Il contributo affronta il problema della formalizzazione giuridica delle operazioni economiche di fornitura di contenuti o servizi digitali, da parte di un professionista, a fronte della fornitura di dati personali da parte di un consumatore (art. 3, comma 1, secondo periodo, Dir. UE n. 770 del 2019). L’autore prospetta, in particolare, la riconducibilità della fornitura di dati personali, laddove implica il ricorrere di un (effetto prodotto dal) consenso al trattamento dei dati personali da parte del consumatore, nell’area delle attribuzioni negoziali del godimento.
Parole chiave: Dati personali – diritti personali di godimento – negozio giuridico.
The essay addresses the problem of the legal qualification of economic transactions which involve the supply of digital content or a digital service by a trader to a consumer, and the provision of personal data by the consumer to the trader [art. 3(1) – second sentence, Directive (EU) 2019/770]. The author proposes to consider the provision of personal data by the consumer to the trader, with regard to the consumer’s consent for the processing of the personal data, as an assignment of a personal right of enjoyment.
Keywords: Personal data – personal rights of enjoyment – juristic act.
Sommario:
1. Premessa: la problematica formalizzazione giuridica delle operazioni economiche caratterizzate dalla fornitura di contenuti o servizi digitali, da parte di un professionista, a fronte della fornitura di dati personali da parte di un consumatore (art. 3, comma 1, secondo periodo, Dir. UE n. 770 del 2019). Il ruolo del consenso al trattamento dei dati personali - 2. L’attribuzione del godimento fra negozio e permesso. Diritti personali di godimento e diritti personali di utilizzazione - 3. L’attribuzione del godimento ed il consenso al trattamento di dati personali: inammissibilità di una qualificazione in termini di permesso; la prospettiva del contratto di scambio tra fornitura di contenuti o servizi digitali e fornitura di dati personali come messa a disposizione dei dati, abbinata alla costituzione di un (relativo) diritto personale di utilizzazione - 4. Segue. La prospettiva del collegamento fra un contratto gratuito (di fornitura di contenuti o servizi digitali) ed un consenso al trattamento di dati personali concepito come negozio unilaterale. Conseguenze disciplinari e necessario recupero della corrispettività in seno al collegamento funzionale - NOTE
Le brevi pagine che seguono mirano a saggiare la idoneità del modulo dell’attribuzione del godimento, in quanto programmata in un negozio e correttamente riguardata sotto il profilo dogmatico, ad inquadrare atti (e, di conserva, effetti) giuridici d’incerta collocazione, i quali risultano affatto rilevanti nell’ambito della (odierna) contrattazione digitale. Intendo riferirmi, in particolare [1], alle ipotesi, recentemente oggetto di copiosa attenzione scientifica [2], in cui un consumatore, al fine di conseguire da un professionista la fornitura di un contenuto od un servizio digitale, fornisce (propri) dati personali [3], con attribuzione di un (relativo) potere c.d. di trattamento: nel contesto di operazioni economiche che, quantunque sotto il velo di un’apparente gratuità della (prestazione contrattuale-)fornitura di contenuti o servizi digitali, delineano uno scambio [4] fra il contenuto o servizio e (la fornitura del)le predette informazioni, surrogando queste ultime giusto (il pagamento di) un corrispettivo pecuniario (art. 3, comma 1, secondo periodo, Dir. UE n. 770 del 2019) [5]. Centrale, per la compiuta realizzazione dell’assetto d’interessi divisato, è, in relazione a tali operazioni, il momento del(la manifestazione del) consenso al trattamento dei dati personali da parte dell’interessato, controparte del fornitore del contenuto o servizio digitale [6]: proprio in grazia di tale consenso, infatti, quest’ultimo viene titolato – ogniqualvolta, s’intende, facesse difetto un’alternativa base giuridica, ex art. 6 GDPR (e giusta il medesimo art. 3, comma 1, secondo periodo, ult. parte, Dir. UE n. 770 del 2019) – a (trattare, anche per fini commerciali; dunque, a) sfruttare economicamente i dati personali, dei quali abbia conseguito, ovvero – a fronte dello svolgimento del rapporto – si appresti a conseguire, la disponibilità (rectius, innanzitutto, la conoscenza) [7]. Perplessa è, tuttavia, la natura del consenso al trattamento: oscillante, presso gli interpreti, fra i poli del negozio – di regola, opinato unilaterale – e dell’atto (non negoziale) autorizzativo (in senso ampio), sub specie di permesso [8]; perplessa è, di riflesso, la relazione di esso col contratto, che formalizza giuridicamente la predetta operazione economica programmando, a tutto concedere, [continua ..]
La dogmatica dell’attribuzione del godimento ha fatto registrare, nell’ultimo secolo, sviluppi assai significativi. Secondo una impostazione tralatizia, l’attribuzione del godimento, contemplata in un programma negoziale, si tradurrebbe, sul piano effettuale, in un effetto costitutivo di obbligazioni [10]. Tali obbligazioni, al cui lato attivo si collocherebbero diritti personali di godimento declinati come (puri) diritti di credito, avrebbero, in conformità dell’indirizzo più risalente, financo un contenuto positivo, di far godere (arg. ex art. 1571 cod. civ.) la entità oggetto dell’attribuzione (quotidie et singulis momentis, täglich und stündlich); in conformità di un orientamento più moderno, un contenuto negativo, di lasciar godere, di non facere o di tollerare (pati) la esplicazione del godimento(-atto) ad opera del beneficiario [11]. Il modesto appagamento ricavabile da siffatte ricostruzioni fu posto in luce, già nei primi decenni del ‘900, da Michele Giorgianni [12], laddove additava la forzatura concettuale insita nell’immaginare che, per la realizzazione dell’interesse del beneficiario al godimento, questi abbisognasse di – e, in effetti, transitasse per – un qualsivoglia contegno (continuativo) del concedente, ulteriore rispetto alla consegna (della entità materiale). Di qui, la epifania di un interesse al godimento tutelato giuridicamente mediante l’assegnazione non già di una facultas exigendi (diritto di credito), sibbene di una facultas agendi (diritto di godimento), cioè a dire del potere di ritrarre immediatamente dalla entità, senza la mediazione di prestazioni – anche negative: essendo la ingerenza nel godimento vietata bensì, ma quale riflesso (mero) della costituzione (negoziale) della situazione soggettiva – del concedente, le utilità suscettibili di esserlo (uti e, nel caso, frui), nei limiti fissati dal negozio. Alle riflessioni di Giorgianni hanno manifestato (almeno) sostanziale adesione, negli anni successivi, dottrine autorevoli [13], quand’anche, in un primo momento, inclini a riportare l’attribuzione del godimento nell’area degli effetti obbligatori [14]; e se, al principio, tali riflessioni risultavano confinate all’attribuzione del godimento di cose corporali, la seconda metà del secolo XX [continua ..]
Alla luce della digressione condotta nel precedente paragrafo può, ora, approcciarsi il problema qualificatorio del consenso al trattamento dell’interessato, in relazione alle operazioni economiche di scambio tra fornitura di dati personali del contraente, con attribuzione del (relativo) potere, e fornitura di contenuti o servizi digitali. Invero, riprendendo quanto accennato in esordio, interesse del fornitore del contenuto o servizio digitale nell’ambito delle predette operazioni è, tipicamente, quello di conseguire la disponibilità (rectius, innanzitutto, la conoscenza) della informazione, sì da poterla, dipoi, (trattare per fini commerciali, i.e.) sfruttare economicamente. Orbene, il primo, strumentale [34] aspetto dell’interesse del fornitore del contenuto o servizio digitale, come interesse alla (conoscenza dell’)informazione-contenuto in virtù (della disponibilità) di un mezzo di informazione, adeguatamente veicolato, appare assimilabile, in una prospettiva funzionale, a quello che, con riguardo all’attribuzione del godimento di cose corporali, connota la consegna delle cose; e, nell’attribuzione del godimento di entità immateriali, caratterizza la messa a disposizione delle entità (nonché, s’intende, di un mezzo materiale di esteriorizzazione) [35]. La consegna-messa a disposizione è, si vuol intendere, atto necessario a consentire una (compiuta) esplicazione del potere di godimento od utilizzazione della entità, che l’attribuzione costituisce, allo stesso modo in cui l’ingresso della informazione nella sfera di cognizione (e disponibilità), di quanti intende (trattarla, sì da) sfruttarla economicamente, è atto necessario al suo sfruttamento economico. Nella medesima prospettiva, l’aspetto preminente dell’interesse del fornitore del contenuto o servizio digitale, imperniato sullo sfruttamento economico del dato personale, altro non è se non un interesse al godimento della informazione (concernente la persona altrui), ragguagliabile funzionalmente all’interesse al godimento di cose corporali, od alla utilizzazione di entità immateriali (in genere) [36]. Dal lato dell’interessato, del resto, il consenso al trattamento, in quanto pertinente ad un assetto d’interessi caratterizzante una operazione economica di scambio, pure è [continua ..]
Astrattamente concepibile sarebbe, piuttosto, l’esserci di un collegamento negoziale, fra un contratto gratuito di fornitura di contenuti o servizi digitali – non compendiante, cioè a dire, il consenso al trattamento dei dati personali del consumatore – ed un consenso al trattamento-negozio unilaterale [59]. La prospettazione, tuttavia, abbisogna di essere puntualizzata; e rischia, ad ogni modo, di rappresentare una superfetazione, non davvero forzata dal diritto positivo. In primo luogo, la disciplina del consenso al trattamento finanche postula, in modo esplicito, il ricorrere di una sua manifestazione compendiata in una dichiarazione di più ampio contenuto (arg. ex art. 7, comma 2, GDPR) [60]: quale sarebbe, va da sé, una dichiarazione contrattuale. In secondo luogo, di là del rilievo, formale, che appena un «contratto» – non, cioè a dire, (anche) un negozio unilaterale perfezionato dal consumatore; né tantomeno un collegamento fra un contratto ed un negozio unilaterale – è contemplato nella (sola, positiva) disciplina giuridica delle operazioni economiche nell’ambito delle quali un professionista fornisce contenuti o servizi digitali (art. 3, comma 1, Dir. UE n. 770 del 2019), gli è che la ricostruzione della operazione in termini di contratto di scambio, altresì nella ipotesi in cui il consumatore fornisse (propri) dati personali in luogo di pagare un corrispettivo pecuniario, appare reclamata dal sistema: sia nel prisma specifico della medesima disciplina positiva (i.e. dovendo il secondo periodo dell’art. 3, comma 1, Dir. UE n. 770 del 2019, nel frammento relativo al «caso», essere riguardato, si crede, alla luce del primo periodo della medesima disposizione) [61], sia avendo generale riguardo alla diversa declinazione della disciplina dei contratti di scambio rispetto a contratti gratuiti (parzialmente) omologhi per contenuto ed effetti (artt. 1470 ss. cod. civ. e 128 ss. cod. cons., in relazione agli artt. 769 ss. cod. civ.; artt. 1571 ss. cod. civ., l. n. 392/1978, l. n. 431/1998, in relazione agli artt. 1803 ss. cod. civ., e via elencando), al cospetto di un identico regime di disciplina disegnato dal diritto positivo (art. 3, comma 1, secondo periodo, prima parte, Dir. UE n. 770 del 2019) per (tutti) i contratti di fornitura di contenuti o servizi digitali (verso un corrispettivo pecuniario, sì [continua ..]