Jus CivileCC BY-NC-SA Commercial Licence ISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

Il diritto francese del contratto e i contratti della filiera produttiva (di Bianca Gardella Tedeschi. Professoressa associata di Diritto privato comparato – Università del Piemonte Orientale)


La produzione oggi è organizzata attraverso supply chain, o global value chain, risultato della strategia delle corporations di esternalizzare la produzione stessa. Spesso questa modalità  organizzativa vede un importante squilibrio contrattuale.  Questo intervento riflette, a partire da una considerazione di M. Fabre Magnan all’indomani della Réforme, sulla possibilità che le nuove regole contrattuali francesi hanno di poter incidere per riequilibrare il potere tra i diversi anelli della filiera produttiva.

French contract law and the contracts of the production chain

Today's production  is organized through supply chains, or global value chains, the result of the corporations' strategy of outsourcing. Often this organizational mode sees an important contractual imbalance.  This paper reflects, based on a reflection from  M. Fabre Magnan after the approval of the Réforme, on the possibility that the new French contractual rules have to affect the rebalancing of power between the different links in the production chain.

Keywords: Imbalance of power - Supply chain - Agrifood supply chain

COMMENTO

Sommario:

1. Alcuni limiti della riforma francese del diritto generale dei contratti - 2. La produzione di beni e servizi nella realtà economica contemporanea. - 3. Il contratto all’interno della filiera produttiva - 4. Come regolare le catene produttive? - 5. L’Ordonnance è adatta per assicurare la giustizia contrattuale nella produzione di filiera?


1. Alcuni limiti della riforma francese del diritto generale dei contratti

L’Ordonnance francese del 2016 costituisce un intervento importante del legislatore per rendere il diritto francese dei contratti più adatto alla realtà economica contemporanea [1]. A ben vedere, la giurisprudenza, già poco dopo l’adozione del code Napoléon, aveva costantemente tenuto il passo con i cambiamenti della produzione e dell’economia, ma le precisazioni e le innovazioni della giurisprudenza non erano state trasposte in un testo legislativo. E così, fino all’Ordonnance del 2016, acquisire la conoscenza del diritto dei contratti vigente costituiva un’impresa piuttosto complicata, che comportava compulsare ed apprendere il manuale di diritto dei contratti più in voga del momento.

La riforma del codice francese non è, però, del tutto adeguata a riconoscere la complessità che il contratto presenta nel mondo contemporaneo. In questa opera di riordino e di ammodernamento, il legislatore non si è, infatti, spinto ad anticipare soluzioni alle problematiche che la configurazione dei processi produttivi chiede al diritto dei contratti. L’Ordonnance è elaborata seguendo un crittotipo ben saldo nel paradigma di chi ha scritto la riforma: Il legislatore ha aggiornato il diritto dei contratti avendo come modello di riferimento il contratto di scambio nelle sue diverse forme, a partire dalla compravendita. Possiamo, però, dire che oggi il diritto dei contratti è usato solo per lo scambio più o meno immediato tra le parti, oppure c’è qualcosa di maggiore e di diverso?

Muriel Fabre Magnan [2], nell’immediatezza della Réforme, metteva in risalto il grande sforzo della riforma per garantire tutela alla parte debole del contratto. Al contempo, metteva in risalto tre questioni, importanti per garantire la giustizia contrattuale, che non sono state affrontate con l’Ordonnance. “La récente réforme du droit français des contrats consacre et même renforce les mécanismes de protection de la partie faible qui avaient été progressivement reconnus par la jurisprudence. Ce n’est pas à dire pour autant que l’agenda de la justice contractuelle soit désormais vide. De nombreuses questions sont apparues qui ne sont pas traitées par le nouveau droit français, mais pas non plus par les autres droits nationaux de l’Union européenne, ni par le projet de Cadre commun de référence. Trois exemples sont donnés de problèmes contemporains que les juristes de droit des contrats devraient à présent affronter: la question de l’accès aux biens et aux services essentiels pour la personne, celle de la qualité des biens et des services fournis par le contrat, et enfin celle du processus de production de ces biens et services. Sur ces trois questions, des propositions sont faites qui pourraient servir de base à un nouveau manifeste pour la justice sociale en droit européen des contrats”.

Ciò su cui vorrei concentrare la mia attenzione in queste brevi note riguarda il terzo punto messo in evidenza da Muriel Fabre Magnan, cioè la funzione del contratto nei meccanismi di produzione di beni e servizi.

 

[1] Tra i primi commenti alla Réforme B. Fauvarque-Cosson, F. Ancel, J. Gest, Aux sources de la réforme du droit des contrats, Dalloz, 2017; O. Deshayes, Th. Genicon, Y.-M. Laithier, Réforme du droit des contrats, du régime général et de la preuve des obligations, Lexisnexis, 2017. In Italia, P. Sirena, Dal ‘fitness check’ alla riforma del codice civile profili metodologici della ricodificazione, Jovene, 2019; G. Vettori, E. Navarretta, S. Pagliantini, La riforma del Code civil ed il diritto dei contratti in Europa, in Pers. e merc., 2018, I, numero monografico.

[2] M. Fabre Magnan, What is a Modern Law of Contracts? Elements for a New Manifesto for Social Justice in European Contract Law, in European Review of Contract Law, 2017, 376.


2. La produzione di beni e servizi nella realtà economica contemporanea.

Così come il legislatore francese, molti di noi riconducono il contratto alla sua funzione archetipica: lo scambio. Oggi, però, gli accordi tra le parti sono posti in essere con altra funzione. In particolare, sempre di più nella produzione di beni e servizi, per organizzare la catena produttiva di diversi soggetti economici. L’organizzazione giuridica, e non solo economica, della catena produttiva è una sfida del presente e possiamo chiederci se la riforma francese sia adeguatamente attrezzata per affrontare il cambio di paradigma dell’organizzazione dei mercati.

Se noi analizziamo la produzione nella realtà economica odierna, vediamo una frammentazione e una delocalizzazione dei processi produttivi. La fabbrica del Lingotto che a Torino produceva automobili Fiat è l’immagine della fabbrica del passato. Per ferrovia, arrivavano le materie prime direttamente in fabbrica. Queste venivano poi che venivano lavorate, formate e poi assemblate. La costruzione dell’automobile iniziava al piano terreno e terminava al quarto piano, con una pista automobilistica dove avveniva il collaudo. Una rampa elicoidale collegava il quarto piano con il piano stradale: da lì usciva una nuova automobile, pronta per la consegna.

L’economia è attualmente organizzata in catene produttive e le diverse fasi non sono gestite da un’unica società, come accadeva nello stabilimento Fiat del Lingotto, ma per ogni fase possiamo avere differenti attori, organizzati secondo uno schema a catena o a rete, in modo che ogni anello della catena conduca il prodotto alla forma finale. Il principio economico che è alla base dell’organizzazione prevede che il valore del prodotto debba aumentare ad ogni passaggio. Quando è così, la filiera produttiva prende il nome di (Global) Value Chain (GVC). La forma giuridica tradizionale di una GVC vedeva nella società commerciale l’istituto giuridico di riferimento dell’intera catena produttiva: i diversi anelli non sono infatti anelli indipendenti ma le diverse tappe produttive si svolgono all’interno di un medesimo ente che coordina l’intero processo. Questo accade se una determinata società decide non di produrre ciò di cui ha bisogno, bensì di farlo fare, o di acquistarlo, da un fornitore esterno. Le aziende, siano esse grandi multinazionali o realtà più ridotte, hanno nel tempo trovato vantaggioso procedere all’outsourcing di certe attività ad altre aziende che a loro volta possono procedere all’outsourcing. La catena produttiva, prima organizzata intorno alle realtà societarie, si sviluppa in catene di approvvigionamento o di filiere produttive, che iniziano con la materia prima e finiscono con il prodotto o servizio finito e la sua distribuzione.

L’organizzazione della produzione in catene di produttori indipendenti che lavorano secondo uno schema predisposto dal committente finale ha portato alcuni benefici in termini di concorrenza, efficienza e riduzione dei prezzi per il consumatore finale. Allo stesso tempo, però, l’organizzazione della produzione secondo questo schema comporta grandi sfide per la tutela dei lavoratori, dell’ambiente e non solo. In questa realtà, l’isti­tuto giuridico che lega le diverse fasi della produzione e dell’approvvigionamento è il contratto. La filiera produttiva è, quindi, costituita da una serie di transazioni commerciali che possono essere viste come i singoli anelli della catena e che sono quindi regolati dal diritto dei contratti. Si tratta, però, di contratti che hanno lo scopo di organizzare relazioni di lunga durata tra le parti, attraverso logiche che vedono nella cooperazione e nella conservazione della relazione stessa tratti fondamentali dell’assetto contrattuale. Un modello commerciale fondato sulla cooperazione tra diverse parti di un lungo processo produttivo comporta rilevanti ripercussioni sul modello contrattuale. L’archetipo cessa di essere quello dello scambio “one shot” e si sposta su uno schema contrattuale cooperativo in cui la presenza di “repeat players” diventa parte integrante della costruzione e della struttura della produzione [1].

I termini chiave per comprendere il diverso paradigma economico e giuridico sono supply chain, network, organizational contract e contract governance. I termini non sono omogenei e provengono da diversi contesti culturali.

La supply chain, o filiera produttiva [2], è un termine tecnico dell’organizzazione aziendale, studiata sia da economisti che da ingegneri. Con questa espressione, si indica il processo che permette di portare sul mercato un prodotto o servizio, trasferendolo dal fornitore fino al cliente.

Il network [3]indica un insieme di entità produttiva che si organizzano, o vengono organizzate, per raggiungere uno scopo. I network contracts sono relazioni contrattuali di lunga durata, caratterizzati da una forte interdipendenza tra le prestazioni indicate nei singoli contratti e il risultato finale cui tende l’intero network, condiviso tra i diversi partecipanti al network [4]. Ad esempio, i singoli contratti di vendita acquistano un senso economico se le vediamo nel loro insieme, mentre possono esserne prive se vediamo le singole operazioni economiche. Il network è invece un concetto giuridicamente più nebuloso. Richard Buxbaum affermò che “network is not a legal concept” [5]. Ma il network rende meglio l’idea, rispetto alla catena contrattuale, del fatto che tutti gli attori si stanno muovendo per raggiungere un medesimo scopo, quello della produzione finale di un determinato bene. Zara può darci bene l’idea di come funzioni un network: l’idea del prodotto da produrre parte da una singola entità economica che coordina una serie di altre entità con diversi strumenti contrattuali, in cui l’uso delle licenze o del design svolgono una parte rilevante, per arrivare alla produzione e poi alla vendita del prodotto finito. I vari anelli della catena non sono più liberi di comprare e vendere ma devono adattare la loro produzione, distribuzione, ecc. ad un modello comune. Ogni entità ha quindi un particolare compito all’interno della complessa struttura produttiva.

Organizational contract [6] è, secondo i proponenti di questa espressione, un modo di usare lo strumento contrattuale in presenza di tre elementi di fatto: la durata della relazione tra le parti, il numero di partecipanti all’organizzazione, che sono in numero superiore a due, ed una vicinanza al diritto delle società dal momento che l’organizzazione contrattuale tiene il posto della gerarchia presente all’interno delle società.

Contract governance [7] è un’espressione proposta per indicare il complesso sistema di contratti di, analogamente a quanto accade per le società, regola i rapporti all’interno della catena produttiva e distributiva.

 

[1] Sulla distinzione tra one shot e repeat players in diversi contesti, cfr. M. Galanter, Why the ‘Haves’Come Out Ahead: Speculations on the Limits of Legal Change, 9 Law & Society Review, 95 (1974).

[2] V. Ufbeck, A. Andhov, K. Mitkidis, Law and Responsible Supply Chain Management, Routledge, 2019.

[3] M. Amstutz, G. Teubner, Networks. Legal Issues in Multilateral Co-operation, Hart Publishing, 2009.

[4] S. Grundmann, F. Cafaggi, G. Vettori, op. cit., 7.

[5] R. Buxbaum, Is Network a Legal Concept, 149 Journal of Institutional and Theoretical Economics, 1993, 698.

[6] S. Grundmann, F. Cafaggi, G. Vettori (eds.), The Organizational Contract, From Exchange to Long Term Network Cooperation in European Contract Law, Ashgate, 2013.

[7] S. Grundmann, F. Möslein, K. Riesenhuber, Contract Governance. Dimensions in Law and Interdisciplinary Research, Oxford University Press, 2015.


3. Il contratto all’interno della filiera produttiva

Il contratto all’interno della filiera produttiva ha caratteristiche abbastanza definite. Innanzitutto è spesso un contratto di durata, in cui la cooperazione tra le parti è un tratto caratteristico. Il riferimento è all’articolo di S. Macaulay che nel 1963 analizza le relazioni non contrattuali nel mondo degli affari. In effetti, si trattava di relazioni giuridiche che, pur riconducibili ad un paradigma contrattuale, erano diverse dallo schema contrattuale dello scambio. Attraverso la volontà delle parti si instaurano delle relazioni di durata in cui la relazione stessa è più importante della singola prestazione. Proprio per l’importanza della relazione più che della prestazione, questo tipo di contratto prese poi il nome, negli Stati Uniti, di relational contract e fu l’oggetto della ricerca di Ian McNeil a partire da un celebre articolo del 1985 [1].

All’interno delle filiere produttive sono soprattutto questo tipo di contratti che hanno la prevalenza, perché le catene produttive sono destinate a durare nel tempo. Ed è proprio la presenza della variabile tempo all’interno della relazione che permea l’insieme dei rapporti, economici e giuridici [2].

La proiezione della relazione nel futuro comporta la necessità di affrontare le incertezze. Il contratto viene quindi ad essere, in primo luogo, uno strumento per regolare l’incertezza di queste relazioni. La mancanza di certezza per il futuro può sottrarre alle parti la possibilità di determinare con esattezza il contenuto del contratto e l’accordo serve soprattutto a mantenere viva e operativa la relazione. L’incompletezza del contratto può indurre le parti a comportamenti opportunistici, maggiormente rispetto ai contratti cd. one shot. Inoltre, il contratto che organizza la relazione può prevedere clausole che richiedono la rinegoziazione del contratto quando si verificano determinati eventi. Inoltre, un contratto inserito in una più ampia filiera o network, richiede di tenere in conto anche le ripercussioni che un singolo contratto può avere sui terzi, che sono però partecipanti del network.

Una seconda peculiarità delle relazioni giuridiche all’interno delle filiere produttive sono gli investimenti che sono fatti per la produzione. Ad esempio, alcuni contraenti si dotano di un macchinario particolare, il cui investimento sarà ripagato esclusivamente continuando a far parte di una determinata filiera e, quindi, mantenendo la relazione, economica ancor prima che giuridica, con la controparte e, al contempo, il proprio posto nella catena. I partner che hanno effettuato degli investimenti in vista della loro partecipazione alla filiera produttiva sono parti che sono particolarmente vulnerabili [3]. Infatti, se la relazione termina prima del previsto, o sopravvengono eventi legati all’incertezza che caratterizza le relazioni destinate a protrarsi nel tempo, l’investimento diventa a tutti gli effetti una perdita.

Una terza caratteristica è la possibilità di reazione che una parte ha nei confronti di un eventuale inadempimento dell’altra. Mentre nei contratti che si concludono con un singolo scambio di prestazioni, è possibile ricorrere a tutti i mezzi messi a disposizione dal diritto per “punire” la controparte, cioè per ottenere il massimo risarcimento possibile, questo non è possibile se si è coinvolti in una relazione di durata. Se si fa ricorso a rimedi troppo “punitivi”, pur all’interno di un paradigma risarcitorio, si possono recuperare i danni ma si distrugge irrimediabilmente un bene importante, cioè la relazione, e si mette a repentaglio l’appartenenza ad un determinato network [4]. La vulnerabilità è anche qui chiara: pur di non perdere asset importanti, la relazione e l’investimento, alcune parti sono disposte a subire irregolarità più o meno importanti, per salvare la propria appartenenza ad un determinato gruppo.

Queste caratteristiche fanno dubitare chi si è occupato dei contratti relazionali che si possa in effetti parlare di una presunzione di somiglianza tra i contratti le due tipologie di contratti e che quindi le regole formulate per un tipo di operazione economica valgano esattamente senza ritocchi per l’altro tipo di contratto. [5] Che la forma archetipica del contratto continui ad essere per il giurista, non solo nazionale, il contratto di vendita è reso esplicito dalla letteratura e dalla legislazione sulla vendita internazionale che non sembra adatta a disciplinare l’aspetto relazionale della relazione giuridica.

Attraverso i contratti, dunque, possono essere costruite delle organizzazioni che hanno la medesima funzione economica di una corporation. A questo proposito, chi ha cominciato a occuparsi di organizzazioni contrattuali mette in evidenza i punti di contatto tra la corporate governance e la contract governance [6]. L’argomento è vasto e complesso, ma è importante mettere in risalto alcuni aspetti di questi studi. In particolare, è messo in evidenza come l’organizzazione delle società sia basato sulla gerarchia interna tra il management e i diversi livelli gerarchici appunto dei dipendenti. Se raggiungiamo il medesimo risultato con organizzazioni contrattuali, bisogna chiedersi cosa rimane della presunta autonomia delle parti, della loro libertà di autodeterminazione e di scelta consapevole dell’assetto contrattuale. È chiaro, almeno da un punto di vista economico, che la libertà delle parti è in molti casi una semplice finzione. Una riforma, come quella francese, che è chiaramente schierata a favore di un modello liberale non sembra essere d’aiuto nel governare queste nuove realtà, dal momento che presume una libertà e una coscienza delle parti che in effetti, all’in­terno di più vaste organizzazioni, può non essere presente.

 

[1] I. Macneil, Relational Contract: What Do We Know and Do Not Know, 60 Wisconsin Law Review, 1985, 483.

[2] Per l’analisi delle tre caratteristiche dei contratti (incertezza, investimenti, rimedi all’inadempimento) all’interno della filiera: S. Grundmann, F. Cafaggi, G. Vettori, The Overall Basis of Long-Term Organization, in S. Grundmann, F. Cafaggi, G. Vettori (eds.), The Organizational Contract, cit., 9 ss.

[3] O Williamson, Transaction-Cost Economics: The Governance of Contractual Relations, 22 Journal of Law and Economics, 1979, 233.

[4] Sul ruolo della sanzione sociale nel contratto, cfr. B. Gardella Tedeschi, Gentlemen’s Agreement, in Riv. dir. civ., I, 1990, 730.

[5] Cfr. S. Grundmann, F. Cafaggi, G. Vettori, The Overall Basis of Long-Term Organization, cit., 3. Cfr. B. Gardella Tedeschi, L’interferenza del terzo nei rapporti contrattuali, Giuffrè, 2008, 364.

[6] S. Grundmann, Between Market and Hierarchy, in S. Grundmann, H.-W. Micklitz, M. Renner, New Private Law Theory. A Pluralist Approach, Cambridge University Press, 2021, p. 315; S. Grundmann, F. Möslein, K Riesenhuber, Contract Governance: Dimension in Law and Interdisciplinary Research, in S. Grundmann, F. Möslein, K Riesenhuber (eds.), Contract Governance, cit., 11.


4. Come regolare le catene produttive?

Come regolare oggi le catene produttive in modo che sia assicurata la giustizia nella relazione contrattuale? La discussione è aperta. Non credo che il solo diritto dei contratti, così come lo abbiamo concepito fino ad oggi, possa essere la soluzione, né è il mercato che da solo può aggiustare la vulnerabilità di alcune parti. Sono necessari interventi da parte del legislatore con cui si possano assumere alcuni provvedimenti, che sono anche difficili da concepire in modo universale.

Un esempio importante viene dalla legislazione europea che ha recentemente introdotto la direttiva contro le pratiche commerciali sleali all’interno della filiera produttiva agroalimentare [1]. Dopo la crisi del 2008, il rapido aumento dei prezzi dei prodotti agroalimentari, a fronte di una diminuzione del prezzo delle materie prime, destò la preoccupazione della Commissione Europea che nel 2009 indirizzò al Parlamento, al Consiglio e Comitato Economico E Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni la comunicazione “Migliore funzionamento della filiera alimentare in Europa”. La Commissione, dopo aver analizzato l’andamento dei prezzi e l’importanza strategica della filiera agro-alimentare per l’economia europea, esamina la distribuzione del potere commerciale all’interno della filiera dove individua una serie di pratiche commerciali scorrette. “All’interno della filiera alimentare si osservano con frequenza notevoli squilibri nel potere negoziale delle parti contraenti, aspetto che preoccupa seriamente gli operatori. Questa asimmetria nel potere negoziale può dar luogo a pratiche commerciali sleali, laddove operatori più grandi e potenti cercano di imporre accordi contrattuali a loro vantaggio, mediante prezzi o condizioni migliori. Tali pratiche possono verificarsi a qualsiasi livello della filiera e consistono, ad esempio, in pagamenti tardivi, modifiche unilaterali dei contratti, cambiamenti ad hoc dei termini contrattuali, versamento di anticipi per partecipare ai negoziati. Nell’ambito delle filiere di prodotti alimentari non trasformati, le aziende e le cooperative più piccole spesso trattano con acquirenti più grandi, siano essi produttori, grossisti o dettaglianti. Nell’ambito delle filiere di prodotti alimentari trasformati, si hanno da un lato le piccole imprese di trasformazione che negoziano contratti in genere con dettaglianti di maggiori dimensioni che sono spesso il loro unico canale d’accesso al mercato, dal­l’altro le grandi multinazionali di prodotti alimentari che possono anch’esse avere un importante potere negoziale in quanto offrono prodotti di marca da cui i dettaglianti non possono prescindere” [2]. La Commissione Europea, in un primo momento, invita gli Stati membri a intervenire a livello nazionale per contrastare il disequilibrio contrattuale all’interno della filiera agro-alimentare. È poi nel 2019 che l’Unione Europea adotta una direttiva, la 2019/633 [3], per contrastare le pratiche commerciali scorrette all’interno della filiera agroalimentare. La direttiva individua una serie di pratiche commerciali che sono dichiarate scorrette e quindi vietate. Proprio per non lasciare la singola parte nel dubbio se denunciare le pratiche commerciali scorrette ed uscire, con buona probabilità dal mercato, oppure subire per continuare le relazioni commerciali, la direttiva prescrive agli Stati membri di individuare delle autorità di contrasto che, oltre a ricevere eventuali denunce, possano avviare e condurre indagini di propria iniziativa (art. 6).

 

[1] Regolamento (CE) N. 178/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio del 28 gennaio 2002 che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare. Cfr. B. Gardella Tedeschi, Contract Law in the Agri-Food Supply Chain, 14 FIU L. Rev. 2021, 427.

[2] COM(2009)591, IT, p. 5.

[3] Direttiva (UE) 2019/633 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 aprile 2019 in materia di pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese nella filiera agricola e alimentare, adottata dal Governo, per legge delega 22 aprile 2021, n. 53, il 4 novembre 2021.


5. L’Ordonnance è adatta per assicurare la giustizia contrattuale nella produzione di filiera?

Alcune novità introdotte dalla Ordonnance del 2016 costituiscono, per alcuni, una apertura verso una presa in conto di realtà complesse. L’introduzione di alcuni articoli potrà essere d’aiuto nell’affrontare i nuovi assetti produttivi. La nuova disciplina della cessione dei diritti contrattuali potrebbe essere una spia che segnala una maggiore attenzione per la rilevanza che il singolo contratto può avere anche per i terzi. Il nuovo articolo 1324 code civil regola la cessione del credito, per la quale non sono previste, come nel passato, formalità particolari [1]. L’art. 1327 code civil prevede, per la prima volta, la cessione del debito, con forma scritta a pena di nullità. I due articoli sarebbero un indice di una maggiore apertura del diritto francese dei contratti ad una apertura verso i terzi estranei al singolo contratto, così come è per le filiere produttive [2]. Ma questo non può essere certamente considerato un punto di arrivo, solo l’apertura di un piccolo spiraglio su un tema ben più vasto.

Con la Réforme è stata introdotto nel formante legislativo il contratto di durata, che non era stato previsto dal codice del 1804. L’Ordonnance ha introdotto la dimensione temporale all’interno del diritto dei contratti, prevedendo all’art. 1229 al 3 [3], in tema di risoluzione, i contratti in cui le prestazioni trovano la loro utilità soltanto con l’esecuzione completa (par l’execution complète) e i contratti in cui invece l’utilità si acquisisce man mano che si procede con l’esecuzione delle prestazioni (au fur et à mesure[4]. L’articolo 1111-1 introduce l’elemento temporale nel contratto con una diversa terminologia, distinguendo tra contrat à exécution instantanée, in cui la le obbligazioni possono essere adempiute in un’unica prestazione, e contrat à exécution successive, in cui l’obbligazione di almeno una parte è formata da più prestazioni, ripartite nel tempo. Per quanto l’inserimento della variabile tempo all’interno del contratto sia importante nella corrispondenza, necessaria, tra disciplina giuridica e realtà, ci sono voci autorevoli che ritengono che non aver previsto un contrat à interesse commun, cioè un contratto in cui si è in presenza d’une oeration globale qui suppose, pour que l’objectif poursuivi soit atteint, quel es prestations quel es prestations s’enchainent dans un certain ordre (…). Mais on est alors non plus dans les classifications traditionnelles mais dans les classifications qu’ap­pelle une systématisation d’une réalité contractuelle profondément renouvelée par la pratique [5]”.

Credo, quindi, che si possa concordare con le osservazioni di Muriel Fabre Magnan, riportate in apertura, che le filiere produttive di beni e servizi non possano ancora essere regolate dal diritto generale del contratto, così come riformato.

 

[1] Alla cessione del credito, come fenomeno di mercificazione dell’obbligazione ai fini di una sua più agile circolazione, si veda V. Confortini, Sulla cession de créance, in questo fascicolo.

[2] S. Grundamnn, M.S. Schäfer, The French and the German Reforms of Contract Law, in G. Vettori, E. Navarretta, S. Pagliantini, La riforma del Code civil ed il diritto dei contratti in Europa, cit., p. 25.

[3]Art. 1229 al 3: “Lorsque les prestations échangées ne pouvaient trouver leur utilité que par l’exécution complète du contrat résolu, les parties doivent restituer l’intégralité de ce qu’elles se sont procuré l’une à l’autre. Lorsque les prestations échangées ont trouvé leur utilité au fur et à mesure de l’exécution réciproque du contrat, il n’y a pas lieu à restitution pour la période antérieure à la dernière prestation n’ayant pas reçu sa contrepartie; dans ce cas, la résolution est qualifiée de résiliation”.

[4] F. Terré, Ph. Simler, Y. Lequette, F. Chénedé, Droit civil, Les Obligations, 12e ed., Paris, 2019, 883-884.

[5]F. Terré, Ph. Simler, Y. Lequette, F. Chénedé, Droit civil, Les Obligations, cit., p. 125.