Jus CivileISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

La subfornitura. L'araba fenice del diritto civile: che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa (di Paolo Doria)


La disciplina della subfornitura è stata introdotta nel nostro ordinamento per tutelare il subfornitore quale contraente debole nell’ambito dei rapporti tra imprese. Il rapporto di subfornitura caratterizza il fenomeno economico del decentramento produttivo, in base al quale un’impresa, solitamente di grandi dimensioni, decentra la propria produzione presso imprese terziste, che spesso si trovano in condizioni di autentica sudditanza economica e tecnologica. Questa filiera produttiva è estremamente diffusa in ampie zone del paese. Tuttavia, nonostante gli importanti studi della dottrina, nella pratica giurisprudenziale l’istituto è stato poco applicato, anche considerando gli aspetti innovativi della normativa che, addirittura, per quel che riguarda l’abuso della dipendenza economica, ha una portata generale nei rapporti tra le imprese anche al di fuori della subfornitura.

Subcontracting. The arab phoenix of civil law: that there is each one says it, where no one knows

The subcontracting framework has been introduced into our legislation to protect the subcontractor as a weak contractor in the context of relations between undertakings.

The subcontracting relationship characterizes the economic phenomenon of decentralization of production, according to which a company, usually large, decentralises its production to third-party firms, which often find themselves in conditions of genuine economic and technological subjection.

This production chain is extremely widespread in large areas of the country.

However, despite important studies of doctrine, in case law the institute has been little applied, even considering the innovative aspects of the legislation which, even, as regards the abuse of economic dependence, has a general scope in relations between companies even outside subcontracting.

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Paolo Doria - La subfornitura. L’araba fenice del diritto civile: che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa

COMMENTO

Sommario:

1. Premessa: la subfornitura, il decentramento produttivo e la legge 18 giugno 1998 n. 192. - 2. La nozione di subfornitura recepita dall’art. 1 della legge n. 192/1998. - 3. Forma e contenuto del contratto di subfornitura a’ sensi dell’art. 2. - 4. Le modalità e i termini di pagamento di cui all’art. 3. - 5. La responsabilità del subfornitore ex art. 5 della legge n. 192. - 6. Gli artt. 6 e 7 della legge n. 192/1998: il regime delle nullità e i diritti di privativa industriale. - 7. Abuso di dipendenza economica ex art. 9 e la legge n. 57/2001. - 8. Problemi processuali in ordine all’art. 10 della legge n. 192: l’abrogazione della norma ad opera dell’art. 5, 2° comma, del d. lgs. 15/11/2016 n. 219. - 9. La casistica giurisprudenziale. - 10. Considerazioni finali.


1. Premessa: la subfornitura, il decentramento produttivo e la legge 18 giugno 1998 n. 192.

Il presente saggio si propone di fare sinteticamente il punto della situazione in relazione all’applicazione concreta della legge n. 192/98, dopo oltre vent’anni dall’entrata in vigore: infatti, mentre il testo normativo ha stimolato sin dall’inizio importanti e rilevanti contributi della dottrina, le pronunce giurisprudenziali risultano tuttora certamente timide[1], nonostante i vari dubbi sollevati dall’interpretazione di molte norme. La legge sulla subfornitura[2] n. 192/98 è stata introdotta dal legislatore[3] per tutelare, nell’ambito dei rapporti tra imprese, il contraente più debole[4]. Nel nostro sistema, infatti, a partire dalla tutela dettata dagli artt. 1341 e 1342 c.c., sono stati disposti dei correttivi all’autonomia contrattuale delle parti per tutelare i soggetti in condizioni di inferiorità economica. In particolare, nel rapporto tra consumatore e professionista, sono state introdotte, ad esempio, le regole di cui al d.lgs. n. 50/92 in relazione alle vendite porta a porta, la legge n. 52/96 che ha modificato il titolo II del libro quarto del codice civile recependo la direttiva 93/13/CEE e introducendo la disciplina delle clausole vessatorie, il d. lgs. n. 195/99 in materia di contratti a distanza, il d. lgs. n. 24/2002 in materia di vendite di beni al consumo ed il d. lgs. n. 206/05 che ha disciplinato organicamente la materia con il codice del consumo. Il legislatore, con la legge n. 192/98, è appunto intervenuto per la prima volta[5] nei rapporti tra imprese, tutelando, in linea di massima, il contraente in condizioni di soggezione economica[6], ovverosia il subfornitore[7]. La subfornitura è una manifestazione del fenomeno moderno del decentramento produttivo[8]: un’impresa, solitamente di grandi dimensioni, decentra la propria produzione commissionando l’esecuzione di una o più parti del proprio ciclo produttivo a varie imprese di dimensioni inferiori[9].   La subfornitura può essere “congiunturale” o “strutturale” (quest’ultima detta anche specializzata): la prima si riscontra quando il committente commissiona l’esecuzione della prestazione al subfornitore semplicemente per propri motivi organizzativi; la seconda fattispecie si presenta quando il committente ricorre al prestatore per la realizzazione di un bene o di un servizio che non è in grado di produrre da se stesso[10]. [continua ..]


2. La nozione di subfornitura recepita dall’art. 1 della legge n. 192/1998.

L’art. 1 della legge 192 dispone testualmente: Con il contratto di subfornitura un imprenditore si impegna ad effettuare per conto di un’impresa committente lavorazioni su prodotti semilavorati o su materie prime forniti dalla committente medesima, o si impegna a fornire all’impresa prodotti o servizi destinati ad essere incorporati o comunque ad essere utilizzati nell’ambito dell’attività economica del committente o nella produzione di un bene complesso, in conformità a progetti esecutivi, conoscenze tecniche e tecnologiche, modelli o prototipi forniti dall’impresa committente. Sono esclusi dalla definizione di cui al comma 1° i contratti aventi ad oggetto la fornitura di materie prime, di servizi di pubblica utilità e di beni strumentali non riconducibili ad attrezzature. Il tratto caratterizzante della subfornitura, come si è detto, è proprio l’inserimento della prestazione del subfornitore all’interno del ciclo produttivo del committente. Vanno subito individuate due diverse fattispecie: La subfornitura avente per oggetto le lavorazioni su prodotti semilavorati o materie prime forniti dalla committente; La subfornitura avente per oggetto prodotti o servizi destinati ad essere utilizzati nell’ambito dell’attività economica del committente o nella produzione di un bene complesso. La prima fattispecie è stata definita come subfornitura di “lavorazione”, la seconda di “prodotto”, con l’avvertenza che la sottocategoria di prodotto può avere per oggetto tanto un bene, quanto un servizio[1]. Secondo la ricostruzione dottrinale preferibile, il rapporto di subfornitura si instaura solitamente tra una grande impresa committente e una piccola o media impresa (subfornitore), in posizione di dipendenza[2] tecnologica[3] o economica[4]. Si è posto il problema se la legge n. 192/98 abbia introdotto un nuovo contratto d’impresa, tipizzando una diversa figura contrattuale; una tesi dottrinale minoritaria ha sostenuto che il contratto di subfornitura possa essere considerato tipico nel senso che, nel suo impianto complessivo e nelle singole norme che lo regolano, esso risponde adeguatamente alla esigenza di disciplinare il rapporto contrattuale della subfornitura, riconducendolo in una configurazione giuridica autonoma[5]; questa impostazione dottrinale riterrebbe che sia impossibile riportare il [continua ..]


3. Forma e contenuto del contratto di subfornitura a’ sensi dell’art. 2.

Il contratto di subfornitura, ai sensi dell’art. 2 della legge n. 192/1998, deve essere stipulato in forma scritta, a pena di nullità[1]; il requisito della forma si considera assolto quando la comunicazione degli atti di consenso avvenga anche a mezzo del telefax[2] o per via telematica[3]. Il 2° comma dell’art. 2 dispone che, nel caso in cui vi sia stata regolare proposta contrattuale da parte del committente, seguita non dall’accettazione ma dall’esecuzione del contratto a cura del subfornitore, il contratto si considera regolarmente stipulato per iscritto. La legge, in sostanza, considera che la conclusione del contratto avvenga per iscritto anche nel caso in cui la proposta (del solo committente) sia espressa in forma scritta ma venga seguita dall’accettazione per esecuzione a’ sensi dell’art. 1327 c.c.[4], ovverosia dall’accettazione tacita della proposta per fatto concludente[5]. Nel contratto, o quanto meno nella proposta contrattuale, devono essere contenuti i requisiti specifici del bene e del servizio richiesti dal committente, mediante precise indicazioni che consentano l’individuazione delle caratteristiche costruttive e funzionali[6]; inoltre, dovranno essere ben individuati il prezzo, “determinato o determinabile in modo chiaro e preciso”, i termini e le modalità di consegna, di collaudo e di pagamento[7]. Nel caso in cui non venga osservato il requisito richiesto della forma scritta, il contratto sarà sanzionato con la nullità assoluta, rilevabile anche d’ufficio[8]. L’art. 2, anche in caso di declaratoria di nullità, contiene espressamente e opportunamente la salvezza del diritto al pagamento del subfornitore in relazione alle prestazioni già effettuate[9] e al risarcimento delle spese sostenute in buona fede ai fini dell’esecuzione del contratto. In sostanza, anche in presenza della nullità assoluta per violazione della forma scritta prevista ad substantiam, per il periodo nel quale la prestazione del subfornitore è stata eseguita, si producono gli stessi effetti del contratto di subfornitura valido, essendo unicamente precluso alle parti di pretendere la conservazione del contratto nullo[10]. La tutela del diritto al pagamento è garantita solo in relazione alle prestazioni già eseguite e che siano state accettate dal committente. Un dubbio si pone nel caso in cui il [continua ..]


4. Le modalità e i termini di pagamento di cui all’art. 3.

L’art. 10 del d. lgs. n. 231/02, intervenuto a regolare la materia delle transazioni commerciali, in recepimento della direttiva 2000/35/CE[1], ha modificato l’originario 3° comma dell’art. 3 della legge n. 192/1998. La norma, successivamente, è stata ulteriormente modificata dall’art. 2, comma 1°, del d. lgs. n. 192/2012. Il nuovo testo essenzialmente equipara il tasso degli interessi di mora nel rapporto di subfornitura al tasso previsto dall’art. 5 del d. lgs. n. 231/02 per le transazioni commerciali: “in caso di mancato rispetto del termine di pagamento il committente deve al subfornitore, senza bisogno di costituzione in mora, un interesse determinato in misura pari al saggio d’interesse del principale strumento di rifinanziamento della Banca centrale europea applicato alla sua più recente operazione di rifinanziamento principale effettuata il primo giorno di calendario del semestre in questione, maggiorato di otto punti percentuali, salva la pattuizione tra le parti di interessi moratori in  misura superiore e salva la prova del danno ulteriore”. Il legislatore è opportunamente intervenuto equiparando il trattamento del subfornitore al “fornitore” nelle transazioni commerciali: infatti, in mancanza dell’indicato correttivo, il subfornitore avrebbe ricevuto un trattamento deteriore rispetto al creditore non subfornitore, potendo godere in precedenza solo della maggiorazione del cinque per cento (anziché dell’otto) sul tasso ufficiale di sconto (piuttosto che sul tasso principale di rifinanziamento della banca centrale europea). Non vi è dubbio che la legge n. 192/98 e il d. lgs. n. 231/02 si pongano, giustamente, nella tradizionale linea comune della tutela del favor creditoris[2], pur con le peculiarità particolarmente accentuate caratterizzanti il rapporto di subfornitura. L’art. 10 del d. lgs. 231/2002 e l’art. 2 del d. lgs. n. 192/2012 non hanno peraltro inciso sulla clausola penale contenuta nell’originario art. 3 della legge n. 192/1998: al subfornitore è garantita, nel caso in cui il ritardo ecceda i trenta giorni dal termine di pagamento previsto dalle parti o comunque disposto dal 2° comma dell’art. 3, una penale[3] pari al cinque per cento dell’importo in relazione al quale non è stato rispettato il termine di pagamento. In sostanza gli interessi di mora dovuti [continua ..]


5. La responsabilità del subfornitore ex art. 5 della legge n. 192.

Prima di trattare l’argomento molto delicato della responsabilità del subfornitore, va brevemente premesso un cenno sull’art. 4 della legge n. 192. L’art. 4 apparentemente pone un limite all’affidamento a terzi della subfornitura da parte del subfornitore, che non può provvedervi in misura superiore al 50% del valore della fornitura senza l’autorizzazione del committente. In realtà, anche questa norma, rispetto alla regola ordinaria stabilita dall’art. 1656 c.c., inserisce un principio di maggior favore per il subfornitore[1]: questi, infatti, fino alla metà del valore della fornitura, può subappaltare l’esecuzione della lavorazione, del bene o del servizio senza autorizzazione del committente; solo un eventuale subappalto di portata superiore, invece, deve essere autorizzato dal committente, secondo la regola ordinaria di cui all’art. 1656 c.c.[2]. E’ appena il caso di precisare che la subfornitura non è di per sé inquadrabile nello schema del subcontratto[3]; il subcontratto, infatti, prevede l’esistenza di un contratto principale in base al quale un terzo commissiona la fornitura al committente che la delega, in tutto o in parte, ad un altro fornitore; è il caso, ad esempio, del subappalto[4], che è quel contratto mediante il quale l’appaltatore conferisce ad un terzo (subappaltatore) l’incarico di eseguire i lavori assunti nell’originario contratto di appalto[5]; nel rapporto di subfornitura, infatti,  il contratto principale, che è elemento imprescindibile del subcontratto, può anche non sussistere[6]; ciò non esclude, però,  che la singola fattispecie possa assumere valenza subcontrattuale[7], quando si rilevi la preesistenza logica e cronologica di un contratto (principale) da cui origini un nuovo contratto, non solo collegato[8] e connesso con quello preesistente, ma anche dello stesso tipo e della stessa natura economica[9]. Chiarito brevemente il significato dell’art. 4, non rimane che affrontare la disciplina del più importante art. 5 che, in realtà, non ha apportato variazioni rivoluzionarie nel sistema codicistico, contrariamente a quanto occorso, ad esempio, per i primi 3 articoli della legge n. 192/98. L’art. 5 si occupa della responsabilità del subfornitore nei confronti del committente nel caso di inesatta esecuzione delle sue [continua ..]


6. Gli artt. 6 e 7 della legge n. 192/1998: il regime delle nullità e i diritti di privativa industriale.

Una questione di grande importanza riguarda il regime delle nullità con cui sono sanzionate le violazioni di molte norme contenute in vari articoli della legge n. 192/98. L’art. 6 dichiara nulle le clausole che attribuiscano ad una delle parti la facoltà di modificare unilateralmente (c.d. ius variandi[1]) i patti del contratto (primo comma), o di recedere in caso di rapporti ad esecuzione continuata o periodica senza congruo preavviso (secondo comma). E’ altresì nulla la clausola che disponga di diritti di privativa industriale o intellettuale a favore del committente in mancanza di adeguato corrispettivo (terzo comma). Le nullità sanzionate dalla legge n. 192, in realtà, come si è già in parte esaminato, si estendono ad altre situazioni patologiche del rapporto: l’art. 2 disciplina il difetto di forma, l’art. 4 regola il divieto di interposizione, l’art. 5 impone il regime dei patti limitativi della responsabilità e l’art. 9 reprime l’abuso di dipendenza economica[2]. Il problema che si pone è quello relativo al soggetto legittimato a far valere l’invalidità del contratto o delle singole clausole. La questione riguarda la possibilità di ritenere che la nullità, pur parziale[3],  possa essere assoluta o relativa[4].  La nullità, ove fosse assoluta, potrebbe essere fatta valere anche dal committente e non sarebbe posta a tutela del contraente debole[5].  In effetti, traendo spunto dal dato testuale dell’art. 1421 c.c., secondo cui le eccezioni alla regola generale in ordine alla legittimazione all’azione di nullità debbono essere espressamente previste dalle legge, si oppone che la mancanza di indicazioni nel senso della relatività dell’invalidità farebbe propendere per la qualificazione della nullità come assoluta[6].  Detta impostazione troverebbe conforto anche nel recente art. 36 del cod. del consumo che, modificando il regime precedente di cui all’art. 1469 quinquies c.c., ha introdotto espressamente in luogo dell’inefficacia la sanzione della nullità[7], la quale, tuttavia, “opera soltanto a vantaggio del consumatore” ed è rilevabile d’ufficio[8].  A mio avviso questa opportuna equiparazione del legislatore tra le conseguenze attribuite alla violazione delle norme a tutela del contraente debole, [continua ..]


7. Abuso di dipendenza economica ex art. 9 e la legge n. 57/2001.

Una rilevante novità introdotta dalla legge n. 192 è rappresentata dall’art. 9, che ha vietato l’abuso di dipendenza economica da parte di un’impresa nei confronti di un’impresa subfornitrice. L’ambito di applicazione dell’art. 9 è diverso da quello del resto della legge 192: la norma indicata, infatti, si applica a qualsiasi contratto tipico e atipico che sia stipulato tra imprese[1] in una situazione di dipendenza economica[2]. Si può giustamente ritenere che la norma indicata abbia “la valenza sistematica di clausola generale di divieto di abuso di potere nelle relazioni tra imprese”[3]. Proprio per la portata generale della norma, si ritiene che sia applicabile anche ai rapporti tra impresa cliente e banca[4] e ente committente e libro professionista[5]. Inoltre, sempre per la portata generale del divieto di abuso di dipendenza economica, si ritiene che l’art. 9 possa essere applicato anche nell’ambito delle reti d’impresa tra singole imprese operanti nella rete anche se non legate da alcun vincolo contrattuale con l’impresa dominante[6]. Peraltro, nonostante la dottrina si sia occupata quasi esclusivamente dell’ipotesi della dipendenza economica dal lato del subfornitore[7], non si può escludere che la norma abbia funzione “bidirezionale”, e cioè che possa essere invocata anche a favore del committente che si trovi nella situazione di debolezza nel rapporto bilaterale[8]. Il concetto di dipendenza economica si distingue da quello di posizione dominante elaborato dalle norme antitrust, con particolare riferimento alla legge n. 287/1990[9]: secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia, infatti, si considera in posizione dominante l’impresa che abbia una tale forza sul mercato da impedire una reale concorrenza[10]. La dipendenza economica, invece, si verifica in relazione al caso concreto, quando una o più imprese siano in grado di imporre ad un fornitore un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi nel rapporto contrattuale[11]. In alcuni mercati rilevanti particolarmente ristretti, l’abuso di dipendenza economica non è che una species del genus di abuso di posizione dominante[12]. Non vi è dubbio, poi, che l’abuso da dipendenza economica abbia natura di norma concorrenziale che viene a reprimere le condotte illecite nell’ambito dei rapporti tra imprese. La distinzione [continua ..]


8. Problemi processuali in ordine all’art. 10 della legge n. 192: l’abrogazione della norma ad opera dell’art. 5, 2° comma, del d. lgs. 15/11/2016 n. 219.

Una rilevante novità introdotta dalla legge n. 192 è rappresentata dall’art. 9, che ha vietato l’abuso di dipendenza economica da parte di un’impresa nei confronti di un’impresa subfornitrice. L’ambito di applicazione dell’art. 9 è diverso da quello del resto della legge 192: la norma indicata, infatti, si applica a qualsiasi contratto tipico e atipico che sia stipulato tra imprese[1] in una situazione di dipendenza economica[2]. Si può giustamente ritenere che la norma indicata abbia “la valenza sistematica di clausola generale di divieto di abuso di potere nelle relazioni tra imprese”[3]. Proprio per la portata generale della norma, si ritiene che sia applicabile anche ai rapporti tra impresa cliente e banca[4] e ente committente e libro professionista[5]. Inoltre, sempre per la portata generale del divieto di abuso di dipendenza economica, si ritiene che l’art. 9 possa essere applicato anche nell’ambito delle reti d’impresa tra singole imprese operanti nella rete anche se non legate da alcun vincolo contrattuale con l’impresa dominante[6]. Peraltro, nonostante la dottrina si sia occupata quasi esclusivamente dell’ipotesi della dipendenza economica dal lato del subfornitore[7], non si può escludere che la norma abbia funzione “bidirezionale”, e cioè che possa essere invocata anche a favore del committente che si trovi nella situazione di debolezza nel rapporto bilaterale[8]. Il concetto di dipendenza economica si distingue da quello di posizione dominante elaborato dalle norme antitrust, con particolare riferimento alla legge n. 287/1990[9]: secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia, infatti, si considera in posizione dominante l’impresa che abbia una tale forza sul mercato da impedire una reale concorrenza[10]. La dipendenza economica, invece, si verifica in relazione al caso concreto, quando una o più imprese siano in grado di imporre ad un fornitore un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi nel rapporto contrattuale[11]. In alcuni mercati rilevanti particolarmente ristretti, l’abuso di dipendenza economica non è che una species del genus di abuso di posizione dominante[12]. Non vi è dubbio, poi, che l’abuso da dipendenza economica abbia natura di norma concorrenziale che viene a reprimere le condotte illecite nell’ambito dei rapporti tra imprese. La distinzione [continua ..]


9. La casistica giurisprudenziale.

E’ opportuno a questo punto rappresentare una breve rassegna degli interventi giurisprudenziali che si rinvengono in materia di subfornitura. Infatti, per quanto la materia sia stata trattata piuttosto raramente dalla giurisprudenza, ormai, dopo oltre vent’anni è possibile rinvenire un significativo repertorio di sentenze, per la maggior parte ascrivibili al divieto di abuso di dipendenza economica. E’ stato ritenuto che il committente sia obbligato in solido con il subfornitore relativamente ai crediti lavorativi, contributivi ed assistenziali dei dipendenti di quest’ultimo, visto l’art. 29, comma 2, del d. lgs. n. 276/2003[1]. L’abuso di dipendenza economica può consistere nella imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose e nella interruzione arbitraria di relazioni commerciali in atto, tenendo conto della reale possibilità di rinvenire alternative sul mercato soddisfacenti per la parte che ha subito l’abuso[2]. L’abuso di dipendenza economica nei rapporti business to business, caratterizzati da un complesso di rapporti commerciali, va ravvisato non in relazione al singolo contratto, ma nel simultaneo recesso da tutti i contratti senza adeguato preavviso e senza la possibilità di rinvenire sul mercato alternative soddisfacenti considerati il fatturato, gli investimenti inutilizzati e la stabilità del rapporto commerciale[3]. E’ legittimo il recesso del concedente dal contratto di distribuzione, nell’ambito di una riorganizzazione della rete di vendita, senza che possa essere invocato l’abuso di dipendenza economica[4]. Il rapporto di subfornitura va ravvisato quando il subfornitore deve eseguire le istruzioni e gli ordini di un’altra impresa, venendo privato di ogni autonomia decisionale e realizzando la propria opera perché sia inserita nell’attività economica del committente, il quale stabilisce ogni caratteristica del prodotto[5]. Non è previsto un requisito di dipendenza tecnologica del subfornitore, essendo sufficiente che la prestazione sia conforme alle specifiche tecniche del committente[6]. Il contratto di subfornitura presuppone la subalternità progettuale-tecnologica del subfornitore che deve realizzare la propria opera in conformità a progetti e conoscenze tecniche del committente; questa dipendenza tecnologica distingue la subfornitura dall’appalto[7]. Il [continua ..]


10. Considerazioni finali.