Jus CivileISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

Emergenza epidemica e locazioni commerciali (di Antonio Palmieri, Professore ordinario – Università degli Studi del Molise)


Il divieto legislativo di svolgimento delle attività produttive industriali e commerciali – imposto allo scopo di limitare la diffusione del virus COVID-19 – non ha comportato, in relazione ai contratti di locazione di immobili ad uso commerciale, il venir meno dell'obbligo di pagamento del canone.

Non ricorre né una ipotesi di impossibilità della prestazione dovuta dal conduttore; né, tanto meno, una ipotesi di impossibilità della prestazione dovuta dal locatore.

Non sembrano neppure utilizzabili i rimedi della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, di cui non ricorrono i presupposti normativi; né quello della rinegoziazione obbligatoria delle condizioni contrattuali, poiché l'istituto non ha ancora trovato espresso riconoscimento legislativo e non può trovare il proprio fondamento nell'obbligo di eseguire il contratto secondo buona fede o nel principio costituzionale di solidarietà.

Epidemic emergency and commercial property lease

The present contribution analyses the impact on commercial tenancies of the emergency measures put in place by the legislator to forbid the industrial and commercial activities during the pandemic.
It focuses on contractual remedies that can be used by tenants; and, in particular, on the voluntary renegotiation of the contract.

COMMENTO

Sommario:

1. L’emergenza epidemica attraverso le lenti del giurista - 2. L’art. 91 del d.l. 17 marzo 2020, n. 18 e l’inadempimento di obbligazioni pecuniarie - 3. I rapporti locativi: l’obbligo di “far godere” e l’obbligo di pagamento del canone - 4. L’incidenza dell’emergenza epidemica sulle locazioni di immobili ad uso diverso dall’abitativo - 5. I rimedi demolitori: una lose-lose situation. Le prospettive della rinegoziazione - NOTE


1. L’emergenza epidemica attraverso le lenti del giurista

Il giurista è chiamato a guardare alla realtà attraverso le lenti del diritto. Gli accadimenti della storia ed i rapporti fra gli uomini debbono essere letti attraverso le norme; ed è alla luce dello jus positum che è possibile attribuire ad essi giuridica rilevanza, determinarne gli effetti, individuare la regula iuris ad essi applicabile [1]. Può accadere, tuttavia, che sul proscenio della storia facciano irruzione fatti del tutto nuovi, imprevisti e persino inimmaginabili; e che le lenti del giurista sembrino, allora, appannate: strumenti inadeguati a restituire una immagine nitida e definita del presente, ad acquisire piena intelligenza della mutata realtà, a ricondurre il novum alle categorie giuridiche della tradizione. E così come accade a chi, inoltrandosi nel sentiero della vita, avverte progressivamente l’indebolirsi dei propri occhi e cerca strumenti di correzione del visus sempre più efficaci, anche il giurista può essere tentato di considerare le proprie lenti come non più adeguate ed indotto a vagheggiarne di nuove. Ma il giurista è consapevole di non potersi dotare di nuove lenti se non è il legislatore a donargliele. E fino a quando il dono non sopraggiunga, non potrà far altro che togliere dalle proprie lenti le opacità su di esse formatesi nel tempo; ma dovrà, comunque, continuare ad utilizzare le lenti di cui è dotato. Nel tempo presente l’emergenza epidemica, correlata alla diffusione del virus Covid-19, ha provocato un profondo sconvolgimento sanitario, sociale ed economico; ed ha determinato le pubbliche Autorità ad adottare provvedimenti volti a contenere la diffusione del morbo che hanno inciso sulle libertà personali degli individui, sullo svolgimento delle attività produttive, sui flussi reddituali di famiglie ed imprese, sulle prospettive economiche future dell’intera comunità nazionale. Appare allora evidente che il fatto nuovo in relazione al quale il giurista è chiamato ad interrogarsi non è tanto il fatto naturale – di rilevo scientifico e sanitario – dell’improvviso ed epidemico propagarsi di un virus prima d’ora sconosciuto, quanto il fatto squisitamente giuridico costituito dal complesso dei provvedimenti adottati, in relazione all’emergenza sanitaria ed ai fini di tutela della salute pubblica, dalle [continua ..]


2. L’art. 91 del d.l. 17 marzo 2020, n. 18 e l’inadempimento di obbligazioni pecuniarie

Per il vero, nella produzione normativa del periodo emergenziale si rinviene una norma di diritto sostanziale di rilievo privatistico: si tratta dell’art. 91, comma 1, del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18 – Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19. Sotto la rubrica «Disposizioni in materia di ritardi o inadempimenti contrattuali derivanti dall’attuazione delle misure di contenimento e di anticipazione del prezzo in materia di contratti pubblici» è riportata la seguente previsione: «All’articolo 3 del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, convertito con modificazioni dalla legge 5 marzo 2020, n. 13, dopo il comma 6, è inserito il seguente: “6-bis. Il rispetto delle misure di contenimento di cui presente decreto è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti». La disposizione riecheggia – seppure con minore nitidezza e non comparabile efficacia – i contenuti della legislazione di guerra del primo conflitto mondiale, e, in particolare, il dettato dell’art. 1 del d.lgs. 27 maggio 2015, n. 379: «A tutti gli effetti dell’art. 1226 codice civile [2] la guerra è considerata come caso di forza maggiore non solo quando renda impossibile la prestazione, ma anche quando la renda eccessivamente onerosa, purché l’obbligazione sia stata assunta prima della data del decreto di mobilitazione generale». Sulla norma introdotta dal d.l. n. 18/2020 appare opportuno svolgere taluni rilievi: Il legislatore dell’emergenza sanitaria si colloca nella prospettiva (in verità, limitata) dell’inadempimento delle obbligazioni e della mancata esecuzione della prestazione dovuta, al fine di escluderne l’effetto necessario e tipico previsto – in via generale – dall’art. 1218 cod. civ.: «Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non [continua ..]


3. I rapporti locativi: l’obbligo di “far godere” e l’obbligo di pagamento del canone

I rilievi che precedono dovrebbero essere di per sé soli sufficienti ad escludere qualsiasi incidenza delle misure di contenimento della diffusione del virus Covid-19 sui rapporti locativi in corso. Ciò non di meno, numerose sono le voci che si sono levate per evidenziare, in relazione alle locazioni di immobili urbani ad uso diverso dall’abitativo, la profonda alterazione del sinallagma contrattuale conseguente alle misure emergenziali adottate dal Governo e la conseguente pressante esigenza di individuare strumenti correttivi idonei a riequilibrare un assetto di interessi – pur liberamente accettato dalle parti al momento della stipulazione ma – meritevole di ripensamento e revisione a cagione del factum principis sopravvenuto. La sollecitazione – apprezzabile, nelle motivazioni e nei propositi – può ben essere raccolta, purché il giurista (secondo il monito d’esordio) continui ad utilizzare, nell’osservazione del presente e del nuovo che lo caratterizza, le lenti normative dello jus positum. Si muova, allora, dalla nozione generale del contratto di locazione offerta dall’art. 1571 cod. civ.: «La locazione è il contratto col quale una parte si obbliga a far godere all’altra parte una cosa mobile o immobile per un dato tempo, verso un determinato corrispettivo» [6]. La norma consegna all’interprete un contratto tipico, oneroso, di scambio, a prestazioni corrispettive e di durata; che attribuisce al conduttore un diritto personale di godimento di cosa altrui a fronte di un determinato corrispettivo. L’obbligo del locatore di «far godere» la cosa (probabilmente, si tratta di una sorta di iperbole utilizzata dai codificatori per esigenze sistematiche ed al fine di escludere la natura reale del diritto di godimento attribuito al conduttore) si scioglie – poi – o meglio si esplicita nei suoi contenuti nel successivo art. 1575: «Obbligazioni principali del locatore. Il locatore deve: 1) consegnare al conduttore la cosa locata in buono stato di manutenzione; 2) mantenerla in stato da servire all’uso convenuto; 3) garantire il pacifico godimento durante la locazione». L’obbligo di far godere si sostanzia, pertanto, nella consegna della cosa, nel mantenimento del bene nelle condizioni strutturali che lo rendano idoneo all’altrui fruizione, nella garanzia del pacifico godimento in [continua ..]


4. L’incidenza dell’emergenza epidemica sulle locazioni di immobili ad uso diverso dall’abitativo

Richiamata – seppur con rapido tratto – la natura del contratto di locazione e ricordate le obbligazioni da esso derivanti a carico di ciascuna delle parti, non risulta agevole comprendere come e sotto quale profilo si potrebbe ipotizzare una diretta incidenza dell’emergenza epidemica e delle correlate misure adottate dal Governo sui contratti di locazione di immobili destinati dal conduttore all’esercizio di attività di produzione o di commercio; e revocare in dubbio la doverosità del pagamento del canone. Si frappongono, infatti, taluni nodi di ordine logico-giuridico che meritano di essere districati e sciolti. 4.1. – Si sostiene che il mancato pagamento dei canoni potrebbe considerarsi giustificato dalla sospensione delle attività produttive, industriali e commerciali disposta dalle competenti Autorità. Sul punto si è già avuto come modo di ricordare come l’art. 91 del d.l. n. 18/2020 non sembri applicabile alle obbligazioni aventi ad oggetto somme di danaro. E che – anche a voler forzare il tenore letterale della disposizione – in ogni caso l’applicazione della norma potrebbe condurre ad escludere soltanto le conseguenze risarcitorie correlate al ritardo, mentre lascerebbe integro l’obbligo di corresponsione del canone (e dei ratei comunque maturati nel periodo di “blocco delle attività economiche”) una volta cessata l’efficacia delle misure di contenimento della diffusione del virus. In questa seconda prospettiva (che considera come giustificato o, comunque, non imputabile il ritardo nel pagamento), si porrebbe – a rigore – un ulteriore delicato problema: il ritardo nell’esecuzione della prestazione pecuniaria (sebbene improduttivo di conseguenze risarcitorie) potrebbe legittimare il locatore ad avvalersi del rimedio della risoluzione del contratto per inadempimento di cui all’art. 1453 cod. civ., o della clausola risolutiva espressa (art. 1456) contenuta nel contratto o, infine, della diffida ad adempiere di cui all’art. 1454 cod. civ.? Se si considera che il rimedio risolutorio – così come risulta dalla nitida formulazione dell’art. 1453 cod. civ. – prescinde dalla imputabilità dell’inadempimento, costituendo una reazione ad un sopravvenuto difetto funzionale del sinallagma, all’oggettiva inattuazione dello scambio ed alla vanificazione della [continua ..]


5. I rimedi demolitori: una lose-lose situation. Le prospettive della rinegoziazione

Le norme di diritto privato attualmente vigenti non sembrano lasciare al conduttore altra alternativa: o proseguire nell’esecuzione del contratto in corso, alle condizioni originariamente accettate; o fare ricorso a rimedi di tipo demolitorio (risoluzione o recesso). Sia l’una che l’altra delle soluzioni ipotizzabili comportano la consapevole accettazione di un pregiudizio economico: correlato, nel primo caso, alla necessità di sopportare un costo di difficile sostenibilità a cagione della contrazione – attuale e di prospettiva – dei flussi reddituali originati dalla propria attività di produzione e/o di commercio; derivante, nel secondo caso, dalla cessazione dell’attività o dalla necessità di trasferire altrove il luogo di esercizio dell’impresa. Di fronte ad un simile scenario si vagheggia il rimedio della rinegoziazione [20] obbligatoria del contratto, che presenterebbe l’indiscutibile vantaggio di conservare i rapporti in essere, riequilibrandone i contenuti economici secondo buona fede ed in ossequio al principio di solidarietà sociale enunciato nell’art. 2 della Carta fondamentale. Tuttavia, il fondamento positivo di un vero e proprio obbligo di rinegoziazione è difficile da rinvenire. Debole, il richiamo all’esecuzione del contratto secondo buona fede di cui all’art. 1375 cod. civ.: qui non si tratterebbe di operare un controllo delle concrete modalità attuative della condotta contrattualmente dovuta, ma di intervenire – modificandolo – sul contenuto oggettivo delle prestazioni [21]. Incerta, l’evocazione dell’equità come fonte di integrazione del contratto (art. 1374 cod. civ.) [22]; non è dato di comprendere come una fonte di integrazione, potrebbe condurre alla disapplicazione delle regole pattizie (che, per altro, hanno «forza di legge tra le parti» – art. 1372, comma 1, cod. civ.). Suggestivo, infine, il richiamo al principio costituzionale di solidarietà sociale; principio che, tuttavia, attende che il legislatore ordinario – nella materia che ci occupa – provveda a dargli concreta attuazione con l’emanazione di norme specifiche e puntuali. Tuttavia, ad oggi il legislatore non ha ancora provveduto. Giace presso il Senato della Repubblica (SSL Senato 1151) il disegno di legge delega al Governo la revisione del codice [continua ..]


NOTE