L’autore approfondisce lo schema normativo dell’art. 177, lett. A), c.c. e si propone di identificare la posizione del coniuge non agente co-acquirente rispetto al contratto stipulato dal coniuge agente. Ripercorre, dunque, le diverse possibili dinamiche attraverso cui l’effetto contrattuale si produce anche nella sfera del conuuge acquirente non contraente. Lo studio ricostruisce la struttura <<dell’interesse familiare>> attraverso l’analisi del tessuto codicistico.
The author analyses the legal framework of civil code's Article 177(b) (A) and aims to identify the position of the non-agent co-buyer spouse in relation to the contract concluded by the agent spouse. Therefore, the autor trace the different possible dynamics through which the contractual effect also occurs in the sphere of the non-Contracting buyer. The study reconstructs the structure of the <<family interest>> by analysing codicystic tissue.
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Ercole Trerotola - Comunione legale e parte contrattuale. Spunti critici. La posizione del coniuge non agente co-acquirente rispetto all’atto stipulato dal consorte (art.177, lett. A, c.c.)
1. Profilo del fenomeno e orientamenti della dottrina. - 2. Cenni e rinvio. - 2.1. La relatività del contratto e la concezione codicistica di terzo acquirente per effetto del contratto. Prime osservazioni critiche. - 3. Genesi storica e analisi delle tendenze giurisprudenziali in tema di rifiuto al co-acquisto (Cass. 2688/1989; 1917/20000; 2954/2003). Gli acquisti personali in regime di comunione legale (Cass. 19250/2004; Sez. Un. 22775/2009). Si deve ammettere che il dibattito intorno ai limiti di ammissibilità del rifiuto unilaterale di un bene della comunione interferisce logicamente e giuridicamente con la problematica intorno alla posizione del coniuge non agente co-acquirente. - 4. Effetti distorsivi di una nozione univoca di «terzo» nella identificazione della posizione del co-acquirente. Avvertita è l’esigenza di un approfondimento teorico della nozione di terzo da cui far emergere due distinti atteggiamenti del terzo (destinatario degli effetti [diretti] del contratto e destinatario delle conseguenze del contratto [effetti indiretti]). - 5. Profili evolutivi dei modelli giuridici. Note critiche. Teoria dell’acquisto ex lege. Necessità di ricercare una terza proposta alternativa alle opzioni che identificano il coniuge non agente in posizione di terzo acquirente negoziale o terzo acquirente per effetto della legge. - 6. La duplice funzione contributiva e distributiva della comunione legale nella spiegazione della posizione del coniuge non contraente. - 7. (Segue) Necessità di distinguere, sul piano concettuale e teleologico, l’efficacia estensiva dalla funzione distributiva della comunione legale. - 8. Conclusioni. Analisi e dinamica giuridica delle situazioni soggettive. Critica alla teoria «efficacia estensiva della comunione legale» e riaffermazione del principio di personalità del consenso. Decisiva è, ai fini della soluzione prospettata, la distinzione tra «acquisto per effetto riflesso» e «acquisto per efficacia estensiva». Analisi della struttura giuridica dell’interesse familiare nella spiegazione del co-acquisto. Il problema della responsabilità civile del non contraente.
L’importanza cui è destinata la posizione del coniuge non agente co-acquirente ex art. 177, lett. a), c.c. è sottolineata dai numerosi contributi al tema. La norma imputa alla comunione legale gli acquisti compiuti separatamente dai coniugi in costanza di matrimonio, attribuendo al consorte non agente la comproprietà del bene per il solo fatto di essere in regime legale. Giustificata dalle esigenze cui andava incontro il legislatore riformista[1], la fattispecie implica problemi ai quali non è ancora stata data una spiegazione capace di conciliare le opposte tendenze della dottrina e i dubbi, come si dirà, sono stimolati dal modo in cui è articolata l’attribuzione del al coniuge non agente, non dovendosi discutere della comunione dell’acquisto stipulato dall’un coniuge, aspetto già risolto dal legislatore (art. 177 c.c.), ma della posizione del coniuge non agente rispetto all’atto concluso dal consorte. Insomma, il problema non è l’effetto (cioè l’acquisto del non agente), ma il modo attraverso cui esso si realizza, e, dunque, la dinamica giuridica attraverso cui si evolve l’effetto acquisitivo in favore del non contraente. Prima dei prossimi rilievi è preferibile, quindi, accennare da subito alla duplice opzione con cui la dottrina, attraverso differenti percorsi esegetici, spiega il fenomeno ex art. 177, lett. a), c.c. e in cui trovano risposta alcune questioni pratiche più volte sollevate dalla giurisprudenza[2]: il coniuge non contraente co-acquirente sarebbe parte sostanziale[3] o terzo acquirente[4]. Nondimeno, tale ultima dottrina, pur connotando il fenomeno ex art. 177, lett. a), c.c. come effetto legale, afferma, in linea con lo schema di contratto previsto all’art. 1411 c.c., una sostanziale analogia tra l’acquisto del coniuge non agente e l’acquisto del terzo[5]. Le due posizioni (terzo acquirente ex lege e terzo acquirente negoziale) differiscono, tuttavia, almeno sotto un duplice profilo: al di là della differente tipologia dell’acquisto, legale o negoziale, che si vedrà essere uno degli aspetti di maggiore interesse, l’appunto degno di nota attiene all’autonomia privata nel cui ambito, come si potrà notare, maggiore è la libertà del terzo acquirente per effetto del negozio rispetto al coniuge comunista. Orbene, prima di illustrare le coordinate [continua ..]
La teoria preferibile – tra gli altri, Majello, Masiello – configura il contratto a favore del terzo come un tipo ordinario di contratto munito di una clausola accessoria che devia gli effetti nel patrimonio del terzo. Il destinatario degli effetti, nel pensiero più attuale della dottrina, dispone di un vero e proprio diritto alla prestazione, potendo persino pretenderne l’esecuzione[1]; non è soggetto contraente, né parte sostanziale (cioè soggetto del rapporto giuridico), assicurando la norma (art. 1411 c.c.) la sola titolarità del diritto e, quindi, garantendo il terzo in una prospettiva essenzialmente patrimonialistica, evitandone ogni coinvolgimento nella responsabilità e nei doveri contrattuali. Non essendo concesso nel nostro ordinamento il contratto a carico altrui[2], il destinatario, nell’ottica appena delineata, è null’altro che un beneficiario del contratto. Sulla scorta di tale prevalente teoria, la dottrina di settore esclude che, ex art. 177, lett. a), c.c., possa stabilirsi un rapporto tra l’atto separato e la volontà del coniuge non agente, in tal modo confermando la posizione di terzo acquirente del non contraente. Per questa essenziale ragione, la norma, nel corso degli anni, è stata considerata una eccezione legale al dogma della relatività del contratto sancito all’art. 1372 c.c., riproducendo essa uno schema analogo al modulo previsto all’art. 1411 c.c.[3]. Questa diffusa convinzione non può essere accolta per essere l’acquisto in favore del non contraente autonomo dalla volontà del coniuge agente[4] e non dovendo quest’ultimo imprimere alcuna direzione all’effetto negoziale[5], in ciò diversificandosi dall’acquisto del terzo. Il contraente, infatti, se si dovesse dare una spiegazione pratica del fenomeno co-acquisitivo, non ha un dovere di informazione circa i destinatari dell’acquisto, sebbene la prassi notarile imponga al contraente la comunicazione del regime patrimoniale vigente. Tale dovere grava, semmai, a carico del coniuge che, in regime di comunione legale, intenda acquistare per sé e non anche per il coniuge[6]. Per la insostituibile funzione contributiva[7] della comunione legale, i cui automatismi presumono iuris et de iure l’uguale apporto dei coniugi all’esborso del corrispettivo contrattuale, la ricostruzione proposta dalla [continua ..]
La seconda delle due notazioni è il presupposto più concreto alla nuova tendenza giurisprudenziale (Sez. Un. 1917/2000; Cass. 2954/2003) che, innovando l’indirizzo previgente (Cass. 2688/1989), vincola la irrifiutabilità degli acquisti da parte del coniuge non contraente alla immutabile destinazione di essi[1]. Per spiegare tale più recente e, secondo noi, condivisibile atteggiamento della Corte, è necessario precisare i contenuti teorici della precedente posizione del giudice della legittimità che, nella storica sentenza 2688/1989[2], consacrava una autonomia privata dei coniugi capace di ridurre l’oggetto del regime legale[3]. E del resto, la posizione del coniuge non agente, che ha stimolato la dottrina ultraventennale, è, come si dirà, tema connesso alla densa problematica, sviluppatasi nel corso dell’ultimo ventennio, circa i limiti di ammissibilità del cosiddetto «rifiuto al co-acquisto»[4], e cioè la volontà dell’un coniuge di non acquisire al patrimonio comune un bene tipicamente coniugale[5]. È facile immaginare che i due argomenti (la posizione del co-acquirente non agente e il rifiuto all’acquisto separato) finiscono per interferire sui limiti all’autonomia privata dei coniugi in comunione legale, dovendosi, nell’uno e nell’altro caso, accertare sia l’ampiezza della potestà dell’un coniuge che i diritti del singolo che sopravvivono al regime patrimoniale legale[6]. Confermato il carattere pubblicistico sotteso alla comunione legale, il Collegio afferma l’autonomia della destinazione personale del bene dalla volontà dei coniugi[7] ed estende, altresì, questa statuizione alla destinazione coniugale degli acquisti[8], anch’essa svincolata dalla autonomia privata[9]. Corollario dell’assunto secondo cui il carattere personale o coniugale del bene deriva dai presupposti legali (artt. 177 e 179 c.c.) e non dalla volontà dei coniugi è la incapacità del coniuge non agente di rifiutare un bene tipicamente coniugale acquistato dal consorte, non potendo esso imprimere una destinazione differente da quella dichiarata dalla legge. Condividere tale puntuale enunciato non implica accettare la posizione di terzo acquirente negoziale del coniuge non agente, non potendo il terzo, come invece il coniuge, essere obbligato ad acquistare in conseguenza [continua ..]
La duplice interpretazione che la giurisprudenza (nelle sentenze 2688/1989 e 2954/2003) ha dato del rifiuto all’acquisto dissuade dall’affermare la irrifiutabilità di un bene coniugale se non dopo aver indagato alcuni aspetti della nozione (o delle nozioni) di «terzo», di cui, nonostante la ricchezza dei della dottrina, resta da spiegare i molteplici significati. In questa singolare prospettiva si deve avvertire dell’incoerenza di quella giurisprudenza che ancora immagina il coniuge non agente coacquirente in posizione di terzo acquirente negoziale al quale, tuttavia, impedire (o anche solo condizionare[1]) il diritto di rifiutare l’acquisto. Non si può condividere un tale insegnamento se si riflette che la obbligatorietà (degli effetti) del contratto è prerogativa del rapporto tra le parti cui risponde il principio della inviolabilità della sfera privata altrui[2] affermato in via di principio all’art. 1372 c.c. (e cioè, la relatività del contratto). In una chiave di lettura in cui si ricerchi ogni possibile aspetto del fenomeno, non può stupire il silenzio del legislatore che di rado fornisce formule nozionistiche, e la vocazione non nozionistica del codice civile neppure aiuta la dottrina[3] che non offre ancora una nozione soddisfacente di «terzo»[4]. D’altronde, la mera contrapposizione concettuale del terzo al «soggetto del contratto», cui di frequente ricorre la dottrina, è parsa una semplificazione tanto carente da non informare a sufficienza dei limiti entro cui misurarne la nozione giuridica. Per altro aspetto, si deve ammettere che una definizione omnicomprensiva in cui raccogliere i diversi possibili atteggiamenti del terzo è insostenibile se si pensa alla duplicazione che nel nostro ordinamento è fatto della nozione di terzo, e cioè destinatario diretto e indiretto degli effetti negoziali cui corrispondono le definizioni di effetti diretti ed effetti riflessi del negozio[5]. Invero, il legislatore si serve della nozione per indicare talora il destinatario degli effetti del contratto – ad es., il terzo ex art. 1411 c.c. - talaltra il destinatario delle conseguenze contrattuali, ossia interessato da modificazioni (determinate dal contratto ma) non qualificabili (almeno sul piano causale) come effetti contrattuali. In entrambe le ipotesi il soggetto è in posizione terza [continua ..]
Le obiezioni che precedono sembrano consolidare la tendenza maggioritaria della dottrina che sostiene la posizione di acquirente ex lege del coniuge non contraente. In tale affermata ipotesi, infatti, potrebbe l’acquisto ex art. 177, lett. a), c.c. essere interpretato come un effetto legale, e, in questa prospettiva di indagine, la riferita incapacità del coniuge non agente di rifiutare il bene[1], finanche sintonica al principio della indisponibilità degli effetti indiretti, consentirebbe, peraltro, di apprezzare il rilievo del Collegio[2] secondo cui «l’esclusione dell’acquisto dalla comunione legale non dipende dall’assenso del coniuge …». E del resto, se la Corte, secondo le osservazioni che si sono anticipate, sottraendo al coniuge il diritto di rifiutare, smentisce la posizione di terzo acquirente nel senso inteso all’art. 1411 c.c.[3], per altro aspetto, sostenendo che soltanto «il realizzarsi della fattispecie legale» può determinare l’esclusione del bene dal patrimonio coniugale, sembra rafforzare la tesi prevalente secondo cui il coniuge non agente sarebbe terzo investito delle conseguenze dell’atto separato (e cioè degli effetti indiretti)[4]. Se si dovesse dare credito a questa spiegazione, il coniuge, obbligato ad acquistare, sarebbe vittima e non complice dell’atto separato a misura di quelle ipotesi, frequenti nel nostro codice, in cui il terzo è obbligato a subire talune conseguenze giuridiche[5]. D’altronde, non essendo il coniuge terzo destinatario degli effetti (diretti) dell’atto separato – che si sono visti liberamente rifiutabili –, e non potendo neppure rifiutare la comproprietà del bene acquistata dal consorte – come confermato dalla più recente tendenza della giurisprudenza –, non sarebbe errato immaginare l’acquisto del non agente come la conseguenza della condizione giuridica di coniuge in regime di comunione legale. Il non contraente, secondo questa ricostruzione, sarebbe acquirente ex lege (e, dunque, destinatario degli effetti indiretti). Sennonché, gli sviluppi emersi dalle osservazioni che si sono precedute non soltanto evidenziano la infondatezza della teoria «coniuge non agente terzo acquirente negoziale», ma se per un verso scongiurano la più accreditata proposta che teorizza il coniuge non contraente [continua ..]
Accettata la bipartizione della nozione di terzo, in terzo acquirente negoziale e terzo acquirente ex lege, si è dovuto osservare che il non contraente, nel contratto a favore del terzo, in quanto destinatario dei soli effetti vantaggiosi[1], non è esposto (come, invece, l’acquirente per effetto della legge)[2] ad alcun obbligo; esso non entra nel sinallagma contrattuale e perciò non è parte (ma creditore della prestazione). Questa osservazione alla concezione codicistica di terzo si è visto essere il tema più prezioso al dichiarato intento critico alla teoria dominante secondo cui il coniuge non agente è un mero beneficiario dell’atto di acquisto. Sin da ora si deve avvertire dell’inconsistenza del ricorso allo schema del contratto a favore del terzo per spiegare il fenomeno co-acquisitivo. Anzi, sebbene la dottrina persista nell’immaginare il non contraente alla stregua di un mero titolare del diritto (Altieri), l’accennata obiezione è già sufficiente a indicare una prima immediata divergenza tra le posizioni del coniuge co-acquirente e del terzo acquirente per effetto del negozio. In questa prospettiva, si deve ammettere che il tentativo di ridurre le distanze esistenti tra i due modelli, ipotizzando una cointeressenza del coniuge non agente alla sola proprietà sostanziale ed esonerandolo - come è per il terzo acquirente - dalle obbligazioni connesse all’acquisto, si mostra carente di argomenti al punto da minare l’asserita equivalenza tra le posizioni di coniuge non agente e terzo acquirente negoziale. L’insanabile divergenza tra le due figure, tuttavia, è sottolineata dalla presunzione con cui il legislatore ha inteso riconoscere in capo a entrambi i coniugi la proprietà del danaro utilizzato per l’acquisto; circostanza intrascurabile del fenomeno co-acquisitivo che non permette di identificare nell’acquisto del consorte non agente un mero vantaggio. Piuttosto, questa spiegazione del fenomeno in esame, nei termini che si sono appena accennati, autorizza di considerare l’acquisto come sicura espressione della logica del corrispettivo e, pertanto, del rapporto sinallagmatico tra prestazione – esborso del danaro – e controprestazione – trasferimento del bene – di cui il coniuge non agente, come meglio si dirà, è partecipe[3]. Pur evitando di [continua ..]
Il percorso intrapreso per dare una soluzione al problema della posizione del coniuge co-acquirente non agente, suggerisce di affrontare altro tema su cui dissentire dalla opinione prevalente. La dottrina, infatti, non ha del tutto chiarito, sul piano teleologico e concettuale, la distinzione tra la funzione distributiva e la cosiddetta efficacia estensiva, accreditando alle norme in tema di comunione legale tale ultimo fenomeno e facendo da essa discendere l’acquisto del non agente. Non convince il tentativo della dottrina di affidare alla lett. a) dell’art. 177 c.c. una speciale efficacia estensiva con finalità ripartitoria dell’acquisto stipulato dall’un coniuge, né sembra possibile difendere le ragioni a sostegno dell’opinione che, da tale particolare fenomeno, fa conseguire l’effetto acquisitivo in capo al coniuge non-contraente. Seguendo questa impostazione, i due acquisti, del coniuge contraente e del non-contraente, si connoterebbero per la differente natura giuridica, configurando il primo un acquisto tipicamente negoziale, laddove l’acquisto del non agente si identificherebbe come ipotesi di acquisto legale, riconoscendo, questa dottrina, il fenomeno efficacia estensiva come effetto legale[1]. Per il solo fatto di promuovere la legge a rango di fonte dell’acquisto del non contraente[2], questa elaborazione della nozione efficacia estensiva della comunione legale non può essere accolta. Sebbene la dottrina teorizzi il fenomeno efficacia estensiva alla stregua di un effetto legale[3], essa, tuttavia, immagina l’acquisto del non agente come la conseguenza dell’estensione dell’ambito soggettivo della normale efficacia del negozio stipulato dal consorte[4]. Persino in tale più attenta prospettiva l’acquisto del non contraente si distingue dall’effetto legale. I due fenomeni, cui si è appena fatto cenno, come ancora si dirà, sono entrambi da collocarsi nel momento di produzione degli effetti[5], e, più di tutto, la funzione distributiva (e non l’efficacia estensiva) è una peculiarità della comunione legale, limitandosi tale fenomeno all’automatismo della ripartizione della ricchezza familiare voluta dai coniugi con la scelta del regime comunistico; non è un effetto giuridico ma un modus operandi della legge (art. 177, lett. a), c.c.), laddove l’efficacia estensiva ha una [continua ..]