Jus CivileCC BY-NC-SA Commercial Licence ISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

Il rimedio della sostituzione del debitore e la conversione in denaro della prestazione (di Tommaso Pellegrini. Ricercatore di Diritto privato – Università degli Studi Roma Tre)


In Francia viene chiamata faculté de remplacement la possibilità per il creditore di sostituire al debitore inadempiente un terzo che eseguirà la prestazione a spese del debitore. Il nuovo art. 1222 del codice civile francese ha semplificato tale rimedio configurandone una variante stragiudiziale prima preclusa dall’abrogato art. 1144. La derivazione dell’art. 2931 c.c. italiano da questo vecchio art. 1144 francese rende interessante ipotizzare l’effetto che una diposizione analoga al nuovo art. 1222 potrebbe avere nell’ordinamento italiano. L’articolo si trova così a porre in luce alcune profonde differenze tra il sistema francese e quello italiano che potrebbero aiutare a spigare la ragione storica di alcuni punti controversi di quest’ultimo.

The remedy of the replacement of the debtor and the money conversion of the benefit

In France the faculté de remplacement is the possibility for a creditor to substitute the non-performing debtor with a third party to fulfill at the expense of the non-performing party. The new Art. 1222 of the French Civil Code has simplified this remedy by configuring an extra-judicial variant, previously precluded by the repealed Art. 1144. The derivation of article 2931 of the Italian Civil Code from this old French article 1144, makes it interesting to speculate on the effect that a provision similar to the new article 1222 might have in Italian law. The article thus sheds light on some profound differences between the French and Italian systems which might help to explain the historical reason for some controversial points in the Italian system.

Keywords: non-performance - remedies - enforcement - compensation

Articoli Correlati: inadempimento - rimedi - esecuzione - risarcimento

SOMMARIO:

1. Il nuovo art. 1222 e il vecchio art. 1144 del codice civile francese. Introduzione al rapporto con il risarcimento del danno - 2. L’art. 2931 del codice civile italiano e la differenza con il vecchio art. 1144 francese. Sviluppo del rapporto con il risarcimento del danno - 3. Conversione in denaro della prestazione e dovere di tollerare l’inadempimento - 4. Segue. Interferenze tra sostituzione del debitore e risoluzione per inadempimento - 5. Il nuovo art. 1222 francese e il sistema italiano.


1. Il nuovo art. 1222 e il vecchio art. 1144 del codice civile francese. Introduzione al rapporto con il risarcimento del danno

Nel codice francese riformato l’art 1222 è la seconda delle due norme che compongono la sottosezione nominata “esecuzione forzata in natura” e si occupa della faculté de remplacement, ossia la possibilità riconosciuta al creditore di reperire la prestazione che gli era dovuta sul mercato per poi farsi rimborsare la spesa dal debitore inadempiente [1]. La differenza rispetto alla disciplina del vecchio art. 1144 abr. è che dove prima serviva l’autorizzazione del giudice ora basta una messa in mora [2]. Il creditore mette in mora il debitore e decorso il temine è libero di trovare altrove la prestazione dovuta. Dal meccanismo viene tolto il giudice.

È dunque facile inquadrare la modifica nell’obiettivo complessivo di de-giuridicizzare i traffici economici [3], limitare quanto più possibile l’intermediazione dei tribunali nella circolazione della ricchezza [4]. È possibile isolare due linee tecniche di questa de-giuricidizzazione: l’introduzione di vincoli procedimentali e la traslazione del controllo giudiziale dal prima al dopo la modifica del mondo inscritta nel credito. Il controllo non avviene più ex ante in sede di attuazione del diritto del creditore, ma ex post in sede di opposizione del debitore alla soddisfazione stragiudiziale del creditore. Il risultato è una inversione dell’onere del processo [5].

Per quanto il Rapport au Président descriva precisamente uno slittamento del controllo giudiziale rispetto alla disciplina abrogata [6], la perdita dell’autorizzazione del giudice potrebbe non inverare alcuna inversione dell’onere del processo [7]. In caso di perdurante mancata collaborazione del debitore – prima nel fornire la prestazione, ora nel rimborsare le spese – sarà sempre il creditore a doversi rivolgere al giudice che avrà così modo controllare la legittimità della pretesa. Il controllo giudiziale interviene prima della modifica della situazione sostanziale del debitore e si atteggia perciò a controllo ex ante e non ex post [8]. Ed è un controllo ex ante che verte sull’an e sul quantum (sottoforma di giudizio sulla ragionevolezza della spesa) della pretesa non ben distinguibile da quello disegnato dalla disciplina del risarcimento del danno da inadempimento di cui ricalca l’onere probatorio (nostri artt. 1218 e 1223 cod. civ.).

Colgo così l’occasione per introdurre il secolare dibattito che interessa il rimedio in parola: quale è il suo rapporto con il risarcimento del danno? [9]. Entrambi i rimedi convertono in obbligazione pecuniaria un’ob­bligazione diversa; tornare sul mercato per trovare la prestazione alternativa può poi considerarsi una conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento alla luce del fatto che il contenuto minimo del risarcimento – risarcimento sostitutivo della prestazione, c.d. aestimatio rei – si quantifica proprio con il valore di mercato della prestazione inadempiuta. Tale vicinanza apre all’interrogativo: perché il creditore dovrebbe scegliere il rimedio della sostituzione del debitore laddove potrebbe ottenere la stessa somma di denaro semplicemente domandando il risarcimento?

Questo ‘semplicemente’ balza agli occhi pensando alla vecchia disciplina dell’art. 1144. Nel meccanismo lì disegnato il creditore doveva, in ipotesi, bussare due volte alla porta di un giudice, la prima volta per farsi autorizzare alla sostituzione del debitore, la seconda per veder condannare quest’ultimo al rimborso delle spese sostenute. Il risarcimento si compone solo di questo secondo momento e dunque appare come la via più breve per raggiungere il risultato. Al posto di chiedere l’autorizzazione dell’art. 1144, il creditore chiede al giudice – a titolo di risarcimento – direttamente la somma di denaro necessaria allo scopo di sostituire il debitore, ossia il valore di mercato della prestazione.

Come si vedrà, nulla sembra contraddire questo quadro per il sistema italiano, salvo un argomento che sarà esemplificato nella posizione di Domenico Rubino sull’appalto [10]. In Francia tale quadro mi pare invece trovi una conferma indiretta nella nuova coerenza che con la riforma è stata data tra il risarcimento e la sostituzione: per la sostituzione serve ora la semplice messa in mora (intimazione ad adempiere) ed è la stessa messa in mora che serve per ottenere il risarcimento ai sensi dell’art. 1231 [11]. In Italia la distanza tra i due rimedi è apparentemente, invece, ben più significativa, e dunque – in un ordine di idee suggerito da più parti – l’illogicità d’un creditore che preferisca la sostituzione al risarcimento appare ancora più marcata [12]: da un lato il risarcimento non è vincolato alla messa in mora [13], ed è dunque più libero e rapido dell’omologo francese, dall’altro la sostituzione del debitore è sottoposta ad un meccanismo più complesso della semplice autorizzazione (art. 2931 cod. civ.), ed è dunque meno libero e rapido dello stesso meccanismo francese pre-riforma, e a maggior ragione di quello post-riforma.

 

[1] Questo il testo: [primo comma] «Dopo la messa in mora, il creditore può altresì [ossia oltre l’azione di adempimento del precedente art. 1221], entro un termine ragionevole e a costi ragionevoli, far eseguire lui stesso l’obbligazione ovvero, previa autorizzazione del giudice, distruggere quanto fatto in violazione di essa. Può chiedere al debitore il rimborso delle somme impegnate a tal fine. [Secondo comma] Può anche chiedere in giudizio che il debitore anticipi le somme necessarie per questa esecuzione o per questa distruzione». Nel proseguo non mi occuperò del diverso regime che governa la distruzione di quanto fatto in violazione dell’obbligazione, mentre due cenni all’anticipo del denaro previsto da questo secondo comma si troveranno infra note 8 e 92.

[2] Rapport au Président de la République relatif à l’ordonnance n° 2016-131 du 10 février 2016 portant réforme du droit des contrats, du régime général et de la preuve des obligations: «l’article 1222 facilite la faculté de remplacement par le créancier lui-même, puisqu’il supprime l’exigence d’une autorisation judiciaire préalable pour faire procéder à l’exécution de l’obligation».

[3] M. Faure-Abbad, Article 1222: la faculté de remplacement, in RDC, 2016, 784; D. Mazeaud, La place du juge en droit des contrats, in RDC, 2016, 353 ss. e spec. par. 28-29; Id. L’exécution forceé en nature dans la réforme du droit des contrats, in Recueil Dalloz, 2016, 2482; M. Mekki, Le juge et les remèdes à l’inexécution du contrat, in RDC, 2016, 400 ss.; L. Bottin, Las sanction de l’inexécution après la réforme du droit des contrats, Paris, 2020, 41; Y-M. Laithier, O. Deshayes, T. Genicon, Réforme du droit des contrats, du régime général et de la preuve des obligations: commentaire article par article, Paris, 2016, 490-491; cfr. anche D. Plantamp, Le particularisme du remplacement dans la vente commerciale, in Recueil Dalloz, 2010, 247 e per la letteratura italiana v. F. Piraino, L’adempimento in natura alla luce della riforma del code civil, in Giur. it., 2018, 1281.

[4] Tale disintermediazione è guardata con tendenziale favore, rafforza il credito velocizzando la sua soddisfazione. Analoga linea si registra in Italia in particolare sul tema delle garanzie del credito (v. da ultimo V. Confortini, Primato del credito, Napoli, 2020, passim, ma v. 17 ss.). Si è parlato di «effettività in-vece del processo»: A. Zoppini, L’effettività in-vece del processo, in Riv. dir. proc., 2019, p. 679 (pubblicato anche in Processo e tecniche di attuazione dei diritti. Omaggio a Salvatore Mazzamuto, a cura di G. Grisi, Napoli, 2019). Nel mirino c’è il “monopolio statuale sull’esecuzione”, autoritarismo accentrato in mano pubblica, agli antipodi del quale si colloca il rischio di un autoritarismo privato diffuso che si proietta nel momento più delicato delle vicende economiche individuali, quello in cui il patrimonio del debitore viene aggredito e con esso la sua condizione materiale di vita. Cfr. V. Confortini, Primato del credito, cit., 20: «intorno agli spazi di autonomia privata nella tutela del credito si agita un problema di ripartizione del potere; per di più, sul confine del baluardo ultimo e supremo che è il monopolio statuale dell’uso della forza».

[5] Cfr., tra gli altri, V. Confortini, Primato del credito, cit., passim e spec. 31.

[6] Rapport au Président, cit.: «Le contrôle du juge n’intervenant qu’a posteriori en cas de refus du débiteur de payer ou de contestation de celui-ci». Cfr. M. Faure-Abbad, Article 1222: la faculté de remplacement, cit., 789.

[7] Cfr. la «déjudiciarisation limitée» che si legge in: H. Boucard, Les sanction de l’inexécution contractuelle, de l’art de faire du neuf avec du vieux, et réciproquement, in La réforme du droit français des contrats, dir. par B. Fauvarque-Cosson, G. Wicker, Paris, 2019, 165. L’idea contraria a quella presentata nel testo si legge in D. Mazeaud, L’exécution forceé en nature dans la réforme du droit des contrats, cit., 2482. In questo stesso solco v. la modifica all’art. 1222 proposta da C. Grimaldi, Proposition de modification de l’article 1222 du Code civil: l’exécution aux frais du débiteur, in RDC, 2017, 192 che ben vedrebbe il ritorno all’autorizzazione giudiziale in caso di esplicito rifiuto del debitore di procedere all’esecuzione là dove tale rifiuto sia motivato da una dichiarata sproporzione tra costo di esecuzione e interesse del creditore (ex art. 1221). La proposta sembra in bilico tra due diverse esigenze: armonizzare gli artt. 1221 e 1222 e garantire la tutela del legittimo rifiuto del debitore. L’ordine di idee proposto nel testo porta a sminuire questa seconda esigenza. Il debitore vede tutelata la sua posizione in sede di (negata) condanna al rimborso delle spese, nella stessa identica forma con cui sarebbe tutelato dalla (negata) autorizzazione giudiziale alla sostituzione.

[8] Il quadro può dirsi confermato dal secondo comma dell’art. 1222 a mente del quale, là dove il creditore volesse obbligare il debitore ad anticipargli le spese per la sostituzione, così determinando una modifica nella situazione sostanziale di quest’ultimo, il passaggio giudiziale resta imprescindibile. Potrebbe essere obiettato che, richiesta di anticipo o meno, la situazione del debitore è comunque cambiata essendo in entrambi i casi convertito in denaro l’oggetto della sua prestazione. È pertanto bene precisare che in caso di sostituzione tramite intimazione ad adempiere (messa in mora) non si assiste all’automatica conversione dell’obbligazione – cosa che invece avviene con la richiesta giudiziale dell’anticipo – poiché al debitore che voglia contestare la trasformazione (vuoi perché l’inadempimento non c’è stato o era scusabile, il termine concessogli irragionevolmente breve o la spesa di rimpiazzo irragionevolmente alta) basterebbe restare inerte e aspettare che, su domanda del creditore, un giudice accerti la (non) legittimità della pretesa cui si oppone. In altre parole bisogna osservare che quando vi è la necessità di mettere effettivamente la mano nel patrimonio del debitore (modificandone la sostanza) serve sempre un giudice, e si mette effettivamente questa mano solo in caso di condanna alle spese già sostenute o al loro anticipo. In entrambi questi casi, dunque, il giudice controllerà la pretesa del creditore prima che la modifica si compia, ed è per questo che definisco tale controllo ex ante.

[9] Disputa che affonda le sue radici probabilmente nell’idea che le obbligazioni di fare trovino esclusiva tutela nel risarcimento per equivalente, secondo la nota e controversa impostazione al tempo portata con forza da S. Satta, L’esecuzione forzata4, Torino, 1963, 18. Idea che si trova come noto in Pothier sebbene anche lì contraddetta sul tema delle obbligazioni negative come segnala G. Borrè, Esecuzione forzata degli obblighi di fare e non fare, Napoli, 1966, 19 (stesso rilievo in P. Wéry, L’exécution en nature de l’obligation contractuelle et la réparation en nature du dommage contractuel, in Le sancions de l’inexécution des obligationes contrattuelles, dir. par M. Fontaine, G. Viney, Bruxelles-Paris, 2001, 249, nota 178). Resiste poi per lungo tempo l’opinione che la sostituzione non sia altro che un risarcimento quantificato a posteriori e dunque più esatto rispetto al suo equivalente determinato ex ante (così, al tempo, M.L. Larombiere, Thèorie et pratique des obbligations, Paris, 1862, I, 369, n. 3). Per un’introduzione al tema v., tra gli altri, il menzionato G. Borrè, Esecuzione forzata, cit., 54 ss.; A. di Majo, Le tutele contrattuali, Torino, 2009, 133; I. Pagni, Tutela specifica e tutela per equivalente, Milano, 2004, 36; G. Amadio, Lezioni di diritto civile4, Torino, 2020, 73 ss. Per la dottrina francese v. Y.M. Laithier, Étude comparative des sanctions de l’inexécution du contrat, Paris, 2004, 76 ss. e spec. 83 che offre una panoramica delle ricostruzioni d’oltralpe tra le quali merita d’essere menzionata quella della qualification mixte, ossia, nella sintesi di Laithier: «exécution en nature pour le créancier, exécution par équivalent pour le débiteur». Per la dottrina francese v. anche (il belga) P. Wéry, L’exécution en nature de l’obligation contractuelle et la réparation en nature du dommage contractuel, cit., 248 ss.; G. Viney, Exécution de l’obligation, faculté de replacement et reparation en nature en droit français, in Le sancions de l’inexécution des obligationes contrattuelles, cit., 188 ss. e spec. 192 ss. e 200 ss.; G. Viney, P. Jourdain, Les effets de la responsabilité2, Traité de droit civil, Paris, 2001, 51; V. Forti, L’exécution en nature, in Répertoire de droit civil, Paris, 2016, par. 105. Tornerò diffusamente nel testo sul rapporto tra la sostituzione del debitore e il risarcimento per poi fermare uno spunto di soluzione – ma giusto di uno spunto si tratta – all’ultima nota di queste pagine (infra nota 92).

[10] Infra par. 3. Il quadro appare contraddetto anche da quelle ricostruzioni che non ritengono il semplice ritardo sufficiente per accedere al risarcimento sostitutivo della prestazione (v. ad es. G. Grisi, Inadempimento e fondamento dell’obbligazione risarcitoria, in Studi in onore di Davide Messinetti, II, a cura di F. Ruscello, Napoli, 2009, 115 ss.). V. infra note 87 e 88. Prenderò a contraddittore Domenico Rubino poiché nelle sue pagine è centrale l’art. 2931 cod. civ., ossia proprio la forma che – si vedrà a breve – potrebbe aver assunto nel nostro sistema la faculté de remplacement.

[11] A mente del quale «salvo che l’inadempimento sia definitivo, il risarcimento è dovuto solo se il debitore è stato preventivamente diffidato ad adempiere [mis en demeure] entro un termine ragionevole». Cfr. H. Boucard, Responsabilité contractuelle, Paris, 2019, 154 ss.

[12] S. Satta, L’esecuzione forzata4, cit., 273: «a nessuno salterebbe in mente di pensare che se un pittore mi ha promesso di dipingere un quadro o un operaio di compiere un certo lavoro io possa cercare nell’esecuzione forzata il rimedio contro l’inadempimento. Se sarà possibile io farò dipingere il quadro da un altro pittore, o farò fare il lavoro da un altro operaio, e mi rivolgerò all’inadempiente per le maggiori spese per il risarcimento». Cfr. G. Borrè, Esecuzione forzata, cit., 109. È in tale ordine di idee che si muove P. Trimarchi, Il contratto: inadempimento e rimedi, Milano, 2010, 60 là dove scrive che rispetto l’art. 2931 cod. civ.: «è più semplice per l’avente diritto chiedere la condanna al pagamento di un’adeguata somma di denaro, che potrà poi utilizzare per l’esecuzione dell’opera».

[13] G. Grisi, La mora debendi nel sistema della responsabilità per inadempimento, in Riv. dir. civ. 2010, 73: «né nell’art. 1223 cod. civ., né in altra disposizione [è] espressamente prevista una regola tanto rilevante», v. però nello stesso testo le pp. 78 ss. e infra nota 88.


2. L’art. 2931 del codice civile italiano e la differenza con il vecchio art. 1144 francese. Sviluppo del rapporto con il risarcimento del danno

È utile muovere dall’idea che il nostro art. 2931 cod. civ. – «se non è adempiuto un obbligo di fare, l’avente diritto può ottenere che esso sia eseguito a spese dell’obbligato nelle forme stabilite dal codice di procedura civile» – corrisponda in qualche modo al vecchio 1144 francese [1]. Una pagina di Vittorio Polacco testimonia la trasformazione di quest’ultimo nel primo [2]. Fosse effettivamente così sarebbe agevole concludere che l’eventuale recepimento nel nostro ordinamento di questo nuovo art. 1222 liberi la soddisfazione del creditore non da uno, ma da due giudici. Rispetto al modello francese, il meccanismo italiano si differenzia infatti per un dettaglio significativo sintetizzato in un semplice mutamento di vocabolo: in Francia il giudice autorizzava la sostituzione del debitore, in Italia invece il creditore può ottenere che l’adempimento sia dato a spese del debitore [3]. Il cambio di formula si deve al rinvio che il nostro art. 2931 cod. civ. fa al codice di procedura ed in particolare all’art. 612 cod. proc. civ. dove si legge di un giudice dell’esecuzione che – sentita la parte obbligata – decide la modalità e i soggetti chiamati a sostituirsi al debitore. In Francia, invece, ex art. 1144 abr., nulla impediva che fosse lo stesso creditore a scegliere modalità e soggetti [4]. E così in Francia il creditore veniva autorizzato, mentre in Italia gli viene chiesto di aspettare che il giudice della cognizione e quello dell’esecuzione si adoperino per fargli ottenere la prestazione [5]. Alla luce di tale itinerario si affaccia l’ipotesi che una disposizione analoga a questo nuovo art. 1222 francese, nel nostro ordinamento, finirebbe per togliere i due giudici che ‘fanno ottenere’ così come raggiunge l’effetto di togliere l’unico giudice che in Francia ‘autorizzava’.

Il panorama è però ben più complicato e intercetta punti nebulosi del sistema nostrano. Pensare questo nuovo art. 1222 francese operativo nel nostro ordinamento appare un esperimento mentale in grado di porre in evidenza tali punti oscuri e indagare questioni rilevanti come – ad esempio e per anticipare un tema su cui avrò modo di soffermarmi – l’esistenza o meno di un dovere del creditore di tollerare l’inadempimento.

Il discorso può cominciare rilevando altre due differenze del sistema italiano rispetto al modello francese: la prima è il dovere di mitigare il danno ex art. 1227 cod. civ. [6]; la seconda è la disciplina della compravendita in danno ex artt. 1515 ss. Questi due temi incidono direttamente sul nostro come prova il fatto che grossomodo incarnano le due eccezioni che furono configurate in Francia in riferimento all’operatività dell’art. 1144 abr. L’autorizzazione giudiziale alla sostituzione del debitore non serve, si diceva in Francia, in due casi: l’urgenza [7] e i rapporti commerciali [8]. L’urgenza si sovrappone praticamente al nostro dovere di minimizzare il danno, sebbene in Italia salti all’evidenza che il creditore, in determinati casi, non solo può sostituire il debitore senza passare per l’art. 2931 cod. civ., ma addirittura deve (o ha l’onere di) [9]. Più significativa è però la disciplina degli artt. 1515 ss. che ricalca – ma modifica profondamente – quella che in Francia appare come l’eccezione dei rapporti commerciali [10]. Ricordo che la disciplina degli art. 1515 ss. non deriva dal codice civile del 1865 (e dunque da quello francese del 1804), ma da quello di commercio del 1882 (art. 68) [11]. La natura del rimedio è però cambiata nel trasferimento di sede. Quella che era una disciplina speciale dei rapporti commerciali – come, ripeto, è tutt’ora in Francia – diventa una disciplina generale del più importante tipo contrattuale, la vendita.

Eccoci all’alternativa: il nuovo art. 1222 potrebbe non comportare in Italia una modifica alla disciplina inscritta nell’art. 2931 cod. civ., ma una generalizzazione di quella degli art. 1515 ss. Se la riforma francese non facesse altro che assecondare la medesima linea che troviamo agli art. 1515 ss., ebbene ci troveremmo dinnanzi a ciò che in Italia prese al tempo il nome di “commercializzazione del diritto civile”. Osservazione ben più importante: se così fosse nel sistema italiano potrebbe cambiare poco, essendo ben sedimentata l’idea – perlomeno in giurisprudenza, in dottrina troviamo la posizione che esemplificherò con il menzionato Rubino – che il «principio di cui è espressione» tale disciplina sia assolutamente generalizzabile [12].

Spiego questo ‘principio’ prendendo la compera in danno che – al contrario della vendita in danno – è precisamente un’ipotesi di adempimento a spese del debitore inadempiente [13], una faculté de remplacement e, in quanto tale, di riflesso dal secolare dibattito menzionato in apertura, vede la sua natura discussa tra attuazione dell’obbligazione e risarcimento del danno [14]. L’art. 1516 cod. civ. prevede un limite di operatività e un vincolo procedimentale (che fece guadagnare al meccanismo la qualifica di «esercizio controllato del diritto» [15]): può riguardare solo beni mobili aventi un prezzo di mercato ex art. 1515 cod. civ. e deve essere fatta da persone determinate (ufficiale giudiziario, commissario nominato dal tribunale e, ex art. 83 disp. att., agenti di cambio e mediatori iscritti in apposito albo). Fuori dalla condizione d’operatività o là dove non volesse sottomettersi al menzionato vincolo procedimentale, il creditore appare comunque libero di procedere da sé alla compera salvo poi farsi rimborsare tale somma a titolo di risarcimento. La giurisprudenza sul punto sembra pacifica [16] e questo è il nucleo operativo della compera in danno, ossia l’espressione del “principio” detto sopra. Che questo nucleo possa prendere la forma del classico danno contrattuale ex art. 1223 cod. civ. spiega lo scarso utilizzo del preciso meccanismo dell’art. 1516 cod. civ. testimoniato dai pochi precedenti giurisprudenziali che lo trattano [17]. Salvo una relativa sicurezza sull’entità del rimborso, il creditore non ha ragione di esercitare il suo diritto in maniera controllata là dove gli viene concesso di attuarlo in autonomia. Per quel che qui interessa si può dunque annotare che, perlomeno nella ricostruzione dominante, «l’acquisto delle cose sul mercato è, in sé per sé, esercizio di un potere sostanziale spettante al creditore e inerente alla sua sfera di autonomia» [18].

Questo potere sostanziale si pone forse (e questo ‘forse’ preciserò a breve) in contrasto con l’art. 2931 cod. civ., ma salta meglio all’evidenza come tale potere si ponga in termini incompatibili con il vecchio art. 1144 francese [19]: non serve alcuna autorizzazione giudiziale per procedere alla compera – che è comunque una forma di attuazione – in danno. E infatti, come detto, in Francia la stessa disciplina era considerata eccezione all’art. 1144 abr., ma è un’eccezione che veniva giustificata con la peculiarità dei rapporti mercantili. In Italia tale disciplina non sembra invece interferire in alcun modo con l’art. 2931 cod. civ. [20], forse anche perché “civilizzata” e dunque difficilmente eccezionale.

Non è utile individuare una qualche specialità delle obbligazioni di dare rispetto a quelle di fare [21]. Anche a queste si applica il “nucleo” della compera in danno confermando l’esistenza d’un potere sostanziale del creditore frustrato di tornare sul mercato in autonomia. Prendo il contratto di appalto e così mi avvicino a Rubino. Art. 1668: «il committente può chiedere che le difformità o i vizi siano eliminati a spese del­l’appaltatore». L’esecuzione in danno deve qui prendere la forma dell’art. 2931 cod. civ.? C’è bisogno perciò di un giudice che condanna e un altro che controlla l’esecuzione o il committente può fare da sé e poi chiedere il risarcimento di quanto ha speso? Può fare da sé, è l’opinione maggioritaria (talvolta precisata: ma solo dopo aver chiesto al debitore l’esatto adempimento [22]); deve comunque passare per l’art. 2931 cod. civ., ritiene Rubino.

La ragione del può fare da sé è semplice: «altrimenti argomentando» dice la nostra Cassazione, «si perverrebbe irragionevolmente alla negazione del riconoscimento di un risarcimento per equivalente […] laddove esso possa sortire (anche) gli effetti di una non proposta domanda risarcitoria in forma specifica» [23]. Che l’esecuzione in danno produca l’effetto di un risarcimento in forma specifica è controverso, per il nostro tema è sufficiente però osservare come torni così l’intricato rapporto del rimedio in analisi con il risarcimento del danno: basta chiamarla risarcimento e la sostituzione del debitore a spese di quest’ultimo viene liberata dalle stringenti maglie dell’art. 2931 cod. civ.

Di riflesso il quadro è definitivamente confermato da chi ritiene che l’art. 2931 cod. civ. sia necessario solo là dove l’adempimento del terzo non possa darsi senza una violazione della sfera possessoria del debitore, dato che solo in tale ipotesi si configura un ostacolo giuridico al potere sostanziale del creditore di reperire sul mercato la prestazione che gli era dovuta [24]. L’affermazione ci pare dominante e dominante dovrà allora considerarsi anche il suo corollario: se non c’è da invadere la sfera possessoria del debitore il creditore potrà sempre fare da sé. In tale ottica, concludo, l’art. 2931 cod. civ. non può dirsi la sede nella nostrana faculté de remplacement, occupandosi di una particolare ipotesi all’infuori della quale la sostituzione del debitore appare senza specifica disciplina nel nostro codice.

Ben si spiega in tal modo come il “principio di cui è espressione” l’art. 1516 cod. civ. possa non apparire in contraddizione con l’art. 2931 cod. civ., ed anzi inizia a chiarificarsi l’itinerario storico che ha portato tale principio a guadagnare quello spazio altrimenti precluso dal vecchio art. 1144 abr. francese o dall’analogo art. 1220 del nostro codice del 1865.

 

[1] F.D. Busnelli, Dell’esecuzione forzata, in Della tutela dei diritti2, a cura di L. Bigliazzi Geri, D.D. Busnelli, R. Romeo, Torino, 1980, 358 che, deve essere precisato, prende come riferimento l’art. 1220 del codice del 1865 corrispondente al vecchio art. 1144 francese.

[2] V. Polacco, Le obbligazioni, Roma, 1915, 566-567.

[3] Cfr. I. Pagni, Tutela specifica e tutela per equivalente, cit., 31.

[4] Cfr. G. Viney, P. Jourdain, Les effets de la responsabilité2, cit., 53; P. Wéry, L’exécution en nature de l’obligation contractuelle et la réparation en nature du dommage contractuel, cit., 250-251.

[5] Cfr. S. Satta, L’esecuzione forzata4, cit., 273; F.D. Busnelli, Dell’esecuzione forzata, cit., 358; S. Mazzamuto, Dell’ese­cuzione forzata, in Comm. Scialoja-Branca-Galgano, Bologna, 2020, 584 ss. e 591 ss. Il legislatore italiano del ‘42 potrebbe dunque aver superato il suo modello francese in diffidenza nei confronti d’una esecuzione lasciata ai privati. V. F. Piraino, L’adempimento in natura alla luce della riforma del code civil, cit., 1283 che parla di una «scelta di giurisdizionalizzare l’esecuzione forzata, abbandonando il modello francese dell’attuazione del diritto sotto controllo giudiziale per affidare la realizzazione forzata dei diritti all’ufficio del giudice, come sancito dagli artt. 2910 e segg. cod. civ., in ossequio al principio del monopolio statuale della giurisdizione». Torna così il tema del “monopolio statuale sulla esecuzione” (v. sopra nota n. 4) a sua volta espressione di quello stato forte che ritiene di dovere – e dunque anche di potere – mediare da vicino i conflitti tra privati. L’esecuzione presuppone un inadempimento e perciò una situazione già conflittuale tra le parti, lo Stato nel ’42, in quest’ottica, sembra dire al creditore di mettersi da parte e lasciar fare al giudice. Anticipo che, come a breve si comincerà a sostenere nel testo, la questione è più complessa poiché al netto di possibili e fondate indagini sulla reale intenzione del legislatore del ’42, l’art. 2931 cod. civ. mi pare abbia acquistato un significato ben distante dal suo precedente francese dell’art. 1144. V. infra spec. par. 3.

[6] Per l’introduzione di tale dovere nel sistema francese v. l’art. 1263 del Projet de reforme de la responsabilite civile del 13 marzo 2017 e l’inquadramento di tale disposizione che si trova in A. Cinque, Il concorso del fatto colposo del creditore, in Eur. dir. priv., 2020, 149 ss.

[7] Civ., 2 luglio 1945, D. 1946. 4, in RTDciv. 1946. 39, os. J. Carbonnier; Civ. 7 dicembre 1951, D. 1952. 144; L. Bottin, Las sanction de l’inexécution après la réforme du droit des contrats, cit., 40; G. Viney, P. Jourdain, Les effets de la responsabilité2, cit., 50. Per il diritto belga P. Wéry, L’exécution en nature de l’obligation contractuelle et la réparation en nature du dommage contractuel, cit., 258. La condizione relativa all’urgenza è verificata a posteriori dal giudice quando è chiamato a condannare il debitore inadempiente alle spese di sostituzione.

[8] V. ad es. G. Viney, P. Jourdain, Les effets de la responsabilité2, cit., 50; G. Viney, Exécution de l’obligation, faculté de replacement et reparation en nature en droit français, cit., 191; V. Forti, L’exécution en nature, cit., par. 100. Per un’indagine centrata sulla facoltà di rimpiazzo nella vendita commerciale v. D. Plantamp, Le particularisme du remplacement dans la vente commerciale, cit., 243 ss. Per il diritto belga v. P. Wéry, L’exécution en nature de l’obligation contractuelle et la réparation en nature du dommage contractuel, cit., 257. È lungo tale direttrice che il nuovo art. 1222 può dirsi ispirato a meccanismi consacrati dal diritto commerciale: L. Bottin, Las sanction de l’inexécution après la réforme du droit des contrats, cit., 39-40; D. Mazeaud, L’exécution forceé en nature dans la réforme du droit des contrats, cit., 2482.

[9] Cfr. P. Wéry, L’exécution en nature de l’obligation contractuelle et la réparation en nature du dommage contractuel, cit., 260. Quanto nel testo viene confermato in riferimento ai Principi Unidroit da S. Eberhard, Les sancion de l’inexecution du contrat et les Principes UNIDRIOIT, Lausanne, 2005, 217-218. Sottolinea che nell’art. 1222 francese non sia iscritto un dovere di mitigare il danno Y.M. Laithier, Les règles relatives à l’inexécution des obligations contractuelles, in La semaine juridique, Supplément au n. 21, 2015, 53.

[10] Cfr. G. Viney, P. Jourdain, Les effets de la responsabilité2, cit., 50.

[11] Per i tratti essenziali di tale vicenda storica v. L. Follieri, La compravendita in danno, in Obb. e contr. 2012, 125 ss.

[12] V. ad es. P. Trimarchi, Il contratto: inadempimento e rimedi, Milano, 2010, 117 da cui ho preso la formula «principio di cui è espressione».

[13] D. Rubino, La compravendita2, Milano, 1962, 928.

[14] Tra gli altri: G. Borrè, Esecuzione forzata, cit., 97 ss.; D. Rubino, La compravendita2, cit., 926 A. Luminoso, La vendita, Milano, 2014, 638-639; C. Castronovo, Responsabilità civile, Milano, 2018, 933-934; L. Follieri, La compravendita in danno, cit., 127.

[15] V. ad es. V. Denti, L’esecuzione in forma specifica, Milano, 1953, 34.

[16] V. ad es. Cass. 30 maggio 2014, n. 12272, in banca dati Dejure: «In tema di vendita di cose mobili, in caso di inadempimento od inesatto adempimento del venditore, il compratore, che non possa avvalersi della facoltà prevista dal primo comma dell’art. 1516 cod. civ. ed acquisti altrove le cose oggetto della vendita, ha diritto ad ottenere il risarcimento del danno corrispondente alla differenza tra l’ammontare della spesa occorsa per l’acquisto ed il prezzo convenuto, purché dimostri di avere acquistato le stesse cose o altre aventi le medesime caratteristiche qualitative». V. anche Cass. 27 agosto 1990, n. 8840, in banca dati Dejure.

[17] Tra questi pochi precedenti v. ad es. la recente Trib. Forlì 10 maggio 2021, n. 541, in banca dati Dejure.

[18] Così G. Borrè, Esecuzione forzata, cit., 98.

[19] In riferimento all’abrogato art. 1220 del codice del 1865 v. un analogo spunto in L. Follieri, La compravendita in danno, cit., 125.

[20] Il problema viene individuato anche da G. Borrè, Esecuzione forzata, cit., 99. Una interferenza registra coerentemente, invece, D. Rubino, La compravendita2, cit., 929 ss. Uno spunto sulla distanza tra i due articoli si trova anche in F.D. Busnelli, Del­l’esecuzione forzata, cit., 363.

[21] Contro, per ragioni che andranno chiarendosi, D. Rubino, La compravendita2, cit., 292 ss.

[22] E. Lucchini Guastalla, La risoluzione di diritto per inadempimento dell’appaltatore, Milano, 2002, 102.

[23] Così Cass. 14 maggio 2015, n. 9879, in banca dati Pluris, interessante anche per la disamina lì contenuta dei precedenti giurisprudenziali solo apparentemente (a dire di questa sentenza) contrastanti. Nella stessa direzione: Cass. 7 aprile 2014, n. 8098, in banca dati Pluris; Cass. 14 luglio 2011, n. 15520, in banca dati Pluris e la giurisprudenza riportata da M. Dellacasa, La garanzia per vizi e difformità: i rimedi, in Trattato dei contratti, a cura di V. Roppo, III, Opere e servizi-1, Milano, 2014, 389, nota 12. Per quanto interessa a queste pagine, un po’ ambigua è Cass. 1 marzo 1995, n. 2346, in banca dati Pluris (ripresa sul punto anche da Cass. 16 marzo 2011, n. 6181, in banca dati Pluris), dove prima si legge che «il committente che lamenti difformità o difetti dell’opera può richiedere, a norma dell’art. 1668 cod. civ., comma 1, che le difformità o i difetti siano eliminati a spese dell’appaltatore mediante condanna da eseguirsi nelle forme previste dall’art. 2931 c.c.», ma poi precisa che le «spese di rifacimento che il committente abbia provveduto a fare eseguire direttamente» possono essere risarcite in quanto «pregiudizio che non [è] eliminabile mediante un nuovo intervento dell’appaltatore». Esplicitamente contraria sembra invece la recente Cass. 23 agosto 2021, n. 23291, in banca dati Dejure: «il risarcimento per equivalente ancorato all’entità delle somme necessarie per l’eliminazione di difetti può essere richiesto allorché sia stata svolta domanda di eliminazione delle difformità e dei difetti a cura e spese dell’appaltatore» e «l’eliminazione delle difformità o dei difetti dell’opera a spese dell’appaltatore [deve avvenire] ex art. 2931 cod. civ.», ma qui va osservato che il frammento riportato costituisce un obiter poiché il committente non aveva chiesto né l’eliminazione del vizio né il risarcimento sostitutivo, bensì la riduzione del prezzo.

[24] Convincente sul punto: G. Borrè, Esecuzione forzata, cit., 100 ss., sebbene sia opinabile che là dove non ci sia da invadere la sfera possessoria del debitore il rimedio dell’art. 2931 cod. civ. resti precluso, dato che tale rimedio può utilmente tutelare l’interesse del creditore alla sicurezza del quantum del rimborso. V. sul tema generale I. Pagni, Tutela specifica e tutela per equivalente, cit., 35 e la dottrina lì citata alla nota 71. V. anche S. Mazzamuto, Dell’esecuzione forzata, cit., 580 e 596 ss. e M. Cirulli, Parti e terzi nell’esecuzione degli obblighi di fare e di non fare, in Esecuz. forz. 2018, 257: «se il creditore può conseguire l’utilità materiale che gli spetta sostituendosi al debitore senza privarlo, nemmeno temporaneamente (i.e. per il tempo necessario al compimento delle operazioni materiali), della detenzione o del possesso, non ha necessità di promuovere l’esecuzione in forma specifica: opererà sul proprio bene, salvo chiedere all’obbligato (in sede cognitiva) il rimborso della spesa ed il risarcimento del maggior danno».


3. Conversione in denaro della prestazione e dovere di tollerare l’inadempimento

Arrivo finalmente a Rubino e all’idea che il passaggio dall’art. 2931 cod. civ. sia invece imprescindibile [1]. Siamo in tema di appalto e l’appalto è un contratto particolare [2], ma una qualche generalizzazione di quanto segue sembra comunque possibile. L’esigenza da cui muove Rubino è quella di tutelare il debitore; debitore a cui il fare del terzo chiamato in sostituzione costerà più della prestazione eseguita personalmente dovendo necessariamente comprendere anche il lucro di questo terzo [3]. Il commento ufficiale dei Principi Unidroit aggiunge un argomento che proietta il tema oltre la correzione dell’adempimento inesatto e l’ap­palto: sebbene non sia riuscito a rispettare il termine per adempiere, il debitore, qualunque sia il suo obbligo, potrebbe aver già preparato la prestazione o comunque sostenuto delle spese in tale direzione [4]. Quello che configura Rubino è un diritto (che preferisce chiamare legittimo interesse [5]) di correggere il proprio adempimento inesatto che diventa però anche un diritto a consegnare in ritardo la propria prestazione.

Primato dell’adempimento in natura [6] a tutela debitore [7], dunque; da non confondere con il suo – meno controverso – omologo a tutela del creditore, ossia la confutazione della libertà dell’obbligato di scegliere se adempiere o risarcire. Primato dell’adempimento in natura a tutela del debitore, dicevo, che prende la forma d’un divieto in capo al creditore di procedere con disinvoltura – sua sponte, al di fuori di ogni dialogo e controllo – alla sostituzione del debitore inadempiente, ossia alla conversione dell’obbligazione in obbligazione pecuniaria. La conclusione di Rubino è che se il creditore procede da sé alla sostituzione, fuori dal meccanismo dell’art. 2931 cod. civ., non avrà diritto ad alcun risarcimento [8].

Provo a inquadrare l’idea di Rubino in un dibattito più ampio fermando due semplici considerazioni. Alla domanda su quali siano i meccanismi e presupposti della trasformazione della prestazione nell’equivalente in denaro [9], sembra che Rubino risponda: meccanismi e presupposti dell’art. 2931 cod. civ. All’affermazione: «se la prestazione in natura è ancora possibile, il debitore [non può] essere costretto, con una semplice azione di responsabilità, a pagare i danni in luogo dell’adempimento» [10], sembra che Rubino aggiunga: non basta la semplice azione di responsabilità perché è necessario il procedimento dell’art. 2931 cod. civ. Riannodando il discorso al nuovo art. 1222 si potrebbe concludere che – accolta l’impostazione di Rubino – l’eventuale recepimento nel nostro sistema della modifica francese finisca effettivamente per liberare il meccanismo della sostituzione non dall’unico giudice che in Francia autorizzava, ma dai due giudici che in Italia fanno ottenere. È possibile che legislatore francese della riforma abbia attributo al vecchio art. 1144 un significato analogo a quello che Rubino finisce per assegnare all’art. 2931 cod. civ., ossia configurare un limite al potere del creditore di convertire in denaro l’obbligazione.

Torno all’autorizzazione dell’art. 1144 abr. Esistevano varie letture dello scopo di questa autorizzazione [11], ma pare verosimile che il legislatore della riforma abbia sposato l’idea che questa servisse per concedere un termine di grazia al debitore [12]: il giudice francese avrebbe autorizzato la sostituzione solo là dove gli fosse sembrato irragionevole confidare ancora nel debitore inadempiente. Possibilità di concedere un termine di grazia imprescindibile nella disciplina della risoluzione per inadempimento pre-riforma (art. 1184 abr.) [13] e che sparisce da questa e da quella sostituito in entrambe dalla semplice messa in mora del debitore. Una messa in mora a cui viene comunque riconosciuta la funzione di consegnare una ultima chance al debitore di adempiere spontaneamente [14]; un debitore su cui così ricadrà la scelta – purché il creditore non abbia un interesse specifico, ma in tal caso quest’ultimo agirà ex art. 1221 – tra adempiere o sopportare le conseguenze economiche dell’inadempimento [15]. Là dove prima serviva un “timbro giudiziale” per liberare il creditore dal diritto del debitore ad eseguire, se pure in ritardo, la prestazione, ora basta la messa in mora, sia che l’obbiettivo sia la risoluzione sia che sia l’adempimento a spese del debitore. Tornerò a breve su questa armonia tra risoluzione e sostituzione del debitore.

Se il significato che il legislatore francese della riforma potrebbe aver dato all’art. 1144 abr. è proprio questa possibilità di correggere l’inadempimento che sopravvive sotto forma di messa in mora (intimazione ad adempiere) nel nuovo art. 1222 [16], non è però questo il significato che da noi ha assunto l’art. 2931 cod. civ. [17]. Marcando il profilo dell’esecuzione – ponendosi a stretto ridosso di due titoli esecutivi: quello che avvia il procedimento e quello che lo chiude, condannando il debitore al rimborso (cfr. art. 614 cod. proc. civ.) – l’art. 2931 cod. civ. smette di essere un “timbro giudiziale” sull’inadempimento e diventa una norma centrata sul post-inadempimento, per l’appunto l’esecuzione [18] assumendo la veste ultima di «particolare tecnica di attuazione del titolo esecutivo» [19]. Affrontando il tema da altro versante, quello che pone Rubino è un problema vero e sentito nella pratica degli affari [20] – come anche confermano i Principi Unidroit [21] – ma il passaggio obbligato dai due giudici dell’art. 2931 cod. civ. appare come una soluzione spropositata per risolverlo [22]: cosa c’entra il fatto che il giudice supervisioni l’esecuzione con il diritto del debitore di correggere il proprio inadempimento? [23].

Il punto della questione si potrebbe così individuare: non sembra esserci altra sede – nel nostro diritto positivo – che l’art. 2931 cod. civ. per tutelare questa “possibilità di rinnovare l’adempimento”, ma l’art. 2931 cod. civ., al contrario del suo antenato francese, si occupa oramai di altro [24]. Tramite la modifica dell’art 2931 cod. civ. rispetto all’art. 1144 abr. francese (o, meglio, art. 1220 del nostro codice del 1865) e in uno con la “civilizzazione” della disciplina della compera in danno, ciò che il nostro sistema positivo potrebbe aver perso è dunque proprio questo dovere di tolleranza nei confronti dell’inadempimento rilevante in sede di conversione dell’obbligazione inadempiuta in somma di denaro, o quanto meno – è bene precisare alla luce delle ricostruzioni dottrinali che riescono comunque a configurare tale dovere [25] – la sua forma tecnica.

Questo dovere di tolleranza emerge – ma il tema è notoriamente dibattuto [26] e certamente complicato dall’effetto preclusivo dell’adempimento tardivo della domanda giudiziale ex art. 1453 cod. civ. [27] – in tema di risoluzione sottoforma di giudizio sull’importanza dell’inadempimento (declinabile in giudizio sull’im­portanza del ritardo [28]), oppure di “congruo termine” nella risoluzione per diffida là dove si ritenga, come appare fondato ritenere, che in tal caso la risoluzione prescinda dal giudizio di gravità [29]: è la scadenza del termine – purché congruo – a qualificare come “grave” il ritardo, proprio perché “congruo termine” e “gravità dell’inadempimento” (ripeto: nel caso in cui l’inadempimento sia dia nella forma del ritardo) potrebbero [30] trovare il loro scopo comune nel dare la possibilità al debitore di correggere da sé il proprio inadempimento [31]. Possibilità che nella risoluzione per inadempimento appare anche sovra-tutelata rispetto a quanto la lettera della legge permetterebbe [32], ma che non sembra giocare alcun ruolo nella conversione in denaro della prestazione.

Tale conversione appare infatti libera e – mi pare confermi il tenore letterale dell’art. 1218 cod. civ.: «il debitore che non esegue (…) è tenuto al risarcimento» – condizionata solo al dato oggettivo dell’ina­dempimento [33]. Il debitore è tenuto al risarcimento purché il creditore non intenda insistere per l’adem­pimento e sempre che l’obbligazione non si sia estinta per impossibilità sopravvenuta non imputabile [34]. Entrambe le precisazioni hanno il suono dell’ovvietà, ma la prima è utile per porre in rilievo che in questa lettura la libertà di convertire in denaro l’obbligazione inadempiuta è prerogativa esclusiva del creditore. Da ciò precipita che il “primato dell’adempimento in natura” giova solo al creditore [35] e il diseguale operare della vincolatività del rapporto si può ben giustificare osservando che l’inadempimento è in sé un’ottima ragione di tale asimmetria. Debitore inadempiente e creditore frustrato non stanno sullo stesso piano, unificare le due posizioni sotto l’unica regola della non convertibilità in denaro dell’obbligazione inadempiuta significherebbe trattare in maniera uguale posizioni ben diverse finendo così per difendere, allo stesso modo e in virtù di un unico principio, il torto del primo e la ragione del secondo.

Tutto ciò serve per concludere: si può guardare con favore o sfavore al dovere di tolleranza del creditore nei confronti dell’inadempimento e chi fosse di questo secondo avviso avrebbe buon gioco nel ritenere il quadro italiano fin qui descritto frutto d’un precisa scelta legislativa indirizzata a «non indulgere eccessivamente verso il debitore [inadempiente]» [36].

 

[1] D. Rubino, G. Iudica, Dell’appalto4, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 2007, 405-406, 408. V. anche C. Romeo, I presupposti sostanziali della domanda di adempimento, Milano, 2008, 295. Attribuisco al solo Rubino l’idea espressa nel testo perché questa già si trova in D. Rubino, Dell’appalto, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1961, 239 ss.

[2] V. anche lo stesso D. Rubino, G. Iudica, Dell’appalto4, cit., 422-423 che comunque unifica appalto e vendita nella peculiarità – rilevante alla luce di quanto sarà detto nel testo – di non permettere un risarcimento del danno in via autonoma, ossia non collegato ad una risoluzione, né ad un’azione di esatto adempimento.

[3] D. Rubino, G. Iudica, Dell’appalto4, cit., 405-406. V. anche C. Romeo, I presupposti sostanziali della domanda di adempimento, cit., 294; M. Dellacasa, La garanzia per vizi e difformità: i rimedi, cit., 386. Preciso che tale argomento è concorrente, in Rubino, con la sicurezza del debitore di essere ancora ed effettivamente tale nel momento in cui si rifiuta di correggere il proprio inadempimento; sicurezza che, ritiene Rubino, si dà con certezza solo in caso di sentenza di condanna. Ciò che in quelle pagine si va anche configurando, mi pare, è dunque un “timbro giudiziale” sull’inadempimento; timbro su cui avrò modo di tornare a breve sebbene nella diversa declinazione orientata a liberare il creditore dalla prestazione del debitore. Che però nelle pagine di Rubino sia dominante l’argomento presentato nel testo mi sembra avvalorato anche dal piccolo inciso posto a conclusione di questo secondo argomento, ossia quello in cui l’Autore indica che dunque l’interesse del debitore ad eseguire personalmente la prestazione è tutelato anche dopo la sua chiamata in giudizio.

[4] Principi Unidroit, sub. Art. 7.2.5. Unidroit Principles, Of internationational commercial contracts, Roma, 2010, 248. V. anche S. Eberhard, Les sancion de l’inexecution du contrat et les Principes UNIDRIOIT, cit., 109 ss. Riprenderò il punto dei principi Unidroit infra nota 58.

[5] D. Rubino, G. Iudica, Dell’appalto4, cit., 405, nota 3.

[6] «Modo un po’ enfatico di evocare l’intangibilità ab uno latere del rapporto obbligatorio», così L. Nivarra, Diritto soggettivo, obbligazione, azione, in Teoria e storia del diritto privato, 2019, 91.

[7] Sul tema., ex multis A. di Majo, Le tutele contrattuali, cit., 135 ss.; U. Breccia, Le obbligazioni, Milano, 1991, 584; G, Grisi, Inadempimento e fondamento dell’obbligazione risarcitoria, cit., 121; A. Iuliani, Obblighi strumentali e azione di adempimento, Milano, 2018, 264 ss. e, per un’analitica panoramica, F. Piraino, Adempimento e responsabilità contrattuale, Napoli, 2011, spec. 196 ss. V. anche la posizione contraria di C. Castronovo, Spigolature da processo e tecniche di attuazione dei diritti, in Processo e tecniche di attuazione dei diritti, Omaggio a Salvatore Mazzamuto, cit., 711 ss. Per la Francia v. G. Viney, P. Jourdain, Les effets de la responsabilité2, cit., 52 che proprio in tema di remplacement si trovano a considerare il primauté de l’exécution en nature; P. Wéry, L’exécution en nature de l’obligation contractuelle et la réparation en nature du dommage contractuel, cit., 216-217. Tale primato trova talvolta riconoscimento in giurisprudenza, v. T.a.r. Lazio 8 gennaio 2019, n. 250: «l’azione risarcitoria può essere proposta in via autonoma solo ove l’adempimento della prestazione non sia più possibile, altrimenti consentendosi al creditore insoddisfatto di convertire unilateralmente l’obbligazione originariamente assunta dal debitore in una sorta di prestazione pecuniaria per equivalente», ma ciò non toglie, continua la sentenza «che il creditore possa pretendere il risarcimento per equivalente anche in via autonoma, quando sia oggettivamente venuto meno il suo interesse all’adempimento in forma specifica ovvero quando l’ina­dempimento sia, in concreto, definitivo e non più tollerabile».

[8] D. Rubino, G. Iudica, Dell’appalto4, cit., 406, resterebbe intatto solo il diritto alla riduzione del prezzo. Preciso che il risarcimento cui mi riferisco nel testo è il c.d. risarcimento sostitutivo della prestazione, il danno da ritardo o all’interesse conservativo del creditore (tutela dell’appartenenza), ossia un danno alla persona o altre cose del creditore restano logicamente al di fuori del meccanismo dell’art. 2931, come viene indicato anche in D. Rubino, G. Iudica, Dell’appalto4, cit., 422.

[9] Cfr. A. Belfiore, Inattuazione dello scambio per causa imputabile al debitore e tecniche di tutela del debitore: la conversione della prestazione in natura in prestazione per equivalente, in Riv. crit. dir. priv., 1987, 227. Sul problema v. anche A. Luminoso, La tutela risarcitoria nella manutenzione del contratto, in Della risoluzione per inadempimento, t. I., in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1990, cit., 132 ss.; A. di Majo, La tutela civile dei diritti3, Milano, 2003, 299 ss.; P. Trimarchi, Il contratto: inadempimento e rimedi, cit., 61 ss.: G. Grisi, Inadempimento e fondamento dell’obbligazione risarcitoria, cit., passim e F. Piraino, L’adempimento in natura alla luce della riforma del code civil, cit., 1288.

[10] L. Mengoni, Obbligazioni ‘di risultato’ e obbligazioni ‘di mezzi’ (studio critico), ora in Scritti, II, Milano, 2011, 188, nota 41 e su tale passaggio cfr. C. Castronovo, Spigolature da processo e tecniche di attuazione dei diritti, cit., 711 ss. e L. Nivarra, Diritto soggettivo, obbligazione, azione, cit., 71 ss. V. tra gli altri, A. Luminoso, La tutela risarcitoria nella manutenzione del contratto, cit., 137; I. Pagni, Tutela specifica e tutela per equivalente, cit., 20-37; L. Nivarra, I rimedi specifici, in Le tutele contrattuali e il diritto europeo, Scritti per Adolfo di Majo, a cura di S. Mazzamuto, Napoli, 2012, 332, ma v. anche Id. La tutela giurisdizionale dei diritti. Prolegomeni, Torino, 2018, 200-201 e il già citato Diritto soggettivo, obbligazione, azione, cit., 74 ss. e 92 ss. Un accenno anche in C.M. Bianca, La responsabilità3, Milano, 2021, 349 che però mi sembra riportare un’opinione comune che male si combina con la possibilità – che si legge a p. 88 dello stesso volume – di considerare definitivo anche il ritardo nell’adempimento là dove questo «ritardo diviene obiettivamente intollerabile».

[11] V. ad es. V. Polacco, Le obbligazioni, cit., 564. Dinnanzi un art. 1220 del codice del 1865 corrispondente all’art. 1144 francese abrogato, Polacco, ponendo in alternativa la sostituzione del debitore con il risarcimento del danno riteneva che l’autorizzazione del giudice non fosse discrezionale, pena cadere nell’idea del primato del risarcimento per equivalente. La diversa ragione che a breve sarà presentata nel testo pone invece l’alternativa tra sostituzione del debitore e conservazione del rapporto obbligatorio. Per la più recente dottrina francese analoga all’impostazione di Polacco v. G. Viney, Exécution de l’obligation, faculté de replacement et reparation en nature en droit français, cit., 191 ss.; nello stesso ordine ma con un’esposizione più articolata G. Viney, P. Jourdain, Les effets de la responsabilité2, cit., 50 ss. V. anche le note di Y.-M. Laithier, Étude comparative des sanctions de l’inexécution du contrat, cit., 88.

[12] Accenno in G. Viney, Exécution de l’obligation, faculté de replacement et reparation en nature en droit français, cit., 194: «le juge peut parfoise avoir à choisir entre l’exercice de la faculté de replacement et l’exécution par le débiteur lui-même», e tale ipotesi si concretizzerà – continua Viney – ogni qual volta il debitore proponga, in sede di autorizzazione giudiziale, di adempiere lui stesso (v. anche G. Viney, P. Jourdain, Les effets de la responsabilité2, cit., 52). Cfr. P. Wéry, L’exécution forcée en nature des obligations contractuelles non pécuniaires. Une relecture des articles 1142 à 1144 du code civil, Bruxelles, 1993, 251 e anche Id. L’exécution en nature de l’obligation contractuelle et la réparation en nature du dommage contractuel, cit., 225 e 254, che vedeva nell’art. 1144 la caratteristica di un’azione sussidiaria all’adempimento tardivo a cura dello stesso debitore. Anche là dove la domanda di sostituzione fosse proposta a titolo principale, opzione che l’autore non esclude (253-254), il giudice avrebbe comunque optato per l’adempimento dello stesso debitore se quest’ultimo si fosse offerto (in nota si trova una sentenza belga). Sulla discussa possibilità di costruire una gerarchia tra i rimedi dell’azione di adempimento e della sostituzione v. V. Forti, L’exécution en nature, cit., 106.

[13] Per la letteratura italiana v. M. Dellacasa, Risoluzione per inadempimento e ricorso al processo, in Riv. dir. civ., 2015, 65.

[14] Y.-M. Laithier, O. Deshayes, T. Genicon, Réforme du droit des contrats, cit., 489. In tema di risoluzione, S. Pagliantini, La risoluzione per inadempimento del duemila, in Persona e mercato, 2018, 78.

[15] L. Bottin, Las sanction de l’inexécution après la réforme du droit des contrats, cit.,41; D. Mazeaud, L’exécution forceé en nature dans la réforme du droit des contrats, cit., 2482.

[16] Y.-M. Laithier, O. Deshayes, T. Genicon, Réforme du droit des contrats, cit., 489. Cfr. F. Piraino, L’adempimento in natura alla luce della riforma del code civil, cit., 1282.

[17] Potrebbe però essere il significato dell’art. 1668 cod. civ. V. sempre D. Rubino, G. Iudica, Dell’appalto4, cit., 406 che ritengono che il chiedere sia «chiedere giudizialmente»; un chiedere giudizialmente che potrebbe assumere la stessa veste – aggiungo – dell’autorizzazione francese dell’abrogato art. 1144. Certo, però, se così fosse – se effettivamente la sola manifestazione dell’art. 1144 si trovasse nel nostro ordinamento nella speciale disciplina dell’appalto – verrebbe avvalorata l’idea che la rimozione d’un qualsiasi limite al potere di sostituzione sia una precisa scelta del legislatore del ‘42, che coscientemente ha inteso conservare un tale limite solo per ipotesi determinate (v. la conclusione di questo par.). L’idea corre parallela a V. Roppo, Giudizialità e stragiudizialità della risoluzione per inadempimento: la forza del fatto, in Contratti, 2017, 443: «Si dica pure, se si vuole, che qui trova applicazione una politica di “conservazione del contratto”: ma si prenda atto che si tratta di una “politica” applicata in questo caso specifico, normativamente definito; e dunque non di un “principio” generale, e tanto meno universale» e confluisce nella conclusione di M. Dellacasa, La nuova résolution du contrat pour inéxecution, ovvero come aggiornare la tradizione, in Riv. dir. civ., 2017, 1541: nella legislazione italiana «la salvaguardia delle istanze di autonomia e affidamento delle parti coinvolte nel conflitto determinato dall’inadempimento viene anteposta alla manutenzione del rapporto contrattuale».

[18] Cfr. G. Borrè, Esecuzione forzata, cit., 57 e S. Mazzamuto, Dell’esecuzione forzata, cit., 591: al contrario del suo precedente l’art. 2931 cod. civ. «contempla una vera e propria esecuzione coattiva interamente affidata all’autorità giudiziaria». Anche per la dottrina riportata v. M. Cirulli, Parti e terzi nell’esecuzione degli obblighi di fare e di non fare, cit., 258, nota 28, dove si trova un accenno alla distanza tra l’art. 1220 abr, e il 2931 cod. civ.

[19] S. Mazzamuto, Dell’esecuzione forzata, cit., 611.

[20] Diverso spunto in M. Dellacasa, Risoluzione per inadempimento e ricorso al processo, cit., 66 dove la premura di conservare la possibilità di adempiere del debitore dell’ordinamento francese, rilevante in punto di risoluzione, viene presentata come una forma di paternalismo correlato ad un antimoderno retaggio di influenze canoniste (p. 70).

[21] Art. 7.1.4: «La parte inadempiente può, a proprie spese, prendere tutte le misure per correggere l’inadempimento, a condizione che […] il creditore non abbia alcun legittimo interesse a rifiutarle». V. anche art. 7.2.5: «Il creditore che ha richiesto l’adempimento di un’obbligazione non pecuniaria e che non è stato soddisfatto entro un lasso di tempo determinato o ragionevole, può ricorrere ad ogni altro rimedio». Entrambe queste disposizioni strutturano un dovere del creditore di tollerare l’inadempimento; dovere che viene meno solo per “legittimo interesse” o decorso infruttuoso di un termine (di grazia) “determinato o ragionevole”. Osservo che la formulazione letterale di quest’ultimo virgolettato adoperando la congiunzione disgiuntiva “o” potrebbe essere interpretata nel senso che il diritto del creditore ad adempiere venga meno in caso di termine determinato, senza che tale termine debba sottostare ad un criterio di ragionevolezza. La combinazione delle due disposizioni menzionate, e dunque l’emersione del dovere di tollerare l’inadem­pimento, suggerisce però che tale termine debba essere sempre ragionevole, determinato o no che sia, e che dunque la congiunzione disgiuntiva “o” apra all’alternativa: termine determinato e ragionevole contro termine ragionevole ma non determinato, autorizzando così una liberazione del creditore senza una preventiva fissazione d’un termine determinato per adempiere. Il che disallinea il sistema Unidroit dal meccanismo francese – che tramite la messa in mora su cui tornerò nel testo – configura la necessaria fissazione di un termine per adempiere.

[22] M. Dellacasa, La garanzia per vizi e difformità: i rimedi, cit., 387 e 392.

[23] Merita un accenno il fatto che la possibilità di adempiere in ritardo potrebbe essere un aspetto indiretto dell’art. 2931 cod. civ., là dove si riconosca la facoltà in capo al debitore di adempiere anche dopo la notifica del precetto, ma comunque prima dell’udienza ex art. 612 cod. proc. civ.

[24] Cfr. M. Giorgiananni, L’inadempimento, Milano, 1959, cit., 61: «una visione unitaria degli interessi delle due parti, dovrebbe […] attribuire al debitore la possibilità di rinnovare l’adempimento»; visione degli interessi, osservo e sottolineo, e dunque non una specifica regola di diritto positivo. V. anche A. di Majo, Le tutele contrattuali, cit., 134-135 dove per risolvere il problema, si legge, «non resta allora all’interprete che affidarsi a principi di ordine generale…». L’affermazione nel testo potrebbe poi trovare conforto nel dato che «la dottrina formatasi subito dopo l’emanazione del codice vigente si è mostrata proclive ad ammettere con una certa larghezza che il creditore possa domandare […] il risarcimento per equivalente in luogo della prestazione originaria, nonostante la stessa sia ancora possibile», così A. Luminoso, La tutela risarcitoria nella manutenzione del contratto, cit., 132.

[25] V. infra note 87 e 88.

[26] V. ad es. M. Dellacasa, Risoluzione per inadempimento e ricorso al processo, cit., 63 ss.

[27] Cfr., ex multis, M. Giorgianni, L’inadempimento, cit., 85 ss.; Id, In tema di risoluzione del contratto per inadempimento, in Contr. imp., 1991, 61 ss.; A. Smiroldo, Profili della risoluzione per inadempimento, Milano, 1982, 343 ss.; G. Amadio, Lezioni di diritto civile4, cit., 52 ss.; A. di Majo, La responsabilità contrattuale, cit., 158. Certo la complicazione verrebbe meno se si accedesse all’idea che anche la risoluzione giudiziale presuppone una preventiva messa in mora, come si legge, ad esempio e forse non a caso in D. Rubino, Costituzione in mora e risoluzione per inadempimento, ora in Studi giuridici, Milano, 1970, 175 ss. Ipotesi questa, però, largamente respinta (v. la dottrina in A. Smiroldo, Profili della risoluzione per inadempimento, cit., 375, nota 104).

[28] Cfr. A. Smiroldo, Profili della risoluzione per inadempimento, cit., 379 ss.

[29] Secondo la nota impostazione di G. Auletta, Importanza dell’inadempimento e diffida ad adempiere, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1955, passim, ed espressamente già a p. 656. Stessa idea, ma con diversi argomenti in G. Collura, Importanza dell’ina­dempimento e teoria del contratto, Milano, 1992, 119: «l’interesse del debitore a non vedersi privato del contratto trova adeguata tutela nel requisito della congruità del termine» (p. 120). V. anche M. Dellacasa, Inattuazione e risoluzione: i rimedi, in Trattato del contratto, diretto da V. Roppo, V, Rimedi-2, a cura di V. Roppo, Milano, 2006, 283 ss.

[30] Il condizionale si deve alle diverse interpretazioni di tale disciplina, per una ragionata e sintetica panoramica degli scopi che potrebbe avere il “congruo termine” nella risoluzione per diffida v. C. Granelli, Diffida ad adempiere, in Le parole del diritto, Scritti in onore di Carlo Castronovo, I, Napoli, 2018, 505 ss.

[31] V. sempre G. Auletta, Importanza dell’inadempimento e diffida ad adempiere, cit., 658-659.

[32] V ad es., sul fronte della risoluzione per diffida, C. Granelli, Uno strumento (di dubbia efficacia) di risoluzione stragiudiziale: la diffide ad adempiere, in Persona e mercato, 2018, 72 che mette all’indice «l’italico costume […] secondo cui, non appena un debitore diviene inadempiente, è tutta una corsa ad apprestargli le più ampie tutele a scapito della sua vittima – nel timore che l’esercizio del diritto potestativo alla risoluzione stragiudiziale possa tradursi, nel caso concreto, in un sacrificio eccessivo ed ingiustificato per la parte inadempiente».

[33] C. Castronovo, Spigolature da processo e tecniche di attuazione dei diritti, cit., 713: «l’art. 1218 ci dice anzitutto che l’inadempimento genera responsabilità, e che questa si traduce nell’obbligazione di risarcimento del danno». Diversa idea si legge, ad es., in G. Grisi, Inadempimento e fondamento dell’obbligazione risarcitoria, cit., 115; Id. Responsabilità e risoluzione del contratto, in Le parole del diritto, Scritti in onore di Carlo Castronovo, III, Napoli, 2018, 1670.

[34] Preferisco parlare di obbligazione estinta là dove si potrebbe parlare di obbligazione inadempiuta (come vorrebbe l’art. 1218 cod. civ.) perché in tal modo mi pare possibile sottolineare la distanza operativa della prima parte dell’art. 1218 cod. civ. che connette inadempimento e risarcimento e la sua seconda parte che si limita a ripartire l’onere della prova in punto di esclusione di quel risarcimento astrattamente già assegnato dalla prima parte dell’articolo in parola. Tale distanza operativa sconsiglia di qualificare la sopravvenuta impossibilità (imputabile) come condizione di operatività del risarcimento sostitutivo della prestazione (v. sopra il testo corrispondente alla nota 47), perché ciò potrebbe significare prendere un elemento della fattispecie ‘estinzione’ e collocarlo nella diversa fattispecie della ‘responsabilità’. Non c’è dubbio che le due fattispecie interagiscano – l’effetto della prima si risolve in un elemento impeditivo della seconda – ma questo non significa che debbano confondersi in un’unica regola che per l’appunto condiziona il risarcimento all’impossibilità della prestazione.

[35] Cfr. C. Castronovo, Spigolature da processo e tecniche di attuazione dei diritti, cit., 713.

[36] Con queste parole la Relazione al codice (n. 661) spiegava l’eliminazione del termine di grazia in punto di risoluzione per inadempimento. Ricollegandomi a quanto appena affermato nel testo trovo comunque importante osservare – e colgo qui l’occasione di farlo – che il dibattito precedente alla trasformazione del vecchio art. 1220 abr. nel nuovo art. 2931 cod. civ. appare indirizzato a garantire al creditore quanto gli spetta (affermazione del primato dell’adempimento in natura a tutela del creditore) e non a rimuovere una qualche cautela nei confronti del debitore inadempiente (negazione del primato dell’adempimento in natura a tutela del debitore), come emerge nitidamente dalla già citata pagina di V. Polacco, Le obbligazioni, cit., 564.


4. Segue. Interferenze tra sostituzione del debitore e risoluzione per inadempimento

Una certa disarmonia deve però essere registrata tra una sostituzione del debitore libera da qualunque vincolo e la disciplina della risoluzione per inadempimento [1]; disarmonia che in Francia, come visto, viene scongiurata (ma un punto di frattura permane [2]) subordinando la variante stragiudiziale di entrambi i rimedi alla medesima messa in mora in funzione di termine di grazia [3]. Preciso il rapporto tra sostituzione del debitore e risoluzione muovendo dall’idea che possano essere rimedi incompatibili: dove c’è sostituzione non mi sembra ci possa essere risoluzione e viceversa [4]. Non fossero incompatibili bisognerebbe ammettere la possibilità d’un contratto – contemporaneamente – risolto ed eseguito (dal terzo-sostituto). Rimedi incompatibili, dunque, ma uniti dal fatto che con entrambi il debitore può perdere la facoltà di adempiere in ritardo [5]: talvolta materialmente nel caso di sostituzione [6], giuridicamente in caso di risoluzione.

Questo possibile effetto comune suggerisce di portare a coerenza i due rimedi; una coerenza ispirata anche dalla funzione riconosciuta alla risoluzione di permettere al creditore di tornare serenamente sul mercato, manifestando così uno scopo simile dall’attuazione in danno; scopo che infine diventa identico alla luce di un c.d. danno da risoluzione che copra l’eventuale maggior spesa di ricompera [7]. Una coerenza che pare infine necessaria in virtù del punto di interferenza che è possibile individuare con la seguente alternativa: reperire velocemente la prestazione ineseguita sul mercato incarna un’oggettiva perdita di interesse del creditore rilevante ex art. 1455 cod. civ. (ma si potrebbe anche dire ex comma 2, art. 1256 cod. civ. [8]) o una prestazione divenuta impossibile per causa imputabile al creditore? [9].

L’inadempimento non estingue certo l’obbligazione. Restando in piedi il rapporto persisterà, allora, anche il dovere del creditore di mettersi in condizione di ricevere la prestazione [10]. È però possibile che il creditore nell’attesa perda interesse per la prestazione e proprio per non costringerlo a ricevere (in ritardo) quanto non gli sarebbe utile può essere delineato il concetto – ad onor del vero non molto chiaro in virtù del cangiante significato che riceve in letteratura – di “inadempimento definitivo”, distinguendolo dall’”inadempimento assoluto” perché la prestazione è ancora possibile e dal semplice ritardo (o “inadempimento semplice”) perché per l’appunto il creditore non ha più interesse alla prestazione [11]. In un sistema di mercato concorrenziale ben strutturato la più importante causa di perdita d’interesse consiste proprio nella reperibilità altrove del­l’utilità promessa. Alla luce di questo significato di “inadempimento definivo”, e anche allo scopo di precisarne il confine, riformulo così la domanda posta poco sopra: se 1): l’inadempimento è da considerarsi definitivo là dove la prestazione sia «oggettivamente priva d’un apprezzabile interesse del creditore» [12]; e 2): l’aver reperito altrove la prestazione porta sicuramente ad un disinteresse oggettivo del creditore per la prestazione inadempiuta; è possibile concludere che 3): al creditore è concessa la facoltà di determinare, tornando di sua iniziativa sul mercato, la “definitività” dell’inadempimento?

Rispondere positivamente – mi pare – imporrebbe di “liberalizzare” la risoluzione, ossia permetterla in caso di ritardo attraverso una semplice dichiarazione unilaterale del creditore dato che solo tale soluzione è coerente con il fatto che possa essere un’iniziativa unilaterale del creditore (tornare velocemente sul mercato) a consegnare all’inadempimento la qualifica di “definitività”. Accettata questa premessa si potrebbe poi concludere che il giudice non possa sindacare – giudiziale o stragiudiziale che sia la risoluzione – la gravità del ritardo (il ritardo è grave quando lo decide il creditore), restando così il giudizio sulla gravità dell’ina­dempimento circoscritto all’ipotesi d’un adempimento dato, ma in maniera inesatta [13]. Rispondere negativamente imporrebbe al contrario di riqualificare i presupposti sostanziali della domanda di risarcimento in via autonoma attraverso una procedimentalizzazione della sostituzione del debitore e il risarcimento sostitutivo, che dunque non saranno così liberi come vorrebbe il tenore letterale dell’art. 1218 cod. civ., ma neanche così stringenti come vorrebbe l’art. 2931 cod. civ.; solo con tale procedura, infatti, quella cautela nei confronti del debitore in punto di risoluzione (precipitata dal fatto che non potrà essere l’iniziativa unilaterale del creditore a rilevare per la perdita di interesse ex art. 1455 cod. civ.) non verrebbe contraddetta in punto di risarcimento.

 

[1] Una messa in relazione della sostituzione del debitore con la risoluzione si trova anche in P. Wéry, L’exécution en nature de l’obligation contractuelle et la réparation en nature du dommage contractuel, cit., 257 e 259 e M. Faure-Abbad, Article 1222: la faculté de remplacement, cit., 784 ss; G. Viney, P. Jourdain, Les effets de la responsabilité2, cit., 42. Quanto segue nel testo mi pare a grandi linee coerente con il rapporto tra risarcimento in via autonoma e condizioni di operatività dell’art. 1455 cod. civ. proposto da P. Trimarchi, Il contratto: inadempimento e rimedi, cit., 62.

[2] La mise en demeure e relativa scadenza del termine non produce automaticamente la risoluzione poiché ai sensi del terzo comma dell’art. 1226 riformato è necessaria anche una successiva notifica al debitore della volontà di risolvere. La sostituzione a spese del debitore sarebbe dunque perfettamente coerente con la disciplina della risoluzione solo se scaduto il nuovo temine per adempiere contenuto nella diffida, il creditore dovesse ribadire la volontà di tornare sul mercato tramite una notifica analoga a quella dell’art. 1226.

[3] Altro punto di confronto e possibile disarmonia è la configurazione del termine di grazia in sede di risoluzione giudiziale che dovrebbe trovare un omologo nella disciplina della domanda giudiziale volta alla sostituzione del debitore; domanda giudiziale necessaria – ricordo – là dove il creditore voglia farsi anticipare le spese della sostituzione ai sensi del secondo comma dell’art. 1222. In alte parole: là dove il creditore agisca giudizialmente per la sostituzione è dato al giudice di assegnare al debitore un termine di grazia? Non sono sicuro della riposta positiva, ma assecondando l’idea vista sopra che legge nell’autorizzazione giudiziale alla sostituzione uno strumento di tutela dell’adempimento tardivo del debitore è possibile inferire che il rigetto della domanda di sostituzione può farsi portatore – in una forma più rigida e meno conveniente per il creditore (che si vedrà rigettare quella stessa domanda che in caso di risoluzione potrebbe essere accolta sebbene subordinata al temine di grazia) – della stessa premura di cui si fa carico l’assegnazione giudiziale del termine di grazia nella risoluzione giudiziale.

[4] Il rapporto tra esecuzione in danno e risoluzione è spinoso soprattutto nella definizione dogmatica dell’art. 1516 cod. civ., dove è stata autorevolmente sostenuta l’idea (ad es. G. Gorla, La compravendita e la permuta, Torino, 1937, 202 ss.) che l’ipotesi (in riferimento al precedente 68 cod. comm., nel menzionato studio di Gorla) non sia un’esecuzione, ma una «risoluzione per autorità del creditore». V. anche A. Luminoso, La vendita, cit., 640 e M. Giorgianni, In tema di risoluzione del contratto per inadempimento, cit., 63 secondo il quale il meccanismo della compravendita in danno «presuppone ovviamente la scelta per la risoluzione del rapporto». Cfr. L. Follieri, La compravendita in danno, cit., 127. Ad onor del vero là dove il prezzo di ricompera non sia superiore a quello concordato e, per una chiara ragione pratica, nel caso in cui il creditore non abbia ancora pagato il prezzo della cosa, la risoluzione basta a soddisfare l’interesse del creditore. In tal caso l’art. 1516 cod. civ. si atteggerebbe a risoluzione pura e non ad attuazione, così confermando – mi pare – la contrapposizione tra risoluzione ed esecuzione in danno, poiché qui non essendoci “danno” non ci potrà neanche essere “esecuzione in danno”, ma solo puro scioglimento del vincolo. Si può comunque obiettare che il costo di ricompera maggiore non è il costo dell’esecuzione in danno, ma un c.d. danno da risoluzione. Altra e più importante osservazione: solo un qualche effetto risolutivo è in grado di spiegare come sia possibile che un bene già di proprietà del creditore e che solo aspetta l’adempimento dell’obbligazione di consegna del debitore possa smettere, per il solo fatto dell’esecuzione ex art. 1516 cod. civ., di essere di proprietà del creditore. Per la letteratura francese deve essere menzionata l’idea – contraria a quanto nel testo – che la sostituzione non sia altro, funzionalmente, che una «résolution suivie d’un contrat de substitution” (idea che si può leggere ad es. in V. Forti, L’exécution en nature, cit., par. 13); idea importante anche alla luce del fatto che la delega al governo per la riforma delle obbligazioni comprendeva la possibilità d’una risoluzione stragiudiziale, ma non quella d’una sostituzione stragiudiziale. Questa seconda possibilità non avrebbe però bisogno di particolare delega, perché, adottando, nella lettura dell’art. 1222 «une approche fonctionnelle, en y voyant une résolution unilatérale suivie d’un contrat de remplacement», così sempre V. Forti, L’exécution en nature, cit., par. 100. Opinione analoga a quella espressa nel testo si trova in D. Plantamp, Le particularisme du remplacement dans la vente commerciale, cit., 248, cui si rinvia anche per i riferimenti dottrinali delle note 54 ss.

[5] Emerge così un parallelismo suggerito anche da M. Giorgianni, L’inadempimento, cit., 94 ss. sebbene lì ritagliato sulla contrapposizione tra risoluzione e artt. 1515 ss.

[6] In taluni casi tornare sul mercato significa non solo perdere l’interesse per la prestazione inadempiuta, ma renderla impossibile. Se in sostituzione faccio riparare una finestra rotta, il debitore non potrà più eseguire la sua prestazione.

[7] F. Piraino, Danno da risoluzione, in Le parole del diritto, Scritti in onore di Carlo Castronovo, I, cit., 486 ss. Cfr. G. Grisi, Responsabilità e risoluzione del contratto, in Le parole del diritto, Scritti in onore di Carlo Castronovo, III, cit., 1689.

[8] La disposizione si trova ad avere un ruolo centrale (v. ad es. A. Luminoso, La tutela risarcitoria nella manutenzione del contratto, cit., 139 ss.; L. Nivarra, La tutela giurisdizionale dei diritti, cit., 100; Id. Diritto soggettivo, obbligazione, azione, cit., 81; contro: P. Trimarchi, Il contratto: inadempimento e rimedi, cit., 61-62) in quella distinzione tra inadempimento semplice e definitivo che a breve riprenderò nel testo. Il rapporto tra l’art. 1455 e l’art. 1256 viene messo in rilievo anche dal citato L. Nivarra, Diritto soggettivo, obbligazione, azione, cit., 88.

[9] Esemplifico: il debitore – già remunerato dalla controparte – deve riparare una finestra del creditore un dato giorno, ma quel giorno il debitore non si presenta a casa del creditore. Il giorno dopo il creditore si rivolge a qualcun’altro che ripara immediatamente la finestra e subito dopo invia al debitore la domanda giudiziale di risoluzione. Da qui l’alternativa: il debitore può giovarsi del fatto che la prestazione sia diventata impossibile per causa imputabile al creditore o deve restituire la controprestazione perché reperire altrove la prestazione giustifica il venir meno dell’interesse del creditore all’adempimento ai sensi dell’art. 1455 cod. civ.?

[10] Ex multis, C.M. Bianca, La responsabilità3, cit., 89, ma v. G. Amadio, Lezioni di diritto civile4, cit., 50 ss.

[11] Cfr. A. Luminoso, La tutela risarcitoria nella manutenzione del contratto, cit., 129 e 140 ss.; A. di Majo, La tutela civile dei diritti3, cit., 299; Id., Obbligazioni e tutele, Torino, 2019, 106; P. Trimarchi, Il contratto: inadempimento e rimedi, cit., 60 ss.; G. Grisi, Inadempimento e fondamento dell’obbligazione risarcitoria, cit., 118; L. Nivarra, La tutela giurisdizionale dei diritti, cit., 100 e F. Piraino, L’adempimento in natura alla luce della riforma del code civil, cit., 1288.

[12] A. Belfiore, Inattuazione dello scambio per causa imputabile al debitore e tecniche di tutela del debitore, cit., 247-248, ripreso anche da G. Grisi, Inadempimento e fondamento dell’obbligazione risarcitoria, cit., 118.

[13] Riecheggia qui G. Auletta, Importanza dell’inadempimento e diffida ad adempiere, cit., 667: «il requisito dell’importanza dell’inadempimento non si riferisce all’ipotesi di ritardo» (ma integra il virgolettato con p. 670). Su tale posizione cfr. A. Smiroldo, Profili della risoluzione per inadempimento, cit., 390 ss. e A. Belfiore, Risoluzione per inadempimento (voce), in Enc. dir., XL, Milano, 1989, 1323.


5. Il nuovo art. 1222 francese e il sistema italiano.

Fuori dall’analisi del diritto positivo è facile guardare con favore alla concretizzazione di questo dovere di tolleranza del creditore, restando comunque aperta la questione del migliore strumento tecnico per la sua configurazione. La logica concorrenziale del mercato efficiente suggerisce innanzitutto di espellere dal mercato la parte che non merita di starci, ossia quella che con il proprio inadempimento ha dimostrato di non saper fare il proprio lavoro. Permettere al creditore di tornare rapidamente sul mercato in caso di inadempimento è un corollario intuitivo del principio premial-competitivo dato che assume la plastica forma del dirottamento di utilità: da chi non se le merita (debitore inadempiente) a chi potrebbe meritarle (terzo sostituto). Ogni ostacolo legale a questo repentino dirottamento di utilità assume i tratti del depotenziamento della logica concorrenziale.

Se ciò è vero bisogna però anche considerare che è la stessa logica dell’efficienza a suggerire un temperamento nel rigore di tale dinamica che in alternativa porterebbe con sé il rischio d’una distruzione ingiustificata di ricchezza. Penso a un armadio fatto su misura o una merce trasportata da chissà quale parte del mondo: se pure il debitore è inadempiente rispetto al giorno della consegna la prestazione potrebbe già essere stata iniziata, il debitore ha già speso ed una spesa che incarna una perdita secca di ricchezza se venisse concessa al creditore la facoltà di tornare a sua semplice discrezione, magari lo stesso giorno dell’inadempimento, sul mercato. Quell’armadio già iniziato sarebbe trasformato in rifiuto, quella merce già in cammino sarebbe costretta a tornare al punto di partenza. E questo è, come anticipato, anche l’argomento che si trova nel testo più attento alla concreta prassi mercantile, ossia i Principi Unidroit. Ben fondate, dunque, dal punto di vista funzionale, sembrano quelle ricostruzioni che finiscono per configurare tale dovere di tolleranza del creditore nei confronti dell’inadempimento considerato rilevante, in punto di conversione dell’obbligazione, talvolta vestito da dovere di buona fede [1], talaltra da corollario della distinzione vista sopra tra inadempimento semplice e definitivo [2]. L’esistenza di tali letture denuncia l’in­soddisfazione nei confronti d’un dato positivo incompleto che dunque potrebbe giovarsi di una norma analoga a questo art. 1222 francese.

Ci sono infatti, ora, tutti gli elementi per comprendere l’effetto che nel nostro sistema poterebbe avere questa disposizione, ossia non la liberazione dai due giudici dell’art. 2931 cod. civ. – poiché, come detto, tale disposizione si occupa ormai di altro – ma l’intimazione ad adempiere come condizione imprescindibile della trasformazione dell’obbligazione (ancora possibile) in obbligazione pecuniaria [3]. Intimazione che prende la forma sostanziale di un termine di grazia – ragionevole, e dunque controllabile giudizialmente – che il creditore è costretto a concedere al debitore [4]. Per la parte in cui si sovrappone con la sostituzione a spese del debitore (restano fuori i danni “accanto alla prestazione” e l’impossibilità della prestazione imputabile al debitore), il risarcimento dovrebbe incontrare, come in Francia, la medesima disciplina, essendo entrambe tecniche di conversione dell’obbligazione. Medesima disciplina che potrebbe precipitare anche dalla definitiva consacrazione della natura risarcitoria di questa sostituzione [5] e lascio in nota le due indicazioni (forse solo apparentemente) contrarie che provengono dal sistema francese in riferimento alla possibilità di sciogliere la sostituzione a spese del debitore nel risarcimento del danno, ossia il limite del costo ragionevole e il vincolo di destinazione della somma eventualmente anticipata dal debitore [6]. Lascio in nota e passo a una conclusione a mo’ di riepilogo.

Quello che sembrava – e in Francia viene letto come – un rafforzamento del credito diventerebbe nel nostro sistema un rafforzamento della posizione del debitore libero di correggere da sé, purché in un tempo ragionevole, il proprio inadempimento. Itinerario curioso questo che alla stessa regola riesce a far dire, in due sistemi diversi, una cosa e il suo contrario, finendo da noi per valorizzare il frammento apparentemente meno significativo di questo nuovo art. 1222, ossia la messa in mora; itinerario che può trovare ragione solo alla luce dell’intricato combinarsi tra il sistema normativo e la sua funzione economica. È l’aver cambiato due piccoli e periferici ingranaggi del sistema (il rinvio al codice di procedura dell’art. 2931 cod. civ. e la “civilizzazione” degli artt. 1515 ss.) ad aver determinato il risultato ribaltato italiano; ma è la costante attenzione alla funzione economica del sistema a far sì che tale risultato possa apparire l’utile concretizzazione di un’istanza avvertita anche nel dibattito italiano.

 

[1] C.M. Bianca, La responsabilità3, cit., 265 (già in La responsabilità2, in Diritto civile, 5, Milano, 2012, 269) che pur discorrendo solo di riparazione e sostituzione formula un’idea generalizzabile con le seguenti parole: «il codice non prevede espressamente il ‘diritto’ del debitore di regolarizzare la prestazione. Tale diritto può tuttavia ritenersi fondato sul principio di correttezza (1175 cod. civ.) […]. In applicazione del principio di buona fede il creditore non può quindi rifiutare arbitrariamente l’offerta seria del debitore di riparare o sostituire la cosa, salvo che sia già stato esperito il rimedio della risoluzione del contratto». M. Dellacasa, La garanzia per vizi e difformità: i rimedi, cit., 393-394: «come è evidente […] sarebbe contraria a buona fede la pretesa del committente di ottenere da un altro imprenditore l’eliminazione del vizio quando l’appaltatore si dichiara disposto ad intervenire sull’opera difettosa e il suo comportamento pregresso non giustifica il rifiuto dell’offerta». Un accenno alla buona fede anche in E. Lucchini Guastalla, La risoluzione di diritto per inadempimento dell’appaltatore, cit., 103. V. anche App. Bari, 3 agosto 2020, in banca dati Pluris che configura «un obbligo di pati per la parte non inadempiente, la quale deve tollerare l’inadempimento dell’altra parte, a condizione che lo stesso inadempimento, interpretato secondo buona fede l’intero rapporto contrattuale, non sia tale da risultare intollerabile. L’obbligo di pati per la parte non inadempiente, ed il suo limite nella non rilevanza dell’inadempimento, invero, trovano giustificazione nel dovere di solidarietà imposto dall’art. 2 Cost.».

[2] G. Grisi, Inadempimento e fondamento dell’obbligazione risarcitoria, cit., 118; Id., La mora debendi nel sistema della responsabilità per inadempimento, cit., spec. 78: «il ritardo, che pure è inadempimento, non può legittimare il creditore a pretendere il risarcimento integrale, essendo quest’esito conseguibile solo a fronte di un inadempimento che possa dirsi “definitivo”; inadempimento, che il ritardo protratto oltre il normalmente ed obiettivamente tollerabile certamente configura» (corsivo aggiunto). È interessante osservare come la messa in mora (alla francese, ex art.1231) trovi in quelle pagine rilevanza proprio come strumento in grado di provocare la definitività dell’inadempimento e dunque consentire, con il decorso infruttuoso del nuovo termine per adempiere, e sempre che la prestazione sia ancora possibile, «l’accesso – altrimenti precluso – alla tutela di risarcimento». Uno spunto in tal senso anche in A. di Majo, La tutela civile dei diritti3, cit., 301 e cfr. F. Piraino, Adempimento e responsabilità, cit., 200-201, ma anche 203 e Id., L’adempimento in natura alla luce della riforma del code civil, cit., 1289 ss.: «la costituzione in mora con assegnazione di un termine di grazia mette a disposizione del creditore un procedimento, incentrato sull’intimazione ad adempiere, sulla concessione di un termine aggiuntivo per prestare e sulla sua infruttuosa scadenza, tramite il quale rendere definitivo l’inadempimento tenendo, però, anche conto dell’interesse del debitore ad adempiere tardivamente o a correggere il proprio iniziale adempimento inesatto». V. anche L. Nivarra, Diritto soggettivo, obbligazione, azione, cit., 90, nota 92. È possibile aggiungere che l’ipotesi della mora automatica sub 2) art. 1219 cod. civ., «il debitore ha dichiarato per iscritto di non voler eseguire l’obbligazione», si coordina con l’impianto presentato nel testo poiché può anche trovare il significato di esplicitare la rinuncia del debitore al suo diritto all’adempimento tardivo. Problematica è invece l’ipotesi di mora automatica sub 3) art. 1219 cod. civ., ma solo là dove non intervenga per un’obbligazione pecuniaria, il diritto del debitore ad adempiere dovrebbe infatti qui trovare tutela in un’altra, espressa, intimazione ad adempiere.

[3] Il meccanismo della doverosa concessione di un termine ragionevole per adempiere potrebbe comunque non essere il migliore per mettere virtuosamente a sintesi gli interessi contrapposti delle parti. Riprendo i due principi funzionali espressi in apertura del paragrafo: sanzionare il demerito ed evitare distruzione ingiustificata di ricchezza. Il miglior meccanismo dovrebbe riuscire a conservare la logica della prima funzione garantendo anche la seconda. Intendo dire che solo il rischio di una distruzione ingiustificata di ricchezza potrebbe giustificare il sacrificio del creditore costretto a restare vincolato, contro la sua volontà, al contratto ineseguito. Evitare distruzione ingiustificata di ricchezza non significa infatti conservare l’affare del debitore che con il suo inadempimento potrebbe già aver dimostrato di non meritare tale affare. Il meccanismo del termine di grazia finisce invece per tutelare anche l’affare del debitore. Per tale ragione può apparire meglio congegnato un meccanismo che imponga al debitore che intende conservare il rapporto di indicare lui un nuovo termine (ragionevole) per adempiere contestualmente all’indicazione di quanto già fatto in direzione dell’adempimento. Il creditore potrà a questo punto ritenere eccessivo il ritardo o non giustificato il suo sacrificio. Là dove dovesse sorgere una controversia su questi due temi sarà poi il giudice a decidere la legittimità del comportamento del creditore. Primo pregio di tale dinamica è che la decisione del giudice si potrà giovare dello scambio di informazioni tra le parti che il meccanismo in parola disegna. Secondo e più significativo pregio è che l’intervento giudiziale sarà, comunque, a priori evitato, con soddisfazione del creditore e contro il debitore, là dove quest’ultimo non si sia attivato per conservare il rapporto.

[4] Cfr. F. Piraino, Adempimento e responsabilità, cit., 213 ss.

[5] Preciso: purché non serva – ad esempio per violare il possesso del debitore – l’intervento della pubblica autorità, ma qui sarebbe pura esecuzione condizionata dunque al procedimento dell’art. 2931 cod. civ.

[6] Il limite del costo ragionevole non pone particolari problemi. Tale limite non esiste nella disciplina del risarcimento per equivalente ma – a tacere della possibilità, confutabile, di intravedervi l’applicazione analogica dell’art. 2058 cod. civ. – può essere assorbito dalla “conseguenza immediata e diretta” che si legge all’art. 1223 cod. civ.: la “riparazione irragionevole” non appare una conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento. Anche il dovere di mitigare il danno ex art. 1227 cod. civ. potrebbe ispirare tale risultato. Più spinoso è il vincolo di destinazione della somma eventualmente anticipata dal debitore per la sua sostituzione. Si era già accennata la possibilità (v. sopra nota 8) riconosciuta al creditore di farsi anticipare – ai sensi del secondo comma dell’art. 1222 – la somma necessaria a reperire sul mercato la prestazione non attuata. Già la formula «avance les sommes» lascia intendere che il creditore non sia libero di disporre poi a piacimento della somma percepita: questo è denaro anticipato e dunque vincolato allo scopo di attuare la prestazione. La Cassazione francese ha recentemente avuto modi di precisare (Cass. civ., 21 décembre 2017, n° 15-24.430) che tale vincolo di destinazione precipita dalla natura “esecutiva” dell’art. 1144 abrogato, natura ribadita dal titolo della sottosezione in cui si trova l’attuale art. 1222, ossia «L’exécution forcée en nature». Insomma: è proprio perche l’art. 1222 è una esecuzione che il creditore è vincolato a destinare questa somma all’attuazione del suo credito, fosse un risarcimento non si potrebbe configurare un analogo vincolo. La conclusione viene da sé: la sostituzione a spese del debitore non può in alcun modo essere avvicinata al risarcimento del danno. Suggerisco però una soluzione differente ispirata innanzitutto dal fatto che se tale rimedio fosse effettivamente un’esecuzione, l’obbligazione dovrebbe estinguersi con la sostituzione-esecuzione, ma ciò qui non avviene dato che solo ne viene trasformato l’oggetto in somma di denaro. Anche l’impianto del Projet de reforme de la responsabilite civile del 13 marzo 2017 mi pare apra alla possibilità di inquadrare il rimedio in parola in una forma di risarcimento. In tale progetto si trova ribadito all’art. 1264 che «la victime est libre de disposer des sommes allouées», ossia non è obbligata a utilizzare il risarcimento per riparare effettivamente il danno. Eppure anche in quel progetto si trova espressamente un’ipotesi di anticipo (e dunque vicolo di destinazione) della somma di denaro riconosciuta al danneggiato. Art. 1261 terzo comma: il danneggiato può vedersi anticipata la somma necessaria alla riparazione in natura del danno. Seguendo una linea che ho provato a sviluppare in un altro lavoro (I costi di riparazione come risarcimento per equivalente. Spunti a partire dal progetto di riforma della responsabilità civile francese, in Riv. crit. dir. priv., 2019, spec. 451 ss.) si può arrivare a sostenere che in Francia il c.d. risarcimento pecuniario in forma specifica – nulla di ontologicamente diverso dal risarcimento per equivalente, sostengo – è sempre vincolato all’effettiva destinazione della somma di denaro alla riparazione (per il nostro sistema un’idea analoga si trova in A. D’Adda, Il risarcimento in forma specifica, Oggetto e funzioni, Padova, 2002, 276 ss.; Id., Sub Art. 2058, in Commentario del codice civile, diretto da E. Gabrielli, artt. 2044-2059, Torino, 2011, 646 ss.). Abbracciata tale prospettiva, dunque, il vincolo di destinazione che si trova all’art. 1222 potrebbe non precipitare dalla natura esecutiva del rimedio, ma dalla specifica modalità di quantificazione del danno richiesta del creditore. Una specifica modalità che dovrebbe permettere di far ricevere al creditore una somma di denaro maggiore rispetto al generico risarcimento sostitutivo della prestazione (astratto valore di mercato), dato che solo ciò sarebbe in grado di spiegare come mai: dal punto di vista normativo tale somma sia poi vincolata al risultato dell’obbligazione; dal punto di vista pratico il creditore abbia optato per un meccanismo che non lo lascia poi libero di destinare il denaro a suo piacimento.