioni internazionali [1] ai codici di condotta [2] – questa non resti una vuota declamazione ma sia adeguatamente tradotta in regole attuative che non lascino spazi privi di copertura.

Quale, infatti, il vero interesse presidiato? E come, nei distinti ambiti?

Quando si parla di minori, l’enfasi talvolta posta su tale interesse rischia di ostacolare, invece che agevolare, la messa a fuoco del suo reale contenuto [3].

In via di prima analisi – ma anche di massima sintesi – potrebbe individuarsene il nocciolo nell’equilibrio psico-fisico di una persona priva di esperienza e di strumenti critici affinati, qual è il minore, pure nei suoi diversi stadi evolutivi.

Del resto lo “sviluppo fisico, psichico e morale” del minore è precisamente obiettivo dichiarato e stilema largamente ricorrente in tutte (o quasi, come si vedrà) le norme a lui dedicate, anche quelle in vario modo riconducibili al concetto di informazione, nel suo senso più lato [4].

Detto sviluppo sarebbe potenzialmente compromesso dall’abuso della manipolabilità propria di una mente suscettibile di subire l’induzione al consumo precoce (specie di sostanze inappropriate all’età) ovvero la nociva esposizione a contenuti inadatti (quali quelli, ad esempio, che evocano o esaltano la violenza), ma anche di veder violata la propria immagine e riservatezza, attraverso la circolazione dei propri dati personali o di notizie che lo riguardano.


2. Il minore destinatario dell’informazione: la pubblicità commerciale

Muovendo dal minore inteso quale destinatario dell’informazione commerciale, il suo presidio espresso è rappresentato, a titolo emblematico, dall’art. 31, d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (cod. cons.) [5], sostanzialmente riprodotto negli artt. 43, lett. g) e 47, comma 2, del recente d.lgs. 8 novembre 2021, n. 208 (Testo unico servizi media audiovisivi, c.d. Tusma) [6]: quest’ultimo, infatti, all’art. 4 contempla, tra i principi, la “promozione e tutela del benessere, della salute e dell’armonico sviluppo fisico, psichico e morale del minore, garantiti dalla Costituzione, dal diritto dell’Unione europea, dalle norme internazionali vigenti nell’ordinamento italiano e dalle leggi statali e regionali” [7].

L’art. 31 cod. cons. vieta nelle televendite, da un lato, di “esortare” i minorenni “a stipulare contratti di compravendita o di locazione di prodotti e di servizi” e, dall’altro, di “arrecare pregiudizio morale o fisico ai minorenni”, elencando una serie di specifici caratteri che, dati per strutturali (come l’inesperienza, la credulità, la fiducia riposta negli adulti di riferimento, la tendenza ad emulare), non devono essere usati come leva per stimolare in loro – e, attraverso loro, nei genitori – la domanda di consumo.

La tutela sembra qui evocare allora due ambiti: quello strettamente negoziale (“stipulare contratti”, plausibilmente quelli ascrivibili alla vita quotidiana e da ritenersi quindi validi) [8] e quello del pregiudizio alla persona in sé e per sé; fisico, nel caso di minore esposto a situazioni pericolose che potrebbero suggerire atti imitativi; morale, nel caso di impressione o assuefazione rispetto a modelli comportamentali deviati che fossero proposti come accettabili o, addirittura, normali.

A ciò si aggiunge ora il nuovo Tusma che, tenendo opportunamente conto del “processo di convergenza fra le diverse forme di comunicazioni, quali le comunicazioni elettroniche, l’editoria, anche elettronica, e internet in tutte le sue applicazioni e dell’evoluzione tecnologica e di mercato”, contiene disposizioni in materia di servizi di media audiovisivi, quali la trasmissione di programmi televisivi, radiofonici e la fornitura di servizi interattivi associati e di servizi di accesso condizionato, comprese le comunicazioni commerciali audiovisive ed i servizi di piattaforma per la condivisione di video.

In tale ampliato contesto, i programmi per bambini non possono contenere né il logo di uno sponsor, né l’inserimento di prodotti (c.d. “product placement”); i cartoni animati non possono essere interrotti da comunicazioni commerciali che devono essere chiaramente distinguibili e caratterizzate da evidenti elementi di discontinuità rispetto al resto della programmazione; è poi vietata in assoluto, ad esempio, la pubblicità di alcolici all’interno di programmi destinati ai minorenni e quella relativa ai prodotti alimentari idonei ad alterare l’equilibrio nutrizionale [9].

A tali indicazioni devono uniformarsi i codici di autoregolamentazione degli operatori del settore, che integrano così le norme citate, in particolare il Tusma che ad essi fa riferimento. Il “Codice di autoregolamentazione Media e Minori” [10], infatti, nella c.d. fascia oraria protetta prescrive, ad esempio, che la comunicazione commerciale debba essere chiaramente distinguibile dal resto della programmazione.

La discontinuità tra l’intrattenimento e la pubblicità, presupponendo un diverso atteggiamento nel fruire l’uno e l’altra, varrebbe infatti a scongiurare un’assimilazione confusiva che favorirebbe l’innescarsi di un (precoce) meccanismo dei bisogni indotti.

Secondo un giudizio prognostico, dunque, legato alla prospettiva di un pregiudizio (futuro) allo sviluppo psicofisico del minore (che, va da sé, resterebbe di fatto del tutto privo di copertura risarcitoria), simili prescrizioni sulla condotta degli operatori dei media audiovisivi manifestano l’intento non tanto di preservare la sua capacità di autodeterminarsi – come vale per gli adulti, che invece vengono con quelle modalità proprio “esortati” a stipulare contratti – ma di arginare una serie di pericoli anteposti, legati alla costruzione stessa dell’identità del “baby-consumatore” e, in ultima analisi, alla sua salute [11].


3. Il minore oggetto dell’informazione, tra privacy e cronaca

Quando, invece, i minori sono oggetto dell’informazione si appresta un altro tipo di tutela incentrata sul loro riserbo, che impone stringenti limiti nella divulgazione di dati o immagini ad essi relativi.

La regolamentazione, anche qui di fonte e rango diversi, prevede uno speciale riguardo, ad esempio, quando il minore sia sottoposto a procedimento penale [12].

Lo prevedeva già il d.P.R. n. 448/1988 in tema di processo penale a carico di imputati minorenni, vietando espressamente “la pubblicazione e la divulgazione, con qualsiasi mezzo, di notizie o immagini idonee a consentire l’identificazione del minorenne comunque coinvolto nel procedimento” (art. 13), a meno che dopo l’inizio del dibattimento il tribunale proceda in udienza pubblica.

L’ampliamento della previsione è avvenuto con il d.lgs. n. 196/2003 (cod. privacy) che estende il divieto ad ogni caso di coinvolgimento di minori in procedimenti giudiziari anche non penali, aggiungendo quello di pubblicare i nomi nonché la proclamazione ufficiale del principio di prevalenza del diritto alla riservatezza del minore rispetto a quello di cronaca. In ciò si è uniformato alla “Carta di Treviso” [13], un protocollo firmato da Ordine dei Giornalisti, Federazione nazionale della stampa italiana e Telefono azzurro nel 1990, volto a disciplinare il rapporto tra informazione e infanzia e sostanzialmente a proteggere il minore coinvolto in un fatto oggetto di notizia di cronaca da un’esposizione mediatica per lui potenzialmente pregiudizievole.

La salvaguardia del minore impatta qui, e va bilanciata, con l’esercizio del diritto di cronaca che viene così in tanto compresso in quanto impedita la conoscenza da parte dell’opinione pubblica di dati e immagini connesse che comporterebbero un discredito per il minore, segnando la sua identità in itinere.

Lo speciale rilievo all’età, che tale speciale compressione comporta, è chiaramente attribuito, infatti, in chiave precauzionale, anticipando (ex ante) la tutela garantita (ex post) dal diritto all’oblio: impedire in radice l’associazione tra notizia e minore, infatti, dovrebbe rappresentare la migliore misura di protezione, come sempre accade del resto per quelle di natura preventiva.

Anche qui, dunque, non è la privacy in sé e per sé o, meglio, solo quella –come varrebbe per l’adulto– a venire preservata ma, ancora in un’ottica prognostica, il processo evolutivo del minore coinvolto, influenzabile sia, nel tempo attuale, dal disagio di venire riconosciuto come collegato a fatti di cronaca, sia, nel tempo futuro, dal nefasto riverbero di notizie anche risalenti, specialmente in una società dell’informa­zione che, grazie agli attuali mezzi, è tendenzialmente in grado di conservare tutto senza più limiti di spazio né di tempo [14].


4. Il minore soggetto dell’informazione: lo speciale “consenso digitale” al trattamento dei dati personali

Quando, infine, il minore è coinvolto nella circolazione dei suoi dati personali, prestando direttamente il relativo consenso, diviene soggetto attivo dell’informazione.

È quanto prevede, come noto, il recente Regolamento europeo per la protezione dei dati (Reg. EU 2016/679, o GDPR), fissando all’art. 8 una disciplina specifica, che però non tocca (espressamente) la generale capacità di agire del minore, come regolata da ciascun ordinamento nazionale [15].

La norma dispone che ove il trattamento preveda il consenso dell’interessato, se vi è “un’offerta diretta di servizi della società dell’informazione” ai minori, tale trattamento “è lecito ove il minore abbia almeno 16 anni”, in caso di età inferiore va prestato o autorizzato da chi esercita la responsabilità genitoriale. Il limite di questa sorta di “maggiore età digitale” può venire ulteriormente abbassato dagli Stati nazionali (ma non al di sotto dei 13 anni) [16] e il legislatore italiano, col decreto di adeguamento del codice privacy [17], ha ritenuto di fissarlo nei 14 anni, stilando una norma (art. 2-quinquies, d.lgs. n. 193/1996) [18] ancora più chiara: “il minore che ha compiuto i quattordici anni può esprimere il consenso al trattamento dei propri dati personali in relazione all’offerta diretta di servizi della società dell’informazione”.

Il GDPR, sulla scorta di una costante attenzione eurounitaria verso i minori particolarmente esposti durante la navigazione in rete [19], proclama uno speciale riguardo nei loro confronti al considerando 38 [20], che li riconosce apertamente “meno consapevoli dei rischi, delle conseguenze e delle misure di salvaguardia interessate nonché dei loro diritti in relazione al trattamento dei dati personali” e al considerando 58, dove si prescrive un linguaggio “semplice e chiaro che un minore possa capire facilmente” per qualsiasi informazione e comunicazione “quando il trattamento dati li riguarda”.

Peraltro resta salva anche per i minori la possibilità sia di revocare il consenso dato sia di invocare il diritto all’oblio, inteso qui ed evolutosi in diritto alla cancellazione dei dati, successivamente al raggiungimento della maggiore età rispetto all’epoca in cui il consenso fu espresso (art. 17) [21].

L’introduzione di un “consenso digitale” anticipato rispetto alla soglia legale della maggiore età – una novità rispetto all’originaria dir. 96/46/CE in materia [22] – sollevando complesse questioni di sistema non indagabili in questa sede [23], ha incontrato un favore generalizzato, venendo prevalentemente letta come un passo ulteriore nella direzione di una maggiore autonomia dei giovani che (non è un caso) sono assidui (quando non compulsivi) fruitori dei “servizi della società dell’informazione” in questione, quali, ad es., i servizi di messaggistica istantanea, le piattaforme per la condivisione di fotografie o video o lo scambio di beni.

Premesso che “dati personali” sono elementi identificativi del soggetto (quali quelli anagrafici, l’indirizzo IP, la localizzazione, le preferenze rispetto ai siti visitati) e che possederli consente di orientare i gusti, indirizzando pubblicità mirata e alimentando così il mercato “finale”, non v’è ormai dubbio che essi rappresentino una merce preziosa e che quindi rispetto ad essa sia configurabile un (seppure peculiare e prodromico) “mercato dei dati” [24] dove diventano merce – e mezzo – di scambio. Soprattutto, aldilà di ogni possibile lettura giuridica del fenomeno, per il fatto che la loro cessione, che il consenso al “trattamento” implica, si presenta nella maggior parte dei casi come la condicio sine qua non per l’accesso al servizio stesso.

Ora, al netto della facile aggirabilità “tecnica” dell’ostacolo dell’età minima, che solleva un ulteriore ordine di problemi applicativi e legittime perplessità sulla reale efficacia della norma, c’è da dubitare, invece, che il sedicenne e a fortiori il quattordicenne possano essere in toto equiparati in questo contesto, in ragione di tale “emancipazione digitale”, a qualsiasi altro “interessato”.

Se, poi, è lecito ancora dubitare (è tema assai noto e discusso) di un consenso autenticamente libero ed informato da parte degli stessi adulti, rispetto ai giovani(ssimi) ancor più facilmente questo elemento può esser percepito come “imposto” [25] invece che libero e più come ostacolo da rimuovere per soddisfare un desiderio che strumento di consapevolezza per entrare nel mondo digitale.

Soprassedendo qui sulla dibattuta questione della configurabilità e validità di un simile contratto che abbia nella cessione dei dati la controprestazione dei minori per il servizio, le implicazioni negoziali di detta cessione, che appaiono già intricate e oscure rispetto all’interessato adulto, rispetto al minore rischiano di far perdere di vista l’obiettivo ultimo della sua tutela, in questo specifico scenario; scenario che rappresenta, invece – paradossalmente – proprio uno di quelli in cui massimamente si svolge la personalità del minore e si articola quindi il suo sviluppo psico-fisico. È infatti evidente come l’uso dei social network in particolare, tra i servizi offerti, sia uno dei principali mezzi di socializzazione e di manifestazione del pensiero, concorrente quindi nella costruzione stessa dell’identità personale del giovane utente e responsabile della sua “esistenza digitale” [26].

In ciò l’aporia che si rileva: in un uno degli ambiti (lo spazio digitale) in cui il minore è più attivo ed esposto [27], rischia di essere meno tutelato.

Senz’altro occorrerebbe che fosse spiegato soprattutto ai minori e in modo per loro comprensibile a che cosa esattamente acconsentono, immettendo i dati e autorizzandone il trattamento, nonché la ragione di scambio sottesa alla richiesta, che può arguirsi (solo), quando opera, dal meccanismo escludente, per cui senza autorizzazione l’accesso è negato. A tal proposito, la raccomandazione circa la semplicità e la chiarezza del linguaggio [28] appare, tuttavia, a ben vedere, un presidio più apparente che reale, più di forma che di sostanza, inadeguato ad un’efficace e completa tutela.

Una certa qual disinvoltura nel cedere i dati, infatti, già facilmente registrabile negli adulti – cui si può, tuttavia, rimproverare una scarsa ponderazione – tanto più la si riscontra mediamente nei minori, anche compiuti i 14 anni, proprio per l’inesperienza e la curiosità che li caratterizza e che giustificherebbe – per loro – un’analoga scarsa ponderazione.

Il minore, inoltre, quand’anche arrivasse a comprendere (grazie al linguaggio chiaro e sempre che ci si soffermi) le finalità per cui saranno trattati i suoi dati ben potrebbe non comprendere appieno o affatto la natura negoziale del gesto né i rischi della cessione propagabili nel tempo e nello spazio: coordinate, s’è detto, entrambe potenzialmente infinite nel web. E non si può omettere di considerare come sovente il linguaggio pur chiaro resti del tutto generico nell’indicare le finalità della raccolta, senza rappresentare né le possibili ulteriori finalità, né i possibili rischi connessi alla profilazione [29], né tanto meno la possibilità di incorrere o subire illeciti durante l’uso, profili che sicuramente non sono ricompresi nelle “informazioni e comunicazioni relative al trattamento che lo riguardi” [30].

Se, come è stato osservato [31], con l’avvento della rivoluzione digitale siamo di fronte ad una nuova forma di identità, scaturente dalla circolazione di simili dati, un’identità anch’essa digitale, esprimere il consenso in tale ambito significa più complessivamente gestire tale identità, ammettendo che i suoi estremi circolino.

La consapevolezza del duplice effetto della cessione – “divulgativo” e al contempo “costitutivo” della stessa identità digitale – spesso manca negli interessati maggiorenni: presumerla nei ragazzi, senza adeguate contromisure, rende ancora più illusoria l’autodeterminazione che il consenso dovrebbe rivelare e rende altresì illusoria l’attesa (o pretesa) da parte dell’art. 2 quinquies, cod. privacy di un consenso realmente “significativo”.

Quel grado di ponderazione in più allora sarebbe stato prudente, invece che estrometterli da ogni controllo, lasciarlo affidato e pretenderlo – per lo meno sotto forma di autorizzazione se non di sostituzione – dai genitori, posto che tale attività di assistenza – che infatti “resiste” fino al quattordicesimo anno – si inscrive pienamente nella responsabilità e nel dovere di cura cui sono tenuti ex artt. 315-bis e 316 cod. civ.

Così come ricade nel raggio del dovere educativo dei genitori il compito di impartire ai figli le regole del rispetto di se stessi e degli altri, specialmente ove più vulnerabili e, in generale, quelle per un uso responsabile dei mezzi di comunicazione [32]; la potenzialità lesiva di questi dovrebbe essere adeguatamente illustrata, rappresentando, ad esempio, come la diffusione non autorizzata di informazioni, dati, immagini relative a minori da parte di altri minori possa integrare la violazione del diritto alla riservatezza, all’immagine, alla reputazione o all’identità personale [33], quando non addirittura, per i suoi connotati specifici, le fattispecie di cyberbullismo (l. n. 71/2017) [34].


5. Aporie e frammentazioni nella tutela del minore: la necessità di una lettura integrata delle misure di protezione del “baby-consumatore” e del “baby-internauta”

I 14 anni rappresentano, dunque, una “maturità digitale” che è stata salutata, sull’onda di un certo “protagonismo minorile”, come una conquista evolutiva del minore, sempre più e prima slegato dall’au­torizzazione genitoriale, e direttamente ammesso a gestire in modo autonomo i suoi diritti personali nonché per tale via, secondo alcuni, anche quelli patrimoniali immediatamente connessi [35].

Ma, a ben vedere, anche questa maturità digitale, non diversamente da quella ordinaria di cui all’art. 2 cod. civ., sconta, con i limiti propri di ogni criterio standard, l’automatismo di una data: il compimento del quattordicesimo anno, a prescindere dalla valutazione circa la cruciale “capacità di discernimento” [36], di cui non si fa menzione alcuna e che, invece, è di recente assurta a criterio-guida negli spazi di autonomia esistenziale previsti (art. 336-bis cod. civ., ad es.) e che sola giustifica una simile anticipazione.

Diversamente dal passaggio alla maggiore età, tuttavia, che presume il raggiungimento di un sufficiente grado di maturità idoneo alla generale cura dei propri interessi, la maturità digitale non è chiaro a quale tipo, o sottotipo, di maturità alluda.

Peraltro se è noto che lo sviluppo personale è il risultato dell’interazione di alcuni processi – biologici, cognitivi e socio-emotivi – e che nel continuum del processo di crescita possono distinguersi vari stadi evolutivi, è altrettanto noto che la maturità cognitiva non coincide necessariamente con quella emotiva, che consente di gestire le emozioni e prendere consapevolezza delle possibili conseguenze delle prozie azioni [37].

Ora, se è vero che oggi quella con cui ci si deve misurare, circa i mezzi di comunicazione, è una vera e propria “costellazione” [38] di fonti, anche di soft law, che sotto diversi profili, come s’è visto, si (pre)occupano di considerarlo isolatamente, si può osservare che solo di fronte allo specchio frammentato delle norme il minore appare in tante diverse figure quante le discipline di riferimento, ma di fronte alla società si presenta nella sua unicità e inscindibilità come persona in evoluzione; e il fatto che lo stesso compaia come un “capitolo” nel quadro di singole normative di settore (il consumo, i mezzi di comunicazione, la circolazione dei dati personali) non garantisce di per sé il raggiungimento dell’obiettivo finale di cui si diceva all’inizio.

Proprio l’armonico sviluppo fisico, psichico e morale del minore, peraltro, risulta il grande assente del GDPR, ove, così designato, non compare affatto.

L’unico “sviluppo” di cui il regolamento si occupa è apertamente quello “dell’economia digitale in tutto il mercato interno” (considerando n. 7).

L’ottica del regolamento, del resto, che esplicita come suo scopo quello di incentivare l’economia digitale, “che vive e si nutre della circolazione dei dati, garantendo il diritto fondamentale alla protezione di questi, all’insegna della creazione di un clima di fiducia e di collaborazione” [39], sembra orientata più a promuovere che a proteggere, svelando così la natura “bifronte” [40] del diritto alla privacy, nella rinnovata accezione di diritto sulla circolazione dei propri dati.

In questo contesto, dunque, al giovane di 16 o 14 anni viene aperta una strada che può percorrere in autonomia ma non la si rende per lui più adatta e sicura, sicché risulta essere la medesima che percorreranno i maggiorenni e con i medesimi mezzi [41].

Quindi lo stesso “baby-consumatore”, protetto dal cod. cons. come soggetto vulnerabile, risulta esposto poi come “baby-internauta” agli stessi potenziali pregiudizi cui lo si era sottratto sotto l’altra veste, con l’aggiunta peraltro del pericolo, non sufficientemente valutato, di venire qui, per la innovativa interazione resa possibile dal mezzo, in contatto con altri utenti, anche sconosciuti, e di incorrere (attivamente o passivamente) in illeciti on line [42].

E così, per esempio, il minore “in situazioni pericolose” che non avrebbe potuto vedere in pubblicità può trovarlo rappresentato in un video caricato da un coetaneo su una piattaforma di condivisione e cedere alla temuta tentazione emulativa, come purtroppo la cronaca talvolta tragicamente racconta; lo stesso dicasi per l’esposizione a scene di abusi e violenza gratuita.

Si pensi poi a come i minori vengono sollecitati dai media, spesso in modo subliminale, a prestare il loro consenso digitale per accaparrarsi il servizio che viene offerto come gratuito [43] e come si ingeneri un meccanismo a catena di inviti pubblicitari sapientemente inseriti durante la navigazione, anche solo nel corso di un videogioco, consentendo al gestore di realizzare e sfruttare forme di pubblicità targettizzata e comportamentale, basata appunto sull’uso fatto dall’utente inconsapevole [44].

Per colmare la lacuna e correggere la contraddizione che ne deriva, all’offerta di servizi della società del­l’informazione dovrebbero estendersi allora le precauzioni di cui all’art. 31 cod. cons., specialmente quando la tecnica di inserimento di banner pubblicitari si configuri come “pratica commerciale” ai sensi dell’art. 18, lett. d), cod. cons. [45]. Una pratica commerciale, si direbbe, doppiamente scorretta proprio perché si rivolge ai destinatari più vulnerabili, per i quali andrebbe sempre ricordato che l’abilità tecnica nell’uso del dispositivo, propria dei “nativi digitali”, non postula affatto una pari capacità critica.

In definitiva, il minore vulnerabile davanti allo schermo della TV resta tale anche davanti a quello di un cellulare o di un tablet e, a differenza dell’adulto, che viene considerato “debole” (solo se e) quando veste i panni del consumatore, lo è a prescindere dal ruolo rivestito: di qui muove il senso della sua stessa protezione che per essere effettiva deve risultare uniforme, senza spazi che, asseritamente guadagnati alla sua autonomia, finiscono per restare vuoti di tutela.

Una simile aporia, parzialmente coperta ora dal nuovo Tusma [46], rivela una certa sottovalutazione dei plurimi riflessi che, ad esempio, la semplice iscrizione ad un social network, per nulla neutra, produce, e pone un problema di effettività e pienezza della protezione. Protezione che, in questa prospettiva, la spinta all’autonomia indotta dal consenso anticipato – pur in astratto condivisibile obiettivo di legislatore e interprete – rischia di compromettere o, in qualche misura, depotenziare. Non si può non riconoscere, infatti, che il minore si trova spesso più solo che autonomo nel venire in contatto con una realtà virtuale della cui incidenza sulla sua sfera personale può non percepire la reale portata e che il guadagnato consenso, finalmente scevro da condizionamenti genitoriali, può però aprire ad una serie indefinita di altri condizionamenti da parte di terzi, sottratti questi ad ogni controllo.

Per un armonico sviluppo fisico, psichico e morale del minore, allora, occorre che ad essere armonizzati siano prima di tutto gli strumenti messi in campo per perseguirlo, tanto più negli spazi ove svolge prevalentemente la sua personalità.

La protezione del minore on line non si esaurisce certo con la regolazione del consenso al trattamento dei dati, qualunque natura gli si attribuisca [47]; coinvolge, piuttosto, il momento della fruizione dei vari servizi in rete (peraltro molti accessibili senza filtri preventivi) che, a prescindere dal primo accesso, poi avviene normalmente in totale indipendenza; lì si apre allora il più complesso scenario della responsabilità legata ai contenuti immessi (anche da minori), auspicabilmente da estendersi al provider fornitore del servizio di hosting, prevedendo forme di più stringente controllo e prevenzione [48].

Non si può tuttavia disconoscere che una vigilanza scrupolosa nel momento dell’ingresso (più consapevole) nella rete – una nuova “casa di vetro” [49] – resta ancora un primo, importante baluardo a difesa del giovane navigante cui vengano affidate idealmente le chiavi.

E quel che resta è comunque anche il sospetto che, di fronte ad un mondo digitale che progredisce incessantemente nelle tecniche di attrazione dei neo-utenti, da un lato si renda il minore sempre prima autonomo perché, dall’altro, quanto prima possa – quale che sia il grado di sviluppo fisico, psichico e morale raggiunto – divenire un nuovo, autonomo consumatore [50].

Un interesse può allora dirsi così realizzato, ma non pare essere prioritariamente quello decantato, e superiore, del minore.


NOTE

[1] V., a titolo emblematico, l’art. 17, Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza del 20 novembre 1989 (ratificata in Italia con l. 27 maggio 1991, n. 176) – dove per child si intende il minore di età da 0 a 18 anni – a mente del quale “Gli Stati parti riconoscono l’importanza della funzione esercitata dai mass-media e vigilano affinché il fanciullo possa accedere ad una informazione ed a materiali provenienti da fonti nazionali ed internazionali varie, soprattutto se finalizzati a promuovere il suo benessere sociale, spirituale e morale nonché la sua salute fisica e mentale”.

[2] Cfr. I.A. Caggiano, Privacy e minori nell’era digitale. Il consenso al trattamento dei dati dei minori all’indomani del regolamento UE 2016/679, tra diritto e tecno-regolazione, in Familia, 2018, 3 ss.

[3] Sulla nozione di interesse del minore e sulle sue possibili funzioni, v., nella vasta letteratura, V. Scalisi, Il superiore interesse del minore ovvero il fatto come diritto, in Riv. dir. civ., 2018, 413, che, onde evitare “ogni possibile arbitrio o ideologismo”, ritiene di “ancorare rigorosamente il concetto in questione al «dato positivo», che (…) non può che essere quello solidaristico-personalistico del pieno e integrale sviluppo della persona umana”, di cui all’art. 3 Cost., ma anche più volte richiamato dalla Convenzione ONU del 1989 (artt. 18, 27, 29, 32). Per un’ampia indagine ricostruttiva, mirante a svelare le “ambiguità concettuali di un principio polivalente”, si rinvia altresì a E. Lamarque, Prima i bambini. Il principio dei best interests of the child nella prospettiva costituzionale, Milano, 2016, 64 ss.; G. Matucci, Lo statuto costituzionale del minore di età, Padova, 2015, 3 ss.; E. Bilotti, Diritti e interesse del minore, in Autodeterminazione e minore età. Itinerari di diritto minorile, a cura di R. Senigaglia, Pisa, 2019, 13 ss.; G. Sicchiero, La nozione di interesse del minore, in Fam. e dir., 2015, 72 ss. Da ultimo, ad un’analisi della nozione esaminata sotto la lente di diverse discipline e rispetto ai molteplici profili che possono coinvolgere il minore è dedicato The best interest of the child, a cura di M. Bianca, Roma, 2021.

[4] Sui molteplici significati del termine, V. Cuffaro, Profili civilistici del diritto all’informazione, Napoli, 1984, 4 ss.

[5] Rubricato “Tutela del minori”, a norma del quale: “La televendita non deve esortare i minorenni a stipulare contratti di compravendita o di locazione di prodotti e di servizi.La televendita non deve arrecare pregiudizio morale o fisico ai minorenni e deve rispettare i seguenti criteri a loro tutela: a) non esortare i minorenni ad acquistare un prodotto o un servizio, sfruttandone l’inesperienza o la credulità; b) non esortare i minorenni a persuadere genitori o altri ad acquistare tali prodotti o servizi; c) non sfruttare la particolare fiducia che i minorenni ripongono nei genitori, negli insegnanti o in altri; d) non mostrare minorenni in situazioni pericolose”. Per un commento e richiami alla casistica sanzionatoria da parte di Agcom per la violazione della norma, v. A. Gentili, Sub art. 31, in Codice del consumo, a cura di V. Cuffaro, con il coordinamento di A. Barba, A. Barenghi, V ed., Milano, 2019, 322.

[6] Entrato in vigore il 25 dicembre 2021, che, a sua volta, modifica il precedente Tusmar del 2005, in attuazione della direttiva (UE) 2018/1808 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 novembre 2018, “recante modifica della direttiva 2010/13/UE, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri, concernente il testo unico per la fornitura di servizi di media audiovisivi in considerazione dell’evoluzione delle realtà del mercato”.

[7] E all’art. 37 (“Disposizioni a tutela dei minori nella programmazione audiovisiva”) vieta espressamente le “trasmissioni televisive gravemente nocive allo sviluppo fisico, psichico o morale dei minori, e, in particolare, i programmi che presentano scene di violenza gratuita o insistita o efferata ovvero scene pornografiche, nonché i film la cui proiezione o rappresentazione in pubblico ai minori di anni diciotto sia stata vietata dalle Autorità a ciò competenti”.

[8] Secondo una soluzione volta a “plasmare le dimensioni della capacità sulla maturità di giudizio”: v. E. del Prato, Le basi del diritto civile, IV ed., rist. agg., Torino, 2021, 154.

[9] V., ad es., artt. 42, 43, 44 del d.lgs. 8 novembre 2021, n. 208 (nuovo Tusma).

[10] Reperibile all’indirizzo https://www.mise.gov.it/index.php/it/ministero/organismi/area-tutela-minori. Per un quadro della tutela della personalità del minore rispetto ai mezzi di comunicazione di massa si rinvia a A.C. Moro, Manuale di diritto minorile, VI ed., Bologna, 2019, 451 ss. e, in particolare rispetto alla pubblicità, dalla c.d. legge Mammì al “codice di autoregolamentazione TV e minori” nell’ultima versione del 2018, p. 472 s.; v. anche La tutela dei minorenni nel mondo della comunicazione, a cura dell’Autorità garante per l’Infanzia e l’Adolescenza (www.garanteinfanzia.org/sites/default/files/la_tutela_dei_minorenni_nel_mondo_della_comu
nicazione.pdf
).

[11] Si pensi al gioco d’azzardo di cui alla Raccomandazione della Commissione europea del 14 luglio 2014, che ricorda come: “I minori sono frequentemente esposti al gioco d’azzardo attraverso Internet, attraverso applicazioni per telefoni cellulari e mezzi d’informazione che riportano messaggi pubblicitari sul gioco d’azzardo e attraverso forme di pubblicità esterna. Inoltre, i minori assistono a gare sportive sponsorizzate da società legate al gioco d’azzardo o che propongono pubblicità che rimandano ad attività di gioco d’azzardo”. L’art. 49 h) del Tusma vieta, infatti, le comunicazioni commerciali audiovisive relative al gioco d’azzardo.

[12] Per la ricostruzione del quadro regolatorio in questo specifico ambito si rinvia a V. Montaruli, La protezione dei dati personali e il minore, in I dati personali nel diritto europeo, a cura di V. Cuffaro, R. D’Orazio, V. Ricciuto, Torino, 2019, 305 ss.

[13] Ora integrata nel cod. privacy, che vi rinvia. Si veda l’Allegato A, art. 7 (Tutela del minore): “1. Al fine di tutelarne la personalità, il giornalista non pubblica i nomi dei minori coinvolti in fatti di cronaca, né fornisce particolari in grado di condurre alla loro identificazione. 2. La tutela della personalità del minore si estende, tenuto conto della qualità della notizia e delle sue componenti, ai fatti che non siano specificamente reati. 3. Il diritto del minore alla riservatezza deve essere sempre considerato come primario rispetto al diritto di critica e di cronaca; qualora, tuttavia, per motivi di rilevante interesse pubblico e fermo restando i limiti di legge, il giornalista decida di diffondere notizie o immagini riguardanti minori, dovrà farsi carico della responsabilità di valutare se la pubblicazione sia davvero nell’interesse oggettivo del minore, secondo i principi e i limiti stabiliti dalla ‘Carta di Treviso’”. In particolare sulla diversa gerarchia tra diritto di cronaca e di privacy v. V. Montaruli, La protezione dei dati personali e il minore, cit., 312.

[14] Cfr. S. Rodotà, Il mondo nella rete. Quali i diritti, quali i vincoli, Bologna, 2014, 41 ss.; da ultimo, R. Clarizia, Internet: gli interrogativi del civilista, in Dir. di internet, 2022, 5, osserva come “Su internet non c’è tempo, o meglio passato e presente si fondono in una perenne memoria e attualità. Su internet non c’è spazio, né confini e ogni “barriera” può essere tecnicamente superata ed aggirata”.

[15] Per un commento puntuale della norma si rinvia a V. Montaruli, La protezione dei dati personali e il minore, cit., 275 ss.; G. Spoto, Disciplina del consenso e tutela del minore, in La nuova disciplina europea della privacy, a cura di S. Sica, V. D’Antonio, G.M. Riccio, Milano-Padova, 2016, 111 ss.; E. Luchini Guastalla, Privacy e data protection: principi generali, in Privacy digitale. Riservatezza e protezione dei dati personali tra GDPR e nuovo Codice Privacy, a cura di E. Tosi, Milano, 2019, 76 s.

[16] In ciò il GDPR riproduce in sostanza la previsione del Children’s Online Privacy Protection Act 1998 (Coppa), che negli USA limita il necessario parental consent al raggiungimento dei 13 anni.

[17] Sull’adeguamento del “vecchio” codice privacy (d.lgs. n. 196/2003) avvenuto con il d.lgs. n. 101/2018 secondo una tecnica di novellazione assai discutibile, V. Cuffaro, Quel che resta di un codice: il D.Lgs. 10 agosto 2018, n. 101 detta le disposizioni di adeguamento del codice della privacy al regolamento sulla protezione dei dati, in Corr. giur., 2018, 1181 ss.; l’evoluzione della materia, ben evidente dalla nuova accezione della stessa nozione di privacy, è ripercorsa da Id., Il diritto europeo sul trattamento dei dati personali e la sua applicazione in Italia, in La protezione dei dati personali e il minore, in I dati personali nel diritto europeo, a cura di V. Cuffaro, R. D’Orazio, V. Ricciuto, cit., 3 ss.

[18] Contro il parere, peraltro, del Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza (23 maggio 2018, n. 1008, in www.garanteinfanzia.it) che suggeriva di confermare l’opzione europea dei 16 anni, quale età più idonea a garantire un più avanzato stadio di maturazione dell’adolescente, e già stabilita, ad es., per il riconoscimento del figlio e per la cessazione dell’obbligo scolastico. Favorevole invece il Garante privacy (parere 22 maggio 2018, n. 312, in www.garanteprivacy.it) per analogia con altre previsioni positive, quali l’assen­so all’adozione e la promozione autonoma della tutela nei casi di cyberbullismo. Anche altri paesi hanno utilizzato la deroga: se, ad es., Germania, Lussemburgo, Paesi Bassi, Romania, Slovacchia, Ungheria hanno lasciato il limite dei 16 anni, Grecia, Repubblica Ceca, Slovenia, Francia l’anno abbassato a 15, mentre Austria, Bulgaria, Cipro, Lituania, come l’Italia, a 14 anni e Belgio, Regno Unito, Spagna, Svezia, Inghilterra, Danimarca, Finlandia, Polonia, Portogallo addirittura a quello minimo di 13 anni.

[19] Per i programmi di protezione impostati a livello europeo si rinvia a C. Perlingieri, La tutela dei minori di età nei social networks, in Rass. dir. civ., 2016, 1327 ss.

[20] “(…) Tale specifica protezione dovrebbe, in particolare, riguardare l’utilizzo dei dati personali dei minori a fini di marketing o di creazione di profili di personalità o di utente e la raccolta di dati personali relativi ai minori all’atto dell’utilizzo di servizi forniti direttamente a un minore (…)”.

[21] “Tale diritto è in particolare rilevante se l’interessato ha prestato il proprio consenso quando era minore, e quindi non pienamente consapevole dei rischi derivanti dal trattamento, e vuole successivamente eliminare tale tipo di dati personali, in particolare da internet. L’interessato dovrebbe poter esercitare tale diritto indipendentemente dal fatto che non sia più un minore”. Per un commento, F. Di Ciommo, Diritto alla cancellazione, diritto di limitazione del trattamento e diritto all’oblio, in I dati personali nel diritto europeo, a cura di V. Cuffaro, R. D’Orazio, V. Ricciuto, cit., 353 ss. In argomento, di recente tornato in auge anche grazie al­l’avvento del GDPR, v. M.A. Livi, Quale diritto all’oblio?, Napoli, 2020; V. Bellomia, Diritto all’oblio e società dell’informa­zione, Milano, 2019; in particolare sull’efficacia dell’ordine di rimozione, v. M. Astone, Il diritto all’oblio on line alla prova dei limiti territoriali, in Europa dir. priv., 2020, 223 ss.

[22] E così rispetto al d.lgs. n. 196/2003 di recepimento che, limitandosi a richiedere il consenso dell’interessato, sollevò un dibattito circa la necessaria piena capacità d’agire dello stesso: in tema, V. Cuffaro, La disciplina del trattamento dei dati personali, in La disciplina dei dati personali, a cura di V. Cuffaro, V. Ricciuto, Torino,1997, 222 ss.

[23] All’impatto sistematico interno della norma dedica un’ampia riflessione, tra gli altri, R. Senigaglia, Minore età e contratto. Contributo alla teoria della capacità, Torino, 2021, 75 ss.

[24] Come intende V. Cuffaro, Il diritto europeo sulla protezione dei dati e la sua applicazione in Italia: spunti per un bilancio, in Regolare la tecnologia. Il Reg. Ue 2016-679 e la protezione dei dati personali. Un dialogo tra Italia e Spagna, a cura di A. Mantelero, D. Poletti, Pisa, 2018, 35 s. per “rimarcare che la circolazione dei dati ha ormai da tempo assunto un rilievo sul piano economico che sarebbe ingenuo se non ipocrita ignorare”. La “lettura patrimonialistica” del fenomeno, largamente diffusa, è ampiamente argomentata, ad es., da V. Ricciuto, La patrimonializzazione dei dati personali. Contratto e mercato nella ricostruzione del fenomeno, in I dati personali nel diritto europeo, a cura di V. Cuffaro, R. D’Orazio, V. Ricciuto, cit., 23 ss.; R. Senigaglia, Minore età e contratto. Contributo alla teoria della capacità, cit., 65 ss. E in giurisprudenza, v. di recente, Cons. Stato, 29 marzo 2021, n. 2630 e n. 2631, in Giorn. dir. amm., 2021, 609, con nota di F. Midiri.

[25] Cfr. L. Bozzi, I dati del minore tra protezione e circolazione: per una lettura non retorica del fenomeno, in Eur. Dir. priv., 2020, 266 ss. che sottolinea la prevalenza nel GDPR del momento circolatorio rispetto a quello identitario.

[26] “Che talvolta assorbe o prevarica la loro esistenza fisica non virtuale”: così M. Bianca, Il minore e i nuovi media, in Autodeterminazione e minore età. Itinerari di diritto minorile, a cura di R. Senigaglia, cit., 150.

[27] Una dettagliata e aggiornata analisi del tema è contenuta nel Libro bianco “Media e minori” (2018) dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (reperibile sul sito www.agcom.it).

[28] Tradotta così nel nuovo art. 2-quinquies, comma 2, cod. privacy: “In relazione all’offerta diretta ai minori dei servizi di cui al comma 1, il titolare del trattamento redige con linguaggio particolarmente chiaro e semplice, conciso ed esaustivo, facilmente accessibile e comprensibile dal minore, al fine di rendere significativo il consenso prestato da quest’ultimo, le informazioni e le comunicazioni relative al trattamento che lo riguardi”.

[29] Ovvero il trattamento automatizzato dei dati che rielabora particolari aspetti e abitudini della persona: v. considerando 71, ove peraltro si prevede che non dovrebbe “riguardare i minori”. La raccomandazione non è stata poi riprodotta nell’articolato, per cui si discute se sia cogente; per un approfondimento si rinvia a A. Pierucci, Elaborazione dei dati e profilazione delle persone, in I dati personali nel diritto europeo, a cura di V. Cuffaro, R. D’Orazio, V. Ricciuto, cit., 448 s.

[30] Lo rileva anche L. Bozzi, I dati del minore tra protezione e circolazione: per una lettura non retorica del fenomeno, cit., 265 ss.

[31] G. Alpa, L’identità digitale e la tutela della persona. Spunti di riflessione, in Contr. e impr., 2017, 723 ss., per il quale “l’identità è diventata un concetto liquido. E il diritto alla identità un diritto connesso con una realtà fattuale fluttuante, dinamica, fluida, quasi inafferrabile. Di questa identità si è impossessata l’informatica, e l’ha piegata strumentalmente ai suoi usi patrimoniali, nella ricerca del profitto per connettere ciascun aspetto dell’identità ai beni, ai servizi, ai contatti che possono essere utili alla persona o, con la forza della pubblicità, divenire bisogni indotti che debbono essere soddisfatti”. Sulla neonata “identità digitale” nelle sue varie, possibili accezioni v. anche T. Pasquino, Identità digitale della persona, diritto all’immagine e reputazione, in Privacy digitale. Riservatezza e protezione dei dati personali tra GDPR e nuovo Codice Privacy, a cura di E. Tosi, cit., 93 ss.

[32] I genitori, peraltro, possono dotarsi anche di alcuni strumenti di controllo e filtri di prevenzione, su cui v., ad es., F. D’Ambrogio, Parental control: accorgimenti tecnici per escludere la fruizione da parte dei minori di contenuti classificati a visione non libera, in Familia, 2018, 25 ss.

[33] Per quanto meno agevole possa essere immaginare, per un minore, una proiezione sociale della persona, idonea a reclamare una specifica tutela. Sull’indefettibile riferimento alla proiezione sociale, quindi esterna, della persona nel delineare l’identità personale, A. Cataudella, L’identità personale, in Studi in onore di Ugo Majello, a cura di M. Comporti, S. Monticelli, I, Napoli, 2005, 319.

[34] Sulla necessità di una specifica “dimensione digitale” nell’educazione, da non confondere con l’educazione digitale come “complesso di regole di competenza sull’uso della rete”, v. M. Bianca, Minori e nuovi media, cit. 161; in argomento sia consentito rinviare anche a B. Agostinelli, L’educazione della prole tra antiche prerogative genitoriali e nuovo interesse del minore, in Riv. dir. civ., 2021, 155 ss.

[35] Cfr. C. Camardi, Minore e privacy nel contesto delle relazioni familiari, in Autodeterminazione e minore età. Itinerari di diritto minorile, a cura di R. Senigaglia, cit., 125 ss.; Senigaglia, Minore età e contratto. Contributo alla teoria della capacità, cit., passim. La questione, nei suoi termini essenziali, è annosa: v., ad es., F. Giardina, La condizione giuridica del minore, Napoli, 1984; P. Stanzione, Capacità e minore età nella problematica della persona umana, Napoli, 1976.

[36] Sul punto, L. Bozzi, I dati del minore tra protezione e circolazione: per una lettura non retorica del fenomeno, cit., 265 ss., che considera come presunto il discernimento del quattordicenne alla base del suo consenso. In tema, F. Ruscello, Minore età e capacità di discernimento: quando i concetti assurgono a “supernorme”, in Fam. e dir., 2011, 404 ss.

[37] Sono, infatti, previste attualmente valutazioni specifiche di questi diversi aspetti del funzionamento mentale dell’individuo in età evolutiva: v. Manuale diagnostico psicodinamico PDM-2 0/18. Infanzia e adolescenza, ed. italiana a cura di V. Lingiardi, N. McWilliams, A.M. Speranza, Milano, 2020, p. 5 ss.

[38] Così I.A. Caggiano, Privacy e minori nell’era digitale. Il consenso al trattamento dei dati dei minori all’indomani del regolamento UE 2016/679, tra diritto e tecno-regolazione, cit., 7. Per un’approfondita analisi del tema con puntuale ricostruzione della relativa congerie normativa, specialmente europea, si rinvia a E. Andreola, Minori e incapaci in Internet, Napoli, 2019, passim.

[39] Su punto v. D. Poletti, Comprendere il Reg. UE 2016/679: un’introduzione, in Regolare la tecnologia. Il Reg. Ue 2016-679 e la protezione dei dati personali. Un dialogo tra Italia e Spagna, a cura di A. Mantelero, D. Poletti, cit., 11 ss.

[40] Derivante dal carattere sia personale, per le implicazioni identitarie, che patrimoniale, correlato alla circolazione dei dati: M. Bianca, Minori e nuovi media, cit., 151 ss. che per via di tale natura valuta come inadeguato l’attuale apparato di rimedi.

[41] Per C. Perlingieri, La tutela dei minori di età nei social networks, cit., 1329, è necessario che “le concrete facoltà di utilizzo derivanti dall’iscrizione al social site siano differenziate tra minori di età e maggiori di età, sì che i minori non possano relazionarsi sui social con le medesime modalità dei maggiori di età”, non essendo sufficiente in tal senso il ricorso di molti operatori a sistemi di filtraggio e di codifica dei contenuti.

[42] Sui rischi per i minori in rete sono ormai numerose le analisi e le riflessioni: v., tra le più recenti, E. Andreola, Minori e incapaci in Internet, cit.; Ead., Misure cautelari a tutela dei minori nei social network, in Fam. dir., 2021, 849 ss. Sostiene la necessità, per la loro difesa, di una “strategia pluridimensionale” che combini la collaborazione di genitori, scuola e operatori dei social network, C. Perlingieri, La tutela dei minori di età nei social networks, cit., 1327.

[43] Il Consiglio di Stato (29 marzo 2021, nn. 2630 e 2631, cit. nota 24) ha ravvisato gli estremi della pratica ingannevole nella modalità di iscrizione a Facebook, non venendo adeguatamente rappresentato che il servizio fornito dalla piattaforma come gratuito era legato alla messa a disposizione dei dati per finalità commerciali non meglio definite.

[44] È noto il caso di TikTok (piattaforma impiegata per divulgare video), responsabile di diverse violazioni delle norme sulla privacy e di quelle a tutela dei consumatori: per una rassegna delle vicende dei social network più in voga tra i giovanissimi, in vario modo coinvolte nell’acquisizione e sfruttamento illegittimo dei dati dei minori, v., di recente, G. Vulpiani, L’utente minore online: tutela della privacy e attività negoziale, in Tecnologie e diritto, 2021, 104 ss.; sugli stimoli al consumo suscitati in rete v. le riflessioni di F. Criscuolo, Minore-consumatore e diritto all’identità, in The best interest of the child, a cura di M. Bianca, cit., 986 ss.

[45] Anche quando non si tratti di informazioni vere e proprie ma meri “messaggi evocativi, suggestivi, volti ad attirare l’attenzione del consumatore”, v. sul punto G. Alpa, in Diritto dei consumatori, a cura di G. Alpa, A. Catricalà, Bologna, 2016, 183. L’art. 18 cod. consumo definisce, infatti, pratica commerciale “qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresa la pubblicità e la commercializzazione del prodotto, posta in essere da un professionista, in relazione alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori”. In argomento, v. A. Barenghi, Diritto dei consumatori, II ed., Milano, 2020, 195 ss.; R. Angelini, Sub art. 18, in Codice del consumo, a cura di V. Cuffaro, cit., 114 ss.

[46] Che all’art. 42 prevede che “i fornitori di piattaforme per la condivisione di video soggetti alla giurisdizione italiana devono adottare misure adeguate a tutelare: a) i minori da programmi, video generati dagli utenti e comunicazioni commerciali audiovisive che possano nuocere al loro sviluppo fisico, mentale o morale a norma dell’articolo 38, comma 3”.

[47] Il GDPR non assoggetta la persona fisica che tratti i dati nell’ambito di un’attività a carattere squisitamente personale o domestico, come la corrispondenza, l’uso dei social network e l’attività on line. Così come esula la violazione che sia posta in essere dai medesimi genitori (si pensi al caso della pubblicazione sui social network delle fotografie dei propri figli o addirittura di atti giudiziari che li riguardano, su cui v. E. Andreola, Misure cautelari a tutela dei minori nei social network, cit., 857).

[48] Cruciale l’inquadramento dei soggetti coinvolti a vario titolo nella diffusione dei contenuti illeciti, su cui la giurisprudenza fonda il giudizio di responsabilità: emblematica in tal senso, Cass. pen., 17 dicembre 2013, n. 5107, in Giur. it., 2014, 2016, con nota di A. Macrillò che, nella nota vicenda Google-Vividown, per l’immissione in rete di un video con soprusi ad un ragazzo con sindrome di Down da parte di coetanei, ha escluso la responsabilità del provider in quanto non considerabile come titolare del trattamento; in proposito, V. Montaruli, La protezione dei dati personali e il minore, cit., 313. Sulle figure soggettive implicate dal GDPR (il titolare del trattamento – data controller – il responsabile – data processor – e il soggetto interessato, portatore dell’informazione – data subject), v., per tutti, N. Brutti, Le figure soggettive delineate dal GDPR: la novità del Data Protection Officer, in Privacy digitale. Riservatezza e protezione dei dati personali tra GDPR e nuovo Codice Privacy, a cura di E. Tosi, cit., 117 ss.

[49] R. Clarizia, Internet: gli interrogativi del civilista, cit., 5, avverte che “La tecnica sopravanza il diritto e rende impossibile una concreta tutela della riservatezza. La persona è accerchiata e si scopre oggetto di continua attenzione, sotto riflettori che è impossibile oscurare o spegnere”.

[50] Sui giovani, “consumatori perfetti”, v. le riflessioni, in chiave sociologica, di D. Secondulfo, Born to buy. La socializzazione del giovane consumatore, in The best interest of the child, a cura di M. Bianca, cit., 1049 ss.

Fascicolo 2 - 2022