Jus CivileISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

Informazione e minori: una lettura integrata per una tutela uniforme (di Benedetta Agostinelli, Professore associato di Diritto privato – Università degli Studi Roma Tre)


Se la peculiare attenzione riservata al minore mira a salvaguardare l’armonico sviluppo psico-fisico di una persona ancora priva di esperienza  e di adeguati strumenti di conoscenza, occorre che ad essere armonizzati e non contradditori siano prima di tutto i mezzi impiegati per perseguire tale obiettivo, in particolare quando il minore è destinatario della comunicazione ovvero protagonista della cronaca o egli stesso fornitore dell’informazione che lo riguarda, come accade con il consenso al trattamento dei suoi dati personali. Solo una lettura integrata delle norme a lui dedicate, non sempre coerenti, può garantire una tutela effettiva, specialmente quando è esposto nel vasto e spesso pericoloso mondo della rete.

 

Information and minors: an integrated reading for uniform protection

If the special attention given to the child is intended to safeguard his harmonious pycho-physical development as he still lacks experience and adequate knowledge tools it matters that the means used to achieve the objective must be harmonised and consistent, particularly when the child is the recipient of the communication or protagonist of the news or he himself provides the information, as it happens with the consent to the processing of personal data. Only an integrated reading of the rules dedicated to minors can assure an effective protection, especially when they are exposed in the large and often dangerous world of web.

Keywords: minors protection – advertising – information – privacy – consent.

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SOMMARIO:

1. Lo sviluppo fisico, psichico e morale del minore, fondamento della sua tutela - 2. Il minore destinatario dell’informazione: la pubblicità commerciale - 3. Il minore oggetto dell’informazione, tra privacy e cronaca - 4. Il minore soggetto dell’informazione: lo speciale “consenso digitale” al trattamento dei dati personali - 5. Aporie e frammentazioni nella tutela del minore: la necessità di una lettura integrata delle misure di protezione del “baby-consumatore” e del “baby-internauta” - NOTE


1. Lo sviluppo fisico, psichico e morale del minore, fondamento della sua tutela

Plurime le declinazioni possibili del rapporto tra informazione e minore età, dove si coglie, sul piano positivo, l’istanza di dare rilievo, oltre e più che alla situazione giuridica protetta in sé, al suo titolare, in quanto persona in formazione, ancora non pienamente matura, meritevole perciò di uno speciale trattamento. A seconda del tipo di informazione e del suo campo di incidenza, rispetto ad essa il minore può esserne destinatario, oggetto, soggetto. In ciascuno di questi casi è presa variamente in considerazione la sua strutturale vulnerabilità. Se l’attenzione riservata dall’ordinamento si presenta a prima vista frastagliata quanto alle modalità di tutela, occorre domandarsi se possa, in ragione del peculiare soggetto coinvolto, ricavarsi dalle distinte discipline, esaminandone alcune esemplificative, una ratio comune nell’intervento, un obiettivo ultimo, che possa essere tenuto presente per armonizzarle al meglio tra loro, per la massima utilità possibile; se poi, a fronte del riconoscimento univoco della necessaria protezione della categoria – nelle fonti più diverse, dalle convenzioni internazionali [1] ai codici di condotta [2] – questa non resti una vuota declamazione ma sia adeguatamente tradotta in regole attuative che non lascino spazi privi di copertura. Quale, infatti, il vero interesse presidiato? E come, nei distinti ambiti? Quando si parla di minori, l’enfasi talvolta posta su tale interesse rischia di ostacolare, invece che agevolare, la messa a fuoco del suo reale contenuto [3]. In via di prima analisi – ma anche di massima sintesi – potrebbe individuarsene il nocciolo nell’equilibrio psico-fisico di una persona priva di esperienza e di strumenti critici affinati, qual è il minore, pure nei suoi diversi stadi evolutivi. Del resto lo “sviluppo fisico, psichico e morale” del minore è precisamente obiettivo dichiarato e stilema largamente ricorrente in tutte (o quasi, come si vedrà) le norme a lui dedicate, anche quelle in vario modo riconducibili al concetto di informazione, nel suo senso più lato [4]. Detto sviluppo sarebbe potenzialmente compromesso dall’abuso della manipolabilità propria di una mente suscettibile di subire l’induzione al consumo precoce (specie di sostanze inappropriate all’età) ovvero la [continua ..]


2. Il minore destinatario dell’informazione: la pubblicità commerciale

Muovendo dal minore inteso quale destinatario dell’informazione commerciale, il suo presidio espresso è rappresentato, a titolo emblematico, dall’art. 31, d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (cod. cons.) [5], sostanzialmente riprodotto negli artt. 43, lett. g) e 47, comma 2, del recente d.lgs. 8 novembre 2021, n. 208 (Testo unico servizi media audiovisivi, c.d. Tusma) [6]: quest’ultimo, infatti, all’art. 4 contempla, tra i principi, la “promozione e tutela del benessere, della salute e dell’armonico sviluppo fisico, psichico e morale del minore, garantiti dalla Costituzione, dal diritto dell’Unione europea, dalle norme internazionali vigenti nell’ordinamento italiano e dalle leggi statali e regionali” [7]. L’art. 31 cod. cons. vieta nelle televendite, da un lato, di “esortare” i minorenni “a stipulare contratti di compravendita o di locazione di prodotti e di servizi” e, dall’altro, di “arrecare pregiudizio morale o fisico ai minorenni”, elencando una serie di specifici caratteri che, dati per strutturali (come l’inesperienza, la credulità, la fiducia riposta negli adulti di riferimento, la tendenza ad emulare), non devono essere usati come leva per stimolare in loro – e, attraverso loro, nei genitori – la domanda di consumo. La tutela sembra qui evocare allora due ambiti: quello strettamente negoziale (“stipulare contratti”, plausibilmente quelli ascrivibili alla vita quotidiana e da ritenersi quindi validi) [8] e quello del pregiudizio alla persona in sé e per sé; fisico, nel caso di minore esposto a situazioni pericolose che potrebbero suggerire atti imitativi; morale, nel caso di impressione o assuefazione rispetto a modelli comportamentali deviati che fossero proposti come accettabili o, addirittura, normali. A ciò si aggiunge ora il nuovo Tusma che, tenendo opportunamente conto del “processo di convergenza fra le diverse forme di comunicazioni, quali le comunicazioni elettroniche, l’editoria, anche elettronica, e internet in tutte le sue applicazioni e dell’evoluzione tecnologica e di mercato”, contiene disposizioni in materia di servizi di media audiovisivi, quali la trasmissione di programmi televisivi, radiofonici e la fornitura di servizi interattivi associati e di servizi di accesso condizionato, comprese le comunicazioni commerciali [continua ..]


3. Il minore oggetto dell’informazione, tra privacy e cronaca

Quando, invece, i minori sono oggetto dell’informazione si appresta un altro tipo di tutela incentrata sul loro riserbo, che impone stringenti limiti nella divulgazione di dati o immagini ad essi relativi. La regolamentazione, anche qui di fonte e rango diversi, prevede uno speciale riguardo, ad esempio, quando il minore sia sottoposto a procedimento penale [12]. Lo prevedeva già il d.P.R. n. 448/1988 in tema di processo penale a carico di imputati minorenni, vietando espressamente “la pubblicazione e la divulgazione, con qualsiasi mezzo, di notizie o immagini idonee a consentire l’identificazione del minorenne comunque coinvolto nel procedimento” (art. 13), a meno che dopo l’inizio del dibattimento il tribunale proceda in udienza pubblica. L’ampliamento della previsione è avvenuto con il d.lgs. n. 196/2003 (cod. privacy) che estende il divieto ad ogni caso di coinvolgimento di minori in procedimenti giudiziari anche non penali, aggiungendo quello di pubblicare i nomi nonché la proclamazione ufficiale del principio di prevalenza del diritto alla riservatezza del minore rispetto a quello di cronaca. In ciò si è uniformato alla “Carta di Treviso” [13], un protocollo firmato da Ordine dei Giornalisti, Federazione nazionale della stampa italiana e Telefono azzurro nel 1990, volto a disciplinare il rapporto tra informazione e infanzia e sostanzialmente a proteggere il minore coinvolto in un fatto oggetto di notizia di cronaca da un’esposizione mediatica per lui potenzialmente pregiudizievole. La salvaguardia del minore impatta qui, e va bilanciata, con l’esercizio del diritto di cronaca che viene così in tanto compresso in quanto impedita la conoscenza da parte dell’opinione pubblica di dati e immagini connesse che comporterebbero un discredito per il minore, segnando la sua identità in itinere. Lo speciale rilievo all’età, che tale speciale compressione comporta, è chiaramente attribuito, infatti, in chiave precauzionale, anticipando (ex ante) la tutela garantita (ex post) dal diritto all’oblio: impedire in radice l’associazione tra notizia e minore, infatti, dovrebbe rappresentare la migliore misura di protezione, come sempre accade del resto per quelle di natura preventiva. Anche qui, dunque, non è la privacy in sé e per sé o, meglio, solo quella –come varrebbe per [continua ..]


4. Il minore soggetto dell’informazione: lo speciale “consenso digitale” al trattamento dei dati personali

Quando, infine, il minore è coinvolto nella circolazione dei suoi dati personali, prestando direttamente il relativo consenso, diviene soggetto attivo dell’informazione. È quanto prevede, come noto, il recente Regolamento europeo per la protezione dei dati (Reg. EU 2016/679, o GDPR), fissando all’art. 8 una disciplina specifica, che però non tocca (espressamente) la generale capacità di agire del minore, come regolata da ciascun ordinamento nazionale [15]. La norma dispone che ove il trattamento preveda il consenso dell’interessato, se vi è “un’offerta diretta di servizi della società dell’informazione” ai minori, tale trattamento “è lecito ove il minore abbia almeno 16 anni”, in caso di età inferiore va prestato o autorizzato da chi esercita la responsabilità genitoriale. Il limite di questa sorta di “maggiore età digitale” può venire ulteriormente abbassato dagli Stati nazionali (ma non al di sotto dei 13 anni) [16] e il legislatore italiano, col decreto di adeguamento del codice privacy [17], ha ritenuto di fissarlo nei 14 anni, stilando una norma (art. 2-quinquies, d.lgs. n. 193/1996) [18] ancora più chiara: “il minore che ha compiuto i quattordici anni può esprimere il consenso al trattamento dei propri dati personali in relazione all’offerta diretta di servizi della società dell’informazione”. Il GDPR, sulla scorta di una costante attenzione eurounitaria verso i minori particolarmente esposti durante la navigazione in rete [19], proclama uno speciale riguardo nei loro confronti al considerando 38 [20], che li riconosce apertamente “meno consapevoli dei rischi, delle conseguenze e delle misure di salvaguardia interessate nonché dei loro diritti in relazione al trattamento dei dati personali” e al considerando 58, dove si prescrive un linguaggio “semplice e chiaro che un minore possa capire facilmente” per qualsiasi informazione e comunicazione “quando il trattamento dati li riguarda”. Peraltro resta salva anche per i minori la possibilità sia di revocare il consenso dato sia di invocare il diritto all’oblio, inteso qui ed evolutosi in diritto alla cancellazione dei dati, successivamente al raggiungimento della maggiore età rispetto all’epoca in cui il consenso fu [continua ..]


5. Aporie e frammentazioni nella tutela del minore: la necessità di una lettura integrata delle misure di protezione del “baby-consumatore” e del “baby-internauta”

I 14 anni rappresentano, dunque, una “maturità digitale” che è stata salutata, sull’onda di un certo “protagonismo minorile”, come una conquista evolutiva del minore, sempre più e prima slegato dall’au­torizzazione genitoriale, e direttamente ammesso a gestire in modo autonomo i suoi diritti personali nonché per tale via, secondo alcuni, anche quelli patrimoniali immediatamente connessi [35]. Ma, a ben vedere, anche questa maturità digitale, non diversamente da quella ordinaria di cui all’art. 2 cod. civ., sconta, con i limiti propri di ogni criterio standard, l’automatismo di una data: il compimento del quattordicesimo anno, a prescindere dalla valutazione circa la cruciale “capacità di discernimento” [36], di cui non si fa menzione alcuna e che, invece, è di recente assurta a criterio-guida negli spazi di autonomia esistenziale previsti (art. 336-bis cod. civ., ad es.) e che sola giustifica una simile anticipazione. Diversamente dal passaggio alla maggiore età, tuttavia, che presume il raggiungimento di un sufficiente grado di maturità idoneo alla generale cura dei propri interessi, la maturità digitale non è chiaro a quale tipo, o sottotipo, di maturità alluda. Peraltro se è noto che lo sviluppo personale è il risultato dell’interazione di alcuni processi – biologici, cognitivi e socio-emotivi – e che nel continuum del processo di crescita possono distinguersi vari stadi evolutivi, è altrettanto noto che la maturità cognitiva non coincide necessariamente con quella emotiva, che consente di gestire le emozioni e prendere consapevolezza delle possibili conseguenze delle prozie azioni [37]. Ora, se è vero che oggi quella con cui ci si deve misurare, circa i mezzi di comunicazione, è una vera e propria “costellazione” [38] di fonti, anche di soft law, che sotto diversi profili, come s’è visto, si (pre)occupano di considerarlo isolatamente, si può osservare che solo di fronte allo specchio frammentato delle norme il minore appare in tante diverse figure quante le discipline di riferimento, ma di fronte alla società si presenta nella sua unicità e inscindibilità come persona in evoluzione; e il fatto che lo stesso compaia come un “capitolo” nel quadro di singole [continua ..]


NOTE
Fascicolo 2 - 2022