Jus CivileCC BY-NC-SA Commercial Licence ISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

Dal sistema alla lettera e ritorno: riflessioni sul modello franco-italiano di arricchimento senza causa (di Stefano Deplano. Professore associato di Diritto privato – Università degli Studi della Campania)


Il contributo indaga le linee evolutive dell’azione di ingiustificato arricchimento nel sistema ordinamentale italo-europeo, interrogandosi su quali riflessioni solleciti la recente formalizzazione dell’istituto avvenuta in Francia con l’entrata in vigore dell’art. 2, Ordonnance n. 2016-131 del 10 febbraio 2016. Il rimedio è analizzato in rapporto alla tutela del consumatore, ai rapporti di convivenza ed alla tutela dell’immagine. Compito dell’interprete è adeguare l’apparato rimediale agli interessi qualificati nel caso concreto, in prospettiva funzionale, ed alla luce dei princípi di proporzionalità e ragionevolezza.

From the system to the letter and return: reflections on the franco-italian model of enrichment without cause

The contribution analyzes the unjustified enrichment in the Italian-European legal system in comparison with the discipline of enrichissement injustifié introduced by the Ordonnance n. 2016-131 of 10 February 2016.

The task of the interpreter is to adapt the remedies to the different protection needs expressed by the interests involved in the light of the principles of proportionality and reasonableness.

Keywords: Italian-european legal system – unjustified enrichment – systematic interpretation – principles of reasonableness and proportionality.

SOMMARIO:

1. Dalla lettera al sistema: genesi e sviluppo dell’enrichissement sans cause nell’esperienza giuridica francese. Una questione di metodo. - 2. Dal sistema alla lettera: l’Ordonnance n. 2016-131 del 10 febbraio 2016 e la «consécration d’un acquis». - 3. Recepimento e formalizzazione del modello franco-italiano di arricchimento senza causa. Una «promessa mancata»? - 4. Dalla lettera al sistema: «giusta causa» dell’arricchimento tra interpretazione sistematica e prospettiva rimediale. - 5. Segue. Rilievo del binomio interesse protetto/rimedio in rapporto al caso concreto. Oltre il rilievo del dato formale. - 6. Segue. (In)giustificato arricchimento tra conviventi e princìpi di ragionevolezza e proporzionalità. - 7. Considerazioni conclusive.


1. Dalla lettera al sistema: genesi e sviluppo dell’enrichissement sans cause nell’esperienza giuridica francese. Una questione di metodo.

Nonostante la temperie culturale in cui venne redatto il Code Napoleon fosse profondamente influenzata dal giusnaturalismo e dal giuspositivismo [1], il legislatore del 1804 non disciplinò un’azione – forse più di altre ispirata all’equità – orientata a riparare ad un enrichissement sans cause.

La ragione di tale opzione legislativa è stata autorevolemente identificata [2] nel peso attribuito alla rielaborazione delle acquisizioni medievali svolta da Pothier [3]. A giudizio della dottrina maggioritaria [4] questo Autore, assunta a riferimento la condictio indebiti, reputava che la gestione di affari altrui presupponesse un animus aliena negotia gerendi ma che, anche in difetto di quest’ultimo, l’azione potesse comunque trovare un fondamento in factum ed in virtú della regola pretoria secondo la quale neminem aequum est cum detrimento alterius locupletari [5]. La sovrapposizione tra concezione oggettiva e soggettiva dell’azione di gestione di affari altrui è, del resto, ben testimoniata dal disposto della formulazione originaria dell’art. 1375 Code a mente della quale «le maitre dont l’affaire a été bien administrée» è tenuto a rimborsare al gestore le spese effettuate: questa disposizione – come osservato [6] – formalizza la descritta commistione tra negotiorum gestio ed ingiustificato arricchimento posto che la concezione classica della gestione di affari «prescinde totalmente dall’utilità della gestione, ma si accontenta che [quest’ultima] sia stata utilmente intrapresa, mentre l’azione di arricchimento fa riferimento all’utilità effettivamente conseguita, ovvero all’utiliter gestum» [7].

La questione, all’apparenza di puro sapore dottrinale, si sarebbe ben presto rivelata di notevole rilievo pratico: le sollecitazioni provenienti dalla prassi, in concomitanza al crescere dei trasferimenti di ricchezza non giustificati e connessi al maggior sviluppo raggiunto dai traffici e dalla vita di relazione [8], misero le Corti transalpine davanti alla questione della configurabilità di un generale divieto di arricchirsi a danno altrui in difetto di una valida ragione giuridica.

La giurisprudenza si caratterizzò, da principio, per un approccio a tale questione secondo una prospettiva étroitement exégétique [9]: le prime decisioni sul punto furono infatti di segno marcatamente negativo [10]. In un secondo tempo proprio l’art. 1375 Code fu identificato quale appiglio normativo per scongiurare il prodursi di arricchimenti ingiustificati: tale conclusione fu avvalorata da un’autorevole corrente di pensiero [11] che, sviluppando la posizione di Pothier, aveva identificato proprio in questa ipotesi di quasi-contratto una fattispecie sufficientemente elastica cui ricondurre le istanze di tutela sollecitate da chi sine causa avesse subíto un depauperamento patrimoniale [12].

Sebbene a questa posizione debba essere attribuito il merito di aver superato i rigori esegetici nei quali erano occorsi i primi interpreti del Code, occorre evidenziare che essa non incontrò un accoglimento unanime [13]: un orientamento dottrinale [14], in particolare, criticò l’assunto secondo il quale sarebbe stato possibile configurare un’ipotesi applicativa dell’art. 1375 Code in difetto di specifica volontà del gestore. Presupposti della negotiorum gestio vennero identificati, da una parte, nell’intenzione di gestire un affare altrui e, dall’altra parte, nella gestione utilmente intrapresa. In assenza di tali requisiti – secondo l’indirizzo in esame – l’azione da riconoscere all’impoverito avrebbe dovuto avere ad oggetto unicamente il recupero dell’utilità effettivamente prodotta, in linea con quanto accadeva all’esito del vittorioso esperimento dell’actio de in rem verso di origine romanistica [15].

Il ruolo rivestito da questa dottrina fu di primaria importanza nel generare, rispetto alla consolidata tradizione, un “punto di rottura”. Quest’ultimo fu lambito dapprima in due occasioni: la Cour de Cassation avrebbe potuto sancire la natura autonoma di una azione di enrichissement sans cause, ma i giudici, forse timorosi per la portata dirompente che avrebbe avuto l’accoglimento della pretesa, in una prima occasione rigettarono il ricorso e in una seconda lo accolsero facendo tuttavia leva su disposizioni in materia di contratti a favore del terzo [16]. Il riconoscimento dell’enrichissement sans cause quale specifica ipotesi di quasi-contratto avvenne con una celebre sentenza resa dal giudice di legittimità nel 1892 (cd. arrêt Boudier[17]: questa pronuncia consacrò l’azione di arricchimento quale istituto di applicazione generale fondato sull’art. 1371 Code e ne dichiarò sia la natura essenzialmente equitativa [18] sia il carattere autonomo rispetto alla gestione di affari altrui.

La controversia, vertente su un’ipotesi di arricchimento indiretto, aveva ad oggetto la vendita, ad opera di un commerciante, di un carico di concime all’affittuario di un fondo agricolo. Costui si rivelò insolvente. Il venditore agì allora contro il proprietario del fondo sul presupposto che, avendo costui beneficiato dello spargimento dei concimi, avesse ricevuto un arricchimento non giustificato e, in quanto tale, fonte di una obbligazione indennitaria. Il ricorso fu accolto dalla Corte con una motivazione particolarmente ampia secondo la quale per ritenere fondata l’azione orientata a far valere un enrichissement sans cause sarebbe sufficiente che «l’attore dimostri di aver procurato un arricchimento, con proprio sacrificio o con proprio fatto, alla persona nei cui confronti si agisce»: un esito interpretativo evidentemente favorito dal progressivo declinare del metodo esegetico a tutto vantaggio dell’impostazione ermeneutica orientata alla libera ricerca del diritto [19] che proprio in quegli anni andava sviluppandosi Oltralpe [20].

Si trattava, a questo punto, di identificare i presupposti di un’azione cui – ancóra a distanza di decenni – i giuristi francesi si accostavano con non celato timore [21]. La Cour de Cassation pervenne a tale elaborazione circa vent’anni dopo il deposito dell’arrêt Boudier, con due sentenze [22] che identificarono la mancanza di giusta causa ed il carattere sussidiario quali ulteriori requisiti dell’azione [23]. Pur in assenza di una espressa disciplina, in definitiva, il modello francese dell’azione di arricchimento poteva dirsi completo di tutti i suoi elementi di fattispecie: arricchimento, impoverimento, loro correlazione, assenza di giusta causa e sussidiarietà. Tutti elementi di fattispecie, a ben vedere, già enunciati con estrema chiarezza da Aubry e Rau [24].

Non univoci, per contro, appaiono i tentativi della coeva dottrina di identificare un fondamento dell’i­stituto. Un orientamento lo identificò in un fatto illecito, ovvero il rifiuto di restituire l’arricchimento [25]: secondo questa teoria chi, ricevuto indebitamente un cespite patrimoniale, si fosse rifiutato di restituirlo, avrebbe commesso un atto illecito da sanzionare ai sensi dell’art. 1382 Code. In tale prospettiva il fondamento dell’istituto sarebbe consistito nella colpa o nel dolo insito nella volontà di ritenere quanto ingiustamente ottenuto. Anche un altro indirizzo tentò di ricondurre l’enrichissement sans cause alla responsabilità civile [26] tracciando un parallelo tra la responsabilità per arricchimento e quella per rischio: in tal guisa cosí come ogni azione può comportare l’insorgere di una responsabilità per i danni da essa cagionati, cosí da essa deriverebbe il diritto di far propri tutti gli utili che se ne dovessero trarre. Di conseguenza, si reputava che «[t]out fait quelconque de l’homme qui procure a autrui un enrichissement, donne droit a celui par le fait duquel il a été procuré, a le répéter» [27]. Soltanto da ultimo verrà affermata la specificità dell’azione, tale da renderla non collimante né con il contratto né con il fatto illecito, ma da considerarla alla stregua di una specifica ipotesi di quasi-contratto [28].

 

Desidero dedicare un particolare ringraziamento alla Prof.ssa Giulia Terlizzi per l’aiuto prestatomi nella ricerca bibliografica e giurisprudenziale relativa al sistema ordinamentale franco-europeo. Il contenuto del saggio e delle note a piè di pagina sono interamente frutto dell’opinione e delle idee dell’autore.

[1] Cfr., sul punto, R. Ferrante, Dans l’ordre établi par le Code civil. La scienza del diritto al tramonto dell’Illuminismo giuridico, Milano, 2002, 10 ss.

[2] P. Gallo, L’arricchimento senza causa, Padova, 1990, 43 ss. e, più di recente, Id., sub Art. 2041, in G. Lener (a cura di), Della gestione d’affari, del pagamento dell’indebito, dell’arricchimento senza causa, in Comm. cod. civ. Gabrielli, 2015, Milano, 228 ss.

[3] R.J. Pothier, Traités du prêt à usage, du précaire, du prêt de consomption, de l’usure, du promutuum et de l’action condictio indebiti, des contrats de dépôt, de mandat (et quasi-contrat negotiorum gestorum), d’assurance, de prêt à la grosse aventure, de jeu et de nantissement, in M. Bugnet (a cura di), Oeuvres de Pothier, t. V, Paris, 1847 (rist. Bad Feilnbach, 1993), n. 21.

[4] G. Astuti, Arricchimento (azione di). Premessa storica, in Enc. dir., III, Milano, 1958, 62; B. Kupisch, voce Arricchimento nel diritto romano, medioevale e moderno, in Dig. disc. priv., sez. civ., I, Torino, 1987, 439 ss.; R. Zimmermann, The Law of Obligations. Roman Foundations of the Civilian Tradition, Oxford, 1996, 838 ss.; C.A. Cannata, Cum alterius detrimento et iniuria fieri locupletiorem. L’arricchimento ingiustificato nel diritto romano, L. Vacca (a cura di), Arricchimento ingiustificato e ripetizione dell’indebito, Torino, 2005, 13 ss.

[5] D. 12, 6, 14 (aequum est neminem cum alterius detrimento locupletiorem fieri) e di D. 50, 17, 206 (ius naturae aequum est neminem cum alterius detrimento et iniuria fieri locupletiorem).

[6] Come osservato da P. Sirena, La sussidiarietà dell’azione generale di arricchimento senza causa, in Riv. dir. civ., 2018, 395: «L’ipotesi più importante in cui Pothier aveva ravvisato una pretesa restitutoria di carattere generale è costituita dalla gestione di affari intrapresa senza alcuna volontà implicita o ipotetica di agire nell’interesse del dominus negotii. La “subtilité du droit” non consentiva allora che si potesse ritenere perfezionato alcun quasi-contratto, ma l’equità imponeva comunque che si concedesse al gestore un’actio negotiorum gestorum contraria (utilis) per ottenere, nei limiti dell’arricchimento conseguito dal dominus negotii, il rimborso delle spese sostenute».

[7] P. Gallo, sub Art. 2041, cit., 229.

[8] Lo nota A. Albanese, Ingiustizia del profitto e arricchimento senza causa, Padova, 2005, 13.

[9] P. Rémy, Le rôle de l’Exégèse dans l’enseignement du Droit au XIX siècle, in Revue d’histoire des facultés de droit et de la culture juridique, du monde des juristes et du livre juridique, 1985, 91 ss.

[10] Si vedano Cour de Cassation, 18 aout 1813, in Jour. du Palais, XI, 1813, 650; Cour de Cassation, 26 mars 1817, in Recueil Sirey, 1818, 1, 53; Cour de Cassation, 13 mars 1834, in Répertoire Dalloz, 1834, I, 733.

[11] F. Laurent, Principes de droit civil, 3ª ed., XX, Bruxelles-Paris, 1878, 361-368 e G. Ripert, M. Teisseire, Essai d’une théorie de l’enrichissement sans cause de droit civil français, in Rev. trim., 1904, 727.

[12] V. Chambre de Requêtes, 18 mars 1857, in Recueil Sirey, 1857, 1, 182. Un precettore aveva stipulato un contrat d’education con una donna, madre dell’allievo. Costei si rivelò successivamente insolvente. I giudici qualificarono il maestro quale gestore di affari altrui sí che l’allievo (che, a differenza della madre, si trovava in una posizione assai agiata) fu condannato a rimborsare le spese sostenute dal gestore nel suo interesse.

[13] V. in particolare Cour de Cassation, 15 juillet 1890, in Répertoire Dalloz, 1891, 1, 49 con nota di Planiol che evidenza un’intrinseca contraddizione nella motivazione, specialmente ove la Corte osserva «quand un tiers fait un acte dont profite un propriétaire, il gère réelment quoique involontairement et à son insu l’affaire de ce proprietaire».

[14] V., in particolare, C.A. Aubry, C.F. Rau, Droit civil théorique francais, Bruxelles, 1842, 337 e C.A. Aubry, C.F. Rau, Cours de droit civil français, 4e éd., Paris, 1871, IV, §§ 441, 725, 726.

[15] La dottrina recente, a partire da queste considerazioni, ha identificato ulteriori differenze in relazione: al fondamento dei due istituti, alla posizione, rispettivamente, dell’impoverito e del gestore, all’oggetto della pretesa. L’actio de in rem verso mira a ristabilire un equilibrio oggettivamente leso tra due patrimoni mentre la gestione di affari altrui presuppone l’intenzione di agire nell’interesse di un terzo; il gestore assume l’obbligazione di rendere il conto mentre l’impoverito ed ha diritto di ottenere «toutes les dépenses utiles ou nécessaires qu’il a faites» (art. 1375 Code nella formulazione precedente alla riforma); l’impoverito è creditore dell’arricchito per un valore pari alla minor somma tra impoverimento ed arricchimento. Si veda F. Terré, Y. Lequette, Enrichissement sans cause. fournitures Faites a un fermier. Action de in rem verso contre le propriétaire. Conditions d’exercice. Effet relatif des contrats, in Les grands arrêts de la jurisprudence civile, II, 12ª éd., Paris, 2008, 553 ss.

[16] Lo evidenzia P. Gallo, op. ult. cit., 232, ove ulteriori riferimenti.

[17] Chambre de Requêtes, 15 juin 1892, in Répertoire Dalloz, 1892, I, 596 e Recueil Sirey, 1893, I, 381, con nota di J.E. Labbé.

[18] «Attendu que cette action dérivant du principe d’équité qui défend de s’enrichir au détriment d’autrui et n’ayant été réglementée par aucun texte de nos lois, son exercice n’est soumis à aucune condition déterminée; qu’il suffit, pour la rendre recevable, que le demandeur allègue et offre d’établir l’existence d’un avantage qu’il aurait, par un sacrifice ou un fait personnel, procuré à celui contre lequel il agi».

[19] Cfr. F. Geny, Methode d’interprétation et sources en droit prive positif, III, Paris, 1899, 1 ss.; Id., La technique législative dans la codification civil moderne. A propos du centenaire du code civil, Paris, 1904, 987 ss.; Id., Science et Technique en droit privé positif, 1° pt., Paris, 1914, 10 ss. Per una ricostruzione di tale vicenda da parte della coeva dottrina italiana v. F. Leone, L’azione di arricchimento in diritto moderno, Napoli, 1915, 139-144. Per una ricostruzione meno risalente v., invece, R. Saleilles, Le Code civil et la méthode historique, in Le Code civil. 1804-1904. Livre du centenaire, Paris, 2004, 111 ss.; N. Hakim, F. Melleray, Présentation. La Belle Époque de la pensée juridique française, in Id. (a cura di), Le renoveau de la doctrine française. Les grands auteurs de la pensée juridique au tournant du XXe siècle, Paris, 2009, 1-2.

[20] Evidenzia A. Albanese, op. ult. cit., 17, nota 38: «Il metodo di interpretazione libera del diritto, contrapponendosi alle teorie classiche di ermeneutica legale, presupponeva la rinunzia all’idea di esaustitività del diritto positivo. […R]iteneva allora indispensabile interpretare la legge nel modo più conforme al buon funzionamento del meccanismo creato dal legislatore e, poiché la realtà sociale è in continua trasformazione, la regolamentazione da applicarvi avrebbe dovuto seguire l’evoluzione progressiva dell’ambiente per il quale è stata creata. […] Per scongiurare poi il pericolo che il giudice si lasciasse troppo guidare dalle sue valutazioni personali e convinzioni morali sconfinando nell’arbitrio, venivano tracciate alcune basi obiettive che gli servissero da guida: l’analogia giuridica; il concetto di giustizia comunemente inteso ed accettato; il diritto comparato».

[21] V., ad esempio, H. Mazeaud, L. Mazeaud, J. Mazeaud, Leçons de droit civil, II, Paris, 1956, 640: «On a tenté de préciser la portée de l’action in rem verso en disant que l’enrichissement doit être injuste. Mais l’expression est dangereuse: elle peut donner l’idée que l’action est donnée lorsque l’enrichissement est contraire à l’équité». Ritiene che l’enrichissement sans cause possa avere la funzione di un «brûlot susceptible de faire sauter tout l’edifice juridique», M.P. Drakidis, La «subsidiarité», caractère spécifique et international de l’action d’enrichissement sans cause, in Rev. trim., 1961, 38 ss.

[22] Cour de Cassation, 12 mai 1914 (c.d. arrêt Clayette), in Recueil Sirey, 1918, 1, 41 e Cour de Cassation, 2 mars 1915 (c.d. arrêt Brianaut), in Répertoire Dalloz, 1920, I, 102 secondo la quale, affinché l’azione potesse essere esercitata, occorreva «que l’appauvri ne jouisse d’aucune autre action naissant d’un contrat, d’un quasi-contrat, d’un delit ou d’un quasi-delit».

[23] Nota P. Sirena, La sussidiarietà dell’azione generale di arricchimento senza causa, cit., 397 ss. che: «la sussidiarietà dell’a­zione generale di arricchimento senza causa è strettamente legata alle vicende storiche del diritto francese, anzitutto per quanto riguarda l’adozione del modello romanistico dell’actio de in rem verso (utilis) […]. Ciò si spieg[herebbe] perché si tratta di casi di arricchimento c.d. trilaterale, in cui l’azione restitutoria era esercitata nei confronti di un terzo».

[24] C.A. Aubry, C.F. Rau, Cours de droit civil français, cit., §§ 578 e 335.

[25] M. Planiol, Classification des sources des obligations, in Revue critique de législation et jurisprudence, 1904, 229.

[26] G. Ripert, M. Teisseire, Essai d’une théorie de l’enrichissement sans cause de droit civil français, cit., 727 ss.

[27] G. Ripert, M. Teisseire, op. cit., 761.

[28] F. Goré, L’enrichissement aux dépens d’autrui, Paris, 1949, 14 ss. Cfr. anche, per ulteriori considerazioni di tagli sistematico, P. Gallo, op. ult. cit., 235 ss.


2. Dal sistema alla lettera: l’Ordonnance n. 2016-131 del 10 febbraio 2016 e la «consécration d’un acquis».

Benché l’enrichissement sans cause fosse parte integrante del diritto vivente francese da oltre un secolo, la formalizzazione dell’istituto ha avuto luogo soltanto in virtù dell’entrata in vigore dell’art. 2, Ordonnance n. 2016-131 del 10 febbraio 2016 portant réforme du droit des contrats, du régime général et de la preuve des obligations il quale ha modificato l’art. 1303 e introdotto gli artt. 1303-1, 1303-2, 1303-3, 1303-4 Code.

Già ad un’esame prima facie emerge un’evoluzione rispetto al passato: al fine di realizzare il definitivo superamento del concetto di «causa» [1], la Reforme ha attribuito all’enrichissement la qualifica di «injustifié» [2]. Pare allora corretto ritenere che l’intervento legislativo si connoti, in parte, per disciplinare sedimentati orientamenti giurisprudenziali e, per altra parte, per realizzare alcune modifiche rispetto al passato [3].

Aspetti di sicura continuità tra orientamenti pretori e littera legis, ad esempio, si osservano in rapporto al fondamento dell’istituto ed alla sua natura di azione sussidiaria. Appare infatti evidente che il legislatore del 2016 abbia confermato la posizione giurisprudenziale secondo cui l’arricchimento è «injustifié» qualora non vi sia alcuna norma o atto di autonomia privata che lo giustifichi [4]. L’art. 1303-1 Code, tuttavia, non formalizza tale regola in termini generali ma si limita a stabilire che l’obbligo indennitario non sorge se l’arricchimento del terzo deriva dall’animus donandi dell’impoverito [5] ovvero dall’adempimento di una obligation [6]. Il combinato disposto degli artt. 1303-3 e 1303 Code, in secondo luogo, prescrive la regola della sussidiarietà dell’azione [7]. Argomentando a partire dalla disposizione da ultimo citata, in particolare, la dottrina attribuisce all’enrichissement injustifié natura di quasi contratto e, in chiave applicativa, reputa che tale azione non possa trovare applicazione qualora concorra con la ripetizione dell’indebito [8] o con la gestione di affari altrui [9].

Profili di discontinuità, per contro, si osservano in rapporto a tre profili di disciplina.

L’art. 1303-4 Code, anzitutto, detta criteri di calcolo dell’indennizzo dovuto innovativi rispetto al passato al fine di superare l’orientamento pretorio che, sul punto, si era rivelato assai ondivago [10]. Confermata (dall’art. 1303 Code) la regola «du double plafond» [11], la disposizione in commento impone una differenziazione tra, da una parte, la data in cui deve essere constatato l’arricchimento/impoverimento e, dall’altra parte, quella in cui deve esserne effettuata la valutazione. Prima dell’entrata in vigore della novella l’impoveri­mento veniva calcolato rapportandolo al giorno nel quale esso si era verificato, mentre l’arricchimento era calcolato al momento della domanda: poiché entrambe le obbligazioni pecuniarie erano soggette al principio nominalistico, esse non erano soggette a rivalutazione, a tutto svantaggio del soggetto impoverito [12]. In virtù della novella, per contro, il valore economico dovuto dall’arricchito sarà stabilito dal giudice con la sentenza.

Una seconda innovazione consiste nel rapportare la valutazione dell’indennizzo alla buona o alla malafede dell’arricchito. Recependo un indirizzo dottrinale [13], l’art. 1303-4 Code mutua una regola prevista in materia di ripetizione dell’indebito [14] intesa a sanzionare colui il quale si sia arricchito in malafede [15]. La disposizione, derogando alla regola «du double plafond», stabilisce che l’indennizzo sarà pari (non alla minore, ma) alla maggior somma tra l’arricchimento e l’impoverimento [16].

Da ultimo, l’Ordonnance ha disciplinato il concorso dell’impoverito nella causazione del fatto che ha dato luogo all’arricchimento. L’art. 1303-2 Code sancisce sul punto che «il n’y a pas lieu à indemnisation si l’appauvrissement procède d’un acte accompli par l’appauvri en vue d’un profit personnel» [17]. Si tratta di una disposizione di rilievo, in particolare se rapportata al precedente orientamento giurisprudenziale il quale distingueva a seconda che il concorso fosse dovuto a colpa o, per contro, a negligenza o imperizia del depauperato [18] e reputava inammissibile l’azione soltanto nel primo caso. La novella, per contro, si è discostata dalla posizione tradizionale stabilendo che dalla condotta colposa dell’impoverito deriva che il giudice potrà, al più, limitare l’indennizzo dovuto [19]. Nel silenzio della legge, la dottrina ha osservato che l’interprete dovrà tener conto sia della gravità della colpa sia del ruolo causale da essa concretamente rivestito. Ci si è domandati, tuttavia, se l’art. 1303-2 Code autorizzi il giudice ad escludere del tutto l’indennizzo quando il comportamento del depauperato sia la causa esclusiva del suo impoverimento [20]. L’opinione prevalente è in senso contrario a tale conclusione sulla base tanto del dato letterale della disposizione [21] tanto della possibilità di ammettere un indennizzo anche meramente simbolico [22].

Al netto dei profili esaminati, in definitiva, pare corretto ritenere che la novella sostanzialmente si limiti ad elevare al rango di jus positum il principio di diritto dapprima sancito dall’arrêt Boudier e, successivamente, sagomato dalla giurisprudenza [23]. Opportunamente, allora, la dottrina coeva all’entrata all’elabo­razione della riforma ha osservato che, in rapporto al nostro istituto, l’Ordonnance avrebbe realizzato la «consecration d’un acquis, non d’une avancée imprudente» [24] così, peraltro, adempiendo all’obiettivo assegnato al Governo dall’art. 8, legge n. 2015-177 del 16 febbraio 2015 relativa alla modernisation et à la simplification du droit et des procédures dans les domaines de la justice et des affaires intérieures [25].

Al fine di stabilire se la medesima conclusione sia condivisa anche dagli operatori pratici – a cinque anni dall’entrata in vigore della riforma – appare non privo di interesse analizzare la prima pronunzia di legittimità resa in merito all’interpretazione degli artt. 1303 ss. Code [26].

Questi i fatti di causa: due persone convivono stabilmente dal novembre 2014 al dicembre 2015. In séguito alla cessazione del rapporto affettivo il convivente, sul presupposto di aver integralmente sostenuto le spese per la costruzione di una piscina sul terreno di proprietà della compagna, cita quest’ultima in giudizio per ottenere il pagamento di un’indennità a titolo di arricchimento ingiustificato. Il ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello che aveva accolto la pretesa, liquidandola sulla base dei criteri sanciti dall’art. 1303-4 Code, si fonda sulla pretesa non-applicabilità della nuova disciplina, in ragione della mancanza di retroattività della legge civile sancita dagli artt. 2 Code civile e 9 dell’Ordonnance.

La Corte di legittimità, dato atto che «la Cour d’appel a déterminé l’indemnisation de celui-ci en se référant à bon droit aux dispositions de l’art. 1303 code civil, dans sa rédaction issue de l’ordonnance n° 2016-131 du 10 février 2016», rigetta il ricorso sancendo che «la loi nouvelle s’applique immédiatement à la détermination et au calcul de l’indemnité».

Con il provvedimento in esame, in definitiva, anche la Cour de Cassation ha riconosciuto che la novella si è limitata a codificare una regola giuridica già vigente nel periodo anteriore [27]. Non osta all’applicazione dei criteri di calcolo dell’indennità dettati dallo jus novum, pertanto, la circostanza che il fatto costitutivo dell’arricchimento ingiustificato si sia realizzato in data precedente al 1° ottobre 2016, data di entrata in vigore dell’Ordonnance, dal momento che quest’ultima «n’a fait que reprendre la règle de droit antérieure» [28].

 

[1] Cfr.. D. Visser, Unjustified Enrichment in Comparative Perspective, in M. Reimann, Id. (ed.), The Oxford Handbook of Comparative Law, 2nd ed., New York, 2019, 969, nota 58: «Although the new law’s intention is merely to codify the system of enrichment law built up by the Cour de cassation, the change in terminology is part of the project of ridding the law of obligations completely of the notion of ‘cause’». M. Mekki, Panorama. Droit des contrats, in Rec. Dalloz, 2017, 375 ss., spéc., 382 e 383. Nella prospettiva italiana v. le considerazioni di E. Navarretta, La causa e la rèforme du code civil francese, in Pers. merc., 2017, 205 ss.

[2] Art. 1303-1 Code: «L’enrichissement est injustifié lorsqu’il ne procède ni de l’accomplissement d’une obligation par l’appauvri ni de son intention libérale».

[3] Lo evidenzia G. Yildirim, Lenrichissement injustifié, nouveau visage de lenrichissement sans cause, in AJ Famille, 2016, 472 ss.

[4] G. Chantepie, M. Latina, La réforme du droit des obligations. Commentaire théorique et pratique dans l’ordre du Code civil, 2016, Dalloz, no 743, 642 s. e P. Malaurie, L. Aynes, P. Stoffel-Munck, Droit civil. Les obligations, 5e éd., Defrenois, Paris, 2020, 583.

[5] Per una applicazione di questa ipotesi alle obbligazione tra conviventi, cfr. Cour de Cassation, 20 janvier 2010, n. 08-13400, in Bull. 2010, I, n° 14.

[6] Si tratta di una formulazione criticata dalla dottrina sotto almeno due profili. Per un verso ci si è interrogati sul se l’arricchimento sia giustificato qualora abbia titolo in un contratto, in una sentenza o nella legge. La risposta è stata in senso affermativo, v. N. Dissaux, C. Jamin, Projet de réforme du droit des contrats, du régime général et de la preuve des obligations. Commentaire article par article, Paris, 2015, 157. Reputava superfluo l’inserimento di tale specificazione nel testo di legge P. Remy, Des autres sources d’obligations, in F. Terré (dir.), Pour une reforme du régime géneral des obligations, Paris, 2013, 31 ss. Per altro verso è stata evidenziata la non adeguatezza della legislazione di dettaglio in rapporto a fattispecie come quella in commento, G. Yildirim, op. cit., 473: “Plutôt que cette énumération nécessairement hasardeuse, neût-il pas été préférable de choisir une formulation plus générale, ou à tout le moins dinsérer ladverbe notamment, afin de laisser plus libre champ à la prudence du juge ?». Si aggiunga che la disposizione trascura di considerare l’ipotesi dell’arricchimento dovuto all’adempimento di un obbligo avente natura etica o morale, per un esemplificazione v. Cour de Cassation, 3 novembre 2004, n. 01-15176, in Bull., I, n. 248.

[7] Per una applicazione recente Cour de Cassation, 29 mai 2019, n° 18-18.376, in JurisData, n. 2019-009027.

[8] V. Cour de Cassation, 16 septembre 2020, n° 18-25.429, in JurisData, n. 2020-013348.

[9] Come ribadito, peraltro, dall’art. 1301-5 Code, secondo il quale “laction du gérant ne répond pas aux conditions de la gestion daffaires mais profite néanmoins au maître de cette affaire, celui-ci doit indemniser le gérant selon les règles de lenrichissement injustifié».

[10] Cfr. G. Chantepie, M. Latina, La réforme du droit des obligations, cit., 651 s.

[11] Secondo la quale all’impoverito spetta la minor somma tra l’arricchimento e l’impoverimento, cfr., sul punto, J.Flour, J.L. Aubert, E. Savaux, Droit civil. Les obligations, t. 2, Le fait juridique, 14e éd., Paris, 2011, 62, n. 57. Reputa che l’art. 1303-4 Code civil disciplini l’indennizzo alla stregua di un debito di valore P. Remy, Des autres sources dobligations, cit., 46.

[12] Secondo il Rapport au président de la République relatif à l’ordonnance no 2016-131 du 10 févr. 2016 tale soluzione risulta «conforme à celle retenue par le code civil dans les cas d’enrichissements injustifiés qu’il régit spécialement aux articles 549, 555, 566, 570, 571, 572, 574 et 576».

[13] Cfr., sul punto, F. Terré, P. Simler, Y. Lequette, Les obligations, 10e éd., Paris, 2009, 1070. V. anche P. Remy, op. cit., 32.

[14] All’individuazione della bonne o mauvaise foi dell’accipiens conseguiva un diverso computo degli interessi (cfr. previgente art. 1378 Code), nonché una diversa identificazione dell’oggetto della prestazione da restituire in caso di perimento o deterioramento (cfr. previgente art. 1379 Code), ovvero in caso di alienazione della res indebita (cfr. previgente art. 1380 Code). Per una analisi (critica) del contenuto della riforma del Code civil in rapporto alle restituzioni derivanti dalla caducazione del contratto v. L. Guerrini, Rimedi contrattuali e restituzioni nel novellato code civil: una deludente restaurazione, in Riv. dir. civ., 2019, 646 ss.

[15] Identica finalità era posta a fondamento dell’art. 1339 dell’avant-projet Català, a mente del quale: «[…] Toutefois, en cas de mauvaise foi de l’enrichi, l’enrichissement s’apprécierà au temps où il en a bénéficié».

[16] M. Mignot, Commentaire article par article de l’ordonnance du 10 févr. 2016 (VII), Les petites affiches, 13 avr. 2016, 7.

[17] Cfr. Cour de Cassation, 24 septembre 2008, n° 07-11.928, in Rev. trim., 2008, 660 con nota di J. Hauser.

[18] Cfr., sul punto, V. Forti, Lenrichissement injustifié. Généralités. Conditions matérielles, in Juris Classeur Civil Code, art. 1303 à 1303-4, 2016 f. 10, spéc. no 6.

[19] Cfr. F. Terré, P. Simler, Y. Lequette, Droit civil. Les obligations, cit., n. 1071.

[20] Sposa la posizione maggiormente rigorosa il Rapport au président de la République relatif à l’Ordonnance n° 2016-131 du 10 févr. 2016, secondo il quale l’indennizzo «peut être modérée, voire supprimée». In senso adesivo, G. Chantepie, M. Latina, op. cit., n° 752. In senso contrario v. invece L. Aynés, A. Bénabent, Réforme du droit des contrats et des obligations: aperçu général, in Rep. Dalloz, 2016, 434.

[21] Art. 1303-2, comma 2, Code: «L’indemnisation peut être modérée par le juge si l’appauvrissement procède d’une faute de l’appauvri».

[22] In questo senso cfr. F. Chénedé, Le nouveau droit des obligations et des contrats, II ed., Paris, 2018, n. 18 e N. Dissaux, C. Jamin, op. cit., 159.

[23] In questo senso G. Chantepie, M. Latina, op. cit., 642.

[24] G. Cornu, Quasi contrats (art. 1327 à 1339), in P. Catala (a cura di) Avant-projet de réforme du droit des obligations et de la prescription, La documentation française, Paris, 2006, 75 s.

In termini v. anche A. Molière, La consécration de l’enrichissement injustifié: premiers regards sur le projet d’ordonnance et premières propositions de remaniement, in Les Petites affiches, 6, nn. 96-97.

[25] «Dans les conditions prévues à l’article 38 de la Constitution, le Gouvernement est autorisé à prendre par voie d’ordonnance les mesures relevant du domaine de la loi nécessaires pour modifier la structure et le contenu du livre III du code civil, afin de moderniser, de simplifier, d’améliorer la lisibilité, de renforcer l’accessibilité du droit commun des contrats, du régime des obligations et du droit de la preuve, de garantir la sécurité juridique et l’efficacité de la norme et, à cette fin: [9.] Moderniser les règles applicables à la gestion d’affaires et au paiement de l’indu et consacrer la notion d’enrichissement sans cause».

[26] Cour de Cassation, 3 mars 2021, no 19-19.000, D. actu., 19 mars 2021, con nota di C. Hélaine.

[27] Come riporta A.M. Romani, Enrichissement sans cause, Paris, 2021, n. 222: «En matière de concubinage, si la loi applicable aux conditions dexistence de lenrichissement injustifié est celle du fait juridique qui en est la source, la loi nouvelle sapplique immédiatement à la détermination et au calcul de lindemnité».

[28] Punto 7 della sentenza. Per una posizione di segno analogo cfr. F. Chénedé, Le nouveau droit des obligations et des contrats, cit., 180.


3. Recepimento e formalizzazione del modello franco-italiano di arricchimento senza causa. Una «promessa mancata»?

Al pari di quanto osservato rispetto al Code, neanche il codice civile italiano del 1865 prevedeva una specifica disciplina dell’azione generale di arricchimento [1]. L’interpretazione evolutiva conseguente al progressivo declinare dell’École de l’Exégèse, tuttavia, non tardò a ripercuotersi anche di là dai confini francesi: sia per il prestigio tributato alla dottrina d’Oltralpe [2] sia per un’oggettiva contiguità tra le due compilazioni normative, l’azione in discorso venne progressivamente accolta anche dalla giurisprudenza e della letteratura giuridica italiana, pur in difetto di una disciplina tipica. Si trattò, tuttavia, di un processo caratterizzato da incertezze e forti contrasti [3].

È stata la giurisprudenza delle Corti torinesi ad aver riconosciuto per prima diritto di cittadinanza all’azione, sancendo che «[essa] è […] applicata in tutti i casi in cui vi sia la locupletazione di una parte a spese di un’altra e la legge positiva non appresti un rimedio giuridico speciale, affine di costringere chi si arricchì a risarcire quatenus locupletior factus sit il danno risentito dall’attore» [4] per poi specificare che «l’obbligazione corrispondente all’azione di versione utile non dipende da vincoli contrattuali, ma unicamente e direttamente dalla legge che non permette l’indebito arricchimento a danno altrui» [5]. In linea di continuità con questo indirizzo si pone anche la Cassazione fiorentina secondo cui l’azione «ha oggidì acquistato gran larghezza e si applica in tutti i casi in cui vi sia ingiusta locupletazione di una parte in danno di un’altra e la legge positiva non appresti altro rimedio giuridico speciale affine di costringere chi ingiustamente si arricchisca a risarcire» [6].

All’orientamento favorevole a riconoscere la vigenza di un divieto di ingiustificato arricchimento si oppose – al pari di quanto osservato in relazione all’esperienza francese – un indirizzo di segno contrario, maggiormente fedele al dato letterale. Quest’ultimo, in assenza di una disciplina specifica, imponeva requisiti particolari ai fini dell’ammissibilità dell’azione o, nelle ipotesi più radicali, ne negava in toto la configurabilità. Secondo quanto statuito da una prima sentenza di legittimità, ad esempio, «l’azione non [poteva] essere esercitata se non contro colui col quale esisteva una precedente obbligazione rimasta annullata» [7]. Una seconda pronunzia, in maniera ancor più decisa, aggiungeva che «[avendo il legislatore italiano] concesso l’azione di gestione utile nel caso previsto dall’art. 1307 contro i minori, gli interdetti, gli inabilitati e le donne maritate, ciò significa che negli altri casi non l’ha voluta estendere» [8].

Anche la dottrina risultava polarizzata tra coloro che negavano l’ammissibilità di un’azione generale di arricchimento [9] e coloro che, secondo argomentazioni non sempre collimanti, per contro la ammettevano [10].

Il dibattito scientifico sul punto andò progressivamente scemando [11] a partire dalla stesura dei lavori preparatori al Progetto italo-francese per un codice delle obbligazioni e dei contratti il quale –prevedendo espressamente un divieto di arricchimento senza causa [12] – attribuì a quest’ultimo la dignità propria del diritto positivo [13]. Si giunse così a prevedere una disciplina specifica dell’azione in esame nei Progetti – preliminare (artt. 820 e 821) e definitivo (artt. 766 e 777) – del Libro IV del Codice del 1942: essa fu accolta con favore da parte della dottrina italiana [14] la quale, proprio ragionando in comparazione con l’ordinamento francese, ne evidenziava la «possente vitalità» e «l’intima ragion d’essere» [15].

Idealmente opponendosi al modello tedesco (§§ 812 ss. BGB) [16], gli artt. 2041 e 2042 cod. civ. hanno cristallizzato – come noto – un modello di azione di arricchimento «franco-italiano» [17], caratterizzato dai medesimi elementi di fattispecie [18]: l’arricchimento, il «danno», la correlazione tra il primo ed il secondo, la sussidiarietà [19] e la «giusta causa».

Proprio quest’ultima è considerata un «punto nodale» [20] della disciplina e, del pari, un «anello di congiunzione con il fondamento dell’istituto» [21]. Mentre i giudici si sono tradizionalmente astenuti dall’enunciare definizioni di carattere generale a riguardo [22], la dottrina si è invece ampiamente prodigata [23] al fine di identificare una nozione unitaria e dogmaticamente rigorosa della «giusta causa» dell’arricchimento [24].

Un primo indirizzo, valorizzando l’elemento volontaristico, faceva coincidere la mancanza di giusta causa con l’assenza di volontà o di colpa dell’impoverito [25]. Un altro orientamento, di segno opposto, faceva combaciare la giusta causa con la volontà dell’impoverito o «un’utilità sociale» [26] che giustificasse la locupletazione. Altra posizione – con finezza – differenziava tra modus adquirendi, titulus adquirendi e titulus retinendi per sostenere che l’arricchimento sarebbe privo di «giusta causa» quando difetti l’ultimo di tali elementi, necessario per giustificarne la conservazione [27]. Un’ulteriore voce prospettava la necessità di una doppia giustificazione per ogni spostamento patrimoniale: la prima attinente all’effetto giuridico per il tramite del quale si realizza il trasferimento e la seconda relativa al suo effetto economico sì che vi sarebbe «una vera e propria autonomia fra giustificazione dell’effetto giuridico e giustificazione di quello economico» [28].

Come affermato a chiare lettere in dottrina [29] e testimoniato dal limitato riscontro giurisprudenziale del­l’azione generale di arricchimento nel sistema italo-europeo, sembra corretto reputare che l’impatto pratico-applicativo di tali teorizzazioni sia stato assai modesto. Le descritte ricostruzioni, in definitiva, si limitano a ribadire che, al fine di costituire un’obbligazione indennitaria ai sensi degli artt. 1173 e 2041 cod. civ., l’arricchimento deve essere privo di causa. Nessuna di esse, per contro, è giunta a formulare una nozione di «giusta causa» diffusamente accettata sì che non sembra essere stato nel torto chi – non certo di recente – aveva supposto che «le disquisizioni sul concetto di mancanza di causa o di ragione giustificativa dell’arricchimento nel nostro diritto positivo […] a nulla approdano come a nulla potranno mai approdare» [30]. A queste diffuse incertezze circa il fondamento dell’istituto si assomma una intrinseca contradditorietà che ne connota la natura: la disciplina dell’ingiustificato arricchimento è infatti finalizzata a correggere le ripercussioni economiche di un comportamento umano o di un fatto naturale che, in sé considerati, non sono affatto antigiuridici [31] ma, al contrario, si inverano secundum ius [32].

Tali circostanze hanno fatto sì che la giurisprudenza [33], ragionando in linea astratta, reputi sempre presente una «giusta causa» quando l’arricchimento trovi una giustificazione in un regolamento pattizio, nella volontà dell’impoverito, nello spirito di liberalità, nella legge o, ancóra, in un provvedimento amministrativo o giudiziario [34]. Questo indirizzo, di concerto con l’interpretazione della regola della sussidiarietà “in astratto” (art. 2042 cod. civ.) [35] e la tendenza a considerare l’arricchimento senza causa quale norma di «chiusura dell’ordinamento» [36], ha contribuito a limitare fortemente l’esperibilità dell’azione [37].

 

[1] G. Astuti, Arricchimento (azione di). Premessa storica, cit., 63.

[2] M. Rotondi, L’azione di arricchimento, in Riv. dir. comm., I, 390.

[3] Lo sottolinea U. Breccia, L’arricchimento senza causa, in Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, 9, I, 2ª ed., Torino, 1999, 975.

[4] App. Torino 28 marzo 1890, in Giur. torinese, 1890, 403.

[5] Cass. Torino 10 dicembre 1897, in Giur. torinese, 1898, 40.

[6] Cass. Firenze 24 febbraio 1898, in Foro it., 1898, I, c. 322. A riprova della progressiva penetrazione, nell’argomentare delle Corti, dell’indirizzo ermeneutico inteso ad obbligare l’arricchito senza causa ad indennizzare il soggetto impoverito depone la vicenda dell’«indennità da avviamento» (v. D. Carusi, Le obbligazioni nascenti dalla legge, in Tratt. dir. civ. CNN, diretto da P. Perlingieri, Napoli, 2005, 377). L’art. 6, r.d. 3 aprile 1921, n. 331 prevedeva che il proprietario di un immobile destinato a negozio od albergo fosse tenuto nei confronti del commerciante, conduttore uscente, al pagamento di un «compenso per perdita di avviamento», come determinato da un’apposita commissione. Nonostante la mancata conversione del decreto la giurisprudenza (in particolare di merito, v. Trib. Napoli 16 aprile 1928, in Riv. dir. comm., 1928, II, 344; App. Milano 17 ottobre 1928, ivi, 1929, II, 187; App. Torino 3 luglio 1928 e App. Firenze 16 marzo 1929, ivi, 1930, I, c. 262 con nota di C. Vivante, Ancora sulla proprietà della clientela) seguitò a riconoscere al commerciante locatario un indennizzo per l’incremento di valore dell’immobile «dovuto all’avviamento» invocando, a tal fine, proprio la regola pretoria della restituzione degli arricchimenti ingiustificati.

[7] Cass. Torino 3 ottobre 1895, in Giur. torinese, 1895, I, 699.

[8] Cass. Firenze 14 novembre 1895, in Giur. it., 1895, I, c. 156.

[9] Si vedano V. Scialoja, nota a Cass. Roma, 21 novembre 1888, in Foro it., 1889, I, c. 941; G. Bruno, voce Actio de in rem verso, in Enc. giur. it., I, 1, Milano, 1900, §§ 81 ss.; F. Buonamici, Illustrazioni esegetiche al titolo del digesto de condictio indebiti, Pisa, 1903, 157; Al. Palazzo, Arricchimento indebito, in Dir. comm., 1907, 189 ss.; A. Ascoli, Istituzioni di diritto civile, Genova, 1922, 187 s.; M. Rotondi, op. cit., I, 374 ss. e, II, 505 ss.

[10] C. Scuto, L’oggetto dell’azione di arricchimento, Catania, 1914, 3 ss., Id., L’azione di arricchimento nel diritto cambiario, 1912, passim; A. Graziani, L’azione di ingiustificato arricchimento, in Riv. dir. civ., 1922, 1 ss.; L. Coviello, nota a Cass. Napoli, 14 dicembre 1892, in Giur. it., 1893, I, c. 11 ss.; G.P. Chironi, Studi e questioni di diritto civile, II, Torino, 348 ss.; G. Pacchioni, Trattato della gestione di affari altrui secondo il diritto romano e civile, 2ª ed., Milano, 1915, 55 ss. Non è un fuor d’opera evidenziare che anche nel codice civile svizzero, entrato in vigore nel 1911, era stato introdotto un titolo a disciplina delle obbligazioni derivanti da ingiustificato arricchimento, art. 62: «chi senza causa legittima si è arricchito a spese altrui, è tenuto alla restituzione. Questa obbligazione si costituisce, in particolare, quando qualcuno ha ricevuto una prestazione senza una valida causa, o in base ad una causa che non si è realizzata, o di una causa che è venuta meno».

[11] Meritano evidenza, in quel frangente storico, i contributi di G.B. Castioni, Il divieto di ingiusto arricchimento come principio generale di diritto, in Riv. dir. comm., 1925, I, 341; C. Burzio, Per la disciplina legale dell’azione di arricchimento, in AA.VV., Studi D’Amelio, I, Roma, 1933, 191 ss. ed A. Ascoli, Arricchimento (azione di), in Nuovo dig. it., I, Torino, 1937, 755 ss. Si tratta di studi che, ragionando a partire da disposizioni tipiche, concludevano nel senso della vigenza – anche sotto l’imperio del codice civile del 1865 – di un principio generale che vietava locupletazioni ingiustificate. Evidenziava, per contro, gravi dubbi sull’opportunità di sacrificare la circolazione della ricchezza a vantaggio del tentativo di realizzare «l’equità più perfetta», M. Ricca Barberis, Contro l’azione d’arricchimento nel progetto italo-francese delle obbligazioni, in AA.VV., Recueil d’etudes sur les sources du droit en l’honneur de F. Geny, 1934, 11; Id., I conduttori e l’azione di arricchimento, in Riv. dir. comm., 1926, I, 751 ss.; Id., Attività di privati e arricchimento della pubblica amministrazione, in Riv. dir. priv., 1933, II, 227 ss.

[12] Art. 73, Progetto italo-francese per un codice delle obbligazioni e dei contratti: «Chi si arricchisce senza causa a danno di un’altra persona, è tenuto nei limiti del proprio arricchimento ad indennizzarla».

[13] Nella Relazione esplicativa si sottolineava la portata generale e la funzione innovativa dell’art. 73, dando anche conto del dibattito tra fautori e detrattori della codificazione dell’istituto (v. Progetto di codice delle obbligazioni e dei contratti, Roma, 1928, § 14, LXXXVIII). Cfr., a riguardo, A. Siegwart, Gestione di affari senza mandato, Pagamento d’indebito ed Arricchimento senza causa nel Progetto italo-francese di un Codice delle Obbligazioni, in Annuario di diritto comparato e di studi legislativi, IV e V, 1930, 219 ss. Per un’ampia rassegna giurisprudenziale v. M. Rotondi, L’azione di arricchimento, cit., I, 384 ss.

[14] Relazione al Codice. Libro delle Obbligazioni, Roma, 1941, n. 262, 74 ove si afferma che il riconoscimento di una azione generale di ingiustificato arricchimento fosse caldeggiato da «una larghissima corrente di dottrina e giurisprudenza». In seno a quest’ultima occorre senz’altro iscrivere lo studio di G. Andreoli, L’ingiustificato arricchimento, Milano, 1940, 3 ss. le cui tesi, tuttavia, sono state recepite soltanto in parte dal legislatore del 1942. Per una panoramica delle posizioni v. F. Giglio, L’actio de in rem verso nel sistema del codice civile, in Riv. dir. civ., 2000, 256 ss.

[15] U. Mori Checcucci, L’arricchimento senza causa, Firenze, 1943, 15.

[16] A parere di G. Dannemann, The German law of Unjustified Enrichment and Restitution. A Comparative Introduction, New York, 2009, 190 ss. elementi caratterizzanti di tale modello sarebbero il venir meno della sussidiarietà dell’azione ed il reputare presupposto idoneo all’indennizzo che l’arricchimento consegua ad un’ingerenza non consentita nelle altrui situazioni protette (Rechtsverletzung), a prescindere dalla prova di un danno effettivo. V. anche, per opportuni riferimenti, R. Zimmermann, The Law of Obligations. Roman Foundations of the Civilian Tradition, 2ª ed., Oxford, 1996, 838 ss.

[17] Adopera tale espressione, da ultimo, P. Gallo, sub Art. 2041, cit., 249-250. Nota P. Sirena, La sussidiarietà dell’azione, cit., 399 che «gli artt. 2041 e 2042 c.c. [sono] chiaramente modellati sul diritto giurisprudenziale francese».

[18] Secondo E. Moscati, voce Arricchimento (azione di) nel diritto civile, in Dig. disc. priv., Sez. civ., I, Torino, 1987, 450 le questioni pratico-applicative sollevate dalla disposizione riguardano: «la tipologia degli arricchimenti, il concetto stesso di “danno” quale correlato dell’“arricchimento” dell’accipiens, i rapporti tra arricchimento senza causa e responsabilità per fatto “ingiusto”, l’effettivo significato della sussidiarietà dell’azione».

[19] In merito all’introduzione del requisito della sussidiarietà dell’azione v. la posizione critica assunta, già di fronte al Progetto preliminare del Libro IV del codice civile, da G. Andreoli, op. cit., passim e, spec. 333 ss.

[20] E. Moscati, Un’occasione perduta: la codificazione di una clausola generale di arricchimento (primo bilancio e prospettive), in Quadr., 1989, 447 e in Id. (a cura di), Studi sull’indebito e sull’arricchimento senza causa, Padova, 2012, 265 (da cui si cita).

[21] A. Albanese, Ingiustizia del profitto, cit., 23. Nel senso che dal requisito di fattispecie in parola dipenda l’impostazione dell’intero istituto v. anche A. Trabucchi, voce Arricchimento (azione di) (Diritto civile), in Enc. dir., III, Milano, 1959, 64 ss.

[22] Lo nota A. Albanese, op. cit., 24.

[23] Sotto la vigenza del codice unitario v., per approfonditi riferimenti bibliografici, M. Rotondi, L’azione di arricchimento, cit., 390 ss.

[24] Evidenzia i pericoli connessi ad un’eccessiva discrezionalità attribuita all’interprete nell’applicazione dell’istituto E. Moscati, L’azione di arricchimento nelle codificazioni moderne, in Id., Studi sull’indebito e sull’arricchimento senza causa, cit., 269 ss.

[25] G. Pacchioni, I quasi contratti e l’azione di arricchimento. Lezioni di diritto civile tenute nell’anno 1926-27, rist., Padova, 1935, 311 ss.

[26] U. Mori Checcucci, L’arricchimento senza causa, cit., passim, spec. 272 ss.

[27] E. Betti, Teoria generale delle obbligazioni, III, Fonti e vicende delle obbligazioni, Milano, 1954, 145 ss.

[28] L. Barbiera, L’ingiustificato arricchimento, Napoli, 1964, 203.

[29] Già C.A. Facchino, L’azione generale di arricchimento dopo la riforma del codice civile, in Riv. dir. comm., 1957, I, 450 aveva affermato che «l’accoglimento in sede legislativa del nuovo istituto non ha portato, in concreto, ad alcun risultato di rilievo». Anche secondo E. Moscati, Un’occasione perduta, cit., 268 s. l’introduzione di una disciplina tipica «non ha avuto nel diritto italiano quegli sviluppi e quelle applicazioni che invece era lecito attendersi per la carica fortemente innovativa del principio». Di recente O.T. Scozzafava, Dell’arricchimento senza causa, in Diritto e processo, 2019, 535 conclude nel senso che «l’adozione del meccanismo di tutela in esame è stato perfettamente inutile».

[30] M. Rotondi, L’azione di arricchimento, cit., 79 il quale, in coerente sviluppo della propria prospettiva ricostruttiva di taglio rigorosamente esegetico, chiosava: «l’arricchimento deve ritenersi senza causa, illecito, indebito, ingiustificato, quando chi lo conseguì sia incorso in responsabilità contrattuale od extracontrattuale od a lui incomba, per conseguenza stessa del fatto che provocò l’arricchimento, altra obbligazione nascente da espressa disposizione di legge. In tutti questi casi l’arricchito sarà tenuto in base e nella misura ordinaria della responsabilità contrattuale od extracontrattuale, o nella particolare misura stabilita caso per caso dalla legge: di azione, e quindi di obbligazione nascente puramente dal fatto dell’arricchito e avente carattere e misura proprii non è affatto possibile parlare» (corsivo aggiunto).

[31] P. Schlesinger, Arricchimento (Azione di). Diritto civile, in Noviss. dig. it., I, 2, Torino, 1958, 1006 ove si ribadisce la centralità della giusta causa «alla cui mancanza è legata la costituzione dell’obbligo di indennizzo». Si colloca nella stessa prospettiva C. Scuto, Natura giuridica e fondamento della ripetizione dell’indebito nel diritto civile italiano, in Riv. dir. civ., 1917, 152: «la parola ingiustificato […] non è sinonimo di ingiusto, perché mentre la mancanza di una giustificazione deve essere desunta con criteri di diritto positivo, la determinazione dell’ingiusto si ha […] in base a criteri di equità».

[32] S. Di Paola, R. Pardolesi, Arricchimento. I) Azione di arricchimento. Diritto civile, in Enc. giur., Roma, 1988, 4. Per un approfondimento delle posizioni giurisprudenziale v. F. Astone, L’arricchimento senza causa, Milano, 1999, 10 ss.

[33] Lo nota A. Albanese, op. cit., 37 s.

[34] V., tra le tante, Cass. civ., 7 giugno 2018, n. 14732, Foro it. dvd.: «L’azione generale di arricchimento ha come presupposto la locupletazione di un soggetto a danno dell’altro che sia avvenuta senza giusta causa, sicché non è dato invocare la mancanza o l’ingiustizia della causa qualora l’arricchimento sia conseguenza di un contratto, di un impoverimento remunerato, di un atto di liberalità o dell’adempimento di un’obbligazione naturale». In termini v. anche Cass. civ., 15 settembre 2009, n. 11330, ivi. Aderisce ad un’impostazione del problema fortemente riduzionistica A. Trabucchi, voce Arricchimento, cit., 66 ss.: «Se, accanto alla giustificazione formalmente valida di ogni singola disposizione giuridica, fossimo autorizzati a ricercare anche una diversa giustificazione delle sue conseguenze economiche, dovremmo ben dire che l’introduzione di un’azione generale di arricchimento sarebbe a più rivoluzionaria delle riforme» e 70: «Se il rimedio non è riconosciuto per rifare l’ordinamento, dobbiamo specificare che esso tanto meno può essere invocato per apportare delle singole correzioni ad alcuni aspetti degli istituti giuridici».

[35] V. infra § 7, nota 150.

[36] P. Schlesinger, Arricchimento (Azione di), cit., 1007.

[37] Lo rilevano sia A. Albanese, Ingiustizia del profitto, cit., 25 sia E. Moscati, Questioni vecchie e nuove in tema di ingiustificato arricchimento e pagamento dell’indebito, in Riv. dir. civ., 2006, 493 che soggiunge: «l’analisi del dato giurisprudenziale conferma l’assunto in maniera inequivocabile».


4. Dalla lettera al sistema: «giusta causa» dell’arricchimento tra interpretazione sistematica e prospettiva rimediale.

Non tipizzare in maniera analitica e dettagliata la «giusta causa», ovvero il presupposto applicativo dell’istituto disciplinato dall’art. 2041 cod. civ. rappresenta il frutto di una scelta non casuale: la Relazione al codice civile dà conto che tale concetto «non è stato e non poteva essere chiarito legislativamente» [1] così verosimilmente attuando una direttiva di metodo esplicitata già nella Relazione della Commissione reale al progetto preliminare del codice civile del 1936 ove si affermava che questo sintagma costituisce «uno di quei precetti ampi ed elastici che è bene siano formulati in un codice, appunto per la loro elasticità, la quale permette di ricondurre sotto di essi nella pratica applicazione della legge una quantità di casi, che il legislatore non sarebbe in grado di prevedere singolarmente».

Per quanto la disposizione fosse finalizzata a non limitare la portata applicativa della norma è stato l’approccio metodologico adottato dagli interpreti, forse eccessivamente formalista, a concorrere a realizzare l’effetto opposto. La questione, allora, deve essere posta proprio sul piano del metodo [2]. Occorre, in altri termini, considerare anche la «giusta causa» di cui all’art. 2041 cod. civ. alla stregua di una clausola generale relativamente alla quale, per definizione, «è incerto il parametro di valutazione» sì che «occorre un ulteriore procedimento per attribuirle un significato chiaro e, in conseguenza, per individuare e applicare la norma» [3].

Al pari della «buona fede» [4], del «danno ingiusto» [5], dell’«ordine pubblico» [6], anche l’art. 2041 cod. civ. merita di essere considerato una fattispecie aperta che necessita di «un’opera di concretizzazione realizzata attraverso una ricognizione di valori che le clausole generali individuano» [7]. La posizione metodologica intesa a considerare la «giusta causa» dell’arricchimento alla stregua di una clausola generale si è invero sviluppata in dottrina in tempi non risalenti [8] al fine di rinvenire il fondamento e l’àmbito di applicazione dell’istituto. Non totalmente convincenti, tuttavia, sono state le ricadute pratiche tratte da questa impostazione, acutamente definita «una premessa accolta ma non sviluppata» [9]. Tale conclusione sembra da imputarsi anzitutto all’approccio con il quale gli interpreti si sono accostati a tale «frammento di disposizione» il riferimento al quale, infatti, deve infatti essere rettamente inteso sulla base di un’impostazione ermeneutica attenta al vigente sistema ordinamentale [10].

Non meritevoli di accoglimento, di riflesso, sono le posizioni che – in prospettiva parziale o riduzionistica, ad ogni modo non metodologicamente appagante – desumono la (in)giustificatezza dell’arrichimento (sí da riempire di contenuto la clausola generale) a partire da un generico «interesse sociale» [11] verso il quale sarebbe indirizzata la norma oppure da una tipicità ricavabile quando da «un’indagine storico-comparativi­stica [ed] equitativa in relazione al comportamento della coscienza sociale di fronte alle modalità di un acquisto» [12] quando dalla casistitica tratta da precedenti giurisprudenziali [13].

Valorizzando la natura lessicalmente indeterminata del contenuto della clausola generale, per contro, l’assenza di una «giusta causa» dell’arricchimento dovrà invece essere individuata tenendo conto, da una parte, dei princìpi caratterizzanti la legalità costituzionale ed europea [14] e, dall’altra parte, degli interessi protetti [15] calati in una prospettiva rimediale [16]. Sulla base di questa chiave di lettura il rimedio al fatto dal quale deriva l’ingiustificato arricchimento deve essere identificato in chiave servente rispetto alla tutela dell’interesse e in una logica funzionalista che si caratterizzi per un approccio consequenzialista [17]. In tal senso il sistema rimediale deve essere concepito «in prospettiva funzionale, alla luce dei princìpi di proporzionalità ed effettività, dei criteri di adeguatezza e ragionevolezza, dei valori riconosciuti dalla Convezione europea dei diritti dell’uomo e, soprattutto, dell’esigenza di realizzare il “giusto processo”» [18] sì che l’iden­tificazione dello specifico rimedio non può che parametrarsi sulla specificità del singolo caso concreto [19]. Si intravvede, sullo sfondo, il progressivo adombrarsi della categoria del diritto soggettivo (storicamente connotata da un canone ermeneutico logico-letterale) a vantaggio di un metodo sensibile all’inter­pretazione teleologica ed alla tutela del particolare interesse leso [20].

 

[1] Relazione al Codice. Libro delle Obbligazioni, cit., 74, n. 262. È stato peraltro rilevato, a ridosso dell’entrata in vigore della nuova compilazione, che «la precisa determinazione di questo concetto costituisce tuttora il problema più grave della teoria dell’arricchimento», C.A. Facchino, op. cit., 439.

[2] Concorde nel senso dell’assoluta impossibilità di definire un concetto di giusta causa in rapporto all’ingiustificato arricchimento è C.M. Kaehler, Bereicherungsrecht und Vindikation. Allgemeine Prinzipien der Restitution dargestellt am deutschen und englischen Recht, Bielefeld, 1972, 292. Sottolinea inoltre la necessità di sostituire una geschlossen Definition con una metodische Beschreitung (154 s.).

[3] P. Perlingieri, P. Femia, Nozioni introduttive e princípi fondamentali, 2ª ed., Napoli, 2004, 15 s. e P. Perlingieri, P. Femia, Princípi e clausole generali, in P. Perlingieri (a cura di), Manuale di diritto civile, 10ª ed., Napoli, 2021, 19 in linea con un percorso che muove da R. Dworkin, I diritti presi sul serio (1977), trad. di F. Oriana, Bologna, 1982, 93 s. e R. Alexy, Teoria dei diritti fondamentali (1994), trad. L. Di Carlo, Bologna, 2012, 152 ss. V. anche L. Gianformaggio, L’interpretazione della Costituzione tra applicazione di regole e argomentazione basata su príncipi, in Riv. int. fil. dir., 1985, 65 ss. e G. Zagrebelsky, Diritto per: valori principi o regole ?, in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, 2002, 865 ss. Di recente v. anche F. Addis, Il valore «normativo» dei principi, in G. Perlingieri, C. Cicero (a cura di), Liber amicorum per Bruno Troisi, I, Napoli, 2017, 1 ss. Per un quadro d’insieme nella sterminata bibliografia sull’argomento v. E. Fabiani, Clausola generale, in Enc. giur., Annali, V, Milano, 2012, 183 ss. Analizza il profilo della insostenibilità di una contrapposizione tra «diritto per principi» e «diritto per regole», G. Perlingieri, Profili applicativi della ragionevolezza nel diritto civile, Napoli, 2015, 3 ss., spec. 50 ss. e Id., Sul criterio di ragionevolezza, in Annali Sisdic, 2017, 43 ss.

[4] Di recente, in prospettiva teorico-generale, P. Perlingieri, I princípi giuridici tra pregiudizi, diffidenza e conseratorismo, in Annali Sisdic, 2017, 1 ss. Diffusamente v. anche M. Pennasilico, Metodo e valori nell’interpretazione dei contratti. Per un’erme­neutica rinnovata, Napoli, 2011, 83 ss. Per un’applicazione giurisprudenziale v. Cass. 27 ottobre 2006, n. 23273, con nota di O. Clarizia, Clausola generale di buona fede e princípi costituzionali, in G. Perlingieri, G. Carapezza Figlia, L’«interpretazione secondo Costituzione» nella giurisprudenza. Crestomazia di decisioni giuridiche, 2ª ed., Napoli, 2021, 81 ss.

[5] Per tutti v. la dettagliata e approfondita analisi ad opera di M. Franzoni, sub Art. 2043, in Comm. cod. civ. Scialoja e Branca, 2ª ed., Roma-Bologna, 2020, 139 ss.

[6] Nella prospettiva indicata nel testo v. L. Lonardo, Ordine pubblico e illiceità del contratto, Napoli, 1993, 10 ss. e, di recente, G. Perlingieri e G. Zarra, Ordine pubblico interno e internazionale tra caso concreto e sistema ordinamentale, Napoli, 2019, 27 ss.

[7] S. Rodotà, Il tempo delle clausole generali, in Riv. crit. dir. priv., 1987, 728.

[8] Anche U. Breccia, L’arricchimento senza causa, cit., 983 evidenzia la necessità di un rinnovamento nel metodo di analisi dell’istituto.

[9] A. Albanese, Ingiustizia del profitto, cit., 35. In un condivisibile parallelismo tra le clausole generali dettate, rispettivamente, dagli artt. 2041 e 2043 cod. civ., l’a. nota: «l’arricchimento ingiusto ricorda il danno ingiusto [dal momento che] in alcune ipotesi è la legge stessa a valutare l’ingiustizia del danno riconoscendo il diritto al risarcimento (cfr., ad es., art. 872, comma 2 e art. 2600 cod. civ.), mentre in altre si limita a rimettere tale valutazione all’apprezzamento del giudice. E così come vige il principio dell’atipicità dell’illecito, il nostro sistema consacra il principio dell’atipicità dell’arricchimento ingiustificato: nelle ipotesi di spese e di accessioni […] nonché in quelle rientranti nel pagamento dell’indebito e della gestione degli affari altrui, l’ingiustizia dell’arricchimento è in re ipsa, avendo la legge ritenuto di approntare una specifica reazione; in tutte le altre soccorre la tecnica della clausola generale».

[10] Suggerisce, con la consueta finezza, di ricostruire il rapporto tra princípi e clausole generali nell’ottica della «dislocazione della competenza regolativa», P. Femia, Princípi e clausole generali. Tre livelli di indistinzione, Napoli, 2021, 17 ss., spec. 72 s. Si tratta di una prospettiva intesa a rispettare la diversa competenza attribuita a ciascuna di tali norme (innovativa i princípi, conservativa le clausole). In virtú di questa tesi «i risultati applicativi [derivanti dall’applicazione]delle clausole [sarebbero] sempre sorvegliati dai princípi [mentre] ogniqualvolta [dovesse prevalere] l’esigenza di rottura rispetto a quella di continuità i princípi [tornerebbero] ad essere interpretati come richiedenti una fondazione di una norma concreta di decisione idonea a destituire le significazioni fino a quel momento fondate sulle clausole generali».

[11] U. Mori Checchucci, L’arricchimento senza causa, cit., 296.

[12] P. Schlesinger, Arricchimento (Azione di). Diritto civile, cit., 1007

[13] U. Breccia, op. cit., 990.

[14] V., per tutti, P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale, II, Napoli, 2020, spec. 1 ss., 159 ss., 278 ss.

[15] Ampia analisi, sul punto, da parte di F. Piraino, La categoria del rimedio nel diritto civile, in Annali Sisdic, 2018, 199 ss., spec. 11 ss.

[16] In generale, sul punto, v. A. di Majo, Forme e tecniche di tutela, in S. Mazzamuto (a cura di), Processo e tecniche di attuazione dei diritti, I, Napoli, 1989, 23 ss.; Id., La tutela civile dei diritti, 4ª ed., Milano, 2003, 6, 23 ss. e 49 ss.; Id., Rimedi e dintorni, in Eur. dir. priv., 2015, 703 ss.; S. Orlando, Fattispecie, comportamento, rimedi. Per una teoria del fatto dovuto, in Riv. trim., 2011, 1033 ss.; P. Sirena, Y. Adar, La prospettiva dei rimedi nel diritto privato europeo, in Riv. dir. civ., 2012, I, 359 ss.; L. Nivarra, Rimedi: un nuovo ordine del discorso civilistico?, in Eur. dir. priv., 2015, 583 ss.; V. Scalisi, Lineamenti di una teoria assiologica dei rimedi giuridici, in Riv. dir. civ., 2018, 1045 ss. Evidenzia che lo stesso legislatore sagoma differentemente i rimedi in rapporto agli interessi che contraddistinguono il caso di specie P. Gallo, sub Art. 2041, cit., 244: «La specificità dei rimedi restitutori deve […] ravvisarsi sotto il profilo delle conseguenze. […] Per esempio in base all’art. 2126 cod. civ. il lavoratore subordinato il quale abbia effettuato prestazioni lavorative in esecuzione di un contratto nullo avrà in ogni csao diritto alla retribuzione prevista, a prescindere da qualsiasi accertamento circa l’esistenza di un effettivo arricchimento. Nei casi di questo genere può pertanto dirsi che l’obbligo restitutorio è integrale e non incontra il limite costituito dall’effettivo arricchimento».

[17] Lo nota G. Smorto, Sul significato di “rimedi”, in Eur. dir. priv., 2014, 185 s.

[18] P. Perlingieri, Il «giusto rimedio» nel diritto civile, in Giusto proc. civ., 2011, 3. Per un profilo pratico applicativo v. G. Perlingieri, L’inesistenza della distinzione tra regole di comportamento e di validità nel diritto italo-europeo, Napoli, 2013, 93 ss.

[19] P. Perlingieri, op. loc. ult. cit.

[20] P. Perlingieri, op. loc. ult. cit. Per un’altra applicazione della prospettiva in discorso, v. F. Longobucco, La prescrizione come “rimedio civile”: profili di ragionevolezza dell’istituto, in Contratti, 2012, 947 ss.


5. Segue. Rilievo del binomio interesse protetto/rimedio in rapporto al caso concreto. Oltre il rilievo del dato formale.

Esemplificativo del rilievo riconosciuto agli interessi protetti nell’interpretazione in chiave applicativa della clausola generale è un provvedimento giurisdizionale recentemente emanato dalla sezione terza della Corte di Cassazione [1].

La questione è originata da causa instaurata da un consumatore per fare accertare la nullità/inesistenza di un contratto per la fornitura di energia elettrica in ragione della mancata formazione dell’accordo. Ciò sul presupposto che la sottoscrizione apposta sul contratto era stata grossolanamente falsificata. Sulla base del contratto così sottoscritto una nuova società aveva iniziato a somministrare l’energia elettrica alla parte attrice, applicandole condizioni contrattuali meno vantaggiose di quelle praticate in virtù del rapporto di consumo precedentemente in essere.

In primo grado era stato accertato che nulla fosse dovuto dal consumatore – nemmeno a titolo di ingiustificato arricchimento – per la fornitura ricevuta da parte della società la quale, per contro, era anche stata condannata alla restituzione di quanto indebitamente percepito (nonché al risarcimento dei danni non patrimoniali cagionati). In sede di appello, tuttavia, questa decisione era stata riformata sul presupposto che l’eccezione riconvenzionale di arricchimento senza causa proposta dalla società fosse stata rigettata illegittimamente: il giudice di prime cure avrebbe errato nell’applicare l’art. 57, comma 1, cod. cons. (nel testo anteriore alle modifiche apportate dal d.lgs. 21 febbraio 2014, n. 21, venendo in rilievo fatti avvenuti prima del 13 giugno 2014). In particolare avrebbe mal interpretato detta norma statuendo che – nel caso di specie – il consumatore non sarebbe stato tenuto né al pagamento del corrispettivo né alla corresponsione di un indennizzo ex art. 2041 cod. civ. Tanto perché dal tenore letterale del comma 1, art. 57, cod. cons. («il consumatore non è tenuto ad alcuna prestazione corrispettiva in caso di fornitura non richiesta») – secondo il giudice del gravame – deriverebbero due conseguenze logiche: ad essere “non richieste” sarebbero la nuova società fornitrice e le condizioni contrattuali dalla prima applicate, non già la fornitura in sé; la disposizione esonererebbe il consumatore soltanto dall’obbligo di effettuare la prestazione corrispettiva e non, invece, da eventuali pretese restitutorie o indennitarie.

Avverso tale provvedimento il consumatore aveva presentato ricorso davanti alla Corte di legittimità lamentando, tra gli altri, la violazione e la falsa e/o erronea applicazione di norme di diritto con riferimento all’art. 57, comma 1, cod. cons. Anziché confermare gli esiti applicativi derivanti da un’esegesi letterale e logica di tale disposizione, i giudici hanno optato per un’interpretazione sistematica e assiologica. Da una parte – anche facendo leva sulle dirr. 1997/7/CE, 2002/65/CE/, 2005/29/CE e 2011/83/UE [2] – hanno identificato la ratio della disposizione oggetto di scrutinio nel tutelare in modo incisivo il consumatore sí da «esonerarlo dagli oneri conseguenti ad una pratica commerciale scorretta» [3]. Dall’altra parte hanno sancito che, nell’àmbito delle «prestazioni corrispettive» previste dall’art. 57 cod. cons. dovessero essere incluse – nel caso concreto – anche le obbligazioni indennitarie da ingiustificato arricchimento (oltre che restitutorie da indebiti solutio) rivendicate dalla società.

Nel censurare il provvedimento impugnato, in definitiva, la Cassazione mostra di non condividere l’argomentazione adottata dal giudice del gravame – peraltro ineccepibile su un piano strettamente dogmatico – al fine di qualificare la «giusta causa» dell’arricchimento conseguito dal consumatore sulla base degli interessi protetti nel caso di specie. Se non è revocabile in dubbio – ragiona la Corte nomofilattica – che il consumatore ha comunque tratto un vantaggio dalla fornitura non richiesta, deve comunque ritenersi che il legislatore «[abbia inteso] far prevalere gli interessi della parte debole del contratto a discapito di [un] professionista che ha scelto unilateralmente e illecitamente di procedere alla fornitura di tal ché [su quest’ultimo devono] ricadere, in ogni caso, le conseguenze derivanti da tale comportamento» [4]. In questa prospettiva – sempre come statuito dalla Corte – anche l’indennizzo ex art. 2041 cod. civ. deve rientrare nell’àmbito delle prestazioni corrispettive menzionate dall’art. 57, comma 1, cod. cons. (vecchia formulazione) posto che a quest’ultima norma «ben si può riconoscere anche una valenza latamente sanzionatoria».

Questa pronuncia, nella quale convincentemente il contenuto della clausola generale della «giusta causa» di cui all’art. 2041 cod. civ. è stato valutato a partire dagli interessi che connotano il caso concreto, tutela efficacemente la parte debole del rapporto come previsto dalla legislazione consumeristica e statuisce che l’arricchimento conseguito sia giustificato ancorché abbia avuto titolo in un contratto (nullo o) inesistente. Giova evidenziare che non sarebbe stato possibile pervenire ad identica conclusione ragionando a partire dall’indirizzo tradizionale che, in modo meccanico ed astratto, avrebbe interpretato la disposizione in discorso partendo dall’esistenza di un valido titolo (legale o negoziale) che giustificasse lo spostamento patrimoniale [5] secondo una logica di tipo sussuntivo che, non valorizzando adeguatamente la funzionalità della clausola generale, avrebbe finito per mortificare le esigenze di giustizia sostanziale che ne rappresentano il fondamento. Nell’ipotesi in discorso, peraltro, neanche la presenza di una legge (quale l’art. 57, comma 1, cod. cons.) si rivela argomento conclusivo al fine di stabilire se l’arricchimento sia giustificato dal momento che la littera di quest’ultima esonerava il consumatore soltanto dall’obbligo di effettuare «prestazioni corrispettive in caso di prestazioni non richieste». Nel caso in esame, per contro, tanto la norma consumeristica tanto l’art. 2041 cod. civ. sono state “piegate”, secondo una prospettiva rimediale [6], al fine di sanzionare la concreta pratica commerciale scorretta e, di riflesso, ritenere giustificato l’arricchimento ottenuto.

Aderendo alla prospettiva ricostruttiva in esame, d’altra parte, anche la Corte di Giustizia aveva identificato nell’arrichimento senza causa il potenziale rimedio a vantaggio del professionista in caso di recesso legittimamente esercitato dal consumatore in relazione ad un contratto concluso a distanza [7].

Il caso era originato da un ricorso dell’Amtsgericht Lahr relativo alla compatibilità del § 357, comma 8, BGB con l’art. 6, n. 1, 2º periodo e 2, dir. 97/7/CE. La disposizione nazionale prevedeva la possibilità per il fornitore di stabilire, a carico del consumatore, un’indennità per l’uso del bene successivamente restituito a séguito dell’esercizio del diritto di recesso. Le disposizioni comunitarie, per contro, prescrivevano, da una parte, l’obbligo del fornitore di rimborsare il prezzo pagato (gratuitamente ed entro trenta giorni dalla comunicazione del recesso) e, dall’altra parte, il divieto di porre a carico del consumatore costi diversi dalle spese dirette di spedizione dei beni al mittente.

Chiamata a vagliare la compatibilità tra tali enunciati normativi, la Corte comunitaria ha attribuito alla regola di gratuità del recesso una valenza generale, funzionale a garantire l’effettività e l’efficacia del rimedio a vantaggio del consumatore. Sulla base di tale rilievo ha concluso nel senso che la dir. 97/7/CE osta a che disposizioni nazionali introducano in via generica la facoltà del fornitore di domandare indennità per l’uso del bene compiuto nel periodo di tempo intercorrente dalla consegna all’esercizio del diritto di recesso. Nondimeno, in una prospettiva evidentemente intesa ad bilanciare con ragionevolezza interessi contrapposti, i giudici europei hanno individuato nell’arricchimento ingiustificato un’ipotesi sulla cui base si potrebbero prefigurare obblighi indennitari del consumatore nei confronti del professionista [8], ad esempio qualora si verifichino fenomeni di indebita percezione di utilità sotto forma di appropriazione del valore di mero godimento del bene utilizzato ovvero depauperamenti del patrimonio del professionista [9].

 

[1] Si tratta di Cass. civ., 12 gennaio 2021, n. 261, in Nuova giur. civ. comm., I, 2021, 575 con nota di G. De Cristofaro, Il regime privatistico “speciale” delle c.d. forniture non richieste: la prima presa di posizione della Suprema Corte.

[2] Per un’approfondita analisi di tali direttive v. G. De Cristofaro, op. cit., 577 ss.

[3] Afferma criticamente G. De Cristofaro, op. cit., 576, nota 1: «Non è dato sapere per quale ragione la S.C. si sia qui limitata genericamente ad affermare ‘‘anche alla luce delle direttive CE sulle pratiche commerciali sleali e ingannevoli’’, omettendo di richiamare in proposito sia l’art. 26, lett. f), cod. cons. […] sia la disposizione […] del comma 2º dell’art. 57 (nella formulazione antecedente alle modifiche apportate dal d. legis. n. 21 del 2014), che espressamente qualifica(va) ‘‘ogni fornitura non richiesta ai sensi del presente articolo’’ come ‘‘pratica commerciale scorretta’’».

[4] Analizza le interferenze applicative tra la disciplina delle pratiche scorrette ed il sistema delle patologie negoziali secondo una ermeneutica ispirata agli interessi da tutelare in rapporto ai singoli casi concreti A. Fachechi, Pratiche commerciali scorrette e rimedi negoziali, Napoli, 2012, 1 ss., spec. 24 ss.

[5] In termini v. Cass., sez. un., 3 ottobre 2002, n. 14215, in Mass. giust. civ., 2002, 1765: «L’azione generale di arricchimento ha come presupposto che la locupletazione di un soggetto a danno dell’altro sia avvenuta senza giusta causa, per cui, quando questa sia invece la conseguenza di un contratto o comunque di un altro rapporto, non può dirsi che la causa manchi o sia ingiusta, almeno fino a quando il contratto o l’altro rapporto conservino la propria efficacia obbligatoria». Nel senso dell’automatismo tra impoverimento non remunerato e arricchimento privo di giustificazione v. Cass. civ., 15 settembre 2009, n. 11330, cit.: «l’arricchimento risulta senza una giusta causa, quando non ha tale giustificazione e, cioè, quando è correlato a un impoverimento non remunerato, né conseguente a un atto di liberalità e neppure all’adempimento di una obbligazione naturale. Ciò in quanto l’ordinamento esige che ogni arricchimento dipenda dalla realizzazione di un interesse meritevole di tutela».

[6] P. Perlingieri, Il «giusto rimedio» nel diritto civile, cit., 4 evidenzia che il rimedio deve essere identificato dall’interprete «in funzione degli interessi considerati dalla fattispecie concreta».

[7] Corte giust. CE, 3 settembre 2009 (causa C-489/07), in Riv. dir. civ., 2010, 281-304, con nota di S. Pagliantini, La forma informativa degli scambi senza accordo: l’indennità d’uso del bene tra recesso ed abuso del consumatore.

[8] Corte giust. CE, 3 settembre 2009, § 29: «[l’art. 6, n. 1, 2º periodo e 2, dir. 97/7/CE] non osta[no] a che venga imposto al consumatore il pagamento di un’indennità per l’uso di tale bene nel caso in cui egli abbia fatto uso del detto bene in un modo incompatibile con i principi del diritto civile, quali la buona fede o l’arricchimento senza giusta causa, a condizione che non venga pregiudicato il fine della detta direttiva e, in particolare, l’efficacia e l’effettività del diritto di recesso, ciò che spetta al giudice nazionale determinare».

[9] Secondo M. Cognolato, Contratti del consumatore e «diritto delle restituzioni» (secondo la Corte di Giustizia CE), in Obb. contr., 2011, 33 ciò si verificherebbe qualora il bene oggetto del contratto concluso “a distanza” sia perito per fortuito, il recesso venga ritenuto validamente esercitato e, pertanto, il consumatore abbia diritto alla restituzione del prezzo.


6. Segue. (In)giustificato arricchimento tra conviventi e princìpi di ragionevolezza e proporzionalità.

L’indirizzo interpretativo volto a considerare, sulla base di un’interpretazione teolologicamente orientata, la «giusta causa» dell’arricchimento in prospettiva rimediale appare una tendenza giurisprudenziale in via di progressivo consolidamento. La ricostruzione sarebbe tuttavia incompleta se non si desse conto del referente assiologico in rapporto al quale la clausola generale è orientata, ovvero i princìpi costituzionali, internazionali ed europei che caratterizzano il vigente sistema ordinamentale.

Àmbito di verifica privilegiato di tale affermazione è rappresentato dagli statuti normativi applicabili alle attribuzioni patrimoniali effettuate dai conviventi more uxorio [1]. Ipotesi verosimilmente neanche considerata dal legislatore del 1942 [2], ma alla quale – proprio in ragione della natura “aperta” che caratterizza le clausole generali – da tempo gli interpreti tendono ad applicare il rimedio disciplinato dall’art. 2041 cod. civ. [3] a condizione che ricorrano determinati presupposti.

Le prestazioni a contenuto patrimoniale effettuate dai conviventi hanno natura e funzione assai differenziata sí che l’analisi qualificatoria non può prescindere, in nessun caso, dalle circostanze che caratterizzano il caso concreto. Dette prestazioni, ad esempio, possono essere destinate a soddisfare esigenze di natura meramente personale di un solo convivente (si pensi all’acquisto di gioielli) ovvero al ménage quotidiano della coppia. In quest’ultimo caso potrebbero essere indirizzate all’acquisto di beni che si consumeranno nel corso della convivenza (ad esempio una vacanza oppure beni alimentari di prima necessità) ovvero durevoli (si pensi ad un immobile ad uso abitativo) [4]. Prescindendo dalla questione – sollevata in dottrina – della necessaria identificazione del titolo dell’attribuzione di volta in volta considerata [5], in chiave pratico-applicativa il problema sorge quando, all’esito della convivenza, un partner agisce in giudizio per ottenere la restituzione di quanto prestato a vantaggio dell’altro durante lo svolgersi del rapporto affettivo: l’interprete, senza poter fare riferimento al quadro normativo derivante dal matrimonio, dall’unione civile o dal contratto di convivenza [6], è comunque tenuto ad identificare «l’ordinamento del caso concreto» [7].

In tal senso, superata la riprovazione sociale [8] che colpiva le convivenze extramatrimoniali [9] gli interpreti sono concordi nel ritenere che tra i componenti di una coppia convivente more uxorio sorgano doveri morali e sociali, anche a contenuto economico [10]: per indirizzo ormai condiviso [11] essi sono ricollegati al disposto dell’art. 2 cost., qualificati alla stregua di obbligazioni naturali ex art. 2034 cod. civ. e teleologicamente orientati a garantire l’assistenza reciproca dei partners [12].

Proprio facendo leva, da una parte, sulla natura di clausola generale della «giusta causa» dell’arricchi­mento e, dall’altra parte, sul rilievo assiologico dei princìpi di proporzionalità e adeguatezza [13], giurisprudenza e larga parte della dottrina [14] hanno identificato nell’istituto disciplinato dagli artt. 2041 ss. cod. civ. un potenziale rimedio avverso gli arricchimenti ingiustificati tra conviventi: secondo un indirizzo ormai consolidato [15] si ritiene che decampino dall’alveo applicativo dell’art. 2034 cod. civ. le attribuzioni che siano, per un verso, non parametrate alle condizioni sociali e patrimoniali dei partners e, per altro verso, non teleologicamente orientate alla finalità assistenziale che connota i doveri morali e sociali interni alla coppia. Il riflesso patrimoniale di tali attribuzioni è reputato suscettivo di produrre, in capo al partner beneficiario, un arricchimento il quale – proprio in quanto sproporzionato e/o inadeguato in rapporto al concreto rapporto – viene qualificato come ingiustificato e, dunque, tale da legittimare la costituzione di un’obbligazione indennitaria ai sensi dell’art. 2041 cod. civ.

La valutazione in merito alla «giusta causa» dell’arricchimento, in sostanza, risulta da un’interpretazione sistematica ed assiologica che, partendo dalle circostanze che caratterizzano il caso concreto, consideri tanto la disposizione da ultimo menzionata, tanto l’art. 2034 cod. civ. tanto i principi costituzionali di proporzionalità e di adeguatezza. In linea con questa prospettiva è stata rigettata la pretesa avente ad oggetto la restituzione delle somme adoperate per l’acquisto di oggetti di arredamento destinati alla casa di comune residenza [16]. Del pari non è stata accolta l’azione ex art. 2041 cod. civ. relativa alle somme per lungo tempo versate da un uomo residente all’estero al fine di far fronte alle esigenze di vita della compagna e del figlio residenti in Italia. E ciò nonostante tali somme non fossero state prese in considerazione nelle scritture private con le quali i conviventi avevano regolato i loro rapporti patrimoniali anche in ordine al mantenimento del figlio al termine del loro rapporto affettivo [17]. In questi casi le dazioni effettuate sono state qualificate alla stregua di atti solutori di obblighi di contribuzione alla vita dello specifico consorzio familiare ai sensi dell’art. 2034 cod. civ. e, in quanto tali, non ripetibili.

Di contro – ed a più riprese [18] – è stato reputato ingiustificato l’arricchimento ottenuto da uno dei conviventi in virtù dell’acquisto di un bene immobile pagato in larga parte dall’altro partner. Priva di «giusta causa», da ultimo, è stata ritenuta la locupletazione ottenuta dal convivente la cui abitazione era stata edificata grazie all’attività lavorativa svolta della compagna [19].

 

[1] In senso concorde, seppure da una prospettiva non del tutto collimante con quella analizzata nel testo, v. A. Albanese, L’azione di arricchimento senza causa, in M. Franzoni (a cura di) Le obbligazioni, III, Fatti e atti fonti di obbligazione, Torino, 2005, 413 ss. reputa che i rapporti di convivenza siano gli àmbiti elettivi nei quali l’ingiustificato arricchimento può trovare applicazione.

[2] Lo osserva P. Morozzo della Rocca, Le attribuzioni patrimoniali nelle convivenze: una breve rassegna di giurisprudenza, in Dir. fam., 2012, 842.

[3] F.D. Busnelli, Sui criteri di determinazione della disciplina normativa della famiglia di fatto, in Aa. Vv., Atti del convegno nazionale «La famiglia di fatto», Pontremoli, 27-30 maggio 1976, Montereggio, 1977, 140 s.

[4] Cfr. le considerazioni di S. Thobani, Le attribuzioni patrimoniali tra conviventi: causa di convivenza e spirito di liberalita, in Giur. it., 2020, 310 s.

[5] Suggeriscono, per un verso, di non escludere a priori una qualificazione dell’attribuzione alla stregua di una liberalità, e criticano, per altro verso, l’eccessivo ricorso al rimedio di cui all’art. 2041 cod. civ. da parte della giurisprudenza, A. Spadafora, L’obbligazione naturale tra conviventi ed il problema della sua trasformazione in obbligazione civile attraverso lo strumento negoziale, in E. Moscati, A. Zoppini (a cura di), I contratti di convivenza, Torino, 2002, 202; G. Stella Richter, La donazione nella famiglia di fatto, in Riv. dir. civ., 2003, 154; R. Mazzariol, Convivenze di fatto e autonomia privata: il contratto di convivenza, Napoli, 2018, 95.

[6] V., sul punto, A. Spadafora, «Solve et repete» nella trama delle relazioni familiari, in Dir. fam. pers., 2021, 1288 ss.

[7] Il non velato riferimento è alla formula elaborata da P. Perlingieri, Tendenze e metodi della civilistica italiana, Napoli, 1979, 86 ss.; Id., Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italocomunitario delle fonti, Napoli, 2006, 10 ss.; Id., Fonti del diritto e ordinamento del caso concreto, in Riv. dir. priv., 2010, 4 ss. e, da ultimo, Id., Il diritto civile nella legalità costituzionale, cit., II, 345 ove si afferma che «l’interpretazione è individuazione dell’“ordinamento del caso concreto”».

[8] Ricostruisce l’evoluzione della questione M. Dogliotti, Dal concubinato alle unioni civili e alle convivenze (o famiglie?) di fatto, in Fam. dir., 2016, 868 ss. V. anche V. Carbone, Terminata la convivenza vanno restituiti i regali: la Cassazione “ripiomba” nel medioevo. Commento a Cass., 24 novembre 1998, in Corr. giur., 1999, 62: «la convivenza di fatto […] fa scaturire tra i partners doveri morali e sociali e, quindi, obbligazioni naturali e non donazioni».

[9] Le relazioni tra conviventi c.d. more uxorio erano considerate con estremo disfavore sociale. Di conseguenza l’attribuzione fatta a favore della donna veniva qualificata come una donazione remuneratoria illecita in quanto reputata volta a compensare la prestazione sessuale ricevuta o il danno causatole al momento della cessazione del rapporto, Cass. civ., 15 gennaio 1969, n. 60, in Foro it., 1969, c. 1512 ss. Attribuisce valore indennitario a tali attribuzioni anche Cass. civ., 7 ottobre 1954, n. 3389, in Giur. it., 1955, I, 872.

[10] Efficacemente Trib. Milano 12 novembre 2018, n. 11390, in Ilfamiliarista.it, con nota di V. Sciarrino, Acquisto di elettrodomestici per l’appartamento dell’ex convivente: no al rimborso, discorre di «un rapporto affettivo consolidato che non può non determinare una forma di collaborazione e assistenza morale e materiale dell’altro».

[11] Sul punto, già V. Roppo, La famiglia senza matrimonio, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1980, 697; Id., voce Famiglia (Famiglia di fatto), in Enc. giur. Treccani, Roma, 1989, XIV e F. Prosperi, La famiglia non “fondata sul matrimonio”, Napoli, 1980, 10 ss.

[12] Cfr., per un’efficace quadro di sintesi, G. Oberto, I rapporti patrimoniali nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto, in M. Blasi, R. Campione, A. Figone, F. Mecenate, G. Oberto, La nuova regolamentazione delle unioni civili e delle convivenze. Legge 20 maggio 2016, n. 76, Milano, 2016, 109 ss., spec. 113 e 117.

[13] Il principio di proporzionalità, in senso stretto, configura un criterio di valutazione esclusivamente quantitativo che collega «elementi di raffronto omogenei, comparabili e quantificabili»: P. Perlingieri, Equilibrio normativo e principio di proporzionalità, in Rass. dir. civ., 2001, 335 ss., ora in Id., Il diritto dei contratti fra persona e mercato, Napoli, 2003, 443 ss. Questo principio, venuto alla luce nel diritto tedesco, è da tempo considerato tra i pilastri dell’ordinamento europeo (cfr., per tutte, Corte giust. 26 ottobre 1995, C-36/94, Siesse, in Raccolta, 1995, I ss.). Esso, inoltre, ha assunto rilievo preminente in virtú della giurisprudenza costituzionale, la quale – in molteplici pronunce – lo ha posto in stretta correlazione con il principio di eguaglianza contenuto nell’art. 3 cost., v. Corte cost. 9 marzo 1992, n. 89, in Foro it., 1992, 881 ss.; Corte cost. 25 novembre 1993, n. 417, ivi, 1993, 3447 ss.; Corte cost. 31 marzo 1994, n. 109, ivi, 1994 937 ss.; Corte cost. 9 luglio 1996, n. 239, ivi, 1997, I, c. 708 ss. In dottrina v. N. Cipriani, Patto commissorio e patto marciano. Proporzionalità e legittimità delle garanzie, Napoli, 2000, 174 ss., spec. 178 e P. Perlingieri, Abuso dei mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale. La responsabilità processuale dell’avvocato, in Corr. giur., 2011, 1307, F. Macario, Responsabilità e garanzia patrimoniale, in Dir. civ., diretto da Lipari e Rescigno, IV, Attuazione e tutela dei diritti, II, L’attuazione dei diritti, Milano, 2009, 175 G. Villanacci, Ragionevolezza e proporzionalità nella rilevazione delle situazioni di riduzione ex officio della clausola penale, in questa Rivista, 2017, 683 ss. In rapporto a specifici profili applicativi v., A. Alpini, Ragionevolezza e proporzionalità nel processo di erosione del c.d. automatismo espulsivo dello straniero, in G. Perlingieri, A. Fachechi (a cura di), Ragionevolezza e proporzionalità nel diritto contemporaneo, I, Napoli, 2017, 47 ss., M. Angelone, Interferenze tra ragionevolezza, proporzionalità e buona fede in tema di garanzie, ivi, 73; V. Barba, Ragionevolezza e proporzionalità nel diritto delle successioni, ivi, 91, F. Lazzarelli, Ragionevolezza e proporzionalità nella conservazione della garanzia patrimoniale: nuovi profili applicativi dell’abuso del diritto, ivi, II, 563 ss.

Dà conto del collegamento tra i princípi di proporzionalità e di adeguatezza, P. Perlingieri, Equilibrio normativo e principio di proporzionalità nei contratti, in L. Ferroni (a cura di), Equilibrio della posizioni contrattuali ed autonomia privata, Napoli, 2002, 52: «la sfera di operatività del principio di proporzionalità nei contratti appare costituita da un collegamento tra elementi di raffronto omogenei, comparabili e quantificabili. La proporzionalità tende ad essere un principio, che valenza sul piano quantitativo e determina, ma non sempre, la conseguenza della riduzione del contratto. Viceversa, quando il collegamento è tra elementi disomogenei, non comparabili che coinvolgono interessi non quantificabili, ad esempio, non patrimoniali, ne consegue un bilanciamento tra questi, che non può tradursi sul piano della quantità, ma esige necessariamente una valutazione qualitativa. In queste ipotesi entrano in funzione sia il principio della ragionevolezza sia il principio dell’adeguatezza. La meritevolezza di tutela, pertanto, non può ispirarsi esclusivamente all’aspetto meramente quantitativo». V. inoltre Id., Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-comunitario delle fonti, II, Napoli, 2006, 383-384 ove si specifica: «l’art. 53 cost., in base al quale tutti sono tenuti a concorrere alla spesa pubblica in ragione della loro capacità contributiva funge da presupposto e parametro per l’imposizione tributaria [e] costituisce, quindi, un limite al potere legislativo non soltanto in termini di ragionevolezza ma anche di proporzionalità; l’art. 36 cost., che esprime il principio della retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato», e che «non sembra ispirato soltanto al principio di proporzionalità, in chiave quantitativa, ma anche, quale correttivo, all’adeguatezza e alla ragionevolezza, sì da assicurare al lavoratore e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa». Afferma che nell’ordinamento sarebbe riscontrabile il generale principio di adeguatezza «del sacrificio patrimoniale, in relazione al sacrificio della controparte, la cui mancanza comporterebbe un vizio originario della causa del contratto», F. Volpe, La giustizia contrattuale tra autonomia e mercato, Napoli, 2004, 31 ss. In rapporto alla ragionevolezza, intesa quale «strumento di correzione dell’esasperato razionalismo [che] deve operare in costanza di qualsiasi interpretazione a fini applicativi», v, almeno, G. Perlingieri, Profili applicativi della ragionevolezza nel diritto civile, cit., 54.

[14] Secondo M. Paradiso, Artt. 143-148. I rapporti personali tra coniugi, 2ª ed., in Cod. civ. Comm. Schlesinger, diretto da F.D. Busnelli, Milano, 2012, 146-147 dovrebbe riconoscersi in favore di ciascuno dei conviventi, al momento della cessazione della convivenza, una pretesa, fondata sull’art. 2041 cod. civ., sugli eventuali acquisti realizzati dal singolo convivente qualora vi si possa intravvedere il prodotto del contributo di uno di essi (si pensi al lavoro casalingo di uno dei due). In tali ipotesi, infatti, dall’attività lavorativa dell’uno deriverebbe, in capo all’altro, un arricchimento almeno pari ai risparmi di spesa realizzati per il tramite di quelle prestazioni lavorative. Anche C.M. Bianca, Diritto civile, II, La famiglia, 5ª ed., Milano, 2014, 23 s., salvo che non sussistano gli estremi di una società di fatto o di un titolo contrattuale, ammette l’azione di ingiustificato arricchimento in favore di un convivente nei limiti di quanto la sua collaborazione abbia incrementato il patrimonio dell’altro. Reputa contraria a buona fede la pretesa di colui che, all’esito della convivenza, intenda trattenere per sé i risultati economici positivi che traggono origine dal contributo comune, G. Ferrando, Convivere senza matrimonio: rapporti personali e patrimoniali nella famiglia di fatto, in Fam. dir., 1998, 195. L’a., attribuendo rilievo agli interessi del caso concreto evidenzia che «la clausola generale di arricchimento» si inserisce «in una relazione fondata sulla reciprocità non solo degli affetti, e della solidarietà, ma anche del sostegno economico, reciprocità che in tal senso genera un’aspettativa». In termini v. anche Id., Libertà e solidarietà nella crisi delle convivenze, in Familia, 2017, 304. V. anche A. Fusaro, Arricchimento senza causa tra coniugi e conviventi, in Rass. dir. civ., 2017, 1307 ss.

Si mostrano scettici, per contro, in merito alla possibilità di applicare l’art. 2041 cod. civ. alle attribuzioni effettuate in corso di convivenza G. Panico, Sull’esperibilità dell’azione di ingiustificato arricchimento nel caso di cessazione della convivenza more uxorio, in Giur. it., 1997, IV, 263: «quando viene meno la reciproca assistenza e collaborazione, ossia quando uno dei partners non esegue più la prestazione, non residua altro che constatare che il rapporto non funziona più, e la convivenza deve quindi cessare»; E. Quadri, Famiglia e Ordinamento civile, 2ª ed., Torino, 1999, 39-40 e M. Proto, Le attribuzioni patrimoniali tra conviventi fuori del matrimonio, in Fam. pers. succ., 2006, 258 ss.

[15] Da ultimo cfr. Cass. civ., 3 febbraio 2020, n. 2392, in Foro it. dvd; Cass. civ., 12 giugno 2020, n. 11303, ivi; Cass. civ., 1 luglio 2021, n. 18721, con nota di N. Merola, in ilfamiliarista.it.: «un’attribuzione patrimoniale a favore del convivente more uxorio configura l’adempimento di un’obbligazione naturale a condizione che la prestazione risulti adeguata alle circostanze e proporzionata all’entità del patrimonio e alle condizioni sociali del solvens».

[16] Cass. civ., 30 novembre 2011, n. 25554, in Foro it., 2012, I, 1097 ss. e, in termini, Trib. Milano 12 novembre 2018, n. 11390, cit.

[17] Cass. civ., 22 gennaio 2014, n. 1277, in Foro it., 2014, c. 1149 ss. e in Fam. dir., 2014, 888 ss., con nota di commento di T. Bortolu, Convivenza more uxorio e attribuzioni patrimoniali: obbligazioni naturali.

[18] Cfr. Cass. civ., 22 settembre 2015, n. 18632, in Guida dir., 2015, 44 ss., con nota di M. Fiorini e Cass. civ., ord. 15 febbraio 2019, n. 4659, in Giur. it., 2020, 308 s.

[19] Cass. civ., 7 giugno 2018, n. 14732 con commento di E. Bilotti, Attribuzioni patrimoniali in funzione della vita in comune, fine del rapporto di convivenza e tutele lato sensu restitutorie: una ratio decidendi ancora bisognosa di elaborazione, in C. Granelli (a cura di), I nuovi orientamenti della Cassazione civile, Milano, 2019, 46 ss.


7. Considerazioni conclusive.

Analizzate le linee evolutive dell’azione di ingiustificato arricchimento nel sistema ordinamentale italo-europeo [1] appare possibile interrogarsi su quali riflessioni solleciti, dal punto di vista italiano, l’espe­rienza della recente (ri)codificazione francese: ci si potrebbe domandare se possa essere opportuno novellare il Titolo VIII del Libro IV del codice civile con l’indicazione normativa, ad esempio, del significato da attribuire al carattere sussidiario dell’azione di arricchimento [2] oppure della natura (di valore o di valuta) dell’obbligazione indennitaria [3].

Quella in esame appare tuttavia un’eventualità che non si sottrae al rischio di essere scarsamente utile sul piano pratico-applicativo e, in definitiva, non appagante.

Genesi e progressiva conformazione dell’azione di ingiustificato arricchimento nell’esperienza giuridica franco-italiana, infatti, dimostrano che l’aspetto determinante in merito all’ammissibilità ed ai caratteri del nostro istituto è stato di natura metodologica più che formale. Non appare casuale, d’altra parte, che le osservazioni in merito ai riformati artt. 1303 ss. Code collimino esattamente [4] con la posizione che – all’in­domani dell’entrata in vigore dell’art. 2041 cod. civ. – ravvisava una sostanziale «continuità tra la situazione attuale e quella anteriore al nuovo codice civile» [5]. Attuali, pertanto, appaiono le considerazioni di chi reputava lecito dubitare dell’utilità di una «cristallizzazione legislativa degli indirizzi giurisprudenziali, nonché dell’attitudine della normativa codicistica [in materia di restituzioni] a subire ripetute e potenzialmente costanti integrazioni e correzioni», si da stigmatizzare «la “iperfasia” del legislatore […] quando si traduca nell’enunciazione di esiti che risultano dalla configurazione del sistema [la quale] rischia di determinare un’inopportuna confusione tra sviluppi logici di princìpi generali e scelte “di settore” o “di contingenza”» [6].

Un’impostazione metodologica lontana da tensioni formalistiche e sterili dogmatismi [7], per contro e sulla base del sistema vigente, consentirebbe sia di valorizzare la portata applicativa della «giusta causa» di cui all’art. 2041 cod. civ. sia di riconsiderare altre posizioni tradizionali quali «il dogma» [8] della sussidiarietà “in astratto” dell’azione di ingiustificato arricchimento [9].

Quest’ultimo è l’esito ricostruttivo suggerito da una indagine che, con profondità di analisi, si è interessata ai rimedi conseguenti all’abusiva utilizzazione dei segni identificativi della personalità [10]. Esposte le critiche verso gli orientamenti favorevoli, per un verso, a liquidare il lucro cessante commisurandolo al «prezzo del consenso» [11] e, per altro verso, a parametrare il risarcimento dovuto «agli utili presumibilmente conseguiti dall’autore dell’illecito» [12] l’indirizzo in discorso ha evidenziato che la configurazione del diritto all’immagine quale interesse a controllare dinamicamente la circolazione dell’effige nella sfera sociale si presta ad essere protetto efficacemente mediante rimedi aventi natura (non risarcitoria, ma) restitutoria [13]. Questi ultimi – secondo la prospettiva suggerita – si attaglierebbero meglio alle ipotesi nelle quali ricorra la disposizione di un diritto altrui [14] e non si realizzi, per contro, la distruzione o il deterioramento di un bene giuridico [15]. Dal momento che, in rapporto all’utilizzazione abusiva dei segni identificativi della personalità, «il conflitto di interessi riguarda non l’allocazione di una perdita ma la spettanza dei vantaggi patrimoniali conseguiti attraverso l’indebita utilizzazione del ritratto altrui», l’indirizzo in esame propone di ascrivere all’azione di ingiustificato arricchimento (e non all’art. 2043 cod. civ.) la reversione nella sfera del danneggiato del profitto conseguito dallo sfruttatore [16]. Tanto sulla base della considerazione che, al fine di penetrare «nell’angolo morto degli illeciti che non producono depauperamenti patrimoniali» [17] il diritto privato europeo avrebbe non già alterato la funzione del risarcimento alla reversione dell’utile ma, per contro, ammesso un concorso tra l’azione aquiliana e quella volta ad indennizzare l’ingiustificato arricchimento [18].

Tale opzione ricostruttiva, alla quale va riconosciuto il merito di tutelare gli interessi in conflitto con ragionevolezza e senza alterare i tratti del sistema risarcitorio, sarebbe preclusa proprio dalla menzionata posizione che interpreta “in astratto” il requisito della sussidiarietà di cui all’art. 2042 cod. civ. Se tuttavia tale elemento di fattispecie venisse inteso – come proposto – secondo una prospettiva (non dogmatica, ma) funzionale si aprirebbe la possibilità di configurare un concorso integrativo tra azioni a contenuto risarcitorio e indennitario [19]. In questo ordine di considerazioni la ratio della sussidiarietà prescritta dall’art. 2042 cod. civ. andrebbe individuata nell’esigenza di evitare che con l’azione di ingiustificato arricchimento si possa o conseguire più volte e a titolo diverso la riparazione del medesimo pregiudizio [20] oppure, più in generale, eludere l’applicazione di norme imperative [21].

Sulla base della ricostruzione proposta, pertanto, la persona offesa per il tramite dell’abuso della propria immagine potrà ottenere, oltre al danno risarcibile ai sensi dell’art. 1223 cod. civ., la restituzione del profitto lucrato senza «giusta causa» dal danneggiante [22]. Rimarrebbe, invece, controversa la possibilità di conseguire anche il plusvalore ottenuto dall’arricchito grazie alla propria iniziativa [23].

 

[1] In prospettiva eurounitaria merita di essere evidenziato che, tra le pieghe dell’art. 340, parr. 2 e 3, TFUE la Corte di giustizia ha riconosciuto la legittimità dell’azione di ingiustificato arricchimento anche nell’ordinamento europeo, ammettendo che chiunque abbia «subito una perdita, la quale incrementi il patrimonio di un altro soggetto, senza che vi sia alcun fondamento giuridico per tale arricchimento, ha generalmente diritto alla restituzione, fino a concorrenza di tale perdita», v. Corte giust. UE, 16 dicembre 2008, causa C-47/07, Masdar Ltd c. Commissione, che per prima ha delineato i contorni di tale azione nel diritto comunitario. V., sul punto, le osservazioni di E.R. Restelli, La “responsabilità” della BCE nella ristrutturazione del debito greco. Dall’illecito aquiliano all’arricchimento senza causa, in Banca borsa tit. cred., 2017, 153 ss., spec. 160 ss. In riferimento a tale profilo v. anche B. Kupisch, Ripetizione dell’indebito e azione generale di arricchimento. Riflessioni in tema di armonizzazione delle legislazioni, in Eur. dir. priv., 2003, 857 ss. ed A. Albanese, Il rapporto tra restituzioni e arricchimento ingiustificato dall’esperienza italiana a quella europea, in Contr.impr/Eur., 2006, 922 ss.

[2] A parere di A. Nicolussi, Le restituzioni de iure condendo, in Eur. dir. priv., 2012, 783 ss., occorrerebbe «una previsione generale da inserire nella disciplina dell’arricchimento con riguardo agli arricchimenti ottenuti mediante ingerenza non distruttiva di ricchezza e che sottragga queste ipotesi alle cautele della concezione patrimoniale e della regola della sussidiarietà».

[3] La posizione della giurisprudenza maggioritaria è nel senso di considerare l’indennità alla stregua di un debito di valore, cfr., ad esempio, Cass. civ., 16 novembre 1993, n. 11296, in Cd Foro it. e Cass. civ., 6 febbraio 1998, n. 1287, ivi.

[4] V., supra, § 2, nota 52 e, in rapporto alla posizione della giurisprudenza, nota 56.

[5] P. Trimarchi, L’arricchimento senza causa, cit., 4. All’indomani dell’entrata in vigore del codice vigente, affrontano il punto della natura interpretativa ovvero innovativa della precedente legislazione degli artt. 2041 e 2042 cod. civ., Cass. 16 marzo 1949, n. 578, in Rep. Foro it., 1950, I, c. 509 e App. Bari 31 maggio 1950, in Corti Bari, Lecce, Potenza, 1951, 68.

[6] E. Moscati, Questioni vecchie e nuove in tema di ingiustificato arricchimento e pagamento dell’indebito, cit., 509.

[7] In termini U. Breccia, L’arricchimento senza causa, cit., 984 osserva che: «la rinuncia all’individuazione a priori di una formula unitaria, per non condurre a sua volta a risultati sterili o a scelte arbitrarie, deve accompagnarsi ad una accentuata assunzione di responsabilità dell’interprete [secondo una prospettiva ricostruttiva che postuli] un adeguato collegamento tra le figure tipiche già codificate e la clausola generale [e] tra quest’ultima [insieme con] le successive concretizzazioni affidate all’esperienza. In tale linea di ricerca deve essere ravvisata la più feconda possibilità di rinvenire parametri di giudizio interni all’ordinamento».

[8] P. Gallo, Arricchimento senza causa e quasi contratti (i rimedi restitutori), in Tratt. dir. civ. Sacco, Torino, 1996, 53-55.

[9] La sussidiarietà in astratto dell’azione è stata affermata, di recente, da Cass., sez. un., 25 novembre 2008, n. 28042, in Foro it., 2010, I, c. 233 ss.; Cass. 16 dicembre 2010, n. 25461, in Mass. Giust. civ., 2010, 1610; Cass. 7 marzo 2014, n. 5396, in Cd Foro it.; Trib. Milano 15 gennaio 2020, n. 324, ivi.

[10] G. Carapezza Figlia, Diritto all’immagine e «giusto rimedio» civile. Tre esperienze di civil law a confronto: Italia, Spagna e Francia, in Rass. dir. civ., 2013, 859 ss., spec. 884 ss.

[11] In argomento v. P. Pardolesi, Il cigno rossonero: illecito sfruttamento e diluition dell’immagine, in Danno resp., 2004, 533 ss.

[12] Cass. civ., 16 maggio 2008, n. 12433 in Nuova giur. civ. comm., 2008, I, 1406.

[13] G. Carapezza Figlia, op. ult. cit., 888.

[14] Tale attività, come già notava P. Trimarchi, op. ult. cit., 44 esige il ritorno nel patrimonio del titolare dei vantaggi che avrebbe conseguito con l’esercizio del diritto.

[15] Cfr., sul punto, A. Thiene, L’immagine fra tutela risarcitoria e restitutoria, in Nuova giur. civ. comm., 2011, II, 349.

[16] G. Carapezza Figlia, op. loc. ult. cit.

[17] R. Sacco, L’arricchimento ottenuto mediante fatto ingiusto, cit., 11.

[18] G. Carapezza Figlia, op. ult. cit., 889.

[19] V., anche se secondo prospettive ricostruttive non collimanti, C. Castronovo, La nuova responsabilità civile, 3ª ed., Milano, 2006, 648 ss. e P. Sirena, Note critiche sulla sussidiarietà dell’azione generale di arricchimento senza causa, in Riv. trim., 2005, 105 ss., Id., La restituzione dell’arricchimento e il risarcimento del danno, in Riv. dir. civ., 2009, I, 78; Id., La sussidiarietà dell’azione generale di arricchimento senza causa, cit., 379 ss. e Id., Arricchimento ingiustificato e restituzioni: una prospettiva di diritto europeo, in Rass. dir. civ., 2018, 657 ss.

[20] In tal senso P. Sirena, Note critiche sulla sussidiarietà, cit., 105 e Id., La restituzione dell’arricchimento, cit., 78 ove si accredita. alla stregua di una ricognizione sul piano del diritto privato europeo, l’emersione di un rimedio generale volto alla restituzione del profitto ingiustificato che sia stato lucrato ingerendosi, in mala fede, nell’altrui sfera giuridica (spec. 82 ss.).

[21] P. Gallo, op. loc. ult. cit.

[22] G. Carapezza Figlia, op. ult. cit., 892.

[23] A. Albanese, Ingiustizia del profitto, cit., 354 ss. è per l’affermativa ma, in senso contrario, v. R. Sacco, L’arricchimento ottenuto mediante fatto ingiusto, cit., 134 ss.