Jus CivileISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

Brevi note in tema di nullità della prova testimoniale nei contratti aventi forma scritta ad probationem e ad substantiam (di Eleonora Melis)


Il lavoro di queste brevi note è incentrato sull’evoluzione della forma scritta, ad substantiam e ad probationem, ed il legame con la prova testimoniale nel processo civile.

Dall’analisi del codice civile del 1865 e del codice del commercio del 1882 si giunge al codice attuale, sintesi delle nuove esigenze della società e dei suoi antecedenti storici, si dà conto della difficoltà insita nella nozione stessa di forma e degli sforzi della dottrina nella sua formulazione.

Si esamina la normativa sulle prove documentali, sulla prova testimoniale e sui limiti di essa nell’ambito processuale civile. Si dà conto della giurisprudenza granitica sull’eccezione di nullità e sulla rilevabilità d’ufficio e del contrasto giurisprudenziale sollevato di recente dalla III Sezione della Corte di Cassazione, nonché della soluzione adottata dalle Sezioni Unite dell’estate 2020.

Brief notes regarding nullity of testimonial evidence in contracts with ad probationem and ad substantiam written form

The work presented in these brief notes is focussed on the evolution of the written form, ad substantiam and ad probationem, and its ties to testimonial evidence in civil trials.

After the analysis of the 1865 civil code and 1882 commercial code, this work examines the current code, born of the new needs of society and its historical precursors. The intrinsic difficulties in the notion of form itself are discussed, as well as the doctrine’s efforts in formulating it.

The norms on documentary and testimonial evidence, with its limitations in the context of civil trials, are examined. A solid body of jurisprudence on the preliminary objection of nullity and its ex officio detectability is further discussed, together with the jurisprudential contrast recently raised by the III Sezione della Corte di Cassazione and the solutions adopted by the Sezioni Unite in summer 2020.

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Eleonora Melis - Brevi note in tema di nullità della prova testimoniale nei contratti aventi forma scritta ad probationem e ad substantiam

SOMMARIO:

1. La forma nei contratti: breve introduzione storica. - 1.1. La forma scritta nel codice civile. - 1.2. Le prove documentali. - 1.3. La prova testimoniale ed il rapporto con la forma scritta nel processo civile. - 2. I diversi orientamenti adottati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di nullità della prova testi-moniale. Impostazione del problema. - 3. La sentenza delle Sezioni Unite n. 16723 depositata il 5 agosto 2020 ed il principio di diritto in essa enucleato.


1. La forma nei contratti: breve introduzione storica.

I mutamenti socio-economici e culturali che hanno attraversato l’Italia negli ultimi due secoli hanno influenzato le decisioni assunte dal legislatore in sede civile e, specificamente, nel settore dei contratti e della loro forma. Una prima evoluzione ha riguardato l’arco temporale tra il 1865 ed il 1942, periodo in cui furono promulgati il codice civile con R.D. 25 giugno 1865, n. 2358, il codice del commercio con R.D. 31 ottobre 1882, n. 1062, e, infine, quello attuale con R.D. 16 marzo 1942, n. 262. I codici del Regno d’Italia erano testi complementari: il primo regolava tutti i settori del diritto ed era applicato indistintamente a ciascun cittadino, il secondo, invece, concerneva solo i commercianti e le società commerciali[1] e le operazioni svolte da questi[2]. Per quanto attiene al settore contrattuale, il codice civile del 1865 presentava un unico articolo, il 1104[3], inserito nel titolo IV “delle obbligazioni e dei contratti in genere”, capo I “delle cause delle obbligazioni”, relativo agli elementi essenziali del contratto, ossia la capacità a contrarre, il consenso valido delle parti, un oggetto determinato che potesse essere materia di convenzione e, infine, la causa lecita per cui obbligarsi. Nulla stabiliva sulla forma. La decisione assunta dal legislatore si comprende alla luce del contesto storico, poiché l’area contrattuale era rimessa in gran parte all’autonoma scelta dei soggetti giuridici[4]; ciò non può dirsi per quei campi, invece, più rigidi e formali a causa del bene giuridico da tutelare, come nel caso delle successioni[5] o della famiglia[6]. Il codice del commercio, invece, non conteneva disposizioni generali sui contratti, ma stabiliva per ciascuno di essi una particolare forma ad probationem[7]o ad substantiam[8]. Il lasso temporale che copre la fine del XIX secolo e la prima metà del secolo successivo è ricco di avvenimenti storici, i quali hanno influenzato il legislatore moderno sia a livello nazionale, sia a livello internazionale. A titolo esemplificativo e non esaustivo, la Terza guerra d'indipendenza italiana (20 giugno - 12 agosto 1866) e le prime lotte sindacali nel 1882. È certamente il XX secolo, tuttavia, ad avere un ruolo preponderante, in quanto si verificarono la prima guerra mondiale, l’istituzione della Società delle Nazioni nel 1919 (prima organizzazione mondiale ad [continua ..]


1.1. La forma scritta nel codice civile.

Il legislatore non ha fornito una definizione della forma, probabilmente ritenendo che si trattasse di un concetto chiaro e comune a tutti i cittadini. Con essa si intende “l’aspetto esteriore con cui si configura ogni oggetto corporeo o fantastico, o una sua rappresentazione”.[1] Ebbene, dottrina e giurisprudenza hanno tentato di calare tale definizione nel linguaggio giuridico, interrogandosi sulla sua finalità e la sua portata. Un’illustre dottrina ha evidenziato come tutti gli atti aventi rilevanza giuridica necessitino di una forma, ossia di una modalità di estrinsecazione che li “riveli al mondo delle relazioni sociali e giuridiche”[2]; secondo altra impostazione si tratta di un “veicolo con il quale la volontà negoziale è manifestata o la figura esteriore dell’atto che nella vita di relazione è riconoscibile per gli altri se non attraverso la forma stessa”[3]. Altro orientamento sottolinea che “la forma ed il negozio giuridico sono due elementi inscindibili, anzi la forma altro non è se non il modo con cui l’atto umano si esteriorizza. Tale modo è libero, sempre che l’esteriorizzazione assolva al compito di rendere oggettivamente riconoscibile il divisato regolamento di interessi. In concreto tale esteriorizzazione non potrà che rivestire le forme della dichiarazione o del comportamento concludente”[4]. La Suprema Conte, invece, nonostante le numerose pronunce sul tema, non ha dato una definizione di forma, ma si è limitata ad evidenziarne l’essenzialità a seconda dei contratti oggetto del suo vaglio[5]. È pacifico, nonostante le diverse definizioni, che la forma nel settore contrattuale è il mezzo attraverso cui le parti manifestano all’esterno il loro consenso alla stipula. Le parti possono concludere sia in forma espressa, attraverso una dichiarazione scritta o verbale, oppure per facta concludentia, ossia quei comportamenti che possiedono il significato univoco di volontà tacita alla conclusione. La regola adottata dal codice civile è quella della libertà delle forme[6], salvo che non sia previsto diversamente dalla legge: ciò si evince dall’articolo 1325 c.c. che indica la forma come elemento essenziale del contratto, purché lo sia ad substantiam. Proprio alla luce di tale rapporto, si impone il divieto di estensione analogica [continua ..]


1.2. Le prove documentali.

Non può sottacersi come l’esistenza di un documento sia ontologicamente collegato al problema della sua prova in giudizio. Se da un lato, infatti, la disciplina dettata in tema di prova documentale non ha dato origine a particolari querelle, dall’altro lato il legame tra l’esistenza del contratto e la prova testimoniale è al centro di un ampio dibattito. La prova documentale è disciplinata agli articoli 2699 e seguenti, inseriti nel libro VI “della tutela dei diritti” titolo II “delle prove” capo II “della prova documentale”. Secondo il codice civile l’atto pubblico è un documento redatto, con le formalità richieste, da un notaio o un pubblico ufficiale, autorizzato dalla legge ad attribuirgli pubblica fede. Proprio tale riconoscimento è strettamente connesso alla sua efficacia come piena prova fino a querela di falso, per quanto attiene alla provenienza del documento, alle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti attestati in esso[1]. La scrittura privata, invece, è un documento scritto dalle parti ma, a differenza dell’atto pubblico, forma piena prova in due casi: quando colui contro il quale è stata prodotta la scrittura la riconosce oppure se la sottoscrizione è autenticata. Anche in questi casi deve farsi querela di falso [2], poiché tale scrittura possiede lo stesso valore dell’atto pubblico. In tutti gli altri casi è necessario eseguire il disconoscimento.   [1] Cass., 29 settembre 2020, n.20520 “L'efficacia probatoria dell'atto pubblico è limitata ai fatti che pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza e alla provenienza delle dichiarazioni, senza implicare l'intrinseca veridicità di esse o la loro rispondenza all'effettiva intenzione delle parti”. [2] Sulla querela di falso avente come oggetto la scrittura privata deve aggiungersi anche l’ipotesi in cui vi sia stato un giudizio di verificazione ex articolo 216 c.p.c. al termine del quale sia stata accertata l’autenticità della relativa sottoscrizione.


1.3. La prova testimoniale ed il rapporto con la forma scritta nel processo civile.

Come è stato evidenziato in precedenza, invece, la prova testimoniale è foriera di incertezze. La testimonianza ha una disciplina composita: essa è regolata nel codice civile, capo III articoli 2721 e seguenti, e nel codice di procedura civile, il quale indica limiti e modalità con cui essa deve essere escussa. Un primo problema attiene all’ammissibilità nel caso dei contratti il cui oggetto supera il valore di 2,58 euro: il legislatore riconosce a favore del giudice ampio potere discrezionale, cosicché può essere ammessa tenendo conto della qualità delle parti, della natura del contratto e di ogni altra circostanza. La Corte di Cassazione ha riconosciuto come “L'ammissione della prova testimoniale oltre i limiti di valore stabiliti dall'art. 2721 c.c. costituisce un potere discrezionale del giudice di merito, il cui esercizio, o mancato esercizio, è insindacabile in sede di legittimità ove sia correttamente motivato”[1] . Tale discrezionalità è riconosciuta anche nell’ipotesi di patti posteriori alla formazione del documento, purché appaia verosimile che siano state fatte delle aggiunte o delle modifiche verbali, tenendo conto delle qualità delle parti, delle circostanze e della natura del contratto stesso. Al contrario, la prova di patti aggiunti o contrari al contenuto del documento, e che si alleghi essere stati stipulati anteriormente e/o contemporaneamente, non può essere raggiunta con la prova testimoniale. Sono state vagliate, inoltre, tre eccezioni per le quali è possibile ammettere la prova testimoniale imperativamente: “1) quando vi è un principio di prova per iscritto: questo è costituito da qualsiasi scritto, proveniente dalla persona contro la quale è diretta la domanda o dal suo rappresentante, che faccia apparire verosimile il fatto allegato; 2) quando il contraente è stato nell'impossibilità morale o materiale di procurarsi una prova scritta; 3) quando il contraente ha senza sua colpa perduto il documento che gli forniva la prova”. Infine, l’articolo 2725 c.c. stabilisce che la prova per testimoni è sempre ammessa nel caso di perdita incolpevole del documento per i contratti aventi forma scritta ad probationem e per quelli a pena di nullità. I limiti previsti dal codice civile devono essere combinati con quelli [continua ..]


2. I diversi orientamenti adottati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di nullità della prova testi-moniale. Impostazione del problema.

Al centro del dibattito giurisprudenziale recente, risolto da una pronuncia delle Sezioni Unite dell’estate 2020, vi sono stati i limiti della prova testimoniale e l’eventuale loro opponibilità e rilevabilità d’ufficio. La Suprema Corte, nell’ipotesi di assenza della forma scritta ad probationem, il cui scopo è la tutela di interessi privati, ha sottolineato come essa non sia rilevabile d’ufficio dal giudice e che, ai sensi dall’articolo 157, comma 2 c.p.c., deve essere eccepita dalla parte interessata entro il termine previsto dall’art. 157, comma 2, c.p.c., ad un’eccezione di parte tempestiva, ossia nella prima istanza o difesa successiva alla sua formulazione[1]. Sebbene tale giurisprudenza sia costante, la Cass. 14 agosto 2014 n. 17986[2] ha affermato il seguente principio: “In tema di prova testimoniale, l'unitarietà della disciplina risultante dagli artt. 2725 c.c. e 2729 c.c. esclude l'esistenza di un diverso regime processuale in ordine al rilievo dell'inammissibilità della prova testimoniale con riferimento ai contratti per i quali la forma scritta sia richiesta "ad probationem" ovvero "ad substantiam", sicché quando, per legge o per volontà delle parti, sia prevista, per un certo contratto, la forma scritta "ad probationem", la prova testimoniale (e quella per presunzioni) che abbia ad oggetto, implicitamente o esplicitamente, l'esistenza del contratto, è inammissibile, salvo che non sia volta a dimostrare la perdita incolpevole del documento”. La Cassazione, al fine di pervenire a tale conclusione, analizza la disciplina della prova testimoniale ed evidenzia come l’articolo 2725 c.c. contenga un unico regolamento per entrambe le tipologie di forme contrattuali, così da rendere “trasparente l'intento del legislatore di normare in maniera assolutamente sovrapponibile le due ipotesi”. Secondo la decisione in esame, l'unitarietà della disciplina normativa applicabile in tema di prova testimoniale sarebbe evincibile anche da altri fattori, come il secondo comma dell’art. 2729 c.c., il quale stabilisce che le presunzioni semplici non possano essere ammesse nei casi in cui la legge escluda la testimonianza, e gli “indici ermeneutici, ritenuti di carattere dirimente, evincibili dal ricorso al criterio sistematico ed a quello letterale”. Secondo tale decisione [continua ..]


3. La sentenza delle Sezioni Unite n. 16723 depositata il 5 agosto 2020 ed il principio di diritto in essa enucleato.