Il presente contributo si sofferma sulla questione della tutela della volontà del testatore e dei suoi legittimari e sul problema della tutela dei creditori personali del legittimario leso o pretermesso, anche analizzando le prospettive di riforma del codice civile in tema.
Parole chiave: testamento – autonomia testamentaria – legittimari – creditori – azione di riduzione.
The paper analyzes the protection of the deceased’s will and of his forced heirs, entitled by the Italian civil code to inherit a share of the deceased’s estate, and the issues related to the possibility for their creditors to take legal actions against the will.
Keywords: last will and testament – forced heirs – creditors.
1. La tutela del legittimario - 2. La tutela dei creditori personali del legittimario leso o pretermesso - 3. Legittimazione ad agire in riduzione da parte dei creditori personali del legittimario in via surrogatoria - 4. L’esperibilità dell’azione revocatoria in caso di rinunzia all’azione di riduzione da parte del legittimario - 5. L’applicabilità in via analogica dell’art. 524 cod. civ. - 6. La soluzione proposta dalla Cassazione nella pronuncia n. 16623/2019 - 7. La proposta di riforma del codice civile con riguardo alla tutela dei legittimari - NOTE
Recenti pronunce di legittimità e di merito costituiscono l’occasione per soffermarsi su una questione di preminente rilievo: la tutela dei creditori del legittimario pretermesso o leso nella sua quota di legittima [1]. Tale questione, ricca di implicazioni pratiche, mette in luce il potenziale conflitto tra la libertà testamentaria e il diritto dei creditori del legittimario a mantenere la garanzia patrimoniale del proprio credito. Più in generale, è noto come in materia successoria l’autonomia privata incontri un limite innanzitutto nella tutela degli interessi della famiglia [2]; limite che si sostanzia nella previsione dell’intangibilità della legittima [3], ossia di una quota del patrimonio ereditario che spetta inderogabilmente agli stretti congiunti del de cuius [4]. Più specificamente, i discendenti, il coniuge o l’unito civilmente [5] e, in mancanza di discendenti, anche gli ascendenti, acquistano il diritto ad una quota del patrimonio del defunto [6], calcolata sulla base dell’asse patrimoniale del de cuius al momento dell’apertura della successione, al netto di debiti e pesi ereditari (c.d. relictum), nonché dei beni fuoriusciti dal patrimonio dello stesso per effetto di donazioni (c.d. donatum). La legittima si pone, dunque, come limite alla libertà del testatore di disporre del proprio patrimonio, in virtù del principio di solidarietà familiare [7]. Conseguentemente, in caso di lesione della legittima o di totale pretermissione, il nostro ordinamento predispone uno specifico apparato rimediale a tutela della posizione del legittimario stesso; apparato che si compone di tre azioni autonome ma strettamente connesse: l’azione di riduzione in senso stretto; l’azione di restituzione contro i beneficiari delle disposizioni ridotte e l’azione di restituzione contro i terzi acquirenti [8]. La prima ha lo scopo di accertare l’an e il quantum della lesione e conseguentemente far dichiarare l’inefficacia delle disposizioni lesive [9] nei confronti del legittimario [10], mentre le altre mirano al recupero dei beni oggetto delle disposizioni lesive rese inefficaci dall’azione di riduzione. L’ordinamento appresta poi altre tutele al legittimario, quali, ad esempio, la possibilità di proporre l’azione di simulazione rispetto ad un [continua ..]
Il nostro ordinamento non predispone specifici strumenti di tutela dei creditori del legittimario. Dottrina e giurisprudenza si sono, pertanto, a lungo interrogate sui possibili rimedi a loro disposizione [27], soprattutto in considerazione delle varie situazioni prospettabili a detrimento della posizione dei creditori dei successori necessari. Come messo in luce da parte della dottrina, potrebbero delinearsi delle ipotesi di frode attuata in via testamentaria ai danni dei creditori personali del legittimario, attraverso, ad esempio, un accordo tra il testatore e suo figlio [28]. Più in particolare potrebbero delinearsi le seguenti situazioni in pregiudizio dei creditori del legittimario: il legittimario pretermesso o leso nella sua quota di legittima resta inerte e non esercita l’azione di riduzione o rinunzia all’azione; il legittimario cui è stato attribuito un legato in sostituzione di legittima in quota inferiore alla legittima non manifesta la preferenza o decide di conseguire il legato; il legittimario legatario ex art. 552 cod. civ. non propone l’azione di riduzione per reintegrare la quota. La riflessione dottrinale e giurisprudenziale in argomento si incentra, in modo particolare, sulla possibilità per i creditori del legittimario di tutelare le proprie ragioni esperendo l’azione di riduzione che spetterebbe ai legittimari lesi o pretermessi [29]. L’orientamento più restrittivo si indirizza nel senso di considerare inammissibile la legittimazione dei creditori personali del legittimario, in quanto il diritto di proporre l’azione di riduzione rientra tra i diritti personali del legittimario, il quale potrebbe non voler avere nulla a che fare con l’eredità del de cuius [30]. Un altro orientamento afferma, invece, la possibilità per i creditori del legittimario di agire in riduzione, argomentando a partire dal contenuto patrimoniale di tale diritto [31] e dalla trasmissibilità e cedibilità del diritto medesimo ricavabile dalla lettura dell’art. 557 cod. civ. Nell’ambito di tale ultima opzione interpretativa, sono state, poi, proposte diverse soluzioni secondo le quali il creditore personale del legittimario leso o pretermesso sarebbe legittimato ad agire in riduzione: a) con l’azione surrogatoria di cui all’art. 2900 cod. civ.; b) con l’azione revocatoria di cui all’art. 2901 cod. civ.; [continua ..]
Secondo l’opzione interpretativa prevalente in dottrina [32] e giurisprudenza [33] i creditori del legittimario possano esercitare l’azione di riduzione mediante il rimedio generale dell’azione surrogatoria di cui all’art. 2900 cod. civ., ove ne ricorrano le condizioni, sul presupposto che il diritto alla legittima sia un diritto di natura patrimoniale e non un diritto personale. Una conferma dell’esperibilità in via surrogatoria dell’azione di riduzione da parte dei creditori del legittimario può trarsi, inoltre, dalla lettura a contrario del terzo comma dell’art. 557 cod. civ. il quale prevede che «donatari e i legatari non possono chiedere la riduzione, né approfittarne. Non possono chiederla né approfittarne nemmeno i creditori del defunto, se il legittimario avente diritto alla riduzione ha accettato con il beneficio d’inventario». Deve, dunque, dedursi che ove il legittimario non abbia accettato con beneficio di inventario, i creditori del defunto possano esperire l’azione di riduzione. La circostanza che la norma attribuisca la legittimazione attiva ai creditori dell’eredità, in caso di confusione del patrimonio ereditario con quello del legittimario, ha, pertanto, indotto parte della dottrina ad affermare l’irragionevolezza dell’esclusione dalla legittimazione attiva dei creditori personali del legittimario [34]. La possibilità per i creditori di agire in riduzione in via surrogatoria potrebbe tuttavia entrare in crisi sia nell’ipotesi in cui il legittimario sia stato totalmente pretermesso, in quanto l’azione di riduzione sarebbe l’unico modo per adire l’eredità e verrebbe in rilievo un diritto personalissimo [35] e non un diritto a contenuto patrimoniale, sia nel caso in cui il legittimario rinunci all’azione, mancando il presupposto dell’inerzia, sia in caso di mancata rinunzia al legato in sostituzione di legittima. Con riferimento a tale ultimo profilo, una recente sentenza di legittimità [36] ha affermato l’impossibilità per i creditori del legittimario di agire in surrogatoria per il difetto del presupposto dell’inerzia del debitore, in quanto la mancata rinunzia non sarebbe qualificabile propriamente come inerzia, bensì come un atto di gestione del rapporto successorio. Infatti, secondo la Corte, «nel [continua ..]
Occorre, pertanto, chiedersi quale tutela l’ordinamento riconosca ai creditori del legittimario nel caso in cui quest’ultimo non sia rimasto inerte e abbia, ad esempio, rinunziato all’azione di riduzione. Parte della dottrina [37] – seguita da alcune pronunce [38] – ritiene che il creditore personale del legittimario che abbia rinunziato all’azione di riduzione possa agire con l’azione revocatoria [39]. Secondo questa impostazione, il creditore potrebbe impugnare ex art. 2901 cod. civ. la rinunzia, rendendola così inefficace nei suoi confronti e aprendosi la strada verso la possibilità di esperire in via surrogatoria l’azione di riduzione [40]. Tale azione sarebbe esperibile anche nel caso di legato in sostituzione di legittima. Infatti il silenzio del legatario, o anche l’espressa dichiarazione di voler conseguire il legato, potrebbero essere oggetto di azione revocatoria a tutela delle ragioni del creditore del legatario, in quanto atti con cui il legittimario-debitore si priva della possibilità di esperire l’azione di riduzione e che perciò rivelano una manifestazione di volontà negoziale del debitore avente portata peggiorativa della sua situazione patrimoniale. La dottrina che ha criticato la tesi dell’esperibilità dell’azione revocatoria ha osservato che il riconoscimento di tale possibilità è ammissibile solo se si ritiene che il legittimario acquisti ipso iure al momento dell’apertura della successione la proprietà o il diritto di credito sui beni necessari per integrare la sua quota di legittima [41]. Ne conseguirebbe che il legittimario, rinunciando all’azione di riduzione, rinuncerebbe a un diritto già acquisito al proprio patrimonio, dando luogo così a un atto dispositivo in frode e in danno del creditore. Tuttavia, seguendo l’impostazione prevalente [42], secondo la quale il legittimario acquista un diritto sui beni solo a seguito del vittorioso esperimento dell’azione di riduzione, la rinuncia all’azione si sostanzia in una mera omissio adquirendi, insuscettibile di revocatoria, non potendosi rinvenire il presupposto della sussistenza di un atto dismissivo tale da influire negativamente sul patrimonio del debitore [43]. In tale ottica, avendo il mancato acquisto connotazione neutra, i creditori non potrebbero agire né [continua ..]
Il vuoto di tutela per i creditori del legittimario, prospettato nelle ipotesi esaminate, ha indotto parte della dottrina [46], seguita da parte della giurisprudenza [47], a riflettere sulla possibilità di applicare in via analogica l’art. 524 cod. civ., il quale prevede che il creditore di chi rinunzia, anche senza frode, all’eredità può farsi autorizzare dal giudice ad accettare l’eredità in nome e in luogo del rinunziante, al solo fine di soddisfarsi sui beni ereditari di sua spettanza, così ovviando al danno arrecatogli. Secondo tale opzione interpretativa, l’applicazione dell’art. 524 potrebbe consentire il superamento delle problematiche relative all’azione surrogatoria e revocatoria: si supererebbero, ad esempio, i problemi legati all’applicabilità della surrogatoria al caso del legittimario pretermesso e alla necessità, per l’esperimento della revocatoria, della sussistenza dell’elemento della frode del debitore, in quanto unico presupposto dell’azione di cui all’art. 524 cod. civ. è che la rinunzia possa arrecare un danno alle ragioni creditorie. Non si porrebbero problemi nemmeno in caso di rinunzia espressa all’azione di riduzione né in caso di legato in sostituzione di legittima. Infatti, in tale ipotesi, nel caso in cui il debitore non effettui la scelta, il creditore potrebbe far fissare un termine ex art. 481 cod. civ. al debitore entro cui dichiarare se rinuncia o meno all’azione di riduzione e, conseguentemente, agire ex art. 524 cod. civ. in caso di rinuncia. Com’è noto, i presupposti per l’azione di cui all’art. 524 cod. civ. sono i seguenti: la rinuncia deve rappresentare un pregiudizio per i creditori [48], restando irrilevante l’intento fraudolento o l’eventuale accettazione dell’eredità da parte di altri chiamati, e il credito deve essere sorto anteriormente alla rinunzia. Si discute, tuttavia, se il creditore possa proporre tale azione solo in caso di vera e propria rinuncia o se possa proporla anche nelle ipotesi in cui il debitore perda il diritto ad accettare per fatti diversi dalla rinuncia [49]. Quanto alla natura giuridica di tale azione, alcuni autori la riconducono all’azione surrogatoria [50], altri alla revocatoria [51], ma l’opinione prevalente la ritiene un’azione autonoma, [continua ..]
Un tentativo di delineare il sistema di tutele dei creditori del legittimario si riscontra in una recente pronuncia di legittimità [67], seguita da alcune pronunce di merito [68], ove viene proposta una lettura combinata degli artt. 557, 2900 e 524 cod. civ. Individuato nell’art. 557 il perno attorno cui ruota la legittimazione all’azione dei creditori del legittimario, la Corte pone, innanzitutto, l’attenzione sull’art. 524, qualificato come «un rimedio ibrido e del tutto particolare» attraverso il quale il creditore può “vanificare” la rinunzia nei limiti dello stretto necessario a reintegrare le ragioni creditorie. Vanificata la rinunzia, al creditore del legittimario deve «riconoscersi la titolarità all’esercizio in via surrogatoria dell’azione di riduzione, che è l’unico modo per rendere inefficaci le disposizioni lesive e, dunque, per accettare in nome e in luogo del rinunciante, in senso figurato, la legittima». Il Collegio statuisce, dunque, che «l’azione di riduzione è direttamente esperibile in via surrogatoria da parte del creditore del legittimario pretermesso nella specifica ipotesi di inerzia colpevole (non essendo necessario in tal caso il preliminare esperimento dell’actio interrogatoria e della conseguente domanda di autorizzazione, in caso di rinunzia, ai sensi dell’art. 524 cod. civ.), realizzandosi un’interferenza di natura eccezionale – ma legittima – nella sfera giuridica del debitore». Incentrando la riflessione sull’interpretazione dell’art. 524, la Suprema Corte dà risposta a due quesiti: a) l’esperibilità della surrogatoria da parte dei creditori in caso di pretermissione del legittimario, affermando che l’esperimento dell’azione di riduzione in via surrogatoria non determina, in virtù del meccanismo di cui all’art. 524 cod. civ., l’acquisto della qualità d’erede in capo al legittimario pretermesso; b) la tutela del creditore in caso di rinunzia del legittimario all’azione di riduzione. Obiter dictum, infatti, la Corte evidenzia che in caso di rinunzia da parte del legittimario, in seguito all’actio interrogatoria ex art. 481 cod. civ., il creditore possa farsi autorizzare ad accettare l’eredità in nome e luogo del legittimario ex art. 524 e poi agire con [continua ..]
Il sistema di tutele del legittimario è da tempo oggetto di riflessioni critiche, in particolare quale ostacolo alla circolazione dei beni di provenienza donativa e per la sua inadeguatezza rispetto alle esigenze avvertite dai “nuovi” modelli familiari [71]. Da più parti in dottrina si auspicava, infatti, una riforma della legittima [72]. Nel solco di queste considerazioni, con il disegno di legge presentato al Senato in data 29 marzo 2019 (d.d.l. A.S. n. 1151) in materia di delega al Governo per la revisione del codice civile, è stata proposta la modifica delle norme riguardanti i diritti dei legittimari e il divieto dei patti successori [73]. Più in particolare, l’art. 1 lett. c) del disegno di legge, il cui iter sembra essersi arrestato, prevede che il Governo è delegato ad adottare uno o più decreti legislativi al fine di «trasformare la quota riservata ai legittimari dagli articoli 536 e seguenti del codice civile in una quota del valore del patrimonio ereditario al tempo dell’apertura della successione, garantita da privilegio speciale sugli immobili che ne fanno parte o, in mancanza di immobili, da privilegio generale sui mobili costituenti l’asse ereditario». All’evidenza, tuttavia, il criterio direttivo appena menzionato non appare del tutto chiaro nel suo tenore letterale. Plausibilmente, allora, per intendere il significato della delega occorre focalizzarsi sulle implicazioni sottese alla seconda parte della direttiva, ove si precisa che tale «quota» sarebbe «garantita da privilegio speciale sugli immobili che ne fanno parte o, in mancanza di immobili, da privilegio generale sui mobili costituenti l’asse ereditario» [74]. Dalla lettura di tale ultimo segmento può cogliersi come la proposta di riforma miri ad incidere sulle modalità tecnico-giuridiche di tutela del diritto alla quota, sicché, come evidenziato dai primi commentatori, al legittimario verrebbe tolta la possibilità di ottenere una tutela reale della propria posizione successoria mediante l’azione di restituzione, diretta, come visto, a recuperare in natura i beni oggetto delle disposizioni testamentarie o delle donazioni lesive della riserva [75]. Pertanto, in capo al legittimario sorgerebbe un diritto di credito pari al valore della quota spettantegli da far valere nelle forme ordinarie nei confronti [continua ..]