L’Autore si sofferma sui poteri del giudice dell’esecuzione, partendo dai seguenti interrogativi: può il giudice dell’esecuzione, a fronte di un decreto ingiuntivo non opposto, preso atto della qualifica di consumatore del debitore esecutato, svolgere un sindacato intrinseco in ordine alle pattuizioni contenute nel contratto fonte del diritto di credito, allo scopo di applicare la disciplina in materia di nullità di protezione e rilevare l’inefficacia delle clausole abusive predisposte dal professionista? E, più in particolare, stante l’inerzia del consumatore nel proporre opposizione avverso il decreto ingiuntivo, può il giudice dell’esecuzione disapplicare la disciplina in materia di formazione della cosa giudicata, in modo da non risultare vincolato dal giudicato implicito in ordine al carattere non vessatorio delle clausole contrattuali abusive?
The Author focuses on the powers of the execution judge, starting from the following questions: can the execution judge, in the face of an injunction not opposed, having taken note of the status of consumer of the executed debtor, carry out an intrinsic review in order to the agreements contained in the source contract of the credit law, in order to apply the rules on the subject of nullity of protection and to detect the ineffectiveness of the unfair clauses prepared by the professional? And, more specifically, given the consumer's inactivity in proposing opposition against the injunction, the enforcement judge can set aside the rules on the formation of res judicata, so as not to be bound by the implicit judgment as regards the character not vexatious of unfair contractual clauses?
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1. La questione problematica e la disciplina interna: il difficile rapporto tra stabilità del giudicato e tutela del consumatore - 2. Le domande di pronuncia pregiudiziale del Tribunale di Milano: cause riunite C-693/19 e C-831/19 - 3. La giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la ricerca di un bilanciamento tra autonomia dell’ordinamento interno e tutela del consumatore - 4. Le conclusioni dell’Avvocato Generale sulle cause riunite C-693/19 e C-831/19, portata applicativa e profili critici - NOTE
Può il giudice dell’esecuzione, a fronte di un decreto ingiuntivo non opposto, preso atto della qualifica di consumatore del debitore esecutato, svolgere un sindacato intrinseco in ordine alle pattuizioni contenute nel contratto fonte del diritto di credito, allo scopo di applicare la disciplina in materia di nullità di protezione e rilevare l’inefficacia delle clausole abusive predisposte dal professionista? E, più in particolare, stante l’inerzia del consumatore nel proporre opposizione avverso il decreto ingiuntivo, può il giudice dell’esecuzione disapplicare la disciplina in materia di formazione della cosa giudicata, in modo da non risultare vincolato dal giudicato implicito in ordine al carattere non vessatorio delle clausole contrattuali abusive? La risposta negativa a simili interrogativi sembra imposta dalle norme che disciplinano la formazione del giudicato nel processo civile [1] e precludono o limitano la configurabilità di poteri di cognizione in capo al giudice dell’esecuzione [2]. Al riguardo, risulta anzitutto rilevante coordinare la disciplina in materia di cosa giudicata, sancita sul piano sostanziale dall’art. 2909 cod. civ. e sul piano formale o processuale dall’art. 324 cod. proc. civ., con le disposizioni che regolano il procedimento d’ingiunzione, di cui agli artt. 633 ss. cod. proc. civ., per comprendere e l’attitudine del decreto ingiuntivo non opposto a dar luogo alla formazione del giudicato e, soprattutto, l’estensione oggettiva che a tale giudicato occorra riconoscere. Superato un orientamento risalente [3], che negava l’idoneità al giudicato del decreto ingiuntivo non opposto e riconduceva il rito monitorio tra i procedimenti sommari con prevalente funzione esecutiva, gli interpreti [4] prendono ormai atto dell’attitudine del decreto ingiuntivo a stabilizzarsi, dando luogo alla formazione del giudicato in caso di mancata opposizione del debitore. Si tratta di una conclusione imposta, anzitutto, dal combinato disposto degli artt. 647 e 650 cod. proc. civ., che prevedono l’esecutorietà per mancata opposizione del decreto ingiuntivo e precludono la possibilità per il debitore di esperire opposizione avverso il decreto ingiuntivo così dichiarato esecutivo, salvo le ipotesi di opposizione tardiva, tassativamente individuate dal legislatore nella [continua ..]
La disciplina di diritto interno, nella parte in cui consente, in caso di mancata opposizione a decreto ingiuntivo, la formazione di un giudicato implicito in ordine all’assenza all’interno del contratto di clausole abusive, risulta inidonea a consentire al consumatore una tutela effettiva? La non configurabilità in capo al giudice dell’esecuzione dei poteri idonei a permettere un sindacato intrinseco sul contenuto del titolo esecutivo di formazione giudiziale integra un’ipotesi di carenza dei rimedi giurisdizionali necessari per garantire la tutela effettiva del consumatore? Questi gli interrogativi sottesi alle domande di pronuncia pregiudiziale sollevate dal Tribunale di Milano con ordinanze del 10 agosto 2019 e del 31 ottobre 2019, che hanno dato luogo rispettivamente alle cause C-693/19 e C-831/19 [21], riunite e pendenti davanti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. In entrambe le pronunce, i parametri alla stregua dei quali valutare la conformità dell’ordinamento interno vengono rinvenuti negli artt. 6 e 7 della direttiva 93/13/CEE e nell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. In particolare, l’art. 6 della direttiva 93/13/CEE [22] prevede la non vincolatività per il consumatore delle clausole abusive contenute in un contratto stipulato tra un consumatore ed un professionista, mentre l’art. 7 della direttiva 93/13/CEE [23] è diretto ad implementare tale disciplina sostanziale con adeguati strumenti di attuazione sul piano applicativo e processuale, sancendo che gli Stati membri provvedano a fornire “mezzi adeguati ed efficaci” per far cessare l’inserimento di clausole abusive nei contratti intercorrenti tra consumatori e professionisti. Tale disciplina trova riscontro nell’art. 19, paragrafo 1, TUE [24], in base al quale l’ordinamento degli Stati membri deve prevedere i “rimedi giurisdizionali necessari” al fine di assicurare “tutela giurisdizionale effettiva” in relazione ai settori disciplinati dal diritto dell’Unione Europea. Infine, l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea [25] prevede che ogni cittadino che lamenti una violazione dei diritti e delle libertà assicurate dal diritto dell’Unione Europea abbia diritto ad un “ricorso effettivo” davanti ad un organo [continua ..]
Per rispondere agli interrogativi sollevati dalle domande di pronuncia pregiudiziale del Tribunale di Milano, che toccano alla radice la struttura dell’ordinamento processuale interno, risulta necessario ripercorrere l’evoluzione giurisprudenziale della Corte in Giustizia, così da comprendere i termini del possibile bilanciamento tra autonomia dell’ordinamento interno, stabilità del giudicato ed effettività della tutela del consumatore. I diritti derivanti dalle fonti dell’Unione Europea sono presidiati dagli strumenti processuali predisposti dall’ordinamento interno. Il legislatore nazionale gode di autonomia nel disciplinare i mezzi di tutela giudiziaria di cui possono avvalersi i singoli in caso di lesione delle posizioni soggettive di fonte unionale, mancando una specifica competenza sul punto dell’Unione Europea e la correlativa limitazione di sovranità degli Stati membri. Cionondimeno, il legislatore interno non potrebbe vanificare la portata dei diritti garantiti sul piano sostanziale dalle fonti sovranazionali. Al riguardo, la Corte di Giustizia, a partire dal caso Rewe (decisione 16 dicembre 1976, C-33/76) ha sottoposto l’autonomia degli ordinamenti nazionali ai principi di equivalenza ed effettività, in chiave di funzionalizzazione del diritto processuale interno all’attuazione del diritto sostanziale dell’Unione Europea [41]. In base al principio di equivalenza [42], la tutela apprestata dal legislatore interno per i diritti di fonte unionale non può risultare meno efficace o favorevole rispetto a quella garantita ad analoghe posizioni soggettive fondate su norme nazionali. Il principio di equivalenza ha, pertanto, carattere comparatistico e relazionale, basandosi su un giudizio di confronto tra la tutela processuale garantita dal diritto interno rispetto a posizioni di fonte rispettivamente nazionale e sovranazionale. In applicazione del principio di effettività [43], il legislatore interno non può prevedere una disciplina processuale che renda, in pratica, impossibile la tutela della posizione giuridica garantita dal diritto dell’Unione Europea. A differenza del principio di equivalenza, il principio di effettività ha dunque carattere assoluto e non relazionale, implicando una valutazione incentrata sull’accessibilità della tutela predisposta dal diritto interno a vantaggio del beneficiario [continua ..]
Alla luce della richiamata evoluzione giurisprudenziale della Corte di Giustizia, l’Avvocato Generale, esprimendosi sulle cause riunite C-693/19 e C-831/19, ha ritenuto che l’art. 6, par. 1, e l’art. 7, par. 1, della direttiva 93/13/CEE ostino alla normativa nazionale, nella parte in cui non consente al giudice dell’esecuzione di dichiarare, d’ufficio o su istanza di parte, il carattere vessatorio delle clausole di un contratto, posto alla base di un decreto ingiuntivo passato in giudicato, quando tale accertamento non sia stato compiuto, nel corso del giudizio di cognizione, dall’organo giurisdizionale in modo esplicito e sufficientemente motivato [65]. Ove tale conclusione dovesse essere condivisa dalla decisione della Corte di Giustizia, verrebbe affermato un principio di diritto dalla portata dirompente per l’ordinamento interno. Si assisterebbe, infatti, alla conformazione di un regime giuridico processuale speciale a vantaggio del consumatore, in relazione al quale la stabilità del giudicato avrebbe un ambito di copertura diverso e notevolmente più ristretto, in quanto non suscettibile di ricomprendere sia le ipotesi di giudicato implicito, sia le ipotesi di giudicato esplicito non supportate da sufficiente motivazione. Tale diritto processuale speciale del consumatore sarebbe, inoltre, connotato da ampi poteri di cognizione in capo al giudice dell’esecuzione, in modo tale da consentire, anche in tale fase del processo e mediante lo strumento dell’opposizione all’esecuzione, al ricorrere delle fattispecie di giudicato implicito e omessa o inidonea motivazione della sentenza, l’accertamento della natura vessatoria delle clausole contrattuali, con effetti sulla quantificazione o sulla stessa esigibilità del diritto di credito azionato. Nel giudizio di bilanciamento tra tutela del consumatore e stabilità del giudicato, tale ultimo principio verrebbe dunque ad essere sacrificato per consentire la massima espansione del primo [66]. Nel ripercorrere l’evoluzione della giurisprudenza della Corte di Giustizia sul tema, è emersa la correlazione tra diritto del consumatore ad una tutela effettiva e attitudine del giudicato ad acquisire stabilità. Tuttavia, la nozione di effettività della tutela ha carattere generale e indeterminato, suscettibile di essere riempita di contenuto in base alla pregnanza che a tale tutela si [continua ..]