Le regole sull'onere della prova non sono chiare, sicché non è facile stipulare accordi di inversione dell'onere. Inoltre la sempre maggiore affermazione del principio della vicinanza della prova fa dubitare che le parti possano validamente derogarvi.
Quanto ai patti che escludono mezzi di prova, è dubbio che le parti possano escludere che gli arbitri nominino consulenti tecnici d'ufficio, ma nella prassi arbitrale si sta diffondendo il ricorso al confronto tra expert witnesses.
Le parti possono escludere che dai lavori preparatori emerga un onere della prova in capo alla parte che ha predisposto una clausola.
The rules on the burden of proof are unclear, so that it is not easy to enter into agreements to reverse the burden. In addition, the increasing assertion of the principle of closeness of evidence makes it doubtful that the parties can validly derogate to it.
As for covenants excluding means of proof, it is doubtful that the parties can exclude arbitrators from appointing an expert, but the use of confrontation between expert witnesses is becoming more common in arbitration practice.
The parties may exclude from the preparatory work of a contract a burden of proof on the party that prepared a clause.
1. Accordi di inversione dell’onere della prova - 2. Accordi di esclusione della prova
A prima vista il tema appare di facile approccio.
Come osserva Patti, Le prove, II ed., p. 344, nel volume che oggi presentiamo, l’art. 2698 cod. civ. ammette la validità di accordi delle parti diretti ad investire o a modificare l’onere della prova, superando i dubbi anteriori al codice del 42.
Al tempo stesso, l’art. 2698 cod. civ. precisa i limiti di tali accordi: sono nulli se riguardano diritti indisponibili o se hanno per effetto di rendere eccessivamente difficile l’esercizio del diritto.
A prima vista, dunque, chi oggi scrive un contratto dovrebbe prendere in considerazione l’art. 2697, dedurre su chi grava e in che misura l’onere della prova, e derogare a tale disposizione, con l’unica cautela di evitare di farlo quando si tratta di diritti indisponibili o di farlo in modo tale da rendere eccessivamente difficile l’esercizio del diritto.
A prima vista, in conclusione, sembrerebbe un argomento che non meriterebbe di essere trattato in un seminario sofisticato come quello di oggi.
Il fatto è che le cose non stanno così.
In primo luogo non è affatto chiaro quali siano le regole dell’onere della prova alla luce dell’art. 2697: basti pensare al tema centrale dell’onere della prova dell’inadempimento, di recente rimesso in discussione dalla Corte Suprema, o al tema dell’onere della prova della autenticità del testamento olografo, che la Corte Suprema non fa gravare sulla parte che basa sul testamento le proprie domande.
Di per sé l’incertezza sulle regole legali dell’onere della prova indurrebbe a stipulare patti sull’onere della prova.
Ma vi è una seconda e più importante circostanza, sottolineata da chi più di tutti ha approfondito il tema delle prove, Bruno Cavallone.
Egli ha di recente scritto sulla Processuale (2022, p. 446): «a me sembra, leggendo molte decisioni della Corte di cassazione, che l’art. 2697 sia stato messo in un canto, sopraffatto dal principio per il quale “la prova dei fatti che il giudice ritiene rilevanti spetta alla parte – individuata dal giudice – che è in grado di provarli”».
È chiaro infatti che se l’art. 2697 non c’è più, non ha senso predisporre deroghe convenzionali che si basino sull’applicazione di questa norma.
Se il principio unico è quello della vicinanza della prova, si tratterebbe di derogare convenzionalmente ad esso: ma un accordo che facesse gravare sulla parte che meno è in grado di provare i fatti l’onere di provarli sarebbe probabilmente nullo, perché renderebbe per quella parte eccessivamente difficile l’esercizio del diritto.
In questa situazione, è meglio che io dedichi più diffusa attenzione al secondo tema a me affidato.
Ancora Patti (p. 356) ci dice: «gli accordi sulle prove possono ancora prevedere l’esclusione di alcuni mezzi di prova. In base alla norma vigente deve ritenersi superato il dubbio circa la validità di tali patti, basato sull’osservazione che le parti invaderebbero in tal modo la sfera riservata ai poteri del giudice».
Il tema merita di essere approfondito, prendendo in considerazione sia patti che escludono mezzi di prova, sia patti che escludono la rilevanza di presunzioni, sia patti che escludono la rilevanza a fini probatori di determinati fatti.
2.1. – Iniziamo dai patti che escludono mezzi di prova (intesa questa espressione in senso lato, comprensiva della consulenza tecnica d’ufficio). Parliamo dell’arbitrato e della consulenza tecnica d’ufficio.
L’art. 816 ter cod. proc. civ., che ha per rubrica «istruzione probatoria», espressamente prevede che «gli arbitri possono farsi assistere da uno o più consulenti tecnici. Possono essere nominati consulenti tecnici sia persone fisiche, sia enti».
Al tempo stesso, l’art. 816 bis cod. proc. civ., prevede che «le parti possono stabilire nella convenzione di arbitrato, o con un atto scritto separato, purché anteriore all’inizio del giudizio arbitrale, le norme che gli arbitri debbono osservare nel procedimento».
Tra i poteri delle parti di stabilire le norme del procedimento arbitrale rientra anche quello di stabilire le norme per l’istruttoria, ed è anzi su questo piano che si registra in questi ultimi anni la propensione dei difensori delle parti, anche per arbitrati con sede in Italia, a prescrivere l’adozione di procedure probatorie proprie degli arbitrati internazionali.
Così accade che i difensori delle parti ricorrano agli expert witness, e che, al fine di tenere sotto controllo anche la fase istruttoria dell’arbitrato, concordino che gli arbitri debbano integrare le proprie conoscenze tecniche attraverso il confronto delle relazioni degli expert witness delle parti, astenendosi dal nominare un consulente tecnico.
Ci si chiede se le parti possano escludere la facoltà degli arbitri di nominare un consulente tecnico.
Osservo innanzitutto che una simile esclusione ha poco senso se prevista in una clausola compromissoria, quando non si sa ancora quale sarà la controversia da decidere. Ha senso se posta dalle parti in limine di una lite retta dalla clausola compromissoria quando la controversia è sorta o ancor più in sede di compromesso, quando l’oggetto della controversia deve essere determinato. Ciò premesso, il quesito si pone non tanto in termini di deroga ad una norma che disciplina il procedimento arbitrale, quanto in termini di contenuto del contratto di arbitrato: e dunque gli arbitri nominandi potranno non accettare un incarico che potrebbe metterli nelle condizioni di non sapere come decidere in assenza di un necessario ausilio tecnico. Gli arbitri nominandi potranno accettare l’incarico se la lite può essere decisa “in diritto” sia quanto all’an sia in relazione al quantum, oppure se sono in possesso delle necessarie competenze tecniche, e proprio per tale ragione sono stati prescelti.
Sta di fatto che sempre più spesso gli arbitri si limitano al confronto tra gli expert witness, senza procedere alla nomina di un consulente tecnico.
Perché il discorso abbia concretezza riferisco qui, nel rispetto della riservatezza che caratterizza l’arbitrato, alcuni casi di cui ho avuto diretta esperienza.
In un primo arbitrato (internazionale), concluso con un lodo nel 2016, si trattava di valutare se una parte potesse recedere dal contratto, per essersi verificate delle passività eccedenti un valore minimo concordato dalle parti. Si trattava quindi di accertare se sussistessero delle passività (questione delicata perché rilevavano anche passività potenziali) ed in caso affermativo se tali passività superassero o meno la soglia.
Le parti avevano prodotto ciascuna una perizia tecnica economico-aziendale, ed il collegio arbitrale ha ascoltato in udienza in contraddittorio i due esperti, con la presenza anche dei difensori. Ciò ha consentito di evidenziare i punti di consenso e i punti di dissenso tra i periti.
Il collegio ha poi deciso nel merito.
In un secondo arbitrato, anche questo internazionale, che si è concluso con un lodo nel 2019, la controversia aveva ad oggetto l’intermediazione nella vendita di elicotteri e delle relative parti di ricambio. Venivano in rilievo questioni tecniche, come la vita media di un elicottero nel caso di un determinato utilizzo, e la quantità di parti di ricambio necessarie per la durata della vita utile dell’elicottero.
Le parti hanno prodotto ciascuna una perizia, e il collegio arbitrale ha ascoltato in udienza in contraddittorio i due esperti, con la presenza anche dei difensori, che hanno sottoposto l’esperto di controparte a contestazioni e richieste di chiarimento.
In un terzo arbitrato, esso pure internazionale, che si è concluso con un lodo nel 2021, la controversia verteva sul diritto del venditore di un’azienda farmaceutica ad un supplemento di prezzo, condizionato all’esito favorevole di uno studio, volto a dimostrare determinate proprietà terapeutiche di un farmaco prodotto da quell’azienda.
Anche in questo caso le parti hanno prodotto più pareri di tecnici farmaceutici.
Il collegio arbitrale ha identificato un parere per parte, ha sottoposto in via preventiva ai due tecnici alcuni quesiti, emersi dalla lettura delle loro relazioni scritte, ed ha poi ascoltato in udienza in contraddittorio i due esperti, con la presenza dei difensori, che hanno avuto modo di chiedere chiarimenti, ma senza procedere ad una cross-examination.
In un quarto arbitrato, questa volta domestico, ancora in corso, questioni tecniche sono state oggetto di perizia di parte, ed anche in questo caso il collegio arbitrale ha ascoltato in udienza i due esperti, con la presenza dei difensori, che hanno avuto modo di chiedere chiarimenti (ma non sono stati ammessi alla cross-examination).
In un quinto arbitrato, esso pure domestico, si è ripetuto lo stesso schema.
Una volta scelta la soluzione del confronto tra expert witness occorre stabilire, sempre ex ante, le modalità del loro utilizzo.
Il modello tradizionale è quello di procedere prima alla cross-examination di un expert witness, con modalità analoghe alla cross-examination dei witness in fact, poi dell’altro expert witness. Soluzione, questa, che non consente l’immediatezza del confronto.
Più di recente si è affermata la expert witness conference, in gergo hot-tubbing, che vede i due expert witness confrontarsi in udienza, soggetti alle domande del collegio arbitrale ed alle richieste di chiarimento dei difensori. In tal modo emergono più facilmente i punti di consenso ed i punti di dissenso tra gli esperti.
Questa seconda modalità mi pare la più adatta per fare abitare il ricorso ad expert witness in un arbitrato in Italia.
2.2. – Veniamo ora ai fatti che escludono presunzioni.
Vorrei citare una clausola che si legge nell’Agreement and Plan of Merger oggetto della controversia tra Musk e Twitter.
La clausola così prevede: «(a) The parties have participated jointly in the negotiation and drafting of this Agreement. In the event an ambiguity or question of intent or interpretation arises, this Agreement shall be construed as if drafted jointly by the parties, and no presumption or burden of proof shall arise favoring or disfavoring any party by virtue of the authorship of any provisions of this Agreement».
Con la clausola in esame le parti intendono escludere che la circostanza che una clausola sia stata elaborata da una parte possa far sorgere in capo ad essa un onere della prova, o far sorgere una presunzione: il giudice o l’arbitro dovrà considerare tutte le clausole come se fossero state elaborate da entrambe le parti.
2.3. – Si vuole così togliere rilevanza probatoria ai «lavori preparatori del contratto». Siamo vicini alle merger clauses, o entire agreement clauses, di cui già si è molto parlato anche in Italia, volte ad evitare che il giudice o l’arbitro attribuiscano al contratto un significato non già sulla base del testo contrattuale, ma dei «lavori preparatori», e dunque ai patti che escludono la rilevanza ai fini probatori di determinati fatti.