Jus CivileISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

Le fondazioni partecipate e i contratti plurilaterali (di Domenico Fauceglia, Assegnista di ricerca – Università degli Studi di Roma Tor Vergata)


Accanto alla fondazione di erogazione, modello regolato dal codice civile, sono sorte negli anni nuove e diverse figure di fondazione. Il presente studio si sofferma sull’esame delle fondazioni di partecipazione e sui negozi costitutivi dell’ente, aventi la natura di contratti plurilaterali a comunione di scopo. In particolare, le fondazioni partecipate sono caratterizzate da un patrimonio suscettibile di progressivi incrementi e da eventuali e successive adesioni di soggetti terzi. Sono, dunque, fondazioni a “struttura aperta” che, sebbene presentino uno schema differente da quello previsto dal codice civile, presentano, comunque, i caratteri essenziali di una fondazione, i quali costituiscono un invalicabile limite all’autonomia statutaria.

Parole chiave: Fondazione – terzo settore – fondazione di partecipazione – contratti plurilaterali – associazioni – società – adesione al contratto – atto unilaterale – negozi di organizzazione – scopo ideale – scopo di lucro – patrimonio – comunione di scopo – autonomia privata.

Partecipatory foundations and multilateral contracts

Alongside the grantmaking foundation, a model governed by the civil code, as many foundation figures have sprung up over the years. This contribution focuses on the examination of the foundations and on the constitutive transactions of the entity, that is, the multilateral contracts with a common purpose. In particular, the partecipatory foundations are characterized by a patrimony susceptible to progressive increases and by possible and subsequent adhesions of third parties. It is therefore a question of “open structure” foundations which, far from qualifying as “atypical”, constitute only a few types which, in any case, manifest the essential characteristics of a foundation. The problem is, therefore, to identify what are the essential characteristics that cannot fail to be lacking in foundation and which constitute an insurmountable limit to the statutory autonomy that cannot affect the characteristics of the “type” foundation.

SOMMARIO:

1. La fondazione: da istituto “clandestino” a istituto di successo - 2. Principali distinzioni tra fondazioni e associazioni - 3. Le limitazioni all’autonomia privata del fondatore e lo scopo di pubblica utilità - 4. Le fondazioni e i fedecommessi - 4.1. Il caso della c.d. “fidecommisseria Giacomo Filippo Strizoli” - 5. Lo scopo lecito delle fondazioni - 6. Le Fondazioni e l’attività di impresa. La fondazione può produrre profitto? - 6.1. L’attività di impresa della fondazione e l’utilità sociale. Il caso della Fondazione Zeiss - 7. Le fondazioni e la soggezione al fallimento - 8. Le fondazioni possono distribuire il profitto generato? - 9. Dal Grant-making Foundation alla Operating Foundation - 10. “C’era una volta la fondazione”. L’erompere delle fondazioni partecipate - 11. Forme di partecipazione e “patrimoni in cerca di uno scopo comune” - 12. Gli organi della fondazione di partecipazione - 13. I contratti plurilaterali di fondazione - 14. La comunione di scopo e la causa del contratto della fondazione di partecipazione - 15. La sorte del contratto di fondazione e le vicende dell’ente - 16. Riflessioni conclusive: l’autonomia privata ed elementi tipici delle fondazioni - NOTE


1. La fondazione: da istituto “clandestino” a istituto di successo

Il codice civile non offre una definizione precisa di fondazione [1] e, peraltro, si limita a dettare una disciplina piuttosto incompleta e lacunosa, in parte comune all’associazione (artt. 14, comma 1; 16; 18; 19; 27; 29-32; 35 cod. civ.), in parte relativa alla sola fondazione (artt. 14, comma 2, 15, 25, 26, 28 cod. civ.) [2]. Invero, la scarna disciplina codicistica riservata alla fondazione si spiega alla luce di un atteggiamento ostile del legislatore del 1942 rispetto ai corpi intermedi tra individui e Stato alternativi al modello corporativo, dovuto ad un risalente discredito maturato, a partire dal XVIII secolo, in Francia. Nello stato transalpino, come in Italia, le fondazioni apparivano un facile artificio giuridico per schermare il patrimonio del fondatore. Si riteneva che fosse ad esse immanente il pericolo di creare, attraverso la costituzione dell’ente, vincoli di destinazione patrimoniale di lunga durata se non, addirittura, perpetui, per il perseguimento di interessi egoistici, diretti a segregare il patrimonio, col rischio di frodare eredi e creditori e di sottrarre ingenti ricchezze alle dinamiche del mercato [3]. La fondazione si poneva, quindi, in netto contrasto con gli istituti di tutela del credito e con il più generale principio di favore per i meccanismi di circolazione e mobilità della ricchezza, diretti alla liberazione del soggetto di diritto e dei beni dai vincoli che ne avevano, sino alla codificazione borghese, impedito la partecipazione al traffico giuridico [4]. Tuttavia, anche alla luce dell’esperienza tedesca (nel libro I, titolo II, del BGB sono disciplinate in modo organico le fondazioni), il codice civile del ’42 ha preferito prendere atto della secolare e radicata diffusione dell’istituto e lo ha regolato sottoponendolo al controllo pubblico. La scelta di porre la fondazione sotto l’egida dell’autorità governativa si spiega proprio in ragione della pericolosità dell’istituto, in grado di realizzare fenomeni di sottrazione di complessi patrimoniali individuali al comune traffico giuridico. Tale timore ha, quindi, indotto il legislatore del 1942 ad assoggettare la fondazione ad un pervasivo controllo della Pubblica Amministrazione, che si esplica sin dal momento della sua costituzione e poi per tutta la durata dell’ente, fino alla fase di liquidazione e scioglimento. Il legislatore, nel dettare la disciplina [continua ..]


2. Principali distinzioni tra fondazioni e associazioni

La tradizione giuridica [16] distingue l’associazione, quale pluralità di persone unite per il perseguimento di uno scopo comune (universitas personarum), dalla fondazione, intesa come complesso di beni destinato al perseguimento di uno scopo (universitas bonorum) [17]. A ben vedere, però, stando alla concezione organica delle persone giuridiche [18], la fondazione non è, propriamente, il patrimonio destinato ad uno scopo, quanto l’organizzazione collettiva, formata da persone (gli amministratori della fondazione), che si avvale del patrimonio per realizzare lo scopo. In quest’ottica, le fondazioni vennero concepite come «organizzazioni di uomini», rispetto alle quali «il patrimonio è semplicemente un mezzo di attuazione dello scopo» [19]. La distinzione, dunque, tra associazioni e fondazioni cessò di risolversi in relazione alla prevalenza di elementi eterogenei (persone e patrimonio) per assumere una diversa configurazione all’interno della più ampia categoria delle organizzazioni collettive [20]. Ancora, sia l’associazione che la fondazione costituiscono espressione di autonomia negoziale: l’una e l’altra traggono vita da un negozio giuridico. Si tratterebbe, in particolare, di negozi giuridici di organizzazione che assumono la natura di contratto plurilaterale con comunione di scopo, nel caso delle associazioni, o la natura di negozi unilaterali, nel caso delle fondazioni. L’attività diretta alla realizzazione dello scopo (ossia il comune scopo degli associati o lo scopo assegnato dal fondatore) costituisce un’attività esecutiva dei rispettivi negozi costitutivi. Tali negozi costitutivi assumono la funzione di costituire e organizzare l’ente. Sono, pertanto, da considerarsi negozi di organizzazione, ossia negozi giuridici la cui esecuzione implica la costituzione di una struttura organizzativa [21]. Nonostante l’associazione e la fondazione siano accomunate dalla medesima genesi negoziale, sussistono tra i due enti differenze particolarmente evidenti. Esse attengono, anzitutto, alla diversa natura dei rispettivi negozi costitutivi e, in secondo luogo, ai diversi modi di esecuzione di tali negozi. L’atto costitutivo dell’associazione è un contratto plurilaterale a comunione di scopo. L’atto costitutivo della fondazione ha sempre, di contro, natura [continua ..]


3. Le limitazioni all’autonomia privata del fondatore e lo scopo di pubblica utilità

Nel codice civile del 1865, le associazioni e le fondazioni venivano denominate “corpi morali”. Ai corpi morali si affiancavano gli enti ecclesiastici e gli enti pubblici, questi ultimi comprensivi sia degli enti territoriali che di altre istituzioni. Il nomen «corpi morali» voleva sottolineare che gli enti, segnatamente di diritto privato, trovavano, nel caso di fondazioni, fatta eccezione per quelle strettamente familiari, la loro giustificazione quali persone giuridiche nell’attività filantropica e nell’attenzione alle esigenze delle classi meno protette riposta dalle iniziative generose di persone e famiglie non irrilevanti nel tessuto sociale [29]. Ebbene, nell’attuale codice civile italiano, pur mancando il termine “corpo morale”, sono però presenti riferimenti alla utilità pubblica dell’ente-fondazione, quale misura della sua stessa esistenza o estinzione (art. 28 cod. civ.). A ben vedere, però, la pubblica utilità non è, invero, presupposto necessario per la valida sussistenza della fondazione che trova nel suo fine altruistico il suo connotato principale. La qualificazione dello scopo in termini di “pubblica utilità” ha storicamente assunto un ruolo essenziale nell’elaborazione dell’istituto della fondazione: vincolare l’esistenza stessa della fondazione al perseguimento di uno scopo non semplicemente non lucrativo, ma specificamente pubblico, era la condizione necessaria per legittimare l’esistenza delle fondazioni in uno Stato che avocava a sé il controllo delle attività volte a soddisfare i bisogni della collettività [30]. Sicché, a differenza dell’associazione il cui ambito di scopi perseguibili è sensibilmente ampio, comprendendovi ogni possibile scopo di natura ideale o, comunque, non economica; tradizionalmente, la fondazione potrebbe essere costituita solo per scopi di pubblica utilità. I beni e le ricchezze possono essere assoggettati ad un vincolo di destinazione immutabile e tendenzialmente perpetuo solo per il perseguimento di finalità di pubblica utilità [31]. È stato avvertito, a tal riguardo, dai giuristi d’oltralpe che, «per quanto si sia partigiani dell’iniziativa privata in questa materia, si deve riconoscere che ogni fondazione riguarda uno scopo e un interesse collettivo, [continua ..]


4. Le fondazioni e i fedecommessi

Se le norme del titolo II, Libro I del codice civile, in tema di fondazioni, non pongono limiti espressi all’autonomia privata, restrizioni particolari sono, invece, formulate – in termini di perseguimento di «fini di pubblica utilità» – da una norma contenuta nel secondo libro del codice civile, in tema di sostituzioni fedecommissarie: l’art. 699 cod. civ., ai sensi del quale «è valida la disposizione testamentaria avente per oggetto l’erogazione periodica, in perpetuo o a tempo, di somme determinate per premi di nuzialità o di natalità, sussidi per l’avviamento ad una professione o ad un’arte, opere di assistenza, o per altri fini di pubblica utilità, a favore di persone da scegliersi entro una determinata categoria o fra i discendenti di determinate famiglie». Il tema delle fondazioni, per diversi aspetti, si lega alla tematica dei fedecommessi, in quanto entrambi gli istituti producono il medesimo effetto: imporre su determinati beni un vincolo di destinazione tendenzialmente perpetuo [33]. I due istituti, non a caso, sono legati da una medesima sorte. Difatti, quando, nella prima metà del Settecento, i legislatori europei abolirono i fedecommessi perché in contrasto con le esigenze di libero e proficuo sfruttamento della ricchezza, essi estesero la propria opera di repressione, in nome dei medesimi principi economici, anche alle fondazioni: in Inghilterra furono vietate le fondazioni immobiliari, mentre in Francia le fondazioni testamentarie [34]. Il legislatore italiano, dopo l’unificazione, disciplinava le sole “fondazioni pubbliche”, ossia le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza regolate dalla l. 17 luglio 1890, n. 6972 che, all’art. 2, espressamente sottraeva alle norme sulle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza le «fondazioni private destinate a pro di una o più famiglie, non soggette a devoluzione a favore della beneficenza pubblica»; e, in mancanza di una disciplina delle fondazioni private, non erano mancati autori che avevano dubitato della validità di tali fondazioni, siccome ricomprese nel divieto di sostituzione fidecommissaria [35]. Qualche dubbio fu, anche solo in parte, superato sulla base dell’art. 902 del codice civile del 1865, corrispondente all’attuale art. 699 cod. civ., che dopo aver vietato (con l’art. [continua ..]


4.1. Il caso della c.d. “fidecommisseria Giacomo Filippo Strizoli”

In questi termini, l’atto di fondazione che dà luogo ad una fondazione di famiglia dovrà considerarsi valido soltanto se diretto al perseguimento di uno scopo di pubblica utilità: i beneficiari dell’ente, infatti, potranno essere soltanto coloro che appartengono alla cerchia della famiglia, ma per poter usufruire dei benefici dell’ente dovranno trovarsi in una determinata situazione (indigenza, meritevolezza), che l’atto di fondazione avrà preso in considerazione. In tal modo la conservazione del patrimonio all’interno di una data famiglia non è, come nel fedecommesso, lo scopo della disposizione, ma il mezzo per realizzare un fine socialmente utile [44]. Tale tesi ha trovato conferma in alcune pronunce, rese nei diversi gradi di giudizio, relative ad una causa iniziata nel 1800 e terminata, davanti ai giudici legittimità, nel 1979. Il riferimento è al caso della “fidecommisseria Giacomo Filippo Strizoli”. In particolare, il giorno 16 aprile del 1792 moriva a Genova, senza figli, Giacomo Filippo Strizoli. Nel testamento veniva previsto, una volta adempiute le disposizioni pie e alcuni legali, la formazione di un «fedecommesso perpetuo da cantare sempre sotto il nome di Giacomo Filippo Strizoli». I redditi del fedecommesso sarebbero andati in perpetuo ai figli e ai discendenti dello Strizoli. Il Tribunale di Genova, con sent. del 9 luglio 1971 [45], ha ravvisato nella disposizione testamentaria l’ere­zione di una fondazione di famiglia, sottoforma di fedecommesso “perpetuo”. Il fedecommesso perpetuo era diretto ad attribuire i frutti dei beni patrimoniali ai discendenti di sesso maschile del cugino dello Strizoli. Il Tribunale di Genova così disponeva: «le fondazioni di famiglia il cui fine esclusivo sia il lucro di una determinata discendenza, al di fuori dello scopo di pubblica utilità, sono in contrasto con l’ordinamento giuridico». Pur accogliendo la disposizione enunciata dal Tribunale, la Corte d’Appello di Genova (sent. 10 aprile 1975, inedita) non ha condiviso le ulteriori conseguenze dello scioglimento della fondazione e della divisione dei beni fra i beneficiari delle rendite. La Corte d’Appello precisava che il divieto posto dagli artt. 692 e 698 ed i limiti posti dall’art. 699 cod. civ. riguardano soltanto le disposizioni testamentarie adottate [continua ..]


5. Lo scopo lecito delle fondazioni

Molto più liberali sono gli altri ordinamenti, peraltro non appartenenti – usando una espressione ricorrente in giurisprudenza – ad una “civiltà giuridica affine” alla nostra, dove le fondazioni possono esercitare attività di impresa e possono anche distribuire utili ai fondatori [51]. In Italia, la rigidità delle fondazioni e la necessità di perseguire esclusivamente uno scopo di pubblica utilità, si fondavano sul rilievo della immutabilità dello scopo del fondatore, che «spiega perché il ricorso alle forme giuridiche della fondazione sia ammissibile, e gli inconvenienti economici che esse comportano siano accettabili, solo in presenza di uno scopo di pubblica utilità» [52]. Peraltro, il vincolo di destinazione non può cessare né per volontà del fondatore né per deliberazione degli amministratori né, fino a quando lo scopo sia attuabile, per provvedimento dell’autorità governativa: il che spiega perché l’autonomia privata soffra, quanto all’utilizzabilità delle forme giuridiche della fondazione, di limitazioni che non avrebbero alcuna ragione di esistere per le organizzazioni di tipo associativo caratterizzate, invece, dagli opposti principi di modificabilità, per deliberazione degli associati, dello scopo originario e della risolubilità del vincolo contrattuale rimessa all’arbitrio degli stessi associati. L’immutabilità del vincolo patrimoniale è, quindi, stata la ragione per cui si è ritenuto che il ricorso alla fondazione sia ammissibile solo in presenza di uno scopo di pubblica utilità. La fondazione è caratterizzata dal rivolgersi dell’ente ad una comunità, per promuoverne il benessere nelle sue molteplici dimensioni, materiali e spirituali [53]. Notava, infatti, Giorgio Giorgi nella sua estesa opera di fine diciannovesimo secolo sulle persone giuridiche: «Adamo nel Paradiso terrestre, secondo la tradizione biblica, Robinson Crusoe’ nell’isola deserta, secondo il romanziere, non avrebbero potuto fare una fondazione: perché non avrebbero trovato il popolo a cui dedicarla» [54]. Ciò nonostante, un’autorevole dottrina, però, valorizzando l’assenza di regole di funzionalizzazione delle fondazioni, ha sostenuto che le fondazioni [continua ..]


6. Le Fondazioni e l’attività di impresa. La fondazione può produrre profitto?

I concetti di “rendita” e di “erogazione”, richiamati dall’art. 16 cod. civ., illustrano il modello originario ed elementare della fondazione la cui attività si risolve nella gestione del patrimonio e nella mera erogazione di ricchezze a beneficio di soggetti terzi. Mentre la rendita, risolvendosi nell’acquisizione originaria di frutti naturali o derivativa di frutti civili, designa l’utile originato dall’amministrazione del patrimonio, l’erogazione indica il carattere necessitato della proiezione all’esterno del risultato. Tale originario modello di fondazione, come disciplinato dal codice civile, è oramai diventato marginale rispetto alla gamma di fondazioni con organizzazioni particolarmente strutturate che esercitano attività d’impresa. Sin dagli anni Settanta dello scorso secolo, infatti, diverse fondazioni hanno ottenuto personalità giuridica pur essendo molto distanti dal rigido modello tradizione del patrimonio vincolato ad uno scopo di pubblica utilità. Sicché, hanno ottenuto personalità giuridica anche le fondazioni che svolgono attività d’impresa e le fondazioni-holding [63]. Nonostante le anamorfosi che presenta la fondazione del nuovo millennio, va comunque tenuta distinta l’attività dell’ente dagli scopi perseguiti che debbono pur sempre soddisfare un’esigenza di pubblica utilità. In mancanza di limiti statutari e sfruttando lo spazio esistente nello scarno impianto codicistico, occorre ammettere che le fondazioni possano considerarsi libere di esercitare qualsiasi attività idonea al conseguimento degli scopi loro consentiti: potrà trattarsi, come generalmente si tratta, di attività non economiche, ma potrà anche trattarsi di attività economiche, ossia organizzate per la produzione e lo scambio di beni o di servizi, sempre che preordinate, s’intende, al conseguimento degli scopi ideali che sono propri della fondazione. Se da un lato, considerando l’identità sostanziale della disciplina della fondazione nel codice civile del 1942 e il BGB [64], l’“impresa di fondazione” (Stiftungsunternehmen) era già conosciuto nella Germania del secondo dopoguerra anche con riguardo alla possibilità di usare lo strumento della fondazione per “socializzare” alcune industrie chiavi [continua ..]


6.1. L’attività di impresa della fondazione e l’utilità sociale. Il caso della Fondazione Zeiss

La possibilità che una fondazione eserciti un’attività di impresa non deriva solo da una assenza di norme codicistiche che escludano espressamente l’esercizio di tali attività ad una fondazione, ma anche da ulteriori ragioni. Non può certo escludersi che un’impresa, pur naturalmente diretta ad un lucro soggettivo, in quanto produttrice di beni e servizi in grado di soddisfare una domanda di mercato, non abbia la sua utilità sociale [69]. La questione fu sollevata, in particolare, con la nota Fondazione Zeiss, costituita in Germania per assicurare la continuità dell’impresa di lavorazione, ad alta definizione, di materiali di vetro. Attraverso la fondazione si ebbe modo di costituire uno scudo alla continuazione dell’attività di impresa che si sarebbe mostrata fragile alle tentazioni di dissoluzione degli eredi del fondatore dell’impresa [70]. L’esperienza della Fondazione Zeiss ha dimostrato come lo svolgimento dell’attività di impresa attraverso lo strumento della fondazione può assicurare, tra l’altro, una maggiore attenzione alle ragioni dei lavoratori, allorché esse siano consacrate attraverso espresse disposizioni statutarie, che gli organi della fondazione, nell’adempimento del loro ufficio, sono tenuti a rispettare. Ancora, un certo grado di promiscuità tra enti non profit e attività di impresa è peraltro ben visibile in tema di trasformazione. In particolare, la trasformabilità di società di capitali, tra l’altro, in fondazioni è prevista dall’art. 2500-septies cod. civ. [71]. L’istituto della trasformazione eterogenea consente, attraverso il tipo della fondazione, di mantenere e tutelare un significativo grado di stabilità dell’impresa in un determinato territorio. In particolare, attraverso la trasformazione eterogenea da società di capitali in fondazioni, si avverte un mutamento del contenitore (da società a fondazione), ma non del contenuto che resta l’attività di impresa. Resta inalterato, quindi, l’oggetto dell’attività imprenditoriale con la differenza che – rispetto alla società di capitali – alla fondazione sarà inibita la realizzazione di un lucro soggettivo. Al di là dell’inammissibilità di distribuire gli utili al fondatore, [continua ..]


7. Le fondazioni e la soggezione al fallimento

Con riferimento alla fondazione, l’esercizio dell’impresa si pone, talvolta, in rapporto soltanto indiretto agli scopi dell’ente e presenta carattere di strumentalità rispetto allo svolgimento di attività ulteriori, non economiche, che sole realizzeranno gli scopi istituzionali della fondazione: l’impresa è, in questi casi, esercitata con il generico intento di procurare, mediante il corrispettivo dei beni o dei servizi prodotti, i mezzi patrimoniali necessari per il perseguimento degli specifici scopi statutari. L’esercizio dell’impresa, inoltre, può porsi anche in rapporto diretto con gli scopi istituzionali dell’ente ed atteggiarsi quale mezzo idoneo alla sua immediata realizzazione: così l’impresa editoriale gestita da una fondazione culturale realizza direttamente lo scopo della fondazione. Ancora, siccome il nostro ordinamento non include lo scopo di lucro fra i connotati della figura giuridica dell’imprenditore, le attività economiche – esercitate secondo il modello economico, ossia in modo che i costi siano coperti dai ricavi – ben possono essere svolte da una fondazione che opera con una propria organizzazione, intesa come utilizzo di fattori produttivi come capitale proprio o altrui e lavoro proprio o altrui [73]. La fondazione, in quest’ultima ipotesi, produce non più delle rendite, come avviene nel caso delle fondazioni di erogazione, bensì dei profitti. Da ultimo, la fondazione che sia caratterizzata con gli stessi connotati di una impresa, provocherebbe finanche tutte quelle conseguenze che si ricollegano all’acquisto della qualità di imprenditore. Sotto quest’ultimo aspetto, se l’impresa svolta dalla fondazione costituisce l’oggetto esclusivo o, comunque, principale dell’ente, si porrà il problema di applicare l’art. 2201 cod. civ., in modo non dissimile agli enti pubblici economici, e si porrà il problema di essere in presenza di un imprenditore commerciale, sottoposto alla disciplina speciale degli artt. 2188-2221, inclusa la soggezione al fallimento in caso di insolvenza. Se da un lato, «può essere riconosciuto il carattere di fondazione ad un ente che abbia il compito di amministrare un patrimonio le cui rendite siano assegnate, da altre fondazioni, per compensare iniziative meritorie in campo umanitario, scientifico, artistico e [continua ..]


8. Le fondazioni possono distribuire il profitto generato?

Il discorso della fondazione che esercita attività di impresa, richiama ulteriori fenomeni. Sussistono, infatti, ipotesi in cui l’impresa costituisca l’attività prevalente della fondazione è il caso della fondazione holding. In tale ipotesi, è particolarmente avvertita l’esigenza di tenere distinta, sotto l’aspetto organizzativo, l’una e l’altra attività; e tale esigenza è ancora più acuta quando la fondazione tragga dall’esercizio di impresa i mezzi finanziari per svolgere la propria azione. Può accadere che si dia vita, all’interno della medesima fondazione, a separati organi di gestione; ma può, altresì, accadere che si costituiscano diverse fondazioni: l’una ha per oggetto l’amministrazione del patrimonio o la gestione dell’impresa, con l’obbligo, impostole dallo statuto, di devolvere le rendite del patrimonio o gli utili dell’impresa all’altra fondazione, o eventualmente ad una pluralità di altre fondazioni, a loro volta distinte tra loro in ragione dei diversi settori di attività; queste ultime utilizzano le rendite o gli utili ricevuti per la diretta realizzazione degli scopi di fondazione. In questo ultimo caso, non può essere sollevata alcuna perplessità sulla fondazione holding che, in conformità al proprio statuto, devolva le rendite del proprio patrimonio o gli utili della propria attività di impresa ad altre fondazioni: lo scopo ideale e altruistico è qui perseguito in via mediata perché, benché sia enunciato nello stesso statuto della fondazione holding, la sua attuazione è rimessa ad altre fondazioni finanziate dalla holding [78]. In questo contesto, lo scopo di pubblica utilità non trova una collocazione funzionale dirimente [79]; semmai può essere riassuntivo, come sineddoche, di ciò che non può essere una fondazione, perché se ad es. la fondazione di impresa si proponesse di attribuire ogni utile al fondatore, allora non si dovrebbe discutere di fondazione. Nel nostro ordinamento, non esiste un istituto assimilabile all’Anstalt [80], presente invece nell’ordinamento del Liechtenstein. La particolarità di questo istituto, assimilabile alla nostra fondazione, consiste nel fatto che il soggetto di diritto (anch’esso frutto di una entificazione [continua ..]


9. Dal Grant-making Foundation alla Operating Foundation

Può darsi come assunto che la fondazione, almeno nel nostro ordinamento giuridico, non può, come l’Anstalt, perseguire uno scopo di lucro. Non può – però– nemmeno essere ignorato l’evidente rapporto di complementarietà e strumentalità che lega la fondazione all’impresa, rapporto che è stato oggetto di studio da parte di autorevoli giuristi sin dagli anni Sessanta dello scorso secolo [82]. Tale era il periodo in cui l’istituto della fondazione viveva una nuova epoque che lo rinnovava e lo mutava a seconda delle emergenti esigenze dei privati [83]. La fondazione iniziò a mutare i connotati delineati dal codice civile e incominciò ad avvicinarsi ai modelli delle foundations statunitensi [84]. In particolare, negli States, le più importanti Grant-Making foundations presentavano caratteri differenti rispetto alla fondazione come disciplinata dal codice civile italiano. Le indipendent foundation statunitensi, infatti, potevano essere amministrate direttamente dal fondatore o dai membri della sua famiglia (family foundation). Le decisioni venivano assunte dall’organo amministrativo che in genere include i fondatori, o i membri delle famiglie dei fondatori, oppure gli “associati” del fondo che hanno contribuito alle attività della fondazione. Ebbene, nell’emulare le family foundations, a partire dagli anni Settanta del secolo scorso, le più importanti famiglie imprenditoriali della realtà economica italiana – come la famiglia Agnelli, Olivetti e Pirelli – conformavano gli statuti delle proprie fondazioni evitando il completo distacco dell’ente dal fondatore. La dottrina, attenta alla prassi statutaria del tempo, notava che il controllo del fondatore – o dei fondatori – avveniva con criteri differenti che prevedevano: a) la partecipazione diretta del fondatore o dei fondatori al consiglio di amministrazione; b) l’elezione di propri rappresentanti nel consiglio di amministrazione; c) la riserva del diritto di nomina in seno al consiglio di amministrazione, in virtù del maggior contributo versato all’atto della costituzione della fondazione. La fondazione, sin dagli anni Cinquanta, non si è solo posta come risposta soddisfacente all’attuazione di particolari strategie manageriali di impresa, ma ha subito persino mutamenti che hanno posto [continua ..]


10. “C’era una volta la fondazione”. L’erompere delle fondazioni partecipate

Alla luce di quanto sino ad ora detto, è possibile iniziare il presente paragrafo affermando che «c’era una volta» la fondazione [93]. L’istituto, infatti, sin dall’entrata in vigore del codice civile del 1942 ha subito notevoli mutamenti. Se al tempo della codificazione civile le fondazioni erano caratterizzate dal “distacco” dell’ente dal fondatore e, dunque, dall’estraneità del fondatore dalla vita dell’ente, egli infatti non aveva alcun potere di sciogliere il consiglio di amministrazione della fondazione, né poteva riservarsi il potere di modificare l’atto costitutivo o lo statuto della fondazione [94], negli ultimi decenni si è assistito ad una metamorfosi dell’istituto che ha modificato i suoi tratti caratteristici disciplinati dal codice civile. È venuto, infatti, sempre meno il distacco dell’ente dal fondatore; gli statuti sempre spesso riservano al fondatore (o ai fondatori) un potere di controllo sull’attività dell’ente. È divenuta una costante della prassi statutaria delle fondazioni la partecipazione diretta del fondatore o dei fondatori al consiglio di amministrazione, nonché il potere dei fondatori di eleggere in seno al consiglio di amministrazione i propri rappresentanti. Si è assistito, quindi, a forme miste tra fondazioni e corporazioni (Hybridstiftung) che, invero, hanno avuto origine dalle fondazioni d’oltreoceano dove opera la c.d. Private Operating Foundation che si caratterizza per un rapporto diretto tra incidenza dell’apporto di capitale, quindi di controllo dell’ente, e rilevanza dell’apporto di lavoro. In tali tipi di fondazioni è presente, non solo un consiglio di amministrazione (o di gestione), ma anche un’assemblea di fondatori e soci sovventori. Ancora, nel tempo, si è notato che la fondazione “tradizionale”, cui fa riferimento il codice civile, intesa come un complesso di beni destinati durevolmente al perseguimento di uno scopo di pubblica utilità (nulla più di una universitas bonorum), presenta alcune criticità. La fondazione non solo realizzerebbe un distacco definitivo del fondatore dal patrimonio conferito senza alcuna possibilità intromettersi nel governo dell’ente, ma sussisterebbe finanche il pericolo di una sopravvenuta insufficienza dei mezzi disponibili che [continua ..]


11. Forme di partecipazione e “patrimoni in cerca di uno scopo comune”

I soggetti delle fondazioni partecipate – persone fisiche o enti, pubblici o privati – sono riconducibili sostanzialmente a due categorie: i fondatori e i partecipanti. Mentre i fondatori sono coloro che assumono l’iniziativa di costituire l’ente fondazionale, l’ammissione dei partecipanti sostenitori avviene solo a seguito di adesione ai sensi dell’art. 1332 cod. civ., quindi successivamente alla costituzione dell’ente [106]. L’atto costitutivo della fondazione di partecipazione, che assume la natura di contratto plurilaterale “aperto” – per la presenza di una clausola di adesione ex art. 1332 cod. civ. – è pur sempre accompagnato, oltre che dallo statuto (ai sensi e per gli effetti dell’art. 16 cod. civ.), anche da atti di dotazione, ossia da atti di disposizione patrimoniale accessori al contratto di fondazione con i quali i fondatori attribuiscono alla fondazione i mezzi necessari per il perseguimento dello scopo [107]. In particolare, il patrimonio delle fondazioni in esame si compone di una parte originaria, costituita per effetto degli atti di dotazione e in modo non dissimile alla costituzione del patrimonio della fondazione “tradizionale”, e una parte successiva, costituita da veri e propri contributi di chi, avvalendosi della clausola di apertura del contratto di fondazione di partecipazione, aderisce alla fondazione impegnandosi a contributi di denaro, annuali o pluriennali, che confluiscono in un fondo di gestione. I partecipanti sostenitori, contribuiscono periodicamente alla costituzione e al successivo accrescimento del fondo di gestione impiegato per il funzionamento dell’ente e per finanziare ogni iniziativa necessaria per la realizzazione dei suoi scopi. Alla luce di quanto descritto, posto che l’adeguatezza e la sufficienza patrimoniale rileva come condizione ai fini dell’acquisto della personalità giuridica (ai sensi dell’art. 1, comma 3, d.P.R. n. 361/2000), occorre ritenere che, nell’ipotesi di fondazione partecipata, l’adeguatezza patrimoniale non viene solo valutata al momento della sua costituzione, ma anche tenendo conto delle successive partecipazioni, posto che la formazione del patrimonio è aperta ad incrementi per effetto di adesioni successive da parte di soggetti ulteriori rispetto ai fondatori [108].


12. Gli organi della fondazione di partecipazione

Al progressivo abbandono del concetto di fondazione quale ente di mera erogazione (grantmaking foundation), si è giunti, trent’anni fa, a disciplinare le fondazioni bancarie [109] e vent’anni fa a disciplinare le fondazioni universitarie [110] e le fondazioni lirico-sinfoniche [111]. Ebbene, in modo non dissimile dalle citate tipologie di fondazioni (caratterizzate dalla presenza di organi distinti: organi di amministrazione, di indirizzo e di controllo) [112], le fondazioni di partecipazione sono contraddistinte anch’esse da forme di partecipazione e controllo mutuate dalla disciplina delle associazioni, al fine di garantire una partecipazione attiva dei soggetti pubblici e privati, diretta al perseguimento di finalità statutarie non limitate alla sola erogazione di somme di denaro. Il recente Codice del Terzo settore (d.lgs. 3 luglio 2017, n. 117) ha disciplinato le competenze dell’assem­blea e dell’organo di amministrazione nelle fondazioni. Il nuovo codice, pur mostrando una certa timidezza nell’utilizzo del termine “fondazione di partecipazione”, ha apertamente disciplinato il fenomeno delle fondazioni partecipate da più soggetti: fondatori, partecipanti e volontari. In presenza della molteplicità di partecipanti, lo statuto può prevedere e disciplinare le funzioni dell’organo assembleare il quale può esercitare gli specifici poteri attribuiti dallo statuto all’assemblea secondo le composizioni previste (a seconda che l’assemblea sia formata dai soli partecipanti sostenitori o dai fondatori) e secondo determinati quorum. L’art. 24, comma 4, del codice del terzo settore, però, prevede che le disposizioni relative all’assemblea trovino applicazione nel solo caso in cui «lo statuto preveda la costituzione di un organo assembleare o di indirizzo, comunque denominato, in quanto compatibili ed ove non derogate dallo statuto». La norma chiarisce che l’organo assembleare, a differenza dell’organo amministrativo, è soltanto eventuale nelle fondazioni. Ancora, l’art. 25 del Codice del Terzo settore disciplina le “competenze inderogabili dell’assemblea”, attribuendo alla stessa i poteri di nomina e revoca degli organi sociali, di promuovere l’azione di responsabilità nei confronti degli organi sociali; approvazione del bilancio; delibera [continua ..]


13. I contratti plurilaterali di fondazione

In relazione all’esercizio dell’autonomia privata che si esplica tra gli argini segnati dallo ius cogens che caratterizza la disciplina delle fondazioni (c.d. Idealtyplus [116]), va osservato che sussiste una evidente particolarità delle fondazioni partecipate: esse si costituiscono in virtù di un contratto aperto a successive adesioni. La presenza di una clausola che permetta l’adesione di soggetti terzi al contratto originariamente stipulato tra le parti (fondatori) induce a qualificare lo stesso come contratto plurilaterale. In dottrina è comune la convinzione che ad avere carattere aperto (come dice la Relazione Ministeriale al codice n. 611: “contratti aperti all’adesione di altri”) è solo il contratto plurilaterale con comunione di scopo [117]. In particolare, il contratto di fondazione di partecipazione è caratterizzato, sotto il profilo causale, da uno scopo comune, definito al momento della sottoscrizione dell’atto costitutivo (negozio di organizzazione) da parte dei soci fondatori e immodificabile nel tempo (neppure da parte degli stessi fondatori), e dalla possibilità di future adesioni da parte di soggetti terzi (i quali possono essere sia soggetti pubblici che privati) che, nel condividere le finalità della fondazione, vi partecipano apportando beni mobili, immobili, denaro, oppure servizi. L’atto costitutivo di una fondazione di partecipazione si caratterizza per essere, a differenza dell’atto unilaterale della fondazione “tradizionale”, un contratto aperto destinato a rimanere immutato nel contenuto nonostante le future adesioni [118]. Non sono peraltro mancate voci contrarie, secondo cui si tratterebbe di un atto unilaterale a parte soggettivamente complessa [119]. Tale interpretazione, ad avviso di chi scrive, non poggerebbe su basi ben solide, perché sostenere che la fondazione di partecipazione possa essere costituita con atto unilaterale finirebbe per ammettere che la clausola di adesione ex art. 1332 cod. civ. possa essere inserita anche negli atti unilaterali. Se è vero, infatti, che l’eventuale applicabilità della clausola ex art. 1332 cod. civ. possa essere mediata dall’art. 1324 cod. civ., è vero anche che non si rinvengono nel nostro ordinamento ipotesi di costituzione unilaterale di enti con successiva adesione di soggetti terzi. L’atto [continua ..]


14. La comunione di scopo e la causa del contratto della fondazione di partecipazione

Come per tutti i contratti plurilaterali con comunione di scopo, anche il contratto della fondazione di partecipazione è sottoposto alla disciplina che il codice civile riserva ai contratti associativi [128]. Anche per le fondazioni di partecipazione, assume quindi rilevanza la particolare struttura contrattuale tipica dei contratti associativi, che renderebbe in astratto non essenziali le singole partecipazioni, atteso che, se nonostante il venir meno di una prestazione, le altre sono sufficienti a consentire lo svolgimento in comune dell’attività, la mancata prestazione non influisce sulla realizzabilità dell’interesse delle altre e quindi consente al contratto (e all’ente) di conservare la propria efficienza (a tale logica si ispirano le disposizioni di seguito citate). Ebbene, anche il contratto di fondazione di partecipazione si sottopone alle medesime regole previste in tema di contratti plurilaterali. In particolare, è noto che il codice civile, pur non offrendo una disciplina organica per i contratti plurilaterali, ha riservato ad essi la disciplina di alcuni profili patologici genetici o funzionali (in tema di nullità: art. 1420 cod. civ.; in tema di annullabilità: art. 1446 cod. civ.; in tema di risoluzione per inadempimento: art. 1459 cod. civ.; in tema di risoluzione per impossibilità sopravvenuta della prestazione: art. 1466 cod. civ.) in conformità del principio di «conservazione del contratto». È vero anche che particolari problematiche sussistono in tema di fondazione che, essendo disciplinata come persona giuridica, pone problemi di invalidità o vizi negoziali che rileverebbero in epoca successiva al riconoscimento. Se da un lato non può dubitarsi che l’invalidità o, comunque, le patologie del contratto di fondazione di partecipazione possano comunque determinare anche la revoca del riconoscimento e, quindi, l’estinzione dell’ente; dall’altro lato, occorre tenere ben distinti i profili negoziali e le vicende dell’ente. Difatti, l’atto costitutivo della fondazione di partecipazione, in quanto atto plurilaterale con comunione di scopo, ben può presentare cause di invalidità e profili patologici così come tutti i contratti. La questione, soprattutto quella della risoluzione del contratto, induce a trarre qualche considerazione sulla causa dei contratti con [continua ..]


15. La sorte del contratto di fondazione e le vicende dell’ente

Come si è detto, la particolarità dei negozi costitutivi delle fondazioni, è che essi costituiscono negozi di organizzazione. Per tale tipologia di negozi, in modo non dissimile a quel processo di “solidificazione” per cui l’acqua diventa ghiaccio, l’autonomia privata dà avvio ad un processo di “entificazione” in cui la regola negoziale rileva esclusivamente in una fase genetica, mentre le regole dell’organizzazione rilevano in una fase funzionale [138]. Ciò spiega perché la disciplina dei negozi di organizzazione va spesso contemperata con la disciplina propria dell’ente. Per tali ragioni, anche nell’ipotesi di contratti plurilaterali delle fondazioni di partecipazione, le relative regole negoziali vanno contemperate con tutte quelle norme che – lungi dal disciplinare il vincolo contrattuale – disciplinano le vicende dell’ente e la partecipazione dei soggetti. Sotto questo specifico aspetto, nell’ottica di una dialettica tra comunione di scopo e fenomeno organizzativo, si percepisce la funzionalizzazione dello strumento contrattuale alla «realizzazione di interessi comuni a più soggetti» [139] e, in particolare, con il fenomeno associativo che, come si è notato, rileva anche in tema di fondazione partecipata. Anche il contratto posto a base della fondazione di partecipazione è diretto a dar forma ad un’organiz­zazione di persone, ossia ad un gruppo caratterizzato da un fondo comune dotato del carattere di patrimonio autonomo, da una unitaria organizzazione interna e da una unitaria rappresentanza del “gruppo” nei rapporti esterni [140]. Come per tanti altri contratti plurilaterali a comunione di scopo, anche il contratto di fondazione di partecipazione viene concluso in funzione della creazione di un ente e, par tali ragioni, nemmeno il contratto in esame si sottrae al problema del fenomeno dell’organizzazione. Proprio in ragione della costituzione di un ente e, più in particolare, di una persona giuridica (fondazione) che si costituisce successivamente con l’iscrizione in pubblici registri, l’aspetto contrattuale – proprio dell’atto costitutivo della fondazione di partecipazione – assumerebbe rilevanza solo nel momento genetico della fondazione, ossia quando il contratto è stato concluso, ma la persona giuridica [continua ..]


16. Riflessioni conclusive: l’autonomia privata ed elementi tipici delle fondazioni

All’esito di tale analisi, preme effettuare alcune può essere notato che la disciplina della fondazione è morfologicamente neutra e che, quindi, consente all’autonomia privata di esplicarsi nei limiti di elasticità tipologica concessi dalla legge, onde evitare che con lo sconfinamento associativo della Fondazione partecipata si possa incorrere in una ipotesi di abuso della forma giuridica [154]. La fondazione, benché partecipata da più soggetti e benché – sotto alcuni aspetti – sia molto meno distante dall’associazione, resta comunque un tipo normativo (Typuszwang) che, come tale, non ammette alcuna possibilità di alterazione di quei caratteri tipici che li distinguono dall’associazione [155]. Il “modello ideale” (Idealtypus) della fondazione è delineato da un contenuto precettivo minimo (Rechtsform) che si caratterizza per alcuni elementi base; anzitutto, quello patrimoniale al quale la volontà del fondatore imprime un vincolo di destinazione in funzione del perseguimento di uno scopo lecito e non lucrativo. Ebbene, se è oramai ammesso che i fondatori amministrino direttamente l’ente e/o si riservino la facoltà di nominare gli amministratori, risultano essere incompatibile con il “tipo fondazione” qualsivoglia potere del fondatore di disporre del patrimonio e dei risultati da esso provenienti. In particolare, il vincolo di destinazione è, poi, indisponibile: esso non può cessare né per volontà del fondatore, né per volontà dell’organo amministrativo e nemmeno per volontà dell’autorità (governativa) preposta al controllo finché è attuabile lo scopo. Tale caratteristica distingue l’associazione dalla fondazione. Tali caratteristiche sono, peraltro, chiaramente riconosciuti dal codice del terzo settore che, facendo salva «la natura dell’ente quale fondazione» (art. 25 CTS), afferma l’immutabilità dello scopo: all’assemblea (o agli amministratori) non può attribuirsi il potere di disposizione dello scopo della fondazione. In questi termini, l’organo amministrativo della fondazione resta un organo “servente” posta la necessità del rispetto dello scopo al quale la fondazione è preordinata. In conclusione, va affermato che il più [continua ..]


NOTE
Fascicolo 2 - 2022