Da tempo nei Paesi di civil law, e così anche in Francia, dottrina e giurisprudenza hanno ipotizzato l’esistenza di un dovere generale di informazione durante le trattative, i cui esatti contorni sono tuttavia alquanto dibattuti. La riforma francese del 2016 ha regolato espressamente questo dovere di informazione, con il nuovo art. 1112-1 Code civil.
Il contributo prende in esame questa nuova disposizione, anche al fine di valutare se e in che limiti essa possa costituire il modello per una futura introduzione di una previsione analoga nel codice civile italiano.
In the last few decades in civil law countries, including France, scholarship and case law have assumed the existence of a general duty of disclosure during negotiations, the exact scope of which are, however, quite debated. The 2016 French reform expressly regulated this duty of disclosure through the new Article 1112-1 Code civil.
The paper deals with this new provision, also assessing whether and to what extent it may represent the model for a future introduction of a similar legislative rule in the Italian Civil Code.
Keywords: Duty of disclosure - negotiations - legislative reform
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1. Introduzione - 2. Il dovere generale di informazione: linee essenziali della nuova disciplina francese - 3. Le scelte metodologiche e politiche del legislatore: l’approccio fondato sulla buona fede e l’ispirazione ordoliberale - 4. Le scelte tecniche del legislatore: l’esclusione del dovere informativo e il rinvio all’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale - 5. Segue. La rilevanza causale dell’informazione e la restante disciplina del dovere informativo - 6. Le criticità della réforme: il mancato coordinamento del dovere generale di informazione francese con la disciplina dei vizi del consenso - 6.1. Il dol - 6.2. L’erreur - 7. Segue. Per una regolazione unitaria dell’informazione precontrattuale a fronte della duplicità dei rimedi attivabili. - 8. Conclusione
Da sempre nel diritto contrattuale convivono istanze contrapposte: l’una, volta ad assicurare che i contraenti in sede precontrattuale si scambino tutte le informazioni rilevanti per poter giudicare con precisione circa i termini dell’affare; l’altra, invece, di stampo liberale e diretta a consentire a ciascuna delle parti di tacere tutte queste informazioni, onde massimizzare il profitto che ciascuna intende trarre dall’affare. È ben noto che la prima istanza corrisponde a una visione solidaristica del contratto e la seconda, invece, a una visione antagonista; che le giurisdizioni di civil law tradizionalmente hanno prediletto il primo approccio; e, infine, che negli ultimi decenni questa tensione solidaristica si è addirittura incrementata negli ordinamenti di civil law. Ciò si è tradotto, pressoché ovunque, in un maggior ruolo della buona fede precontrattuale e, in particolare, in più intensi obblighi di informazione a carico di ciascuna delle parti, di fonte ora legislativa, ora giurisprudenziale. All’interprete italiano è ben noto il percorso che ha portato, tra l’altro, il legislatore a prevedere una miriade di obblighi di informazione (specie nel caso di contratti conclusi da consumatori o comunque tra parti in posizioni di squilibrio) [1] e che ha condotto dottrina e giurisprudenza prima ad ampliare l’ambito di applicazione riservato ai vizi del consenso (in particolare al dolo) [2] e poi a elaborare e accogliere la teoria dei vizi incompleti del consenso (stando alla quale è possibile chiedere il risarcimento per lesione di un obbligo precontrattuale di informazione anche se il contratto concluso è svantaggioso, ma valido) [3]. Ma un simile percorso si è riproposto, in termini assai simili, in tutti i principali ordinamenti continentali [4]: e così, in particolare, anche in Francia, ove l’intensa opera legislativa, volta a dettare numerose previsioni relative a specifici doveri informativi (per lo più nell’ambito di quello che, con linguaggio municipale, chiameremmo secondo o terzo contratto) [5], è stata preceduta e poi comunque affiancata dalla proposta dottrinale di estendere i vizi del consenso (e in particolare il dol) [6] e di far assumere alla buona fede precontrattuale un ruolo di supplenza [7]. Non apparirà strano quindi che il legislatore francese, [continua ..]
Come si è detto, a fronte di una legislazione speciale a macchia di leopardo, che ha introdotto una miriade di obblighi di informazione speciali, e di un’interpretazione giurisprudenziale sempre più incline ad ammettere un generale dovere delle parti delle trattative di scambiarsi informazioni rilevanti, il legislatore francese ha sentito il bisogno di dettare un’apposita disposizione relativa agli obblighi di informazione: e, cioè, il nuovo art. 1112-1 [1]. La nuova previsione sul dovere di informazione, anzitutto in virtù della sua collocazione topografica, è di diritto comune e di portata generale: ne deriva che, da un lato, riguarda qualsiasi tipo di contratto e, da un altro lato, non esclude che specifici tipi di contrattazione possano prevedere obblighi di informazione più penetranti. Nel suo primo alinéa, l’art. 1112-1 stabilisce che: “celle des parties qui connaît une information dont l’importance est déterminante pour le consentement de l’autre doit l’en informer dès lors que, légitimement, cette dernière ignore cette information ou fait confiance à son cocontractant” [2]. Come si vede, la disposizione non solo conferma l’esistenza di penetranti obblighi di informazione tra le parti delle negoziazioni (indipendentemente dalla sussistenza di un vizio del consenso), ma individua pure un criterio per guidare la giurisprudenza nell’opera di concretizzazione di questo dovere, creando inoltre una cornice sistematica entro cui inserire gli obblighi già previsti dalla legge (i quali, infatti, talvolta specificano il dovere generale di informazione; altre volte – e qui si tratterà soprattutto dei casi dei contratti tra diseguali, come il contratto del consumo – lo estendono ulteriormente [3]). Converrà indugiare sul criterio così posto, che costituisce il perno attorno a cui ruota tutto l’art. 1112-1 e che, in larghissima parte, consacra i risultati cui era giunta la giurisprudenza negli anni precedenti [4]. Anzitutto, il legislatore esclude la sussistenza, nel diritto francese, di un generale obbligo di informarsi per informare. Per meglio dire: non vi è dubbio che un tale dovere può sussistere, ma ciò avverrà in casi specifici, che si porranno quindi al di fuori della nuova previsione codicistica [5]. [continua ..]
Vale la pena di considerare più da vicino la disposizione dell’art. 1112-1, valutandola soprattutto nella prospettiva di una futura riforma del codice civile [1]. E conviene farlo prima soffermandoci sulle opzioni di teoria generale seguite dal legislatore francese [2], per poi interessarci più puntualmente delle singole regole poste [3]. È diffusa convinzione che l’informazione rappresenti economicamente un “valore”: essa, cioè, ha un suo valore di scambio e, per chi la possiede, rappresenta un vantaggio. A fronte di ciò, il tema dell’informazione precontrattuale viene spesso indagato chiedendosi perché una parte delle trattative deve condividere un’informazione, perdendo così un valore che per essa può aver rappresentato anche un costo [4]; e a tale quesito altrettanto spesso si risponde verificando quale sia la regola migliore, perché più efficiente (quella, cioè, che consente di massimizzare l’informazione, riducendo i costi di transazione) [5]. Questo approccio, se portato ai suoi esiti estremi, conduce a creare una regola ispirata dalla sola efficienza, trascurando l’importanza che rivestono invece altri fattori della dinamica sociale. Rispetto a questa prospettiva la nuova disciplina legislativa francese appare impostata su un modo di vedere più tradizionale, peraltro assai simile a quello diffuso nella giurisprudenza italiana: un modo di vedere che ha al suo centro la buona fede, intesa come normalità dei commerci, letta e ricostruita alla luce di una scelta politica generale posta in essere dall’ordinamento (e, in particolare, dal legislatore codicistico) [6]. Proviamo a descrivere allora questo modo di vedere, per poi indicare in che modo la réforme appaia condividerlo. Come noto, molte – e molto diverse – sono le opinioni a riguardo della buona fede, che, intesa come clausola generale, è stata vista ora quale rimando a un’etica estranea all’ordinamento (e solo sociale), ora quale strumento di autointegrazione dell’ordinamento (a prescindere da tutto ciò che avviene nella società). Probabilmente entrambe queste opinioni sono, se estremizzate, insoddisfacenti: con la buona fede il legislatore vuole effettivamente rifarsi a una normalità dei rapporti, che non è però solo sociale; si tratta [continua ..]
Con i primi tre commi dell’art. 1112-1, come si è visto, il legislatore francese ha inteso perimetrare l’obbligo di informazione precontrattuale, in particolare esprimendo alcune scelte politiche di forte rilievo, tutte pienamente convincenti (anche nella prospettiva italiana): persuade, anzitutto, che solo chi è informato sia soggetto a un generale dovere di condividere informazioni (mentre solo in casi particolari può sussistere un dovere di informarsi per informare [1]); persuade, inoltre, che la disposizione richieda un’asimmetria tra le parti della negoziazione perché sorga l’obbligo di informare (ciò che avviene, secondo l’interpretazione più condivisibile, allorché una delle due parti è – e appare essere – più vicina a fonte di informazione, come tipicamente accade per chi è e appare nell’ambito della trattativa più esperto dell’altra parte [2] oppure, in casi diversi o comunque per informazioni differenti, per colui che presta un bene o un servizio e che per ciò stesso ne conosce più da vicino alcune caratteristiche [3]). A fronte di ciò, però, il legislatore francese non ha chiarito in modo esaustivo quando non sussiste l’obbligo di informazione, venendo disattivato in virtù del suo particolare oggetto o delle altre particolari circostanze: le uniche, laconiche, disposizioni precisano che l’ignoranza dev’essere “legittima” o che dev’esservi un “legittimo” affidamento nella controparte e che l’informazione non può attenere alla valutazione di convenienza. Per poter apprezzare – e valutare – il drafting della disposizione francese, verificando se il livello di specificità scelto nella riforma sia ottimale, conviene allora allargare lo sguardo e soffermarsi, più in generale, sull’esclusione del dovere di informazione [4]. Per la precisione, ci chiederemo quali siano le ipotesi in cui, ferma restando una scelta politica analoga a quella compiuta dal legislatore francese e quindi ragionando su un piano il più possibile tecnico, potrebbero dirsi esclusi gli obblighi informativi, per poi verificare se il legislatore francese avrebbe potuto, con una presa di posizione meno vaga, aiutare a superare le incertezze che qualsiasi svolgimento di disciplina a livello [continua ..]
Tra le previsioni di cui agli ultimi quattro alinéas dell’art. 1112-1 occupa un ruolo di rilievo l’alinéa 3, il quale stabilisce che sono di importanza determinante le informazioni qui ont un lien direct et nécessaire avec le contenu du contrat ou la qualité des parties (così completando di contenuto quella parte dell’alinéa 1 in cui si prevede che l’informazione da divulgare è solo quella déterminante pour le consentement de l’autre partie). Anche questa specificazione appare per lo più tecnica, non spostando molto dal punto di vista politico: essa appare più che altro ispirata alla necessità di superare ogni dibattito (per l’appunto, tecnico) sull’individuazione dell’informazione da divulgare, ferma la scelta politica ordoliberale contenuta in altre parti dell’art. 1112-1. Nel merito, appare sicuramente condivisibile l’indicazione fatta propria dal legislatore francese: non ogni informazione dev’essere oggetto di rivelazione, ma solo quella sufficientemente importante o, per meglio dire, quella che esercita un’efficacia causale sulla conclusione del contratto, nel senso che, se fosse stata fornita, la controparte avrebbe deciso di non concludere quell’esatto contratto che poi ha invece concluso. Si tratta, del resto, di una regola che recepisce un’indicazione proveniente dalla comparazione: in tutti i principali sistemi giuridici le informazioni prive di rilevanza causale non sono oggetto di un dovere di informazione [1]. Tuttavia, nonostante l’apparente banalità della disposizione, vi sono almeno due fronti su cui emergono dei dubbi. Anzitutto, dal tenore della previsione sembrerebbe che l’interprete debba chiedersi se realmente il contraente, se fosse stato informato, avrebbe accettato comunque quel contratto oppure avrebbe rifiutato di concluderlo. Se però così si ragionasse, si cadrebbe in una serie di verifiche controfattuali assai ardue, che per di più potrebbero addirittura condurre ad esiti non del tutto convincenti (ad esempio, la controparte informata potrebbe dimostrare, in certi casi, che avrebbe avuto la forza di imporre un contratto anche notevolmente diverso da quanto ipotizzato dall’altro contraente) [2]. In secondo luogo, e nonostante il chiarimento fornito dal comma 2, l’art. 1112-1 non consente di [continua ..]
Fin dalle prime righe di questo scritto si era notato come dovunque in Europa la disciplina tradizionale dei vizi del consenso sia apparsa, nel corso del Novecento, troppo rigida e restrittiva: il che ha aperto la strada a due percorsi evolutivi. Da un lato, si sono ampliate le maglie dei vizi del volere, e in particolare del dolo (estendendolo a ipotesi omissive e addirittura, talvolta, solo colpose [1]); da un altro lato, si è affidato alla responsabilità precontrattuale un ruolo di supplenza rispetto ai vizi del consenso (e a tal proposito è ben nota, in Italia, la teoria dei vizi incompleti del consenso, che trova degli omologhi funzionali anche negli altri ordinamenti di civil law [2]). Ne è derivato un po’ ovunque un sistema frutto di stratificazioni, dove per riempire le lacune di tutela lasciate aperte dai vizi del consenso ci si è rivolti, in modo spesso disordinato, alla responsabilità precontrattuale (e, quindi, a uno strumento di tutela diverso e spesso meno efficace) [3]. Un sistema in cui è sorta la necessità di mettere ordine e di collegare in modo ragionevole i due tipi di tutela: quella demolitoria dei vizi del consenso e quella sostanzialmente manutentiva offerta dalla responsabilità precontrattuale. Quest’istanza ha peraltro trovato una sponda in una concezione diversa e rimediale dei vizi del consenso, intesi oggi non più come patologie derivanti dalla carenza di un elemento strutturale del contratto, ma semmai come rimedi predisposti dall’ordinamento a favore di una parte [4]. Rimedi che, esattamente come il risarcimento del danno, si fondano su una distribuzione precontrattuale di rischi e che su questa trovano la loro giustificazione [5]. Il risultato che ne è disceso è ben apparente nei progetti di codificazione europea, come i PECL, e si sostanzia in una unificazione della disciplina dei vizi del consenso e del dovere precontrattuale di informazione, la cui violazione ha conseguenze di stampo diverso (ora la caducazione del vincolo, ora il risarcimento del danno) [6]. Seguendo questo esempio, il legislatore francese avrebbe ben potuto dettare le condizioni di rilevanza del dovere precontrattuale di informazione, prevedendo che in ogni caso la sua violazione comporti conseguenze risarcitorie e ammettendo che, dove l’informazione è di una certa importanza (ossia, è tale che, di [continua ..]
Quanto alla disciplina del dolo [1], essa prevede oggi che la reticenza dove sussiste un obbligo di informare, o la falsa informazione dove esiste questo obbligo, se intenzionali, producono nullità relativa del contratto [2]. Nella disciplina del dolo rientra, quindi, anche la violazione – dolosa – del dovere generale di informazione sorgente tra le parti delle trattative in virtù della loro posizione nelle trattative, che costituisce l’oggetto della nostra attenzione. Nel regolare il dol, il legislatore francese poi aggiunge due ulteriori precisazioni, che complicano però – e non poco – le cose. Anzitutto, l’art. 1130 prevede che il dolo debba essere determinante del consenso. Evidentemente, la previsione è volta a contrapporre il dolo solo incidente a quello determinante, ossia il dolo in assenza del quale si sarebbe contratto ma a condizioni parzialmente diverse da quello in assenza del quale non si sarebbe concluso il contratto o lo si sarebbe concluso a condizioni del tutto diverse. L’idea, nelle sue linee essenziali, appare in sé e per sé persuasiva: serve un vizio del consenso determinante per aversi caducazione del vincolo contrattuale; se il vizio del consenso è solo incidente, non si può avere caducazione, ma solo risarcimento. Parimenti, sembra scontato che l’informazione non fornita o fornita in modo falso debba essere “determinante” nel senso dell’art. 1112-1, ossia debba avere un rilievo causale sul contratto (quantunque l’uso dello stesso vocabolo non appaia certo frutto di una scelta felice del legislatore francese). Il problema sta nel fatto che, per valutare se il dolo è determinante, il legislatore chiede di valorizzare alcuni elementi concreti: più esattamente, si prevede che il dol, come gli altri vizi del consenso [3], rilevino a patto che “sont de telle nature que, sans eux, l’une des parties n’aurait pas contracté ou aurait contracté à des conditions substantiellement différentes” [4], fermo restando che “leur caractère déterminant s’apprécie eu égard aux personnes et aux circonstances dans lesquelles le consentement a été donné” (art. 1130). La disposizione non brilla di chiarezza: non solo, come detto, perché usa lo stesso aggettivo [continua ..]
Consideriamo ora la disciplina dell’errore, che al suo interno comprende giocoforza anche i casi in cui il dovere generale di informazione viene leso, seppur in forma soltanto colposa (e non dolosa). Si tratta di ipotesi abbastanza rare, ma in astratto non impossibili [1]. La regolazione dell’erreur prevede che l’errore, per rilevare, dev’essere scusabile: il che, giocoforza, ricorrerà sempre nei casi di violazione colposa, da parte dell’altro contraente, di un obbligo di informazione. Ma non è tutto: è anche previsto che l’errore deve riguardare una “qualità” anche “immateriale” e che la qualità dev’essere “essenziale”, ossia “determinante” del consenso (art. 1132: “l’erreur de droit ou de fait, à moins qu’elle ne soit inexcusable, est une cause de nullité du contrat lorsqu’elle porte sur les qualités essentielles de la prestation due ou sur celles du cocontractant”) [2]. Quanto all’afferenza dell’errore a una “qualità” della prestazione, non è ben chiaro se con qualità si intenda perimetrare ulteriormente l’errore rispetto all’obbligo di informazione (limitandolo in modo più stringente) o se si voglia riprodurre la stessa estensione (in particolare lasciando al di fuori l’informazione sul valore della prestazione). Il dubbio resta pure intendendo in senso ampio il termine “qualità”, come di norma fanno i giuristi francesi (ossia come comprensivo anche di qualità immateriali [3]) e pure rivolgendo l’attenzione al resto della disciplina in tema di erreur, soprattutto là dove essa prevede che “l’erreur sur la valeur par laquelle, sans se tromper sur les qualités essentielles de la prestation, un contractant fait seulement de celle-ci une appréciation économique inexacte, n’est pas une cause de nullité” (art. 1136) [4]. La previsione, in effetti, ricorda da vicino l’art. 1112-1, alinéa 2, ma la sua formulazione non è del tutto corrispondente: sicché non è chiaro se le due disposizioni si sovrappongono, se si integrano a vicenda o se semplicemente sono diverse [5]. L’errore, poi, deve riguardare una qualità “essenziale” della prestazione: [continua ..]
Nella prospettiva del giurista italiano il doppio binario francese appare ripetere le difficoltà cui oggi deve far fronte l’interprete municipale: il quale, da un lato, ha a disposizione una disciplina dei vizi del consenso “informazionali” che è stata estesa interpretativamente, ma che ancora non è tale da coprire – ad esempio – tutto l’ambito della violazione colposa e determinante (non incidente) dell’obbligo di informare, mentre, da un altro lato, può riempire le lacune di tutela per mezzo del dovere di buona fede precontrattuale (applicando la teoria dei vizi incompleti del consenso), che costituisce però spesso un rimedio spuntato (non permettendo di caducare il contratto) e, in altre occasioni, eccessivo (imponendo di risarcire un danno differenziale anche in ipotesi in cui il contraente tutelato mai avrebbe concluso il contratto). Il sistema italiano attuale e quello francese successivo alla riforma condividono, quindi, la stessa logica (o, meglio, la stessa illogicità) di fondo: non coordinare l’informazione precontrattuale a rilevanza risarcitoria e a rilevanza caducatoria, costruendo un solo sistema, ma accettare che l’obbligo di informazione, tutelato in via risarcitoria, e i vizi del consenso, che conducono alla caducazione del vincolo, siano soggetti a discipline non interamente corrispondenti e, quindi, in parte autonome. Come si è detto, questo esito finisce per essere poco ragionevole rispetto agli interessi in gioco e all’evoluzione degli ordinamenti, vista anche in chiave comparatistica, la quale ha dovunque condotto a intendere i vizi del consenso quali rimedi basati su una particolare distribuzione precontrattuale di rischi. Ma non è tutto: questo esito, già di per sé poco opportuno, appare pernicioso nel momento in cui è il frutto di una riforma, ovvero di un intervento legislativo che, di per sé, dovrebbe portare ordine nel sistema. Parleremo oltre della probabile ragione per cui in Francia la riforma non ha condotto a una complessiva rivisitazione dell’informazione precontrattuale; per il momento, conviene chiedersi come, invece, dovrebbe agire sul codice civile un futuro legislatore italiano, onde superare gli inconvenienti attuali [1] e, al contempo, evitare le criticità della riforma d’oltralpe [2]. L’idea di base dovrebbe essere, come [continua ..]