Le misure straordinarie adottate dal governo italiano per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da Covid-19 hanno avuto un rilevante impatto sui rapporti contrattuali in atto. La chiusura generalizzata delle attività di intere categorie commerciali e dei servizi costituisce una condizione idonea a determinare la sopravvenuta impossibilità della prestazione ovvero, nei contratti sinallagmatici lungo periodo, un’alterazione dell’originario equilibrio economico.
Il presente articolo si propone di analizzare la legislazione emergenziale e le sue ricadute sulla disciplina contrattuale, apparentemente frammentaria e disorganica, attraverso il minimo comune denominatore del principio di solidarietà sociale che, negli ultimi anni, ha assunto una crescente importanza quale fonte eteronoma di integrazione del regolamento contrattuale.
L’analisi è condotta in comparazione con il tessuto normativo preesistente, per delineare la sorte del contratto alterato dalle misure di contenimento e individuare gli strumenti più idonei a riequilibrare il sinallagma contrattuale.
The extraordinary measures adopted by the Italian government to face the Covid-19 pandemic have had a significant impact on existing contractual obligations. The general shut down enforced on some activities has either resulted in the supervening impossibility of performance or affected the economic equilibrium of permanent contracts.
This article aims at reviewing the emergency legislation, finding the lowest common denominator of this apparently fragmented approach in the rising principle of social solidarity. This study is also conducted in comparison with the pre-existing framework, to determine the fate of contracts affected by the containment measures.
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COMMENTOSommario:
1. Introduzione. - 2. Impossibilità sopravvenuta della prestazione e rimedi codicistici. - 2.1. Misure di contenimento e inadeguatezza dei rimedi tradizionali. L’intervento del legislatore nel settore del turismo e dei trasporti. - 2.2. Settore della cultura e prestazioni artistiche. - 2.3. Distanziamento sociale e attività sportiva amatoriale. Quale sorte per i contratti di accesso a palestre, piscine e alle altre strutture sportive. - 3. L’art. 9 d.l. 17 marzo 2020, n. 18: ambito di applicazione e portata di una disposizione a carattere generale. - 4. Eccessiva onerosità sopravvenuta e principio di conservazione del contratto: quale spazio per un obbligo di rinegoziazione? - 5. Conclusioni.
La comparsa del virus Sars-Cov-19 ha posto l’umanità di fronte a una situazione senza precedenti, non solo per l’elevato tributo umano, pagato principalmente dalle fasce più fragili della popolazione, ma per aver costretto milioni di persone in tutto il mondo a un mutamento sostanziale della propria normalità quotidiana. Per fronteggiare l’aumento esponenziale dei contagi ed alleggerire la pressione sulle strutture ospedaliere, messe a dura prova dall’improvvisa e repentina diffusione dell’epidemia, il Governo italiano ha adottato stringenti misure di contenimento, imponendo il distanziamento sociale e disponendo la chiusura di tutte le attività commerciali ritenute non necessarie. Il lockdown ha così comportato una drastica contrazione di consumi e investimenti, paralizzando interi settori produttivi e innescando quella che è stata definita come la peggiore crisi economica dalla Seconda Guerra Mondiale.[1] Le ricadute di tali provvedimenti sono state avvertite anche in ambito giusprivatistico, riverberandosi sui rapporti contrattuali sorti prima dell’emergenza e non ancora esauriti. Si tratta, in particolare, di questioni concernenti la fase esecutiva dei contratti sinallagmatici di durata, fisiologicamente esposti alle sopravvenienze perturbative dell’originario equilibrio economico, suscettibili di ripercuotersi sulla sorte del contratto. Nel tentativo di limitare le conseguenze dello shock provocato dalla pandemia, il Governo ha tentato di offrire una risposta rapida agli operatori del mercato e ai debitori civili nell’ambito dei settori che più hanno risentito delle misure di contenimento, predisponendo una nutrita serie di disposizioni emergenziali e transitorie, parzialmente derogatorie delle norme codicistiche, volte a congelare le pretese restitutorie dei creditori di prestazioni divenute impossibili e a favorire la rinegoziazione tra le parti quando le sopravvenienze abbiano reso il contratto eccessivamente oneroso. Da un’analisi sistematica della disciplina emergenziale appare chiaro come il legislatore, pur attraverso interventi frammentari e disorganici, abbia inteso promuovere una riallocazione dei rischi che, in applicazione del principio costituzionale di solidarietà sociale, di cui all’art. 2 Cost., consenta alla parte più colpita dai provvedimenti di porre un argine agli effetti potenzialmente devastanti della [continua ..]
Uno degli effetti più frequenti delle misure emergenziali è costituito dall’improvvisa interruzione delle attività commerciali e dalla conseguente impossibilità per i debitori di dare esecuzione alla prestazione dovuta. Le limitazioni all’esercizio di attività commerciali integrano un factum principis, in virtù del quale si verifica l’impossibilità sopravvenuta della prestazione, con conseguente liberazione del debitore.[1] Nei contratti a prestazioni corrispettive ciò incide direttamente sul sinallagma contrattuale, facendo venir meno il nesso di reciprocità tra le prestazioni, provocando la risoluzione del contratto ed il sorgere, in capo alla controparte, del diritto alla ripetizione di quanto prestato.[2] Sovente non è il debitore a trovarsi nell’impossibilità pratica di eseguire la prestazione, quanto piuttosto il creditore ad essere impossibilitato a riceverla. La giurisprudenza è costante nell’equiparare all’impossibilità sopravvenuta nell’erogazione della prestazione, l’ipotesi in cui essa sia divenuta inutilizzabile o irricevibile dal creditore per causa a lui non imputabile. In tal caso, il contratto si risolve, in ragione della sopravvenuta irrealizzabilità delle finalità essenziali a cui è preordinato e che ne integrano la causa concreta.[3] Il rimedio della risoluzione per impossibilità sopravvenuta, se si dimostra efficace quando concerne il singolo contratto, può portare a conseguenze devastanti per l’impresa ove involga l’intero fascio dei rapporti contrattuali stipulati nell’esercizio della propria attività. La restituzione di somme di denaro per gran parte delle operazioni negoziate, infatti, minerebbe la stessa sopravvivenza dell’impresa e, in grande scala, finirebbe per aggravare una situazione economica drammatica, rallentando la ripartenza dei consumi e delle attività economiche in generale. Per tali ragioni, nei settori che più hanno subito le conseguenze del lockdown, il legislatore è intervenuto a smorzare le ripercussioni economiche e sociali conseguenti all’adozione delle misure di contenimento, disponendo, con specifico riguardo a talune fattispecie contrattuali, una “temporanea ibernazione dei contratti in essere, nel tentativo di salvaguardarli dall’epidemia e dalla [continua ..]
Il divieto di spostamenti sul territorio nazionale ha inevitabilmente prodotto delle ricadute sul comparto del turismo e dei trasporti. L’art. 28 del d.l. 2 marzo 2020 n. 9, recante “Misure urgenti di sostegno per famiglie, lavoratori e imprese connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19”, individua le situazioni di sopravvenuta impossibilità della prestazione, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1463 c.c., dei contratti d’acquisto di titoli di viaggio, concernenti il trasporto aereo, ferroviario e marittimo, e di pacchetti turistici. In particolare, conformemente al consolidato orientamento giurisprudenziale, l’art. 28 dichiara l’avvenuta risoluzione dei contratti stipulati da soggetti impossibilitati a viaggiare per motivi collegati all’emergenza sanitaria, stante l’irricevibilità della prestazione. In tali situazioni, così come in caso di recesso da parte del viaggiatore, e previa presentazione di un’apposita istanza di rimborso entro trenta giorni decorrenti, a seconda dei casi, dalla cessazione dell’impedimento o dalla data prevista per la partenza cancellata, la norma attribuisce al debitore la facoltà di scegliere tra il rimborso del corrispettivo pagato e l’emissione di un voucher di pari importo. La disposizione è stata successivamente abrogata dall’art. 1, comma 2, della legge 24 aprile 2020, n. 27, di attuazione del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, c.d. decreto “Cura Italia”, che fa salvi gli effetti prodotti e i rapporti giuridici sorti nel periodo di vigenza. La medesima legge ha introdotto nel corpo del d.l. 18 del 2020, l’art. 88 bis, rubricato “Rimborso dei titoli di viaggio, di soggiorno e dei pacchetti turistici”, che ribadisce quanto già affermato nell’art. 28, estendendone l’applicabilità anche all’ipotesi in cui sia la struttura ricettiva o il vettore a sciogliere unilateralmente il contratto, ove non in grado di eseguire le prestazioni dovute in ragione dei provvedimenti adottati dalle autorità nazionali, internazionali o di Stati esteri, a causa dell’emergenza epidemiologica in corso. Per comprendere la portata dell’intervento legislativo e il suo rapporto con la disciplina codicistica occorre definire cosa s’intenda per voucher e quale sia l’operazione giuridica che il legislatore abbia voluto attuare. L’istituto del [continua ..]
Provvedimenti analoghi sono stati adottati con riguardo al settore della cultura. L’art. 88 d.l. 17 marzo 2020, n. 18, dichiara l’avvenuta risoluzione, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1463 c.c., dei contratti di acquisto, di titoli di accesso per spettacoli di qualsiasi natura, ivi inclusi quelli cinematografici e teatrali, e di biglietti di ingresso ai musei e agli altri luoghi, la cui esecuzione sia divenuta impossibile in ragione dell’applicazione delle misure di contenimento dei contagi. Nella versione originaria del testo normativo, il legislatore pone in capo all’acquirente l’onere di presentare, entro trenta giorni dall’entrata in vigore del decreto o dalla diversa data della comunicazione dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione, apposita istanza di rimborso al venditore, che si libera con l’emissione di un voucher di importo pari al titolo d’acquisto, da utilizzare entro un anno dall’emissione. A differenza di quanto previsto per i contratti d’acquisto di titoli di viaggio o di pacchetti turistici, per i contratti del comparto della cultura non è prevista la facoltà per il debitore di scegliere tra il rimborso del biglietto e il voucher, ma la scelta viene operata ex lege in favore dell’emissione di un buono del medesimo valore della prestazione divenuta impossibile. La prestazione artistica, quale quella del soggetto tenuto all’esecuzione di uno spettacolo di qualsiasi natura, ha carattere personale, in quanto fondata sull’intuitu personae, cioè sulle peculiarità che solo il singolo artista riesce ad esprimere. Da qui la pretesa dell’acquirente a che il contratto sia eseguito personalmente dal debitore e non da altri, con il connesso diritto di rifiutare la prestazione, ove questa sia opera di persona diversa, ai sensi dell’art. 1180 comma 1 c.c.[1] Ciò anche quando, come normalmente avviene, il contratto venga concluso tra rivenditore e acquirente, senza il diretto coinvolgimento del debitore della prestazione artistica. Con riferimento a tale tipologia di contratti, il voucher non rappresenta una valida alternativa al rimborso in denaro, in quanto pretende di restituire il corrispettivo per la fruizione di una prestazione per sua natura infungibile, con un buono per l’acquisto di una qualsiasi altra prestazione dello stesso valore economico, ma inidonea ad apportare [continua ..]
Da ultimo, il legislatore si è occupato dei contratti di abbonamento per l’accesso ai servizi offerti dalle diverse strutture sportive. L’art. 216, comma quarto, del d.l. “Rilancio”, infatti, estende le disposizioni già previste dall’art. 88 del d.l. 17 marzo 2020, n. 18 ai contratti di abbonamento per l’accesso a palestre, piscine e impianti sportivi di ogni tipo, per i quali si sia verificata la sopravvenuta impossibilità della prestazione a seguito delle misure di restrizione e contenimento adottate per fronteggiare l’emergenza sanitaria. A differenza di quanto previsto per gli altri settori, il voucher ha durata annuale e, in caso di mancato utilizzo nei termini previsti, non dà diritto ad alcun rimborso. La relazione di accompagnamento alla legge non esplicita le ragioni sottese a tale diversità di trattamento che, allo stato, non appare giustificata. Peraltro, le misure di distanziamento sociale, tutt’ora imposte alle palestre e alle altre strutture, sono destinate ad incidere sulle modalità d’esecuzione della prestazione. Il principio costituzionale di solidarietà, che invera il canone di buona fede oggettiva, impone al creditore di tollerare le modifiche della prestazione di controparte, fintantoché ciò non pregiudichi in modo apprezzabile il proprio interesse. Occorre verificare, dunque, caso per caso, se il sacrificio imposto all’acquirente non sia talmente sproporzionato da non poter rinvenire una giustificazione nel principio di buona fede, rendendo il contratto inidoneo a realizzare il programma delle parti e comportandone la risoluzione.[1] [1] Nell’esecuzione del contratto e del rapporto obbligatorio, la clausola generale di buona fede si presenta come obbligo di salvaguardia: in capo a ciascuna delle parti vige l’obbligo di salvaguardare l’utilità dell’altra, nei limiti in cui ciò non comporti un apprezzabile sacrificio del proprio interesse. In virtù di tal obbligo, la parte è tenuta a tollerare che la controparte esegua una prestazione diversa da quella prevista se ciò non pregiudica in maniera apprezzabile il proprio interesse. In tal senso: Bianca C.M., La nozione di buona fede quale regola di comportamento contrattuale, in Riv. dir. civ., 1983, I, 205 ss.; Id., Diritto civile, III, Il contratto, Giuffré, II ed., p. 505.
Le deroghe alla disciplina dell’impossibilità sopravvenuta sinora esaminate sembrano trovare agio limitatamente alle tipologie contrattuali per cui sono state espressamente previste e soltanto quando la situazione emergenziale incide sulla prestazione dedotta in contratto al punto da renderla completamente e definitivamente ineseguibile o inottenibile. Ne restano escluse, in particolare, le obbligazioni pecuniarie, per cui non è mai configurabile l’assoluta e oggettiva impossibilità di procurarsi le somme necessarie per adempiere, ma piuttosto una soggettiva inattuabilità dovuta a impotenza finanziaria, che non consente al debitore di fornire la prova liberatoria richiesta dall’art. 1218 c.c. Difatti, in quanto bene fungibile e imperituro, il denaro è esposto al principio genus nunquam perit[1] e la normale convertibilità in denaro di tutti i beni, presenti e futuri del debitore, costituisce il fondamento della garanzia generica patrimoniale di cui all’art. 2740 c.c. L’ordinamento pone in capo al debitore il rischio della crisi di liquidità, anche laddove essa derivi dall’altrui insolvenza o da una crisi di mercato, trattandosi di aspetti rientranti nella sfera organizzativa individuale dello stesso, integranti il rischio d’impresa, che non può essere traslato sui creditori.[2] D’altra parte, la crisi economica generata dalla pandemia è un evento che non rinviene alcun precedente nella storia quanto a dimensioni, durata e diffusione geografica dello shock economico, che ha colpito Paesi in tutti i continenti e che ha coinvolto tanto il dato della domanda quanto quello dell’offerta. Ulteriore elemento di eccezionalità è la molteplicità dei canali di trasmissione attraverso cui gli effetti della pandemia investono l’attività produttiva e, in particolare dal ruolo delle misure di contenimento decise dal governo: la produzione è bloccata non per via di una caduta della domanda, ma a causa dei provvedimenti amministrativi volti a limitare la diffusione del contagio.[3] La pandemia e le misure adottate per contrastarla, infatti, costituiscono una sopravvenienza non ricompresa nella normale alea del contratto né tantomeno nella normale alea d’impresa. La chiave di lettura degli interventi emergenziali, quindi, non può essere quella che regola il normale gioco delle parti nel mercato, [continua ..]
Nell’affermare che “il contratto ha forza di legge tra le parti”, l’art. 1372 c.c. enuncia il principio di vincolatività, espressione del brocardo latino: “pacta sunt servanda”.[1] Nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, c.d. “di durata”, e nei contratti ad esecuzione differita, tale principio necessita di essere contemperato dalla clausola rebus sic stantibus che impone di considerare i mutamenti della situazione di fatto esistente al momento della conclusione dell’accordo, suscettibili di alterare il nesso di interdipendenza economica tra le prestazioni rendendo più onerosa la prestazione da eseguire o diminuendo il valore reale della prestazione da ricevere.[2] Gli articoli 1467 ss. c.c. riconoscono in capo alla parte che ha subito le conseguenze di tale squilibrio la facoltà di rescindere il vincolo, domandando che venga pronunciata la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta. L’esercizio dell’azione è subordinato alla contemporanea sussistenza di due condizioni. La prima, di natura oggettiva, consistente nella straordinarietà dell’evento, che deve essere valutata esaminando elementi passibili di misurazione, quali la frequenza, le dimensioni o l’intensità; la seconda, di natura soggettiva, costituita dall’imprevedibilità dell’avvenimento, che deve essere verificata ex ante, con riferimento al momento della stipula del contratto, avendo come parametro le circostanze conosciute o conoscibili da un soggetto mediamente diligente. Le sopravvenienze giuridicamente rilevanti, inoltre, devono avere carattere generale e, dunque, operare per qualsiasi debitore, determinando una vera e propria alterazione del valore di mercato della prestazione, non riconducibile alla normale alea del contratto.[3] Sorto per far fronte a un’esigenza maturata a seguito della svalutazione conseguente agli eventi bellici del primo conflitto mondiale, l’istituto della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta può certamente trovare applicazione per mitigare le conseguenze dell’eccezionale crisi pandemica che stiamo vivendo. La sua funzione demolitrice del vincolo contrattuale, però, non lo rende adatto a tutte quelle situazioni in cui il debitore, sul presupposto che le condizioni di difficoltà siano solo temporanee e nella speranza di un rapido [continua ..]