A cinque anni dalla riforma del Code civil la nuova disciplina francese della revoca della proposta (art. 1116 C.c.) continua a non persuadere del tutto. La tutela meramente risarcitoria dell’oblato, in luogo di quella reale dettata dal nostro art. 1329, comma 1, c.c., e il conseguente rigonfiamento della responsabilità precontrattuale per rétractation illicite non paiono un modello da seguire. Se ne trae un volontarismo un po’ retrogrado, e la tendenza ad allargare il contenzioso per fatti precontrattuali, cosa poco auspicabile. La riforma francese potrebbe invece favorire un ripensamento del nostro art. 1328, comma 1, proposizione seconda, c.c., così da ricondurlo al paradigma della culpa in contrahendo, con i suoi elementi di fattispecie e con le sue ricadute risarcitorie, ed affrancarlo da quello dell’atto lecito dannoso.
Five years after the reform of the Code civil the new French regime on the revocation of the offer (art. 1116 C.c.) are still not fully convincing. The provision of a merely compensatory protection of the offeror, instead of a specific remedy like the one awarded by art. 1329, line 1, of our civil code, and the consequent inflation of precontractual liability for rétractation illicite do not seem a model to be followed. In fact, what can be drawn from it is a rather backward voluntarism, and the trend towards the expansion of precontractual liability is little desirable. Instead, the French reform could encourage a rethinking of our art. 1328, line 1, second statement, cod. civ. in the direction of a return to the paradigm of culpa in contrahendo, with its constitutive elements and compensatory implications, and an emancipation from the one of the harmful lawful act.
Keywords: Conclusion of the contract – Ordonnance of 2016 – revocation of offer – Vienna Convention (CISG) – withdrawal – reasonable time – voluntarism – precontractual liability – harmful lawful act
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Sommario:
1. L’annoso problema della revoca della proposta, se recettizia o non recettizia - 2. Segue. I “nuovi” artt. 1115- 1116 Code civil e i “vecchi” artt. 1328-1329 cod. civ. - 3. Un bilancio favorevole all’idea della non recettizietà - 4. Spunti per una rilettura “normalizzatrice” dell’indennizzo ex art. 1328, comma 1, proposizione 2a, cod. civ. alla luce dell’Ordonnance.
La conclusione del contratto, disciplinata dagli artt. 1326 ss. cod. civ., non è materia che necessiti di una riforma legislativa: essa, come noto, ha il suo obiettivo nel contratto negoziato tra persone lontane, ed in questa cornice offre un compendio di norme efficienti ed ormai levigate dall’esperienza applicativa; apportarvi qualche miglioria costerebbe una fatica sproporzionata ai benefici che potrebbero derivarne, per di più col rischio che la miglioria, riversata nel diritto in azione, non si riveli tale. Piuttosto se ne potrebbe immaginare un completamento per l’area dei contratti senza trattativa – questi sì manchevoli – e per quella sotto-area che è data dai contratti online; ma allora è su questo piano che occorre intervenire, per affiancare alle norme sui patti negoziati altre su quelli unilateralmente predisposti, mentre a poco varrebbe manipolare o riscrivere gli artt. 1326 ss. cod. civ. Malgrado qualche vaghezza, la loro impronta gius-commercialistica e il loro transitare per la soft law del Progetto italo-francese del 1927 continuano a farne segmento pregevole della parte generale [1]. Limare, affinare, reinterpretare, non certo riscrivere; e allora non c’è bisogno del legislatore, men che meno di un legislatore post-moderno che, salvo sorprese, non è più avvezzo alla sistematica (non lo potrebbe essere). Ritocchi grammaticali o supine recezioni della giurisprudenza non danno luogo ad un bisogno vero di riforme, e rischiano d’innescare un circolo vizioso, dove a vecchie complessità se ne aggiungono di nuove. Lo si può dire della Schuldrechtsreform tedesca del 2001, lo si comincia a dire dell’Ordonnance francese del 2016.
Fra le norme che non necessitano di alcuna rivisitazione rientra l’art. 1328 cod. civ., dedicato alla revoca della proposta e dell’accettazione. Persiste sì la «spina» della revoca della proposta, se recettizia o non recettizia, ma il dubbio pare indotto non dal testo – invero piuttosto chiaro – ma dalla (legittima) critica che gli si muove sotto il profilo della ratio.
Come noto l’incipit dell’art. 1328, comma 1, cod. civ. («la proposta può essere revocata finché il contratto non sia concluso») suona diversamente dall’art. 1328, comma 2, cod. civ. («l’accettazione può essere revocata, purché la revoca giunga a conoscenza del proponente prima dell’accettazione»). Chi dà il giusto peso alla lettera tende a dire che la revoca della proposta non è recettizia, sicché per impedire la conclusione del contratto al proponente basterebbe spedire – non già far pervenire – la revoca prima di aver notizia dell’accettazione o prima che scatti la presunzione ex art. 1335 cod. civ. [2]. Chi muove da un’idea di maggior ragionevolezza preferisce pensare che, a questi fini, la revoca della proposta debba giungere all’accettante prima che l’accettazione sia giunta al proponente [3]. Si creerebbe così maggiore armonia tra revoca della proposta e revoca dell’accettazione, quest’ultima indiscutibilmente recettizia, e sarebbe salvaguardata la linea-guida secondo cui quando l’atto unilaterale ha un destinatario predefinito, esso è in linea di massima recettizio (art. 1334 cod. civ.). Come all’oblato non basta indirizzare la revoca dell’accettazione, ma occorre che questa anticipi l’accettazione nel suo ricadere presso controparte, così al proponente non basterebbe indirizzare, ma gli spetterebbe far pervenire la revoca presso l’accettante prima che l’accettazione sia pervenuta presso di lui (cioè prima che il contratto sia concluso) [4].
Sennonché – come detto – il dubbio non pare testuale ma anti-testuale, vale a dire sorretto da un’implicita censura d’irragionevolezza delle norme. Indubbiamente la lettera dà luogo ad uno sbilanciamento delle posizioni, nel senso che il proponente vanta un margine di ripensamento più lungo di quello dell’oblato, un margine che oltrepassa l’emissione e l’indirizzamento dell’accettazione; il margine dell’accettante è più corto, perché questi deve anticipare la propria dichiarazione positiva con una contro-dichiarazione negativa, e ciò impone sollecitudine. Ma che questa sia davvero una bad rule non è sicuro, e comunque non la si può derubricare ad imperfezione del testo. Occorrerebbe se del caso una novella, che non sarebbe frutto né di velleità estetiche né d’acquiescenza alla giurisprudenza, visto che la poca giurisprudenza è oscillante e non sembra temere più di tanto lo sbilanciamento [5].
E qui, per chi volesse davvero cimentarsi, un buon compromesso potrebbe intravedersi nell’art. 16, § 1, CISG, ai sensi del quale (per citare la versione inglese) «until a contract is concluded an offer may be revoked if the revocation reaches the offeree before he has dispatched an acceptance» [6]. L’iter è interrotto non perché il proponente ha semplicemente spedito la revoca – troppo presto? – né perché questa è giunta all’oblato prima che l’accettazione sia giunta al proponente – troppo tardi? – ma perché la revoca della proposta è giunto ad un oblato che, a quello stadio, non aveva ancora spedito l’accettazione e dunque non poteva confidare nel buon esito della trattativa. I tempi della revoca si accorciano a scapito del proponente “pentito”, ma l’efficacia della revoca è rimessa a fattori (almeno in potenza) più certi del gioco ad incastro tra recezione della revoca della proposta presso l’oblato e recezione dell’accettazione presso il proponente [7].
Tuttavia – ripetesi – le nostre regole sull’accordo delle parti possono tranquillamente rimanere come sono [8].
[1] P. Carlini, La formazione del contratto tra persone lontane: un aspetto della revisione della comparazione tra common law e civil law nel quadro del diritto comune, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1984, 114; e A.M. Benedetti, La formazione del contratto nella prospettiva di una riforma, in E. Navarretta (a cura di), La funzione delle norme generali sui contratti e sugli atti di autonomia privata. Prospettive di riforma del Codice civile (Atti del Convegno di Pisa, 29, 30 novembre e 1° dicembre 2018), Giappichelli, 2021, 135 ss. e in particolare 139 ss.
[2] V. Roppo, Il contratto2, Giuffrè, 2011, 149 ss. (che ipotizza una sorta di recettizietà retroattiva, già affiorante in un lontano scritto di A. Cicu, L’offerta al pubblico, Gallizzi, 1902, 45 ss.); e U. Salanitro, Ritorno a Gorla. Revoca della proposta e risarcimento del danno, in Annuario del contratto 2016, Giappichelli, 2017, 123 ss. e spec. 154 ss.; ma già C. Vivante, Trattato di diritto civile e commerciale, IV, Le obbligazioni (contratti e prescrizione), Fratelli Bocca, 1929, 39 ss. In giurisprudenza cfr. Cass. 15 aprile 2016, n. 7543, in De Jure on line; Cass. 9 luglio 1981, n. 4489, in Riv. dir. comm., 1981, II, 253 ss., con nota di C.C. Rossello; e Cass. 31 gennaio 1969, n. 296, in Foro it., 1969, I, 606.
[3] C.M. Bianca, Diritto civile. Il contratto, Giuffrè, ed. 1987, 233 ss. (opinione confermata nella 3a ed., 2000, 232-233); R. Sacco, in R. Sacco, G. De Nova, Il contratto, Utet, 2016, 183 ss. e in particolare 186-187; A.M. Benedetti, Autonomia privata procedimentale, Giappichelli, 2002, 127-128; nonché Id., Ancora sulla revoca della proposta: divagazioni tra storia e comparazione, in Nuova giur. civ. comm., 2009, II, 115 ss.; A. Natucci, Vicende preclusive, preparatorie, condizionanti, in Trattato del contratto, diretto da V. Roppo, I, Formazione, a cura di C. Granelli, Giuffrè, 2006, 342 ss.; e U. Perfetti, La conclusione del contratto, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da Cicu-Messineo-Mengoni, continuato da Schlesinger, Giuffrè, 2016, 224; ma non manca una piú risalente apertura in F. Messineo, voce Contratto (dir. civ.), in Enc. dir., IX, Milano, 1961, 852.
[4] In tal senso A.M. Benedetti, F.P. Patti, La revoca della proposta: atto finale? La regola migliore, tra storia e comparazione, in Riv. dir. civ., 2017, 1327-1328 (ov’è raccolto un ammaestramento del lontano saggio di G. Carrara, La formazione dei contratti, Vallardi, 1915, in particolare 202). Qualche spiraglio nel senso della recettizietà della revoca della proposta s’era aperto con Cass. 16 maggio 2000, n. 6323, in Foro it., 2001, I, 227 ss., con nota di R. Pardolesi; in Nuova giur. civ. comm., 2001, I, 364 ss., con nota di A.M. Benedetti; e in Contratti, 2001, 658 ss., con nota di Pollaroli (un remoto precedente conforme è Cass. 5 febbraio 1953, n. 290, in Giust. civ., 1953, 394); ma s’è nuovamente chiuso con Cass. 15 aprile 2016, n. 7543, cit.
[5] Da un punto di vista quantitativo prevalgono le decisioni che negano recettizietà alla revoca della proposta, per lo meno nella giurisprudenza della Corte di Cassazione: Cass. 15 aprile 2016, n. 7543, cit.; Cass. 9 luglio 1981, n. 4489, cit.; e Cass. 31 gennaio 1969, n. 296, cit. In senso opposto, come premesso (supra, nota prec.), Cass. 16 maggio 2000, n. 6323, cit.; in tema cfr. V. Roppo, Il contratto del duemila3, Giappichelli, 2011, 28-29.
[6] Insuperato G. Eörsi, Art. 16, in C.M. Bianca, M.J. Bonell (a cura di), Commentary on the International Sales Law. The 1980 Vienna Sales Convention, Giuffrè, 1987, 150 ss. e spec. 155 ss.; la norma ha poi influenzato la successiva soft law, come l’art. II.-4:202, § «(1)», proposizione 1a, DCFR, l’art. 2:202, § 1, PECL e l’art. 2.1.4, § 1, PICC (in tema, M. Illmer, Vertragsschluss, in J. Basedow, K.J. Hopt e R. Zimmermann [a cura di], Handwörterbuch des Europäischen Privatrechts, II, Mohr Tübingen, 2009, 1696 ss.; e R. Sacco, Formation of Contracts, in A.S. Hartkamp, M.W. Hesselink, E. Hondius, C. Mak, E. Du Perron, Towards a European Civil Code, Wolters Kluwer, 2011, 483 ss.).
[7] In tal senso la proposta de jure condendo di A.M. Benedetti, La formazione, cit., 140 (in precedenza già A.M. Benedetti, F.P. Patti, La revoca, cit., 1327-1328).
[8] Per alcune considerazioni sulla formazione del contratto e sulla proposta irrevocabile in tempo di pandemia sia consentito rinviare a E. Ferrante, Pandemia e contratto. Alcune proposte per il contenimento dell’incertezza, in Actualidad Jurídica Iberoamericana, 2020, 303 ss.
Quanto recato dall’Ordonnance del 2016 e in particolare dai “nuovi” artt. 1115-1116 Code civil in tema di rétractation non fornisce un contributo utile né in un senso né nell’altro.
L’art. 1115, nuovo testo, C.c. non afferma nulla d’eclatante nello stabilire che la proposta «peut être librement rétractée tant qu’elle n’est pas parvenue à son destinataire». Persino una proposta irrevocabile può essere revocata quando la revoca giunga all’oblato prima della proposta stessa: si suole discorrere di ritiro anziché di revoca, a significare che quando la controdichiarazione sia tanto fulminea da precedere la dichiarazione, quest’ultima non potrà mai prendere effetto (neppure quando elevata, per ipotesi, ad irrevocabile). Emblematico il disposto dell’art. 15 CISG, fonte ispiratrice dell’Ordonnance, che nella versione inglese usa il termine withdrawal anziché revocation.
In questo senso l’art. 1328, comma 2, cod. civ., col prevedere la recettizietà della revoca dell’accettazione – previsione irrinunciabile [1] – nei fatti finisce col negare che questa revoca sia una revoca “vera”: poiché per interrompere l’iter essa deve precedere l’accettazione – altrimenti il contratto sarebbe concluso e nulla vi sarebbe da revocare – non esiste a ben vedere la revoca, ma sempre e solo il ritiro dell’accettazione (una revoca che raggiungesse il proponente dopo sarebbe inefficace allo scopo). Il divario tra l’art. 1328, comma 1, proposizione 1a, cod. civ. e l’art. 1328, comma 2, cod. civ. potrebbe allora riqualificarsi non tanto come aporìa tra un atto non recettizio ed uno recettizio, quanto piuttosto come il distanziamento tra una revoca stricto sensu ed un ritiro, l’una non recettizia, l’altro necessariamente sì. V’è una lontananza più profonda di quanto non lasci intendere l’uso indifferenziato del vocabolo «revoca».
Più interessante l’art. 1116, nuovo testo, C.c., che non trova un pendant nella Convenzione di Vienna, né tantomeno nel nostro codice: «1. Elle ne peut être rétractée avant l’expiration du délai fixé par son auteur ou, à défaut, l’issue d’un délai raisonnable. 2. La rétractation de l’offre en violation de cette interdiction empêche la conclusion du contrat. 3. Elle engage la responsabilité extracontractuelle de son auteur dans les conditions du droit commun sans l’obliger à compenser la perte des avantages attendus du contrat».
È con ciò limitata ope legis la revocabilità della proposta, perché o un termine d’irrevocabilità è fissato dal proponente o, in mancanza, è pur sempre riservato uno spazio deliberativo minimo a favore dell’oblato, un délai raisonnable (detto anche, in precedenza, moral o implicite). Che cosa capita però se, a dispetto del termine prefissato o di quello ragionevole, il proponente dichiari di revocare prematuramente l’offerta? La conclusione del contratto è comunque esclusa. Infatti, se la revoca è giunta all’oblato prima della proposta, questa non è mai divenuta efficace e nulla l’oblato potrà recriminare, essendo questi divenuto bersaglio di un ritiro ex art. 1115 C.c.; se la revoca è giunta all’oblato dopo il decorso del termine prefissato o di quello ragionevole, sarà una revoca “vera” ed efficace, rétractation licite al pari di un ritiro; se invece la revoca interviene mentre ancora pende il termine esplicito o quello ragionevole, potrà scattare un illecito extracontrattuale di diritto comune, vale a dire una responsabilità che in Italia definiremmo in contrahendo per l’interesse negativo (salvo non sapere con esattezza, per lo meno in Italia, se contrattuale od extracontrattuale) [2]. Va ribadito che il contratto non è mai concluso, e si tratta di vagliare se alla mancata conclusione non faccia seguito alcuna ripercussione a carico del proponente, come nelle ipotesi del ritiro e della revoca licite, o se al contrario ne derivi una responsabilità precontrattuale per rétractation illicite.
Detto più plasticamente, il riformatore francese ha incrementato i margini di stabilità della proposta, l’obligation de maintien già nota alle cronache giudiziarie [3], sottraendo quei margini al puro arbitrio del proponente, ma ha negato qualsiasi tutela reale dell’oblato: se nel revocare l’offerta il proponente disattende le norme procedimentali, la conseguenza non è quella dell’art. 1329, comma 1, cod. civ., ma è un (eventuale) debito risarcitorio nei confronti di controparte. Viceversa la norma italiana si rimette in toto all’autonomia del proponente, ma poi “arma” l’irrevocabilità di una tutela a carattere specifico («la revoca è senza effetto»). La norma neo-francese isola un arco temporale inderogabile – ancorché demandato al vago délai raisonnable – ma poi s’accontenta di rinviare alla colpa precontrattuale; quella italiana non esprime alcuna cogenza sull’an dell’irrevocabilità («se il proponente si è obbligato a mantenere ferma la proposta per un certo tempo […]») [4], ma una volta che il proponente abbia professato quest’irrevocabilità, l’oblato può accettare la proposta malgrado la revoca [5].
Non è questa la sede per esplorare nel dettaglio il retroterra storico, culturale, comparativo di regole così diverse [6]. Basti dire, per schizzi, che questa soluzione neo-francese pare imbevuta di un volontarismo un po’ fuori moda [7]. Vero è che un proponente “pentito”, in un ambiente normativo come la Convenzione di Vienna o il nostro codice, può trovarsi parte del contratto solo perché non ha fatto in tempo a ritirare la proposta e non l’ha potuta revocare. Vero è anche, però, che tutto ciò è nella logica della proposta ferma e delle esigenze che mira a soddisfare. Non è certo una novità [8]. Fa specie allora questa visione oltranzista o purista della volontà contrattuale, in un habitat contemporaneo segnato se non dalla «morte del contratto», certamente dall’oggettivazione dello scambio [9]. L’affievolimento ormai conclamato del consenso come meeting of minds – sarebbe lungo ripercorrerne origini e traiettorie [10] – non troverà certo rimedio in norme come queste. E comunque, se scopo dichiarato della riforma fu ammodernare e rendere più attrattivo il diritto francese per riportarlo ai fasti del passato [11], colpisce l’adozione di regole anacronistiche, affacciatesi da noi già nel XIX secolo, per poi essere abbandonate nel 1942 [12]. Per dirla tutta l’art. 1329 cod. civ., col suo automatismo nella protezione dell’oblato irrevocabile, pare assai più moderno del recente art. 1116 C.c.
In generale c’è da dubitare che un rigonfiamento della responsabilità precontrattuale, già vistoso tanto in Francia quanto in Italia, renda davvero attrattivo un sistema legale. Anzi, esso andrebbe collocato fra i fattori di declino del diritto privato [13]: non è solo questione di vere o presunte degenerazioni ideali, come la rinuncia alla libertà del contrarre, che include o includerebbe la libertà di ripensamento nelle more del negoziato; è anche – più banalmente – questione di aumento del contenzioso, direzione nella quale un sistema efficiente non dovrebbe mai andare.
[1] Fra i molti, G. Giampiccolo, La dichiarazione recettizia, Giuffrè, 1959, 67 ss.
[2] La norma francese accoglie invece la tradizionale propensione a qualificare la culpa in contrahendo come aquiliana: L. Coppo, Gli ultimi sviluppi della riforma del Code civil: l’Ordonnance n. 131 del 2016 e il nuovo diritto francese delle obbligazioni e dei contratti, in Contr. impr. Eur., 2016, 330; e F. Benatti, Note sulla riforma del libro III del codice civile francese: molto rumore per nulla, in Revista de Direito da Cidade, 2018, 1063.
[3] A.M. Benedetti, Autonomia, cit., 129 nt. 250, il quale cita al riguardo Cass. 17 décembre 1958, in D. Jur., 1959, 33 e in Rev. trim. dr. civ., 1959, 336; cfr. inoltre, fra i molti, J. Flour, J.-L. Aubert, É. Savaux, Droit civil. Les obligations, 1, L’acte juridique16, Sirey, 2014, 128 ss.
[4] La fissazione di un termine d’irrevocabilità è essenziale, a protezione del proponente e della necessaria temporaneità dei rapporti (sicché una proposta declamata come ferma ma carente del termine d’irrevocabilità dovrebbe stimarsi revocabile): in tal senso, fra le altre, Cass. 2 agosto 2010, n. 18001, in DeJure; ma la tesi risale quantomeno a Cass., sez. un., 24 maggio 1975, n. 2103, in Foro it., 1975, I, 2496.
[5] È anche per questo che per la proposta irrevocabile si suole discorrere di negozio di configurazione: cfr. A.M. Benedetti, Autonomia, cit., 117-120.
[6] Per un’ampia trattazione, D. Henrich, Unwiderrufliches Angebot und Optionsvertrag. Eine rechtsvergleichende Betrachtung, in R. Zimmermann, R. Knütel, J.M. Meincke (a cura di), Rechtsgeschichte und Privatrechtsdogmatik, Müller, 1999, 216 ss.; E.A. Farnsworth, Comparative Contract Law, in M. Reimann, R. Zimmermann (a cura di), The Oxford Handbook of Comparative Law, Oxford, 2008, 915; e A.T. Von Mehren, The Formation of Contracts, in International Encyclopedia of Comparative Law, VII, Contracts in General, 2008, 82.
[7] E già fuori moda ai tempi del celebre saggio di G. Gorla, La “logica-illogica” del consensualismo o dell’incontro dei consensi e il suo tramonto (dal diritto romano comune alla Convenzione dell’Aja del 1 luglio 1964), in Riv. dir. civ., 1966, I, 255 ss. (che ne aveva trattato anche in Id., Ratio decidendi, principio di diritto [e obiter dictum]. A proposito di alcune sentenze in tema di revoca dell’offerta contrattuale, in Foro it., 1964, V, 89 ss.); precedentemente, L. Barassi, La teoria generale delle obbligazioni, II, Le fonti, Giuffrè, 1948, 103 ss.; e C. Osti, voce Contratto, in Noviss. dig. it., IV, Utet, 1959, 518 ss.
[8] R.B. Schlesinger, Il «nucleo comune» dei vari sistemi giuridici: un nuovo campo di studi comparativi all’orizzonte, in Riv. dir. civ., 1963, I, 65 ss.
[9] Un recente résumé in E. Ginevra, Riflessioni di sintesi (in ordine all’evoluzione del ruolo dell’autonomia privata), in F. Bordiga e H. Wais (a cura di), Inhalt und Grenzen der Privatautonomie in Deutschland und Italien, Giappichelli, 2021, 405 ss.
[10] In tema, di recente, T. dalla Massara, Il consenso annichilito, Bologna, 2021; più nello specifico, S.J. Bayern, The Nature and Timing of Contract Formation, in L. DiMatteo, M. Hogg (a cura di), Comparative Contract Law: British and American Perspectives, Oxford, 2015, 77 ss.
[11] S. Balbusso, L’obiettivo del rafforzamento della attractivité nella riforma francese del diritto delle obbligazioni e dei contratti, in P. Sirena (a cura di), Dal ‘fitness check’ alla riforma del codice civile, Jovene, 2019, in particolare 395 ss.
[12] A.M. Benedetti, Autonomia, cit., 114-117.
[13] G. De Almeida Ribeiro, The decline of Private Law, Oxford, 2019, passim, ma in particolare 215 ss.
Per tornare al quesito di partenza, non pare che queste norme neo-francesi possano o debbano dare un contributo comparativo al nostro problema della revoca della proposta, se basti spedirla prima di ricevere l’accettazione o se occorra che la revoca giunga all’accettante prima che l’accettazione giunga al proponente (il problema del divario tra l’art. 1328, comma 1, proposizione 1a, cod. civ. e l’art. 1328, comma 2, cod. civ.). La loro lettura non reca argomenti significativi né in un senso né nell’altro: il filo del discorso è tutto arrotolato intorno alla natura lecita od illecita della rétractation, a seconda che questa preceda la proposta (ritiro), segua la scadenza del termine d’irrevocabilità o cada durante la pendenza di questo, con conseguente rétractation illicite (sic!). Ma se per il ritiro il carattere recettizio pare scontato – inevitabilmente deve giungere all’oblato prima della proposta, sicché la mera spedizione è sempre insufficiente – per le altre revoche nulla è detto d’esplicito. L’attenzione è posta sul rispetto o sulla violazione del termine d’irrevocabilità, volontario o legale, non di per sé sull’incrocio “pericoloso” delle dichiarazioni di parte, proposta, accettazione e loro revoche, i cui rapporti di priorità cronologica restano fuori del discorso; esattamente come ne restano fuori in Italia sotto il vigore degli artt. 1326 ss. cod. civ.
Anzi, volendo inseguire un cavillo, si potrebbe immaginare il caso di un proponente che spedisca la revoca quando ancora penda il termine d’irrevocabilità, legale o convenzionale, ma la revoca giunga all’oblato quando quel termine sia ormai decorso (circostanza ben possibile soprattutto nella variante legale, attesa l’indeterminatezza del délai raisonnable). È il solito confine tra liceità ed illiceità della rétractation. Qui dire che la revoca è recettizia significa proteggere ancor più il proponente, che avrebbe commesso un probabile illecito precontrattuale se fosse stato preferito il tempo della spedizione, ma non commette alcun illecito se è preferito quello della ricezione.
D’altro canto l’“intreccio” delle dichiarazioni di parte nella fase precontrattuale – quale di esse abbia preceduto quale altra – non è materia confortevole per il legislatore né stupisce una qualche reticenza: anzi, come premesso il nostro art. 1328 cod. civ., benché foriero di vive dispute, pare chiaro nel divaricare la revoca della proposta (comma 1, proposizione 1a) dalla revoca dell’accettazione (comma 2) e propendere, quantomeno nella lettera, per la non recettizietà della prima a fronte della sicura recettizietà della seconda.
Neppure deve trascurarsi che questa propensione letterale semplifica in qualche modo lo scioglimento dell’“intreccio”, come ben posto in luce dalla dottrina: decidere se la revoca della proposta sia stata spedita prima che l’accettazione giungesse al proponente, significa comparare due avvenimenti che hanno luogo entrambi presso la stessa parte, vale a dire presso il proponente; decidere se la revoca della proposta sia arrivata all’oblato prima che l’accettazione sia pervenuta al proponente, significa comparare due avvenimenti che hanno luogo il primo presso l’oblato e il secondo presso il proponente; circostanza che complica, almeno prima facie, l’accertamento dei rapporti cronologici fra le varie dichiarazioni scambiate e rafforza, nell’ottica dell’interpretazione orientata alle conseguenze, l’idea della non recettizietà [1].
[1] Già V. Roppo, Il contratto1, Giuffrè, 2001, 154-155.
C’è un argomento della nostra giurisprudenza che in ogni caso non convince, neppure quando si neghi carattere recettizio alla revoca della proposta. Fra gli argomenti spesi a confutazione della recettizietà s’è detto che proprio questa non recettizietà giustificherebbe l’indennizzo introdotto dall’art. 1328, comma 1, proposizione 2a, cod. civ. a favore dell’oblato, vittima di un atto lecito dannoso [1]. Proprio perché il proponente può deludere l’altrui affidamento anche con una revoca molto tardiva – basta spedirla prima di ricevere l’accettazione – e in questo modo il vincolo non sorge sebbene l’oblato abbia dichiarato e spedito l’accettazione, l’indennizzo verrebbe a compensare quell’accettante che abbia già iniziato ad eseguire in buona fede «prima di avere notizia della revoca». Se invece la revoca della proposta fosse recettizia e producesse i suoi effetti solo dalla recezione presso l’oblato, il proponente avrebbe meno tempo per revocare, dovendo egli non solo spedire ma anche far pervenire la sua revoca prima che l’oblato gli faccia pervenire l’accettazione. Non si giustificherebbe allora un indennizzo «delle spese e delle perdite subite per l’iniziata esecuzione», visto che l’ipotetica natura recettizia della revoca della proposta sarebbe già protettiva dell’oblato ed anzi ridurrebbe pressoché a “zero” il lasso temporale all’interno del quale ritenere scusabile la sua iniziata esecuzione [2].
L’argomento non pare decisivo. Se la ratio dell’indennizzo, risalente all’art. 36, comma 2, del Codice di commercio [3], è compensare l’accettante che abbia scusabilmente intrapreso l’esecuzione, il dato di fondo è la mancata conclusione del contratto a causa della revoca – “lecita”, direbbero i Francesi –, non che questa revoca sia intervenuta molto prima o poco prima del ricevimento dell’accettazione presso il proponente. Detto diversamente, l’indennizzo ristora l’esborso patito dall’oblato che, al momento dell’accettazione, non può sapere con certezza se la trattativa andrà a buon fine e nondimeno inizia l’esecuzione facendovi affidamento. A fronte di questa ratio non è decisivo che la revoca sia recettizia o non recettizia: l’oblato, nel momento in cui spedisce l’accettazione, confidando nel buon esito dell’affare, può comunque doverne costatare l’insuccesso, sia quando la revoca della proposta non sia recettizia e venga spedita prima che l’accettazione giunga al proponente, sia quando la si giudichi recettizia ma pervenga all’oblato prima che l’accettazione sia pervenuta al proponente.
È poi perfettamente naturale che l’indennizzo non spetti mai all’offerente il quale patisca la revoca dell’accettazione, visto che la revoca in questo caso deve sempre precedere l’accettazione medesima, ed egli non può aver maturato un affidamento altrettanto meritevole.
Il “nuovo” Code civil non parla d’indennizzo per la rétractation licite, ma di responsabilità extracontrattuale per quella illicite (art. 1116 C.c.), regole che destano un rinnovato bisogno di demistificare talune nostre convinzioni.
Anche qui solo alcune chiose. Mettendo le soluzioni italiane e quelle neo-francesi le une accanto alle altre si potrebbe giungere ad una sintesi che, nella sostanza, conferma il nostro mainstream interpretativo: per il caso di revoca “lecita” l’art. 1328, comma 1, proposizione 2a, cod. civ. assegna all’oblato l’indennizzo «delle spese e delle perdite subite per l’iniziata esecuzione»; un atto lecito, una responsabilità lato sensu oggettiva, un danno circoscritto ad alcune voci tradizionalmente collocate nella fase precontrattuale (non certamente il lucro cessante da perdita di chance, neppure nei limiti dell’interesse negativo, come peraltro escluso anche dal “nuovo” art. 1112 C.c.); per il caso di revoca “illecita” l’art. 1337 cod. civ. assegna invece all’oblato il risarcimento del danno nella sua interezza, quando ne ricorrano i presupposti generali, ma è escluso il caso di cui all’art. 1329, comma 1, cod. civ., visto che qui la tutela dell’oblato è in natura, insita nella persistenza dell’offerta anziché nel risarcimento [4].
Sennonché il mancato indennizzo da rétractation licite, la mancata tutela reale dell’oblato e l’integrale refluire di quella illicite nella comune responsabilità extracontrattuale, capisaldi del sistema francese, possono spingere l’argomento comparativo anche in un’altra direzione, che questa volta non combacia col nostro uso interpretativo corrente [5].
Se per il nostro codice la pretesa del proponente di revocare una proposta (ancora) irrevocabile trova sbocco nell’inefficacia della revoca, ciò significa che detta revoca, per quanto illicite, non è un caso di responsabilità precontrattuale: l’ipotetica tutela risarcitoria dell’oblato è infatti scalzata da una tutela specifica, che assegna direttamente il bene della vita. Qui il pendant con l’esperienza transalpina non c’è né prima né dopo l’Ordonnance. Ma se la revoca è illicite per una ragione diversa – ad es. perché costituisce lo strumento di una trattativa maliziosa del proponente – ben potrà scattare la responsabilità ex art. 1337 cod. civ., cui allude anche l’art. 1116 C.c. Insomma, la tutela specifica è anche speciale, nel senso che opererà nel caso tipizzato, e prevarrà su quella per equivalente in tutti i casi riconducibili alla buona fede in contrahendo.
C’è spazio, in questo quadro, per una tutela ancora per equivalente ma diversa da quella comune, per quell’indennizzo che sembra affrancarsi da dolo e colpa del revocante ma restringersi ad una parte soltanto del danno precontrattuale? C’è ancora spazio, cioè, per una revoca lecita ma che fa scattare un debito indennitario alternativo a quello risarcitorio ex art. 1337 cod. civ.? L’orientamento che l’art. 1116 C.c. infonde alla materia, con questo suo spaccare il quadro tra ritrattazione lecita ed illecita, l’una priva, l’altra densa di conseguenze risarcitorie, potrebbe suggerire pari spaccatura anche nel nostro habitat normativo: da un lato la revoca “lecita”, quella che non integra gli estremi della culpa in contrahendo e nessuna ripercussione esplica sul revocante; dall’altra la revoca “illecita”, che presenta i presupposti della colpa precontrattuale ed espone il revocante all’obbligo di risarcire i danni (salvo il particolare caso di cui all’art. 1329, comma 1, cod. civ., ove la tutela risarcitoria è sostituita da quella in forma specifica).
Come in Francia, anche in Italia verrebbe a perdersi l’anomalia dell’indennizzo per atto lecito dannoso, la revoca della proposta, a copertura di una frazione soltanto del danno precontrattuale. La fattispecie di cui all’art. 1328, comma 1, proposizione 1a, cod. civ. sarebbe allora un caso tipizzato di responsabilità precontrattuale, sottoposto ai normali requisiti di questa, marcato dal testo di legge al solo fine di porre in chiaro che, quando ne ricorrano i presupposti – come la serietà del negoziato e la sua rottura ingiustificata – anche la revoca della proposta può decretare una culpa in contrahendo [6].
Sull’onda lunga dell’Ordonnance si comprende sempre meno perché mai un proponente che non abbia ancora alimentato alcun affidamento meritevole e che receda giustificatamente dalla trattativa tramite revoca della proposta, debba poi indennizzare controparte solo perché quest’ultima ha già iniziato in buona fede ad eseguire: se la sua revoca è “lecita” e tempestiva, visto che la legge gli consente di spedirla finché il contratto non sia concluso, vale a dire finché non abbia ricevuto l’accettazione, perché mai dovrebbe versare una somma a controparte per spese premature e perdite avventate? L’indennizzo in esame pare un comune caso di responsabilità precontrattuale – una «faute commise dans les négociations», dice l’art. 1112, nuovo testo, C.c. –, con la singolarità della menzione espressa, onde chiarire che la normale revocabilità della proposta, i cui tempi si allungano con la tesi della non recettizietà, non esclude una responsabilità precontrattuale del revocante il quale, grazie ad essa, abbia deluso senza motivo l’altrui affidamento.
La clausola generale non impedisce fattispecie tipizzate: non è forse un caso di responsabilità precontrattuale il dolo incidente? [7] Non potrebbe essere un caso di responsabilità precontrattuale la revoca della proposta? La previsione dell’indennizzo di cui all’art. 1328, comma 1, proposizione 1a, cod. civ. non vale dunque ad esentare l’oblato dalla prova dei requisiti abitualmente sottesi alla colpa precontrattuale – e qui tutto il lavoro è stato svolto dalla giurisprudenza [8] – ma ne restringe la pretesa risarcitoria alle spese e alle perdite subite «per l’iniziata esecuzione del contratto». Grazie alla lezione neo-francese e all’argomento comparativo può stemperarsi l’anomalia di un debito indennitario da atto lecito, all’interno di un sistema, come il nostro, che ormai conosce e pratica con larghezza il risarcimento del danno precontrattuale. Quel che nel 1942 dovette apparire residuale o insufficiente, ha guadagnato tali e tanti spazi da ambire al rango di rimedio unico contro l’illecito nelle trattative.
[1] V. Roppo, Il contratto2, cit., 146 ss.; precedentemente, G. Gorla, La «logica-illogica», cit., 256; e F. Messineo, Il contratto in genere, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da Cicu-Messineo, Giuffrè, 1968, 367.
[2] L’argomento è molto enfatizzato da Cass. 15 aprile 2016, n. 7543, cit.
[3] In tema V. Scialoja, Osservazioni sull’art. 36 del Codice di commercio, in Studi giuridici, IV, Roma, 1933, 97; e G. Majorana, Delle convenzioni fra persone lontane, Fiorenza, 1912, 89 ss.
[4] A. Natucci, Vicende, cit., 340 ss.
[5] Ma può essere proprio questo il ruolo dell’interpretazione comparativamente orientata: K. Zweigert, Rechtsvergleichung als universale Interpretationsmethode, in RabelsZ., 1949-50, 10.
[6] In senso contrario F. Messineo, Il contratto in genere, cit., 367.
[7] Per tutti, M. Mantovani, «Vizi incompleti» del contratto e rimedio risarcitorio, Giappichelli, 1995, 16 ss. e 118 ss.; in senso prevalentemente critico, M. Barcellona, Responsabilità extracontrattuale e vizi della volontà contrattuale, in www.judicium.it, 19 ss.
[8] P. Gallo, Il contratto, in Id., Trattato di diritto civile, V, Giappichelli, 2017, 241 ss.