Jus CivileCC BY-NC-SA Commercial Licence ISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

Modelli di private enforcement nella repressione delle pratiche commerciali scorrette, tra risarcimento e restituzioni. Ipotesi sulla direttiva 2019/2161/UE (di Mariella Lamicela, Ricercatrice di Diritto privato – Università Ca’ Foscari Venezia)


Le indicazioni normative fornite ai legislatori nazionali dalla direttiva 2161/2019/UE a proposito della protezione dei consumatori dagli effetti pregiudizievoli di pratiche commerciali scorrette rivelano una strategia di contrasto integrata, in base alla quale agli strumenti di public enforcement, gli Stati membri sono chiamati ad affiancare un più chiaro ventaglio di azioni giudiziarie e rimedi extragiudiziari, azionabili dai singoli consumatori. L'atto di recepimento della direttiva, adottato di recente dal legislatore nazionale, tuttavia, non indica gli strumenti ritenuti più adeguati ad una tutela proporzionata ed effettiva degli interessi individuali dei consumatori. L'articolo mira ad individuarli in via interpretativa, valorizzando rimedi con funzione restitutoria, come quelli previsti dalla garanzia per vizi, piuttosto che rimedi con funzione reintegratoria.

Private enforcement used for unfair commercial practicies repression, from compensation to restitutions. Hypothesises on (EU) 2019/2161 directive's interpretation

The (EU) 2019/2161 directive provides national lawmakers with regulatory guidelines for protecting consumers from the detrimental effects of unfair commercial practices. These guidelines disclose a law enforcement strategy that calls on Member States to combine public enforcement with a more defined range of legal actions and out-of-court consumer remedies. However, the Italian transposition law, recently adopted by the national lawmaker, does not provide the measures regarded as most appropriate for proportionate and effective protection of individual consumer interests. By interpreting the directive, this essay seeks to shape these measures by emphasizing restitutory remedies, such as those provided by a legal warranty, rather than compensatory remedies.

COMMENTO

Sommario:

1. Gli indirizzi del legislatore eurounitario nei più recenti provvedimenti di riforma del diritto dei consumatori - 2. Gli incerti contorni della situazione giuridica soggettiva esposta alle interferenze derivanti da una pratica commerciale scorretta - 3. Le opzioni interpretative in campo: l’interesse soggettivo alla congruità dell’operazione economica promossa dal professionista ed ipotesi di tutela - 4. L’affidamento del consumatore nei riguardi della proposta di mercato del professionista - 5. L’interesse del consumatore ad una valutazione consapevole e ponderata di utilità, costi e rischi connessi all’operazione di scambio proposta dal professionista - 6. Effettività e proporzionalità delle tutele individuali e tecniche rimediali restitutorie: una soluzione possibile? - NOTE


1. Gli indirizzi del legislatore eurounitario nei più recenti provvedimenti di riforma del diritto dei consumatori

Il processo di riforma dell’apparato normativo eurounitario in materia di diritto dei consumatori sembra essersi di recente decisamente rivitalizzato. Innescato dalla comunicazione della Commissione Junker su un New deal per i consumatori [1] e proseguito dalla Commissione Von Der Leyen, con proposte di direttive che, in accordo agli obiettivi climatici e di sostenibilità ambientale fissati dal Green deal [2], sollecitano un ennesimo aggiornamento sia degli obblighi di informazione precontrattuale, sia del catalogo di pratiche commerciali vietate [3], esso sembra innanzitutto segnalare il definitivo abbandono di ogni velleità di codificazione sistematica del diritto privato europeo [4]. Al contrario, traspare l’adozione di una nuova strategia d’azione, fondata sulla definizione di obiettivi particolari, di cui si intende garantire l’effettività, per un verso, mediante la fissazione di parametri d’azione ai quali i professionisti sono sollecitati a uniformare in modo sempre più sistematico le proprie condotte [5] e, per altro verso, attraverso la determinazione di pesanti sanzioni amministrative [6], alle quali si affianca in modo sempre più sistematico l’azionamento di rimedi individuali [7], contro comportamenti anticoncorrenziali e lesivi dell’interesse dei consumatori a godere delle condizioni utili per valutare l’effettiva convenienza delle operazioni economiche offerte sul mercato, in modo da ponderare con la dovuta attenzione le proprie decisioni di natura commerciali.

In questo contesto, particolare interesse destano le indicazioni normative fornite ai legislatori nazionali dalla direttiva 2161/2019/UE, che modifica la direttiva 93/13/CEE del Consiglio e le direttive 98/6/CE, 2005/29/CE e 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio per una migliore applicazione e una modernizzazione delle norme dell’Unione relative alla protezione dei consumatori – di cui si è di recente finalmente concluso, sebbene con grande ritardo, il recepimento da parte del legislatore italiano [8] – e dalla proposta di direttiva del 30 marzo 2022 che modifica le direttive 2005/29/CE e 2011/83/UE per quanto riguarda la responsabilizzazione dei consumatori per la transizione verde mediante il miglioramento della tutela dalle pratiche sleali e dell’informazione sulla garanzia di durabilità e sostenibilità dei beni e dei servizi offerti sul mercato europeo.

Per quanto infatti la Commissione europea non manchi di sottolineare il carattere estremamente avanzato delle norme vigenti a protezione dei consumatori sul territorio dell’Unione Europea [9], essa riconosce altresì un persistente deficit di effettività e in particolare una scarsa propensione dei consumatori all’azionamento degli strumenti giuridici disponibili per la tutela individuale dei loro interessi [10]. A fronte di ciò, essa denuncia l’incessante propensione delle imprese ad esercitare pratiche commerciali scorrette, da ultimo alimentate dalle nuove “opportunità” offerte dal vorticoso sviluppo del commercio online di prodotti digitali e non digitali [11], ma anche da un troppo disinvolto marketing delle qualità green dei beni commercializzati, al quale non corrisponde alcuna trasparenza circa gli standard di sostenibilità e durabilità osservati [12].

Il legislatore eurounitario mostra in proposito di voler adottare una strategia di contrasto integrata [13], che si avvalga non più solo del tradizionale presidio rappresentato dall’attività di regolazione delle relazioni concorrenziali sul mercato – svolta dalle istituzioni nazionali investite di volta in volta di tale compito – ma anche di un più chiaro ventaglio di azioni giudiziarie e rimedi extragiudiziari a disposizione dei singoli consumatori [14]. Da un lato, dunque, si definiscono una serie di parametri quantitativi e comportamentali cui condizionare la determinazione dell’ammontare della sanzione [15], nel caso sia accertata da parte dell’Autorità amministrativa o giudiziaria competente, o di entrambe, la violazione dei contenuti normativi disposti dalle dir. 93/13/CEE, 2005/29/CE o 2011/83/UE. Dall’altro, con specifico riferimento alle pratiche commerciali scorrette, si introduce una prima, seppur timida, enumerazione dei possibili meccanismi di tutela che i legislatori dovrebbero disporre per consentire ai consumatori un più facile ed efficace accesso alla protezione dei loro interessi, ove questi ultimi siano stati frustrati in seguito ad una pratica commerciale scorretta esercitata prima della conclusione di un contratto o nel corso della sua esecuzione o anche indipendentemente dall’esi­stenza di una relazione negoziale tra professionista e consumatore.

Il nuovo approccio alla protezione degli interessi dei consumatori appena delineato riguarda interventi modificativi e/o integrativi di provvedimenti che si applicano e si applicheranno “trasversalmente”, proponendosi come il nuovo diritto generale dei consumatori, cioè come una “rete di sicurezza” giuridica, utile a mantenere “un livello elevato di tutela dei consumatori in tutti i settori, completando le normative settoriali dell’Unione e colmando le eventuali lacune” [16]. Il quadro dei meccanismi di applicazione e garanzia della loro effettività rimarrà, dunque, per espressa previsione del legislatore eurounitario [17], quello da ultimo aggiornato proprio grazie alla direttiva 2019/2161/UE.

Ebbene, in questo contesto, l’adozione da parte del governo del decreto legislativo di recepimento delle indicazioni normative contenute nella dir. 2019/2161/UE sollecita la prosecuzione della riflessione scientifica, invero già da tempo avviata e mai sopita [18], in merito agli strumenti e alle tecniche normative di attuazione del nuovo equilibrio tra public e private enforcement, al quale il legislatore europeo mostra di voler ispirare la futura attività di regolazione della concorrenza e degli interessi economici che a vario titolo animano il mercato. Il confronto teorico è destinato inevitabilmente a riprendere vigore, ancor di più in considerazione della “scelta di non scegliere”, effettuata dal legislatore nazionale, tra i possibili rimedi indicati dall’art. 11-bis della dir. 2005/29/CE a favore del singolo consumatore che abbia subito gli effetti pregiudizievoli di una pratica commerciale scorretta, su quali in particolare soffermare la propria attenzione normativa. La formulazione dell’art. 27, comma 15-bis, cod. cons. di fresca approvazione, infatti, riproponendo la mera enumerazione delle tecniche di tutela menzionate anche dal legislatore eurounitario, affida per intero agli interpreti il compito di suggerire possibili chiavi di lettura dell’intervento modificativo del codice del consumo, che siano altresì idonee a garantire un’interpretazione conforme al diritto eurounitario [19].


2. Gli incerti contorni della situazione giuridica soggettiva esposta alle interferenze derivanti da una pratica commerciale scorretta

Allo scopo di assicurare ai consumatori vittime di pratiche commerciali sleali l’accessibilità a rimedi proporzionati ed effettivi, la direttiva 2019/2161/UE dispone l’inserimento dell’art. 11-bis, rubricato “Rimedi”, nella direttiva 2005/29/CE. Esso indica, sulla base di una formulazione che pare rivelare un’intenzione meramente esemplificativa [20], tra gli strumenti utili allo scopo il risarcimento del danno e, “se pertinenti”, la riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto [21].

Una prima questione di ordine sistematico che, per la sua centralità, occorre chiarire riguarda la natura delle interferenze patite dai consumatori a seguito di una pratica commerciale sleale, nei riguardi delle quali il legislatore eurounitario intende assicurare una tutela maggiormente proporzionata ed effettiva [22]. Per rispondere a tale interrogativo, non può d’altra parte omettersi di accertare se l’obiettivo perseguito in sede europea sia quello di attribuire rilevanza giuridica ad interessi soggettivi cui finora il nostro ordinamento non ha ritenuto necessario, né tantomeno coerente dal punto di vista sistematico, riservare una specifica tutela. O se, invece, l’invito rivolto ai legislatori nazionali di predisporre un apparato rimediale più adeguato a contrastare gli effetti di pratiche commerciali sleali sul singolo consumatore comporti semplicemente la richiesta di ripristinare condizioni utili affinché il consumatore, malgrado le asimmetrie informative connaturate agli odierni rapporti contrattuali di massa [23], abbia l’opportunità di adottare “decisioni di natura commerciale” comunque consapevoli e ponderate [24]. In quest’ultimo quadro, bisognerebbe poi ulteriormente accertare se la violazione dell’interesse soggettivo del consumatore a fidarsi e affidarsi ad azioni, omissioni, condotte o dichiarazioni, comunicazioni commerciali, ivi compresa la pubblicità, poste in essere dal professionista [25], vada tutelato prioritariamente mediante l’azionamento del rimedio risarcitorio o se invece la sua effettiva soddisfazione possa efficacemente realizzarsi attraverso un ventaglio più articolato di meccanismi rimediali [26].

L’importanza di una simile indagine diviene evidente ove si consideri che dai suoi esiti dovrebbe dipendere anche la scelta degli strumenti giuridici sui quali puntare per fornire risposte quanto più efficaci possibile alle sollecitazioni del legislatore eurounitario.


3. Le opzioni interpretative in campo: l’interesse soggettivo alla congruità dell’operazione economica promossa dal professionista ed ipotesi di tutela

Potrebbe ritenersi, in primo luogo, che l’interesse soggettivo nei riguardi del quale si richiede agli ordinamenti nazionali di riservare maggiore attenzione sia quello, sempre molto controverso nei sistemi giuridici fondati sul principio della libertà di iniziativa economica e sulla parità formale dei contraenti [27], relativo alla garanzia di una oggettiva congruità dell’operazione economica proposta dal professionista al consumatore/contraente debole.

La congruità cui si allude dovrebbe presentare una connotazione eminentemente soggettiva e dovrebbe potersi dire integrata ogni volta che il consumatore abbia avuto l’opportunità di ponderare in modo libero e consapevole l’assetto di interessi, vantaggi e rischi entro il quale andrebbe realizzata l’operazione economica proposta dalla controparte [28]. Tuttavia, la congenita asimmetria delle relazioni di mercato tra consumatori e professionisti [29] ha contribuito non poco ad accrescere l’ambiguità del significato di tale espressione [30], spesso confusa con l’aspirazione ad un equilibrio contrattuale oggettivamente “giusto” [31]. La soddisfazione dell’interesse alla congruità del contratto d’altra parte è sempre più spesso connesso alla previsione di una molteplicità di interventi normativi – basti qui ricordare le numerose nullità di protezione previste dalla legislazione speciale a tutela dei consumatori [32] – volti a porre rimedio all’effetto riflesso dello squilibrio contrattuale [33].

Sebbene allora da più parti si ribadisca la piena funzionalità dell’insieme di questi interventi alla mera correzione dei fallimenti del mercato [34], non mancano i casi in cui il loro richiamo serva a legittimare una ricostruzione della mancata congruità all’insegna di una giustizia contrattuale assiologicamente connotata, dai contorni invero alquanto sfuggenti [35], essenzialmente rivolta a rappresentare ex post l’ipotetico regolamento di interessi che il consumatore avrebbe voluto legittimamente realizzare in assenza della pratica commerciale scorretta. Ebbene, è proprio all’ipotesi che la direttiva 2019/2161/UE intenda valorizzare tale accezione dell’interesse soggettivo del consumatore che si vuole innanzitutto dedicare attenzione.

La rilevanza dell’interesse alla congruità dell’operazione economica dedotta in contratto, potrebbe d’altronde ricavarsi dal riconoscimento del diritto fondamentale del consumatore “alla correttezza, alla trasparenza ed all’equità nei rapporti contrattuali”, sancito dall’art. 2, comma 2, lett. e), cod. cons. La sua valorizzazione, dunque, solleciterebbe l’attivazione di meccanismi normativi rivolti a garantire, anche in chiave rimediale, l’integrità del processo di formazione delle decisioni di natura commerciale del consumatore. Con specifico riferimento al tema che ci riguarda, l’interesse alla congruità contrattuale potrebbe essere messo a repentaglio da una pratica commerciale del professionista che, seppure orientata in primo luogo ad alterare a suo vantaggio l’assetto concorrenziale nel settore economico nel quale egli opera, si dimostri comunque “idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico” – e più specificamente la conclusione del contratto – non più o non tanto del consumatore medio, come recita l’art. 20, comma 2, cod cons. in evidente coerenza con l’impronta prevalentemente pubblicistica della disciplina di cui si tratta, bensì del singolo consumatore [36]. La legittimità riconosciuta all’aspettativa di uno scambio equilibrato, in quanto fondato sulla trasparenza informativa e sulla cura dell’interesse altrui da parte del professionista, richiederebbe allora, sul versante rimediale, la predisposizione di meccanismi di ripristino dell’equilibrio contrattuale, mancato a causa della scorrettezza della condotta tenuta dalla controparte nella fase di maturazione della decisione commerciale del consumatore.

In questo quadro, indicazioni utili alla ricerca di adeguati strumenti di tutela dell’interesse soggettivo inciso potrebbero derivare dall’opinione dottrinaria che auspica una reinterpretazione della disciplina dei vizi del consenso, idonea ad estenderne l’applicabilità anche ad ipotesi di alterazione del processo di formazione della volontà contrattuale non riconducibili alle ipotesi di vizi del consenso espressamente formalizzate dal codice civile [37]. In particolare, l’indirizzo interpretativo menzionato potrebbe essere richiamato al fine di superare il denunciato deficit di effettività della tutela del consumatore attraverso una sorta di generale ricalibratura funzionale di strumenti rimediali originariamente concepiti per contrastare patologie contrattuali e danni invero non sempre assimilabili a quelli che una pratica commerciale sleale può provocare. Sicché, al fine di rendere effettivo il riconoscimento del diritto fondamentale sancito dall’art. 2, comma 2, lett. e), cod. cons. [38], potrebbe ipotizzarsi che la reazione individuale del consumatore agli effetti distorsivi delle sue decisioni di natura commerciale, prodotti dalla pratica commerciale scorretta in fase di conclusione del contratto, non sia più limitata all’impugnazione del relativo atto per ricorrenza di dolo (art. 1439 c.c.) o violenza (art. 1434 c.c.) della controparte [39]. Potrebbe contemplarsi anche un’impugnativa rivolta a chiedere l’annullamento del contratto, allegando il più elastico richiamo alla violazione del dovere di buona fede ex art. 1337 c.c. quale causa della lamentata alterazione del processo di formazione della volontà negoziale. Ovvero, più in sintonia con la formulazione dell’art. 11-bis, potrebbe ipotizzarsi una pretesa al risarcimento del danno patito in seguito alla lesione del legittimo interesse del consumatore alla presentazione dell’affare, oggetto del futuro possibile accordo, “in base a criteri di serietà, correttezza e lealtà” [40], e ciò anche nel caso in cui il relativo contratto sia stato comunque validamente concluso, sulla scia di quanto già espressamente previsto dall’art. 1440 c.c. in relazione all’ipotesi del dolo incidente [41].

Considerate le dimensioni della presente riflessione, più che approfondire ulteriormente le implicazioni di un simile approccio interpretativo, sembra opportuno dare conto anche di qualche riserva che il suo richiamo potrebbe destare [42].

Un primo rilievo riguarda la soglia oltre la quale una condotta commerciale cessi di essere espressione della libertà di iniziativa economica del professionista per assumere i tratti della pratica commerciale scorretta [43]. È evidente infatti che, se il parametro del comportamento leale e trasparente, desunto da una preliminare selezione di dinamiche concorrenziali virtuose e tarato sulla normale attenzione e avvedutezza del consumatore medio [44], può ben ispirare la valutazione dell’Autorità di regolazione del mercato nei riguardi di una data pratica commerciale, ben più incerto ed esposto alla discrezionalità della valutazione giudiziale sarà il contesto in relazione al quale esaminare la scorrettezza della pratica adottata dal professionista nei riguardi del singolo consumatore. Inoltre, in vista della “compensazione”, con funzione rimediale, degli effetti pregiudizievoli della pratica commerciale scorretta, anche la ricostruzione di quelli che avrebbero dovuto essere e non sono stati i termini dello scambio potrebbe essere connotata da più di un’incertezza. Per un verso, ciò che si è appena denunciato, cioè il carattere piuttosto indefinito del parametro cui nel caso in specie il comportamento contestato avrebbe dovuto uniformarsi, non può che annebbiare, di riflesso, i contorni di quella stessa ricostruzione [45]. Per altro verso, la notevole vischiosità della distinzione tra lesioni ascrivibili alla scorrettezza della condotta precontrattuale da reintegrare e utilità attese in relazione all’adempimento contrattuale che, data la persistente efficacia del contratto, dovrebbero comunque essere almeno in parte conseguibili, rende molto alto il rischio di un calcolo “per eccesso” della compensazione dovuta. Sicché quest’ultima potrebbe assumere i tratti di un intervento indirettamente conformativo dell’equilibrio contrattuale dello scambio o, in diversa prospettiva, potrebbe essere tacciata di assolvere, dietro la facciata rimediale, una vera e propria funzione punitiva.


4. L’affidamento del consumatore nei riguardi della proposta di mercato del professionista

In prospettiva parzialmente diversa, l’interesse soggettivo da salvaguardare potrebbe invece essere individuato nell’affidamento che il consumatore abbia maturato circa la portata dell’utilità economica ricavabile dall’operazione economica di volta in volta proposta dal professionista sul mercato [46]. Accertata l’esistenza dei presupposti di un affidamento responsabile da parte del consumatore [47], l’attenzione dovrebbe concentrarsi allora non tanto sulla antigiuridicità della perdita lamentata [48], indipendentemente dalla circostanza che essa sia stata o meno accompagnata dalla conclusione di un contratto, quanto sulla verifica dei contenuti della condotta obbligatoria dovuta dal professionista alla stregua del dovere di buona fede, condotta oggetto dell’affidamento del consumatore.

Qualora risulti provato che il sacrificio delle ragioni del consumatore sia dipeso dal mancato assolvimento da parte del professionista del dovere che l’art. 1337 c.c. prescrive in relazione alle interazioni che possono precedere la conclusione di un contratto, dunque, il rimedio azionabile sarebbe pur sempre quello risarcitorio ma esso rappresenterebbe la reazione giuridica al mancato rispetto di un’obbligazione di protezione e non invece la sanzione della violazione del generico dovere di astensione dall’interferire nell’altrui sfera giuridica, che fonda la responsabilità extracontrattuale [49].

A supporto di tale distinta rappresentazione dell’interesse soggettivo che sarebbe oggetto di attenzione nella direttiva 2019/2161/UE, potrebbe ancora una volta richiamarsi un ben noto orientamento interpretativo. In questo caso, infatti, l’instaurazione della relazione sociale finalizzata alla realizzazione dell’operazione commerciale promossa sul mercato dal professionista [50], darebbe vita a carico di costui ad un’obbligazione di protezione [51], a sua volta riconducibile al modello dell’obbligazione senza prestazione, così denominata perché essa non avrebbe ad oggetto una prestazione determinata [52], né avrebbe come fonte il contratto, bensì un fatto idoneo a generarla ex art. 1173 c.c. ovvero un contatto sociale qualificato [53], comunque idoneo al sorgere di un correlativo interesse creditorio e ad attribuire natura contrattuale alla responsabilità accertata in seguito alla sua mancata soddisfazione [54].

La buona fede, dunque, in questo caso dismetterebbe i panni del criterio universale di gestione delle interazioni sociali per assumere quelli dell’obbligo di condotta, di cui tuttavia, se appare chiaro il fondamento, individuabile nell’esistenza di una relazione qualificata fonte di affidamento, appaiono meno chiari i contorni, dipendendo la loro definizione da uno stato soggettivo, l’altrui affidamento, di cui invero appare arduo stabilire fino in fondo l’esatta misura [55].

D’altra parte, la stessa riserva già mossa nei riguardi dell’orientamento interpretativo richiamato nel precedente paragrafo, quella cioè relativa al criterio al quale i teorici dei “vizi incompleti” affiderebbero la misurazione dell’auspicata “«correzione» del risultato economico del regolamento di interessi, pregiudicato dal contegno sleale e scorretto del partner” [56], potrebbe essere estesa anche all’approccio teorico che vede gravare sul professionista un’obbligazione senza prestazione nei riguardi del consumatore al quale propone di concludere un affare.

Si allude alla problematica della quantificazione dell’obbligazione risarcitoria derivante dall’accertamento di una condotta del professionista contraria a quella dovuta in virtù dell’obbligo di protezione che lo vincola. La sua definizione infatti sarebbe tutt’altro che agevole, corrispondendo la misura della perdita procurata, non tanto alla apprezzabilità per equivalente monetario dell’inadempimento di una prestazione patrimoniale determinata o determinabile, quanto piuttosto alla compromissione delle aspettative, di indefinita consistenza patrimoniale, connesse all’affidamento nell’altrui correttezza [57]. Ricorrerebbe in altri termini la nota ipotesi del danno meramente patrimoniale, la cui peculiarità risiederebbe proprio nella circostanza di corrispondere ad un valore patrimonialmente apprezzabile solo ex post, non sussistendo una autonoma prestazione cui commisurarne ex ante il valore ipotetico [58]. La misura del danno equivarrebbe al valore della perdita subita in relazione alla piena soddisfazione dell’interesse creditorio, le cui dimensioni, secondo quanti riconoscono la legittimità di tale figura, oltrepasserebbero lo specifico perimetro dell’oggetto della prestazione, a maggior ragione nel caso in cui intorno a quest’ultima non si sia ancora perfezionato alcun diritto, come accade in occasione di un mero contatto sociale, eventualmente prodromico di un successivo accordo contrattuale [59].


5. L’interesse del consumatore ad una valutazione consapevole e ponderata di utilità, costi e rischi connessi all’operazione di scambio proposta dal professionista

Si potrebbe infine accogliere una terza possibile chiave di lettura del problema relativo all’in­dividuazione dell’interesse soggettivo del consumatore, oggetto di rinnovata attenzione da parte del legislatore eurounitario. Potrebbe cioè non trattarsi dell’interesse alla congruità del contratto che, ove deluso dagli effetti di una pratica commerciale scorretta sulla definizione delle condizioni dello scambio, legittimerebbe la pretesa di una conformazione ex post del regolamento di interessi in chiave compensativa di quanto diversamente si sarebbe potuto ottenere. Né si tratterebbe della pretesa del singolo consumatore di fidarsi e affidarsi ad informazioni e suggestioni che notoriamente, prima di essere diffuse, sono oggetto di selezione e accurata analisi al fine legittimo di catturare l’attenzione e impressionare quanto più possibile positivamente la massa indistinta dei destinatari dell’offerta commerciale cui si riferiscono [60].

L’elemento distintivo dell’interesse di cui si discorre potrebbe piuttosto essere ricercato nell’assicurazione di standard oggettivi di comportamento da parte del professionista, il rispetto dei quali consentirebbe al consumatore di contare sull’esistenza delle condizioni per scegliere liberamente sul mercato l’operazione economica che ritenga più coerente alle proprie necessità e alle proprie possibilità, in modo consapevole e ponderato [61]. Il dovere di buona fede del professionista rimarrebbe certamente il fondamento normativo della conseguente pretesa del consumatore, come del resto testimoniato dalla definizione della diligenza professionale disposta dall’art. 18, lett. h), cod. cons. [62]. Ma un approccio marcatamente casistico tenderebbe a definirne in modo sempre più preciso i contorni [63], mentre, per altro verso, la reazione rimediale alla sua violazione potrebbe approssimarsi più agli effetti giuridici di una garanzia [64], che non a quelli tipici dell’accerta­mento di una responsabilità soggettiva [65].

Facendo leva sul riferimento ai rimedi della riduzione del prezzo e della risoluzione, “se pertinenti” di cui all’art. 11-bis, si potrebbe cioè saggiare l’ammissibilità di una estensione dello strumento della garanzia nei riguardi di effetti pregiudizievoli che il singolo consumatore subisca a causa dell’esercizio di una pratica commerciale scorretta.

Al verificarsi di una pratica commerciale della controparte “contraria alla diligenza professionale e (…) idonea a falsare il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che essa raggiunge o al quale è diretta” (art. 20, comma 2, Cod. Cons.), dunque, il singolo consumatore, che ritenga inciso il suo interesse a scegliere in modo libero e consapevole lo specifico rapporto tra vantaggi, svantaggi e rischi connesso alla realizzazione dell’operazione economica dedotta in contratto, potrebbe azionare, a seconda delle priorità di volta in volta perseguite, i rimedi della riduzione del prezzo o della risoluzione. In tal modo, indipendentemente dall’attivazione di una procedura di accertamento della responsabilità del professionista, egli potrebbe ottenere, avvalendosi degli effetti restitutori prodotti da quegli stessi rimedi, il ripristino della situazione patrimoniale nella quale si sarebbe trovato ove la condotta scorretta non si fosse verificata [66]. Non pare precludere l’ammissibilità dell’ipotesi esposta la circostanza che, mentre nel caso della garanzia della vendita un’obbligazione che abbia ad oggetto il conseguimento del risultato garantito sia da ritenersi incoerente allo specifico profilo causale del contratto concluso tra le parti, nel caso della ricorrenza di una pratica commerciale scorretta, l’azionamento della garanzia deriverebbe da una condotta contraria al dovere di buona fede in fase precontrattuale. Non solo, infatti, la rappresentazione dell’istituto della garanzia alla stregua di uno strumento giuridico del tutto estraneo e contrapposto a quello della responsabilità non è universalmente condivisa in dottrina [67] ma, anche ove si ritenga che esso integri un effetto legale o contrattuale sottoposto ad una conditio iuris, non è detto che la sua funzionalità debba necessariamente essere limitata ai soli casi in cui il raggiungimento di un risultato non si presti logicamente a divenire oggetto di un’obbli­gazione. Piuttosto, sulla scorta dell’appiglio fornito a tal fine proprio dalla formulazione dell’art. 11-bis – che, in seguito all’entrata in vigore dell’atto di recepimento della dir. 2019/2161/UE, sarà offerto nel nostro ordinamento dall’art. 27, comma 15-bis, cod. cons. – andrebbe verificata la possibilità di ricavare in via interpretativa una conditio iuris che subordini all’esercizio di una pratica commerciale scorretta da parte del professionista l’attivazione di rimedi azionabili indipendentemente dall’imputazione a suo carico di una responsabilità, contrattuale o extracontrattuale che sia.


6. Effettività e proporzionalità delle tutele individuali e tecniche rimediali restitutorie: una soluzione possibile?

Alla luce delle considerazioni finora svolte, la strada imboccata dal legislatore eurounitario per realizzare un nuovo equilibrio tra protezione degli interessi economici del “consumatore medio” di cui all’art. 20, comma 2, cod. cons. e la tutela delle esigenze del singolo consumatore potrebbe non coincidere con l’indiscriminata valorizzazione del dispositivo della responsabilità, quantomeno nelle sue declinazioni tradizionali [68]. La ricerca di strumenti di protezione rispondenti all’imperativo dell’effettività [69], infatti, potrebbe condurre a preferire un rimedio facilmente azionabile e una ragionevole certezza del risultato alle inevitabili complessità delle procedure giudiziali o extragiudiziali di accertamento, prima dell’imputabilità della responsabilità, poi dell’esatta consistenza patrimoniale del danno procurato.

Anche la destinazione di più efficienti meccanismi di private enforcement al complessivo rafforzamento dell’obiettivo della deterrenza nei riguardi di condotte negoziali scorrette da parte dei professionisti [70], perseguito dalla direttiva 2019/2161/UE in primo luogo mediante l’inasprimento delle sanzioni adottabili nell’ambito del public enforcement, contribuirebbe d’altra parte a confermare, alla base dell’intervento normativo che si commenta, più il fine di una razionalizzazione generalizzata delle relazioni tra i diversi attori del mercato, raggiungibile puntando sul percorso rimediale indicato [71], che non quello di un incremento incontrollato del tasso di litigiosità fuori e dentro le aule dei tribunali [72].

La precisazione, riportata dallo stesso art. 11-bis, secondo la quale “gli Stati membri possono stabilire le condizioni per l’applicazione e gli effetti di tali rimedi”, potrebbe altresì considerarsi indicativa in tal senso, ove interpretata come un invito alla rimodulazione normativa dei meccanismi rimediali che, tra quelli esistenti nei diversi ordinamenti nazionali, si mostrino, almeno potenzialmente, più efficaci ed agevoli da azionare nel contrasto degli ostacoli generati da pratiche scorrette alla formazione libera e ponderata delle opinioni economiche e delle decisioni commerciali del consumatore [73].

Si potrebbe cioè ritenere che, allo stesso modo in cui il diritto europeo sulle clausole vessatorie o sul diritto di recesso dai contratti conclusi fuori dai locali commerciali o a distanza ha favorito in passato l’articolazione disciplinare rispettivamente dell’istituto della nullità parziale e del diritto di recesso [74], promuovendo l’accostamento di norme speciali a quelle applicabili alla generalità dei rapporti contrattuali, così adesso strumenti giuridici quali, tra gli altri, il diritto al risarcimento del danno, ma anche il diritto alla riduzione del prezzo o alla risoluzione del contratto, siano sottoposti ad un riadattamento funzionale che ne renda più intuitivo l’azionamento e più immediato il risultato [75]. Si potrebbero così valorizzare le peculiarità delle lesioni procurate al consumatore vittima di una pratica commerciale scorretta, distinguendole più nettamente da quelle derivanti dalle patologie prese in considerazione dal nostro legislatore in relazione alla formazione del consenso negoziale o all’esecuzione di un rapporto obbligatorio [76].

Invero, rispetto alle interazioni di mercato di matrice prevalentemente personale, prese in considerazione dai redattori del codice civile, differente è il contesto economico-sociale nel quale le pratiche commerciali scorrette si diffondono [77], così come spesso differente è la cifra del condizionamento esercitato sulla formazione del consenso [78], il momento della sua incidenza, che non sempre coincide con quello immediatamente precedente la conclusione di un contratto [79], e l’effetto dannoso prodotto [80].

Si potrebbe allora ipotizzare di ammettere l’operatività di meccanismi di tutela “reintegratoria” della perdita lamentata che, da un lato, prescindano dall’accertamento della responsabilità del professionista, accostandosi al modello della garanzia azionabile al verificarsi del rischio garantito, e dall’altro, limitino la pretesa del consumatore alla misura oggettivamente quantificabile del vantaggio ingiustificato conseguito dal professionista in virtù della pratica commerciale scorretta, in modo analogo a quanto avviene quando, con finalità invero più restitutorie che reintegratorie [81], l’acquirente di un bene viziato chieda la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo corrisposto [82]. Di tal che la persistente efficacia del vincolo contrattuale non sarebbe necessariamente pregiudicata e si scongiurerebbe d’altra parte l’avveramento del rischio opposto a quello di cui si lamentano le conseguenze pregiudizievoli [83]. Si allude all’opportunità, traslata per l’occasione sul consumatore, di lucrare vantaggi ingiustificati ex post, dall’azionamento di meccanismi di tutela risarcitoria rispetto a lesioni, per di più di incerta consistenza, connesse alla conclusione di un contratto comunque produttivo di effetti utili per la parte che tali lesioni lamenti.

È sufficiente scorrere l’elenco dei più recenti provvedimenti dell’AGCM in materia di pratiche commerciali scorrette per individuare una serie di casi in cui un simile percorso rimediale potrebbe essere efficacemente battuto a tutela degli interessi del singolo consumatore. Volendo brevemente esemplificare, può farsi riferimento a due casi in particolare [84]. Il primo riguarda la contestazione ad un’azienda, che opera in numerosi paesi come marketplace per la compravendita online di abbigliamento e accessori di seconda mano, di pratiche commerciali scorrette consistenti: a) nella diffusione di claim pubblicitari che veicolano il concetto di «gratuità» della compravendita (…), laddove è invece prevista la corresponsione di una commissione da parte del soggetto acquirente; b) nell’indicazione sulla Piattaforma del prezzo del prodotto richiesto dal venditore, senza contestuale e adeguata informazione sui costi relativi alla commissione per la Protezione acquisti e alle spese di spedizione, omettendo di esplicitare in modo chiaro le possibili opzioni alternative (vale a dire, acquisto sulla Piattaforma con commissione per la Protezione Acquisti oppure negoziazione privata con il venditore (…) al di fuori della Piattaforma e senza commissioni.

Nel secondo caso, tra le pratiche commerciali oggetto di indagine e sanzione alcune, riguardanti la fase precontrattuale di promozione di prodotti online da parte delle aziende interessate e il momento della conclusione del contratto di acquisto, sono considerate ingannevoli per le seguenti ragioni: i) omessa/ingannevole indicazione sulla disponibilità dei prodotti, in quanto i beni prospettati come disponibili non risultavano fisicamente presenti nei magazzini delle società. (…); ii) le modalità scorrette di gestione del processo di vendita online, con specifico riguardo all’immediato addebito di pagamento e/o blocco del plafond, (…) prima del perfezionamento del contratto (…); iii) l’omessa/ingannevole prospettazione dei tempi di consegna dei prodotti acquistati online.

Trattandosi in entrambi i casi di compravendite online, il singolo consumatore che, a causa degli effetti delle pratiche commerciali descritte, non intendesse rimanere vincolato ai relativi contratti, potrebbe certamente azionare il diritto di recesso disposto dall’art. 52 cod. cons. entro quattordici giorni dal conseguimento del possesso fisico dei beni acquistati. Si ritiene tuttavia che un simile rimedio possa solo formalmente considerarsi adeguato alla tutela dell’interesse soggettivo specificamente inciso, poiché la fisiologica lunghezza degli accertamenti necessari al riconoscimento da parte dell’Autorità Antitrust della ricorrenza di una pratica commerciale scorretta in molti casi impedirebbe al consumatore, che ragionevolmente volesse avvalersi delle risultanze di tale indagine, di recedere per tempo, soprattutto in assenza delle condizioni stabilite dall’art. 53 cod. cons. per la dilatazione dei termini utili all’esercizio del relativo diritto.

Nell’uno e nell’altro caso, viceversa, potrebbe risultare appropriato l’azionamento di tecniche di tutela volte ad assicurare, ora il ripristino del sinallagma contrattuale ingannevolmente prospettato, mediante una riduzione del prezzo proporzionata alla misura del vantaggio ingiustificatamente conseguito dal professionista – che nel primo caso potrebbe corrispondere agli importi della commissione per la Protezione acquisti e delle spese di spedizione e, nel secondo caso potrebbe corrispondere alla differenza tra il valore del corrispettivo pagato e il valore economico di un bene rispetto al quale è incerto il tempo della sua effettiva disponibilità – ora il diritto allo scioglimento del vincolo contrattuale, sul modello del rimedio redibitorio, ove l’interesse preminente del consumatore sia rivolto ad ottenere la cancellazione dello scambio e la restituzione di quanto corrisposto [85].

Da ultimo, può anche volgersi lo sguardo al noto caso recentemente deciso dal Tribunale di Venezia [86], riguardante gli effetti pregiudizievoli subiti dagli acquirenti di autoveicoli Volkswagen in seguito alla pratica commerciale scorretta generatrice del c.d. “Dieselgate”, per verificare come, al di là del richiamo nominale al risarcimento del danno, la modalità di calcolo e l’entità della somma fissata dal giudice per rimediare alla compromissione degli interessi dei consumatori aderenti all’azione di classe promossa dall’associazione Altroconsumo connotino di fatto il rimedio adottato più in senso restitutorio che non in senso reintegratorio [87].

L’ipotesi che le indicazioni disciplinari provenienti dal diritto europeo in materia di pratiche commerciali scorrette siano indirizzate innanzitutto alla rimodulazione normativa di funzionalità e operatività di alcuni rimedi, con specifico riferimento alle relazioni economiche tra professionisti e consumatori, avrebbe dunque una precisa implicazione. L’ipotesi ricostruttiva proposta accrediterebbe cioè l’idea che il diritto europeo solleciti l’evoluzione delle discipline nazionali dei rapporti contrattuali, promossi o conclusi in seguito ad una pratica commerciale sleale, in una direzione che non si esaurisca nella contestazione delle responsabilità del professionista nei riguardi del singolo consumatore.

Se proporzionato ed effettivo, il risarcimento del danno andrebbe certamente annoverato tra i possibili rimedi individuali cui il consumatore deve avere accesso, contro i pregiudizi derivanti da una pratica commerciale scorretta. E però, proprio in virtù dell’attribuzione agli Stati membri della facoltà di definirne “le condizioni per l’applicazione e gli effetti”, la sua funzionalità, nonché i presupposti normativi della sua azionabilità, in assenza di un espressa presa di posizione da parte del legislatore, potrebbero anche essere ridefiniti in via interpretativa [88], valutando se il contesto nel quale il tipo di problema da disciplinare sia maturato rievochi maggiormente l’esigenza di una reintegrazione del diritto violato o, invece, la diversa esigenza della restituzione di un valore ingiustificatamente attribuito alla disponibilità di un soggetto diverso dal suo legittimo titolare.

D’altronde, nell’ambito di una strategia d’azione che miri ad una crescente integrazione funzionale tra l’attività sanzionatoria di pratiche commerciali scorrette, affidata alle istituzioni pubbliche preposte alla regolazione del mercato, e il potenziato azionamento di rimedi individuali a tutela degli interessi del consumatore – in sede di giurisdizione ordinaria ma anche e soprattutto in sede stragiudiziale [89] – l’acritica valorizzazione in via interpretativa del solo rimedio risarcitorio potrebbe finire per mancare, tanto quanto l’imperdonabile insipienza del legislatore delegato all’attuazione del diritto eurounitario, l’obiettivo di garantire al singolo consumatore il pieno accesso a tutte le tecniche che di volta in volta risultino le più proporzionate ed effettive nella tutela dei suoi interessi, ove incisi da una pratica commerciale scorretta.


NOTE

[1] Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale europeo, Un “new deal” europeo, https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52018DC0183&from=EN.

[2] Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, Il green deal europeo, https://eur-lex.europa.eu/resource.html?uri=cellar:b828d165-1c22-11ea-8c1f-01aa75ed71a1
.0006.02/DOC_1&format=PDF
. Ma si veda anche il Piano d’azione Per L’economia Circolare, https://eur-lex.europa.eu/
resource.html?uri=cellar:9903b325-6388-11ea-b735-01aa75ed71a1.0020.02/DOC_1&format=PDF
, e la nuova agenda dei consumatori, https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52020DC0696&rid=7.

[3] Proposta di direttiva del 30 marzo 2022, che modifica la direttiva 29/2005/CE e la direttiva 83/2011/UE, per quanto riguarda la responsabilizzazione dei consumatori per la transizione verde mediante il miglioramento della tutela dalle pratiche sleali e dell’informazione, https://eur-lex.europa.eu/resource.html?uri=cellar:ccf4e0b8-b0cc-11ec-83e1-01aa75ed71a1.0006.02/DOC_1&
format=PDF e direttiva 2019/2161/UE del 27 novembre 2019, che modifica la direttiva 93/13/CEE del Consiglio e le direttive 98/6/CE, 2005/29/
CE e 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio per una migliore applicazione e una modernizzazione delle norme dell’Unione relative alla protezione dei consumatori, https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri
=CELEX:32019L2161&from=EL.

[4] L’ultima traccia dell’impegno profuso in questa direzione è il Draft Common Frame of Reference, redatto su incarico della Commissione europea per effettuare una ricognizione dell’acquis communautaire relativo alla regolazione dei rapporti a contenuto patrimoniale tra privati e pubblicato nella sua versione definitiva nel 2009. Sul punto, da ultimo S. Mazzamuto, Progetti di codificazione europea sul contratto, in Europa dir. priv., 2020, 1105 ss., il quale, seppur consapevole della fase di debolezza politica e marcato ripiegamento particolaristico che attualmente caratterizza l’azione delle istituzioni europee (ivi, 1148), auspica comunque la prosecuzione del lavoro accademico di confronto e costruzione di un diritto privato uniforme espressivo di un modello facoltativo di regolazione dei rapporti contrattuali tra privati nel mercato europeo (ivi, 1149).

[5] Si pensi alla definizione sempre più rigorosa dei requisiti utili all’attestazione contrattuale dell’effettivo rispetto di standard di sostenibilità e durabilità relativi ai beni e ai servizi forniti, che la proposta di direttiva del 30 marzo 2022 dispone ora indirettamente, elencando in modo sempre più puntuale le caratteristiche principali del prodotto sulle quali la fornitura di informazioni false o comunque ingannevoli nei riguardi del consumatore medio integrerebbe una pratica commerciale scorretta (art. 1, comma 2), ora direttamente, disponendo la specifica qualità che le informazioni eventualmente rese dal professionista dovranno presentare al fine di rendere il consumatore certo del grado effettivo di sostenibilità e durabilità del bene o del servizio oggetto del contratto (art. 2, comma 2 e 3).

[6] Dir. 2019/2161/UE, art. 1, che dispone l’inserimento dell’art. 8 ter nella dir. 93/13/CEE, art. 3, che riscrive l’art. 13 della dir. 2005/29/CE e art. 4, che riscrive l’art. 24 della dir. 2011/83/UE.

[7] Si pensi in proposito alla responsabilità del produttore per danni da prodotti difettosi, alla nullità di protezione delle clausole abusive, al diritto di recesso dai contratti conclusi dal consumatore a distanza o fuori dai locali commerciali, alla gerarchia di rimedi azionabili dal consumatore acquirente di un bene con difetti di conformità al contratto e, da ultimo, alla richiesta espressa, che la dir. 2019/2161/UE indirizza ai legislatori nazionali, di definire rimedi effettivi e proporzionati azionabili dal singolo consumatore per tutelare i propri interessi, ove lesi da pratiche commerciali scorrette (art. 11-bis dir. 2005/29/CE).

[8] Il 23 febbraio 2023 il Consiglio dei ministri ha approvato in via definitiva lo schema del decreto legislativo di recepimento della dir. 2019/2161/UE che, in fase di ultima revisione di questo scritto, risultava ancora in attesa di firma da parte del Presidente della Repubblica per l’emanazione e la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. La profonda insoddisfazione per l’operato delle istituzioni italiane non riguarda solo il ritardo accumulato nell’attuazione della direttiva, ma anche il sostanziale tradimento del mandato ricevuto dal legislatore europeo, specificamente riferito alla definizione di strumenti di tutela individuale, effettivi e proporzionati, oltre che sistematicamente coerenti, contro gli effetti lesivi di pratiche commerciali scorrette. Come criticamente segnalato da C. Granelli, Pratiche commerciali scorrette: alla vigilia del recepimento della dir 2019/2161/UE, in Contr., 2021, 499; Id., L’art. 11-bis della direttiva 2005/29/CE: ratio, problemi interpretativi e margini di discrezionalità concessi agli stati membri ai fini del recepimento, in questa Rivista, 2022, 256 ss., già l’art. 4 della legge 4 agosto 2022, n. 127, “Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti normativi dell’Unione europea – Legge di delegazione europea 2021”, nello stabilire i principi e i criteri direttivi per il recepimento della direttiva 2019/2161/UE, non forniva alcuna reale indicazione in proposito. Per questa ragione, G. De Cristofaro, Legislazione italiana e contratti dei consumatori nel 2022: L’anno della svolta. Verso un diritto “pubblico” dei (contratti dei) consumatori?, in Nuove leggi civ. comm., 2022, 44, ha osservato con preoccupazione che “la scelta tra le diverse opzioni richiamate in proposito dal legislatore eurounitario sarà affidata “alla pura ed incondizionata discrezionalità del Governo”. Oggi, la lettura dello schema del decreto legislativo e in particolare dell’art. 1, comma 7, lett. d), rende tuttavia evidente che il governo si è astenuto dalla predisposizione di un intervento legislativo che indichi il/i meccanismo/i di private enforcement ritenuto/i maggiormente idoneo/i alla tutela effettiva e proporzionata degli interessi del singolo consumatore da effetti pregiudizievoli di pratiche commerciali scorrette, delegando per intero al potere giurisdizionale il compito di individuare di volta in volta la soluzione disciplinare più idonea allo scopo. Il comma 15-bis, che integrerà l’art. 27 del d.lgs. n. 206/2005, infatti, recita “I consumatori lesi da pratiche commerciali sleali possono altresì adire il giudice ordinario al fine di ottenere rimedi proporzionati ed effettivi, compresi il risarcimento del danno subito e, ove applicabile, la riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto, tenuto conto, se del caso, della gravità e della natura della pratica commerciale sleale, del danno subito e di altre circostanze pertinenti. Sono fatti salvi ulteriori rimedi a disposizione dei consumatori”.

[9] Comunicazione DELLA Commissione AL Parlamento EUROPEO, AL Consiglio E AL Comitato economico e sociale europeo, Un “new deal” europeo”, cit.; dir. 2161/2019/UE, considerando n. 3 e 5.

[10] C. Granelli, Pratiche, cit., 495; Id., (Voce), Pratiche commerciali scorrette: le tutele, in Contratto, Enc. dir., I tematici, Giuffrè, 2021, 835 ss.

[11] Si vedano a riguardo le nuove tipologie di pratiche ingannevoli inserite, con l’aggiunta, all’art. 7, paragr. 4, dir. 29/2005/CE, della lett. f), del paragr. 4-bis e del paragr. 6 (dir. 2161/2019/UE, art. 3, punto 4) e con l’aggiunta di una serie di ipotesi di pratiche da considerarsi in ogni caso sleali nell’allegato 1 alla dir. 29/2005/CE (dir. 2161/2019/UE, art. 3, punto 7).

[12] Relazione introduttiva alla proposta di direttiva del 30 marzo 2022.

[13] Evidenzia il carattere innovativo della strategia adottata dal legislatore eurounitario nella promozione dell’effettività della tutela degli interessi dei consumatori, F. Cafaggi, Tutela amministrativa, tutela giurisdizionale e principio di effettività, in P. Iamiceli, (a cura di), Effettività delle tutele e diritto europeo. Un percorso di ricerca per e con la formazione giudiziaria, Un. Trento, 2020, 61 ss., il quale in particolare sottolinea che la preferenza accordata dal diritto europeo alla logica del rimedio, piuttosto che a quella del diritto soggettivo e della sua azionabilità in giudizio, ha favorito l’abbattimento degli steccati tradizionali tra tutela giurisdizionale e tutela amministrativa e il conseguente funzionamento integrato di questa e quella, sicché attualmente “il piano rimediale è caratterizzato da una significativa accentuazione della componente punitiva, un tempo riferita alle sole sanzioni, grazie al sempre più frequente riferimento alla gravità della violazione quale parametro per la definizione del contenuto del rimedio. Per converso il piano sanzionatorio si arricchisce di strumenti privi della caratteristica punitiva/afflittiva diretti a valorizzare piuttosto la componente preventiva e ripristinatoria”. Ivi, 66.

[14] Sebbene in questa sede non sia oggetto di analisi, un doveroso cenno è dovuto anche all’adozione della direttiva 2020/1828/UE relativa alle azioni rappresentative a tutela degli interessi collettivi dei consumatori e che abroga la direttiva 2009/22/CE, con la quale, ai sensi del considerando n. 5, si intende “migliorare l’azione di deterrenza contro le pratiche illecite e ridurre il danno per i consumatori in un mercato sempre più globalizzato e digitalizzato”, attraverso l’inclusione, tra i meccanismi procedurali per la protezione degli interessi collettivi dei consumatori, di “provvedimenti inibitori così come provvedimenti risarcitori”. Alla fine del 2022 il governo ha approvato in via preliminare anche lo schema del decreto legislativo di recepimento di questa direttiva, le cui indicazioni normative, dunque, ispireranno ulteriori modifiche e integrazioni del codice del consumo. Tra i primi commenti, G. De Cristofaro, Azioni “rappresentative” e tutela degli interessi collettivi dei consumatori, in Nuove leggi civ. comm., 2022, 1010 ss., il quale, pur riservandosi di manifestare “un giudizio compiuto” solo al termine del processo di recepimento della direttiva nei vari Stati membri, non manca di sottolineare la difficoltà del lavoro che attende il legislatore, considerata l’ambigua e lacunosa formulazione delle disposizioni e dei suoi considerando (ivi, 1013). Esprime delusione per il carattere estremamente parziale dell’armonizzazione normativa perseguita e per i “contorni incerti, ambigui e lacunosi” della disciplina proposta anche E. Minervini, L’azione inibitoria nella dir. 2020/1828/UE, in Nuove leggi civ. comm., 2022, 1377 ss. Con specifico riferimento al rapporto tra strumenti di tutela degli interessi del singolo consumatore, oggetto di attenzione in questa sede, e procedure di tutela degli interessi collettivi dei consumatori, osserva che “ gli interessi collettivi (…) si collocano esattamente al punto di congiunzione tra la dimensione dei conflitti del mercato, presidiati (…) dalle Authorities, e quella dei conflitti interni ad esso, da risolvere per via giudiziale o di ADR; di più, è attraverso la loro specola che è dato cogliere distorsioni/violazioni che dalla prima si riverberano sulla seconda”, E. Camilleri, La dir. 2020/1828/UE sulle azioni rappresentative e il “sistema delle prove”. La promozione dell’interesse pubblico attraverso la tutela degli interessi collettivi dei consumatori: verso quale modello di enforcement?, in Nuove leggi civ. comm., 2022, 1052 ss.

[15] Conferma l’innovatività appena segnalata a proposito della strategia dei più recenti interventi eurounitari a protezione del consumatore, la circostanza che la dir. 2019/2161/UE, rispettivamente all’art. 1, art. 3 punto 6 e art. 4 punto 13, condizioni il calcolo della sanzione applicabile da parte dell’autorità amministrativa o/e giudiziaria, all’esito dell’accertamento di una violazione del diritto europeo a tutela dei consumatori, ad una serie di valutazioni della condotta del professionista, quali ad esempio, per un verso, la gravità, la durata e la reiterazione della violazione, e, per altro verso, la predisposizione di eventuali azioni rivolte ad attenuare o rimediare al danno subito dai consumatori. Sicché potrebbe ipotizzarsi che la sanzione comminata si connoti, almeno indirettamente, in senso “rimediale”.

[16] Proposta di direttiva del 30 marzo 2022, Relazione introduttiva, p. 5.

[17] Proposta di direttiva del 30 marzo 2022, Relazione introduttiva, p. 4.

[18] Oltre agli interventi di G. De Cristofaro e C. Granelli già citati supra, nota n. 8, G. De Cristofaro, Rimedi privatistici “individuali” dei consumatori e pratiche commerciali scorrette: l’art. 11-bis dir. 2005/29/CE e la perdurante (e aggravata) frammentazione dei diritti nazionali dei paesi UE, in questa Rivista, 2022, 269 ss.; S. Pagliantini, I rimedi non risarcitori: esatto adempimento, riduzione del prezzo e risoluzione del contratto, in questa Rivista, 2022, 304 ss.; M. Maugeri, Invalidità del contratto stipulato a seguito di pratica commerciale sleale?, in questa Rivista, 2022, 316 ss.; L. Guffanti Pesenti, Pratiche commerciali scorrette e rimedi nuovi. La difficile trasposizione dell’art. 3 co.1, n. 5) dir. 2019/2161/UE, in Europa dir. priv., 2021, 635 ss.; C. Dalia, Sanzioni e rimedi individuali “effettivi” per il consumatore in caso di pratiche commerciali scorrette: le novità introdotte dalla direttiva 2161/2019/UE, in Riv. dir. ind., 2021, 331 ss.; I. Speziale, La direttiva 2019/2161/UE tra protezione dei consumatori e promozione della competitività sul mercato unico, in Corr. giur., 2020, 441 ss. Più in generale, sul tema A. Fachechi, Pratiche commerciali scorrette e rimedi negoziali, Esi, 2012, 31 ss.; T. Febbrajo, Il private enforcement del divieto di pratiche commerciali scorrette, Esi, 2018, 118 ss.; L. Guffanti Pesenti, Scorrettezza delle pratiche commerciali e rapporti di consumo, Jovene, 2020, 191 ss. Più risalenti ma decisivi nell’impostazione del dibattito all’indomani del recepimento della direttiva 2005/29/CE, i contributi raccolti in E. Minervini, L. Rossi Carleo (a cura di), le pratiche commerciali sleali: direttiva comunitaria e ordinamento italiano, Giuffrè, 2007; A. Genovese, (a cura di), I decreti legislativi sulle pratiche commerciali scorrette: attuazione e impatto sistematico della direttiva 2005/29/CE, Cedam, 2008; G. De Cristofaro, Pratiche commerciali scorrette e codice del consumo: il recepimento della direttiva 2005/29/CE nel diritto italiano, Giappichelli, 2008.

[19] Per quanto l’art. 11-bis della dir. 2005/29/CE riconosca agli Stati membri la mera facoltà di “stabilire le condizioni per l’applicazione e gli effetti di tali rimedi”, riferendosi al risarcimento del danno e, se pertinenti, alla risoluzione e alla riduzione del prezzo, è evidente che la mancata definizione di quelle condizioni da parte del legislatore italiano rischi di compromettere l’effettiva realizzazione dell’obiettivo prescritto, consistente nell’assicurazione dell’accesso a rimedi proporzionati ed effettivi nei riguardi del consumatore i cui interessi siano stati lesi da una pratica commerciale sleale. Non è affatto da escludere, dunque, che, ove la riflessione teorica non provveda ad elaborare soluzioni applicative utili a compensare in via interpretativa la sostanziale inerzia del legislatore, non appena se ne presenterà l’occasione sarà la CGUE, in virtù del principio dell’interpretazione conforme al diritto eurounitario del diritto nazionale di ogni Stato membro, a suggerire ai giudizi nazionali le leve della normativa interna da azionare perché l’obiettivo prescritto dalla direttiva 2019/2161/UE sia effettivamente raggiunto. In proposito, CGUE, 13 gennaio 2022, C-282/19, ove i giudici di Lussemburgo chiariscono che “il principio dell’interpretazione conforme richiede che i giudici nazionali facciano tutto quanto compete loro, prendendo in considerazione il diritto interno nella sua interezza e applicando i metodi di interpretazione riconosciuti da quest’ultimo, al fine di garantire la piena efficacia della direttiva di cui trattasi e pervenire a una soluzione conforme allo scopo perseguito da quest’ultima”. Nello stesso senso, tra le tante CGUE, 14 maggio 2020, C-615/18 e CGUE, 19 settembre 2019, C-143/18, nella quale, a proposito dell’applicazione delle indicazioni normative presenti in una direttiva a tutela dei consumatori, si precisa che, al fine di pervenire ad una soluzione disciplinare conforme ad una disposizione del diritto eurounitario, il giudice nazionale deve, se del caso, discostarsi da una giurisprudenza nazionale consolidata, “qualora questa si fondi su un’interpretazione del diritto nazionale incompatibile con la disposizione medesima”.

[20] C. Dalia, Sanzioni, cit., 355.

[21] Il rinvio all’apparato rimediale disposto dalla direttiva 2019/771/UE, relativa a determinati aspetti dei contratti di vendita di beni, che modifica il regolamento (UE) 2017/2394 e la direttiva 2009/22/CE, e che abroga la direttiva 1999/44/CE, è presente già nel considerando n. 16, il quale prevede la necessità di lasciare liberi gli Stati membri di disporre il diritto ad altri rimedi “come la sostituzione o la riparazione” al fine di garantire l’eliminazione totale degli effetti della pratica commerciale scorretta. Ritiene tuttavia che “la menzione (…) della risoluzione del contratto e della riduzione del prezzo, nonostante l’assonanza, non sembra (…) avere un legame diretto con l’istituto della garanzia per difetto di conformità di cui agli artt. 128 ss. C. cons. e non comporta perciò la trasponibilità, nella materia delle pratiche commerciali scorrette, dell’intera serie di rimedi dalla medesima previsti a favore del consumatore”, L. Guffanti Pesenti, Pratiche, cit., 655.

[22] A questo scopo, riveste senz’altro grande importanza l’attenta disamina delle soluzioni legislative individuate in passato nei diversi ordinamenti degli Stati membri, al fine di dare attuazione alla direttiva 2005/29/CE, sulla quale G. De Cristofaro, Le conseguenze privatistiche della violazione del divieto di pratiche commerciali sleali: analisi comparata delle soluzioni accolte nei diritti nazionali dei Paesi UE, in Rass. dir. civ., 2010, 880 ss., nonché l’aggiornamento di tale indagine, alla luce degli interventi legislativi di recepimento delle indicazioni normative disposte dalla dir. 2019/2161/UE, riportato in G. De Cristofaro, Rimedi, cit., 271 ss.

[23] A Jannarelli, La disciplina dell’atto e dell’attività: i contratti tra imprese e tra imprese e consumatori, in N. Lipari, (a cura di), Trattato di diritto privato europeo, III, L’attività e il contratto, Cedam, 2003, 22 ss.

[24] Art. 18, lett. m), cod. cons., che definisce l’espressione «decisione di natura commerciale» come “la decisione presa da un consumatore relativa a se acquistare o meno un prodotto, in che modo farlo e a quali condizioni, se pagare integralmente o parzialmente, se tenere un prodotto o disfarsene o se esercitare un diritto contrattuale in relazione al prodotto; tale decisione può portare il consumatore a compiere un’azione o all’astenersi dal compierla”.

[25] È in questi termini che l’art. 18, lett. d), Cod. Cons. definisce la nozione di pratica commerciale.

[26] Giova sin d’ora precisare, tuttavia, che il riferimento ad un ventaglio più articolato di meccanismi rimediali non intende riproporre l’idea – già autorevolmente sostenuta da M. R. Maugeri, Pratiche commerciali scorrette e disciplina generale dei contratti, in A. Genovese, I decreti, cit., 284-286; ma si veda anche A. Fachechi, Pratiche, cit., 104 ss. – secondo la quale il legislatore, grazie alle continue sollecitazioni del diritto europeo, avrebbe nel tempo già predisposto e disciplinato nel codice civile e/o nel codice del consumo una molteplicità di rimedi che il consumatore potrebbe efficacemente azionare per contrastare gli effetti pregiudizievoli subiti a causa di una pratica commerciale scorretta, in particolare tutte le volte in cui essa riguardi modalità di formazione della volontà contrattuale del consumatore o di predisposizione unilaterale del regolamento contrattuale o ancora di presentazione del bene o del servizio oggetto dello scambio. Solo per fare qualche esempio, basti a riguardo ricordare che, ove il contratto sia stato concluso a distanza o fuori dai locali commerciali del professionista, l’art. 52 cod. cons. riconosce al consumatore un periodo di quattordici giorni per esercitare il diritto di recesso senza dover fornire motivazioni, o che l’art. 36 del cod. cons. dispone la nullità di protezione della clausola di un contratto tra professionista e consumatore di cui sia stata accertata la vessatorietà o infine che lo stesso cod. cons., in seguito al recente recepimento delle direttive 2019/770/UE e 2019/771/UE, rispettivamente agli artt. 135-octiesdecies e ss. e 135-bis e ss., disciplina i rimedi a disposizione del consumatore acquirente di un contenuto digitale, di un servizio digitale o di un bene mobile, con o senza elementi digitali, che presentino difetti di conformità a quanto contrattualmente divisato. Infatti, ferma restando la validità di simili rilievi, così come la validità del rinvio alla disciplina codicistica dell’annullabilità del contratto per dolo o per violenza, in questa sede si intende piuttosto indagare quali possano essere i meccanismi rimediali cui allude la dir. 2019/2161/UE, ove il singolo consumatore subisca effetti pregiudizievoli prodotti da pratiche commerciali scorrette che non siano agevolmente assimilabili alle ipotesi di alterazione del processo di formazione di un accordo contrattuale già prese in considerazione, ora dalla disciplina generale del contratto, ora dalla disciplina speciale dei contratti del consumatore. In proposito, a titolo meramente esemplificativo, si considerino le nuove ipotesi di pratiche commerciali in ogni caso ingannevoli, descritte dall’art. 3, punto 7, dir. 2019/2161/UE e introdotte nell’elenco allegato alla dir. 2005/29/CE ai punti 11-bis (“Fornire risultati di ricerca in risposta a una ricerca online del consumatore senza che sia chiaramente indicato ogni eventuale annuncio pubblicitario a pagamento o pagamento specifico per ottenere una classificazione migliore dei prodotti all’interno di tali risultati”), 23-bis (“Rivendere ai consumatori biglietti per eventi, se il professionista ha acquistato tali biglietti utilizzando strumenti automatizzati per eludere qualsiasi limite imposto riguardo al numero di biglietti che una persona può acquistare o qualsiasi altra norma applicabile all’acquisto di biglietti”) e 23-ter (“Indicare che le recensioni di un prodotto sono inviate da consumatori che hanno effettivamente utilizzato o acquistato il prodotto senza adottare misure ragionevoli e proporzionate per verificare che le recensioni provengano da tali consumatori”). In relazione a tali ipotesi di pratiche commerciali scorrette, può rilevarsi, per un verso, che non sempre sia agevole riconoscere nella condotta del professionista gli estremi di un’ipo­tesi di dolo ex art. 1439 o anche solo ex art. 1440 c.c. E, per altro verso, che la richiesta di individuare rimedi proporzionati ed effettivi, nell’eventualità di una lesione degli interessi del consumatore, sembra si opponga all’individuazione di rimedi passe-partout, quale potrebbe essere il recesso nel caso di un contratto perfezionato a distanza o fuori dai locali commerciali.

[27] Ricorda che il nostro sistema giuridico ordina le relazioni sociali “secondo una razionalità essenzialmente procedurale: quella per cui la razionalità del comando normativo non sta nel suo contenuto bensì nella forma (consensuale) che esso impone alle relazioni individuali, sicché è razionale e quindi “giusto”, tutto ciò e solo ciò che sia stato liberamente voluto” M. Barcellona, Responsabilità extracontrattuale e vizi della volontà contrattuale, in www.judicium.it, 2011, 10. Sul punto anche, da ultimo, G. D’Amico, (Voce), Giustizia contrattuale, in Contratto, Enc. dir., I tematici, Giuffrè, 2021, 588-589.

[28] Riferendosi alla scorrettezza della pratica commerciale posta in essere dal professionista come alla causa della determinazione di un regolamento contrattuale “sperequato”, perché siglato sulla base di informazioni false o di omissioni di notizie “rilevanti ai fini della determinazione economica del consumatore”, sembra attribuisca tale significato alla nozione di congruità contrattuale A. Fachechi, Pratiche, cit., 130 ss., salvo poi lasciar trasparire il favore per una differente connotazione della stessa nozione ove, ragionando sui rimedi applicabili al fine di riportare in equilibrio il contratto sperequato che il consumatore intenda comunque mantenere in vita, sostiene che “l’obiettivo è quello di realizzare una giustizia sostanziale, nel rispetto di quella logica proporzionale che induce a revocare in dubbio le vecchie convinzioni sull’intangibilità del regolamento negoziale e del dogma del volere” (ivi, 141).

[29] Sulla debolezza contrattuale del consumatore quale base per la costruzione di un modello normativo di contratto distinto da quello di diritto comune (il modello del contratto asimmetrico), A. M. Benedetti, (Voce), Contratto asimmetrico, in Enc. dir., Annali, V, Giuffrè, 2012, 374-375; V. Roppo, Behavioural Law and Economics, regolazione del mercato e sistema dei contratti, in Riv. dir. priv., 2013, 167 ss.; Sul punto si veda anche G. D’Amico, (Voce), Giustizia, cit., 592 ss.

[30] P. Gallo, I vizi del consenso, in E. Gabrielli, (a cura di), I contratti in generale, Tratt. dei Contratti, Rescigno, Gabrielli, I, Utet, 2006, 464; Id., Il contratto, Giappichelli, 2017, 678, secondo il quale “In termini del tutto generali la congruità dei valori scambiati non è considerata un requisito di validità della causa. Il discorso però è completamente diverso nel caso in cui lo squilibrio tra le prestazioni non è frutto di una precisa e consapevole volontà in questo senso, ma è esclusivamente dovuto ad errore o più in generale a vizio del consenso della parte che ha accettato lo scambio a condizioni inique. Nei casi di questo genere giustizia vuole che la parte che ha acconsentito allo scambio a condizioni inique possa liberarsi del vincolo contrattuale”.

[31] Con parole che, in termini generali, sono assolutamente condivisibili e che trovano riscontro nel pensiero di molti autori contemporanei, ricorda che “l’autonomia negoziale, contrattuale, non è un dogma, né un preconcetto o un valore in sé. (…) Essa si configura secondo i dati normativi desumibili dall’ordinamento, nella sua unitarietà e nella sua completezza, secondo i principi e le regole. Essa si colloca tra libertà e giustizia contrattuale”, P. Perlingieri, Equilibrio normativo e principio di proporzionalità nei contratti, in Rass. dir. civ., 2001, 334-335.

[32] Si pensi, solo per fare qualche esempio, oltre all’art. 36 cod. cons., all’art. 135-sexies cod. cons., all’art. 135-vicies bis, alle molte nullità parziali disposte dagli art. 117 ss. del d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), la cui previsione il più delle volte è anche accompagna dall’indicazione dei contenuti da integrare in via sostitutiva nel contratto, all’art. 23 del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo Unico dell’intermediazione finanziaria).

[33] Scrive di una “tutela paternalistica della prima ora” nei riguardi del consumatore, parte debole del contratto, finalizzata ad assicurare “dall’alto” l’equilibrio contrattuale dell’assetto finale degli interessi attribuibili alle parti scrive M. Barela, La consapevolezza del consumatore nella costruzione giuridica del mercato (rileggendo la pagina di Tullio Ascarelli), in Riv. dir. ind., 2019, 186.

[34] Riconduce puntualmente la natura “originale e composita” delle nuove regole che riguardano i contratti del consumatore al «rapporto simbiotico» tra contratto e mercato, equiparando tali due dimensioni alle “due facce della medesima medaglia” ancora A. M. Benedetti, (Voce), Contratto, cit., 375. In senso analogo, G. D’Amico, (Voce) Giustizia, cit., 595.

[35] Con riferimento ai casi in cui “il pregiudizio consiste nella conclusione di un contratto (desiderato ma) fortemente sperequato”, A. Fachechi, Pratiche commerciali scorrette e (apparente) gap normativo: il “sistema” dei rimedi negoziali, in Studium Iuris, 2015, 186, la quale, al fine di ripristinare l’equilibrio del rapporto compromesso da una pratica commerciale scorretta suggerisce l’adozione di una serie di rimedi, tra i quali, non ultimi, “interventi di ortopedia negoziale da parte del giudice”, improntati ai “criteri dell’equità, della proporzionalità e della ragionevolezza” (Ivi, 187), ma anche interventi “non più sulla struttura del rapporto obbligatorio ma, in via (non necessariamente) alternativa, sui suoi effetti economici.” Poiché, “abbandonata l’idea della perfetta equivalenza tra contratto valido e contratto giusto, il pregiudizio economico del deceptus può essere risanato mediante il rimedio risarcitorio”. (Ivi, 188). Più in generale, tendono ad attribuire una valenza assiologica alla giustizia contrattuale realizzabile attraverso il perseguimento della congruità contrattuale M. Pennasilico, Metodo e valori nell’interpretazione dei contratti. Per un’ermeneutica contrattuale rinnovata, Esi, 2011, 398 ss.; Id., «Ménage à trois: la correzione giudiziale dei contratti, in F. Volpe, (a cura di), Correzione e integrazione del contratto, Zanichelli, 2016, 44 ss.; S. Polidori, Discipline della nullità e interessi protetti, Esi, 2001, 208 ss.; R. Lanzilllo, Regole di mercato e congruità dello scambio contrattuale, in Contr. impr., 1985, 310 ss.; R. Rolli, Le attuali prospettive di «oggettivazione dello scambio»: verso la rilevanza della «congruità dello scambio contrattuale»?, in Contr. impr., 2001, 611 ss.

[36] Si vuole a riguardo evidenziare come la valorizzazione di meccanismi di private enforcement rivelano lo spostamento dell’at­tenzione normativa dagli interessi di cui sarebbe portatore, quale attore delle dinamiche di un mercato concorrenziale, la figura astratta del consumatore “medio” alla tutela degli interessi specifici e spesso irripetibili del singolo consumatore. Definisce il consumatore medio come il consumatore “normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto” il considerando n. 18 della dir. 2005/29/CE. Sul punto, M. Libertini, Clausola generale e disposizioni particolari nella disciplina delle pratiche commerciali scorrette, in Contr. impr., 105 ss.; L. Rossi Carleo, Consumatore, consumatore medio, investitore e cliente: frazionamento e sintesi, nella disciplina delle pratiche commerciali scorrette, in Europa dir. priv., 2010, 708; C. Camardi, La protezione dei consumatori tra diritto civile e regolazione del mercato. A proposito dei recenti interventi sul codice del consumo, in questa Rivista, 2013, 316-317. Considera “la scelta di fare riferimento esclusivamente ad un parametro di valutazione «astratto» e «tipico» come quello del consumatore medio (…) nella sua assolutezza inadeguata, sia rispetto alla multiforme varietà delle pratiche commerciali, sia rispetto alla possibile varietà dei contesti nell’ambito dei quali potrebbe rendersi necessario valutare la correttezza di una pratica commerciale” G. De Cristofaro, (a cura di), Pratiche, cit., 170. Si sofferma sul problema dell’esatta configurazione normativa della figura del consumatore, osservando che, malgrado il diffuso richiamo all’autoresponsabilità anche nei suoi riguardi, la Corte di Giustizia difficilmente riterrebbe corretta un’applicazione del diritto europeo dei contratti che, nel caso del riscontro di uno scarso livello di attenzione del consumatore, si risolva nella tolleranza di condotte professionali scorrette, S. Pagliantini, In memoriam del consumatore medio, in Europa dir. priv., 2021, 12.

[37] R. Sacco, G. De Nova, Il contratto, in Tratt. Dir. Civ., diretto da R Sacco, I, Utet, 2004, 618 ss., ove, precisato che compito dell’interprete è “ordinare, confrontare, individuare i principi, formularli, imporre il rispetto con ampio ricorso all’analogia, strutturare un corpo semplice e organico di norme”, si individua nell’art. 1337 c.c. la regola che “nella sua formulazione elastica (…) consente di reprime l’abuso o l’approfittamento di qualsiasi processo formativo distorto della volontà contrattuale” (ivi, 620), precisandosi che, “nella sostanza, il contratto affetto da un vizio innominato è annullabile” (ivi, 621). In senso analogo, si afferma che, sul modello dell’art. 1440 c.c., la norma in materia di responsabilità precontrattuale potrebbe svolgere un ruolo assai pregnante: quello di aprire alla «correzione» – ottenuta attraverso lo strumento risarcitorio – dei risultati economici pregiudizievoli di un regolamento di interessi, pur validamente stipulato, ma che, in ragione di un contegno sleale e scorretto di una delle parti, si rivela in qualche misura «squilibrato» e comunque lesivo all’interesse dell’altra”. M. Mantovani, «Vizi incompleti» del contratto e rimedio risarcitorio, Giappichelli, 1995, 24-25. Ancora, G. Perlingieri, Regole e comportamenti nella formazione del contratto. Una rilettura dell’art. 1337 codice civile, Esi, 2003, 59 ss.; I. Federici, Dolo incidente e regole di correttezza, Esi, 2010, 154 ss.; P. Gallo, Il contratto, cit., 676 ss. Si interroga però in termini condivisibilmente problematici sull’ammissibilità che i contenuti normativi disposti dal legislatore eurounitario attraverso la direttiva 2005/29/CE possano legittimare una rilettura dei presupposti applicativi dell’annullamento per dolo e violenza, dettati dalla disciplina generale del Codice Civile, C. Camardi, Pratiche commerciali scorrette e invalidità, in Obbl. contr., 2010, 415-416.

[38] Il riconoscimento di tale diritto si collega d’altronde a quello, pure espressamente ricordato dall’art. 2, comma 2, lett. c-bis, cod. cons., relativo “all’esercizio delle pratiche commerciali secondo principi di buona fede, correttezza e lealtà”, il quale trova a sua volta conferma nell’art. 39 cod. cons., ai sensi del quale “ le attività commerciali sono improntate al rispetto dei principi di buona fede, di correttezza e di lealtà, valutati anche alla stregua delle esigenze di protezione delle categorie di consumatori”.

[39] Non pare invece che l’errore-vizio possa verosimilmente essere invocato al fine di ottenere l’annullamento di un contratto concluso in seguito al condizionamento prodotto sulla scelta negoziale del consumatore dalla pratica commerciale scorretta, in quanto, mentre le ipotesi di ingannevolezza ex art. 21 cod. cons. o di aggressività ex art. 24 cod. cons. di una pratica commerciale possono essere rappresentate rispettivamente nei termini del dolo e della violenza, con qualche inevitabile adeguamento del significato normativo attribuibile a tali due ultime fattispecie codicistiche, non lo stesso sembra possa dirsi con riferimento alla fattispecie dell’errore, sia perché il processo di maturazione dell’errore, in quanto esente dal contributo attivo della controparte, che per di più normalmente non intrattiene un contatto personale con il consumatore, potrebbe rendere poco agevole la prova della riconoscibilità – P. Barcellona, (Voce), Errore, in Enc. dir., XV, Giuffrè, 1966, 247 ss. – sia perché il rispetto dei requisiti dell’essenzialità ex art. 1429 c.c. risulterebbe piuttosto “distonico” rispetto alla qualità dei condizionamenti che il consumatore può subire in seguito ad una pratica commerciale scorretta. Un margine di applicabilità della disciplina dell’errore potrebbe residuare solo escludendo la riconducibilità del c.d. dolo colposo alla fattispecie di cui all’art. 1439 c.c. e considerando invece l’induzione colposa in errore, purché fonte di errore essenziale ex art. 1429 c.c., quale presupposto di riconoscibilità ex art. 1431 c.c. In questo senso, L. Guffanti Pesenti, Scorrettezza, cit., 230, nota n. 104.

[40] M. Mantovani, Vizi, cit., 153.

[41] Contro l’obiezione che in tali casi il risarcimento del danno finirebbe per assolvere una funzione «correttiva» del regolamento contrattuale, si è affermato che “più correttamente dovrebbe parlarsi, con riguardo a talune fattispecie di culpa in contrahendo, in presenza di un contratto validamente concluso, di funzione «compensativa» della responsabilità precontrattuale, attuata attraverso la via di un risarcimento per equivalente”. M. Mantovani, Vizi, cit., 161. Tale «correzione/compensazione» non riguarderebbe “il contenuto del regolamento contrattuale – vale a dire l’assetto di interessi stabilito dalla lex contractus”, bensì inciderebbe “unicamente sul profilo economico-monetario dell’affare” (ivi, 160), affermandosi però successivamente, con qualche ambiguità, che “ciò che lamenta la parte delusa è, in sostanza, un assetto di interessi (sotto il profilo giuridico economico) difforme da quello che sarebbe risultato se la controparte avesse agito lealmente” (ivi, 186).

[42] Le riserve cui si accennerà, tuttavia, non hanno ostacolato la manifestazione di un crescente favore, sia in dottrina che in giurisprudenza, nei riguardi dell’orientamento interpretativo rivolto a cogliere, nell’attuale conformazione dell’ordinamento privatistico, spunti utili alla definizione di nuove ipotesi di vizi del consenso, riconoscibili in virtù dell’iniquità dell’assetto normativo dello scambio concordato, a sua volta generata dall’approfittamento dello squilibrio di potere contrattuale tra le parti. C. Scognamiglio, (Voce), Vizi del consenso, in Contratto, Enc. dir., I tematici, Giuffrè, 2021, 1197; A. Gentili, V. Cintio, I nuovi vizi del consenso, in Contr. impr., 2018, 157 ss. Questi ultimi, nell’ambito di siffatta nuova categoria di vizi, evidenziano la singolarità di ipotesi in cui, per quanto l’alterazione nel processo di formazione della volontà assuma più i tratti del vizio incidente che non quelli del vizio determinante, il legislatore disponga il rimedio caducatorio piuttosto che quello risarcitorio (ivi, 163).

[43] Osserva in particolare la mancata indicazione “di un criterio di selezione cui affidare la decisione in ordine alla rilevanza o meno, sia pure ai soli fini risarcitori, dell’alterazione della libertà negoziale che sia stata posta in essere”, considerando a tal fine il riferimento all’entità del pregiudizio inferto “sotto un profilo, arbitrario, posto che l’entità del danno potrebbe semmai incidere sul quantum dell’obbligazione risarcitoria (…) e, sotto altro profilo, tale da introdurre un meccanismo di controllo generale circa il contenuto delle convenzioni private, difficilmente giustificabile nel sistema”, C. Scognamiglio, (Voce), Vizi, cit., 1199. Il dibattito sullo statuto giuridico dell’autonomia privata, sulle limitazioni alla sua espressione previste dall’ordinamento giuridico e sulla legittimità della descrizione della clausola generale di buona fede quale fonte di specifica limitazione/integrazione della libertà contrattuale è troppo vasto e articolato per poter essere dignitosamente sintetizzato in poche righe. Solo con riferimento all’ultimo dei profili menzionati si vedano, tra i protagonisti di quel dibattito nella seconda metà del secolo scorso, in particolare S. Rodotà, Le fonti di integrazione del contratto, Giuffrè, 1969, 175 ss.; P. Barcellona, Intervento statale e autonomia privata nella disciplina dei rapporti economici, Giuffrè, 1969, 227 ss. Per una puntuale ricostruzione del dibattito sullo statuto giuridico dell’autonomia privata, E. Navarretta, L’evoluzione dell’autonomia contrattuale fra ideologie e principi, in Quad. fior., 2014, 589 ss.

[44] Si rinvia in proposito alla ricostruzione del contenuto della clausola generale disposta dall’art. 20, comma 2, cod. cons. da M. Libertini, Clausola, cit., 86 ss.

[45] Non a caso, seppure diverse pronunce giurisprudenziali declamino il rinvio ad orientamenti interpretativi favorevoli ad ammettere la legittimità di nuove ipotesi atipiche di vizi del consenso – tra le quali, grande eco ha suscitato Cass., 17 settembre 2013, n. 21255, alla quale l’Autore di seguito citato dedica in particolare attenzione – al fine di legittimare la risarcibilità dei danni procurati dalla conclusione di un contratto valido ma sconveniente, si è osservato che un esame più approfondito di tali decisioni dimostri ancora la mancanza di “ipotesi applicative che vadano effettivamente oltre le fattispecie già contemplate dal legislatore”, idonee a “coonestare” l’esistenza a riguardo di una “figura «generale»” o di un «principio». G. D’Amico, Responsabilità precontrattuale anche in caso di contratto valido?, in GiustiziaCivile.com 2014, p. 9.

[46] In questo caso, si ipotizza cioè di valorizzare la centralità notoriamente attribuita all’affidamento dalle riflessioni elaborate nel corso del tempo intorno alla materia della responsabilità precontrattuale. L. Mengoni, La natura della responsabilità precontrattuale, in Riv. dir. comm., 1956, 360 ss., ora in L. Mengoni, Scritti – Obbligazioni e negozio, II, Giuffrè, 2011, 267 ss.; F. Benatti, La responsabilità precontrattuale, Giuffrè, 1963, 19 ss.; C. Castronovo, La responsabilità civile – Tra contratto e torto. L’obbli­gazione senza prestazione, Giuffrè, 2018, 545 ss.; Id., Vaga culpa in contrahendo: invalidità, responsabilità e la ricerca della chance perduta, in Europa dir. priv., 2011, 16 ss.; A. Albanese, Responsabilità precontrattuale, in Le parole del diritto – Scritti in onore di Carlo Castronovo, III, Jovene, 2018, 1699 ss.; G. Grisi, L’obbligo precontrattuale di informazione, Jovene, 1990, 64 ss.; F. Piraino, La natura contrattuale della responsabilità precontrattuale (ipotesi sull’immunità), in Contr., 2017, 55 ss. e Id., La responsabilità precontrattuale e la struttura del rapporto prenegoziale, in Persone e mercato, 2017, 125 ss., ove tuttavia l’Autore propone di sostituire il dato dell’affidamento soggettivo con la condizione oggettiva di prossimità intenzionale che si crea tra le parti nella fase del contatto sociale precontrattuale, quale ragione giustificatrice del dovere di buona fede disposto dal legislatore, in considerazione dell’innalzamento dell’esposizione al rischio delle rispettive sfere giuridiche soggettive che proprio l’instaurazione di quella relazione determina. Diversamente, reputa l’affidamento maturato tra le parti nella fase della relazione precontrattuale alla stregua di una situazione giuridica soggettiva che può divenire oggetto di un danno ingiusto, risarcibile in via extracontrattuale, E. Navarretta, L’ingiustizia del danno e i problemi di confine tra responsabilità contrattuale e extracontrattuale, in Diritto Civile, diretto da N. Lipari, P. Rescigno, IV, Giuffrè, 2009, 250. Per un’approfondita ricostruzione sul punto, si rinvia anche a A.M. Garofalo, Il ruolo dell’affidamento nella responsabilità precontrattuale, in Teoria e storia del diritto privato, 2018, 3 ss.

[47] In considerazione delle inevitabili incertezze connesse alla determinazione del momento a partire dal quale l’affidamento nella controparte si emancipi dalla condizione del mero stato d’animo soggettivo, per divenire un dato oggettivamente dimostrabile, un’attenta dottrina ha sottolineato la necessità, indipendentemente dal ruolo rivestito dalle parti nel mercato, di distinguere la fase delle trattative, prevalentemente caratterizzate dallo scambio di informazioni utili alla valutazione dell’opportunità di giungere alla conclusione del contratto, che, in virtù del dovere di buona fede, dovrebbe essere presidiata da precisi obblighi di informazione, dalla fase che più specificamente attiene alla formazione del regolamento contrattuale, ove invece sarebbe appropriato valutare le condotte delle parti alla stregua del legittimo affidamento oggettivamente maturato nella lealtà e correttezza reciproca. G. Grisi, L’obbligo, cit., 67 ss.

[48] L’attenzione riposta sull’antigiuridicità della lesione emerge con maggiore evidenza in quella dottrina che riflette sulla “mediazione tra responsabilità e edificazione della fattispecie contrattuale (che) è splendidamente scolpita dall’art. 1337 c.c. it.” – R. Sacco G. De Nova, Il contratto, cit., 623-624 – e afferma che “ove l’art. 1440 non esistesse, il contraente responsabile di un dolo incidentale dovrebbe risarcire il danno perché ha violato l’obbligo di buona fede di cui all’art. 1337 c.c. E ove anche l’art. 1337 non esistesse, il contraente di cui parliamo dovrebbe risarcire il danno, perché il danno cagionato con l’inganno è ingiusto, e il danno ingiusto reclama le ben note conseguenze descritte dall’art. 2043 c.c.”. (Ivi, p. 625). Più ambigua, a riguardo, la posizione di altra dottrina, che, per un verso individua ripetutamente nell’“interesse alla libertà negoziale” l’oggetto tutelato dall’art. 1337 c.c. – M. Mantovani, Vizi, cit., 149 e 181 – e, per altro verso, indica quello stesso articolo quale fonte di un rapporto obbligatorio ex lege, senza chiarire però come si possa legittimamente ipotizzare l’esistenza di un rapporto obbligatorio, seppure sul modello tedesco del «gesetzliches Schuldverhältnis ohne primäre Leistungspflicht», fondandolo sulla tutela dell’interesse, invero tanto ampio quanto generico, alla libertà negoziale (Ivi, 154 ss.). Non a caso, l’autore al quale correttamente la stessa dottrina attribuisce l’individuazione dell’interesse tutelato dall’art. 1337 c.c. nella libertà negoziale si schiera tra i sostenitori della natura extracontrattuale della responsabilità derivante dalla violazione del dovere di buona fede precontrattuale. M.C. Bianca, Il contratto, in Diritto civile, III, Giuffrè, 2000, 157 ss. In senso analogo, G. Patti, S. Patti, Responsabilità precontrattuale e contratti standard, in Comm. Cod. Civ. Schlesinger, Giuffrè, 1993, 45 ss.

[49] Sebbene in passato l’orientamento interpretativo di gran lunga prevalente in giurisprudenza ritenesse la responsabilità precontrattuale un’ipotesi di responsabilità extracontrattuale, in tempi più recenti l’orientamento opposto è affermato in una molteplicità di pronunce: Cass., 22 gennaio 1999, n. 589, in Corr. giur., 1999, 441 ss., con nota di A. Di Majo, L’obbligo senza prestazione approda in cassazione; Cass., sez. un., 26 giugno 2007, n. 14712, in Corr. giur., 2007, 1706, con nota di A. Di Majo, Contratto e torto: la responsabilità per il pagamento di assegni non trasferibili; Cass., 21 novembre 2011, n. 24438, con nota di C. Scognamiglio, Tutela dell’affidamento, violazione dell’obbligo di buona fede e natura della responsabilità precontrattuale, in Resp. civ. prev., 2012, 1949 ss.; Cass., 12 luglio 2016, n. 14188, cit., con nota di F. Piraino, La natura contrattuale della responsabilità precontrattuale (ipotesi sull’immunità), 35 ss. La stessa decisione è commentata da A. Albanense, La lunga marcia della responsabilità precontrattuale: dalla culpa in contrahendo alla violazione di obblighi di protezione, in Europa dir. priv., 2017, 1129 ss.

[50] L. Guffanti Pesenti, Scorrettezza, cit., 201 ss. Giova però sottolineare sin d’ora l’impersonalità del rapporto al quale si allude nella maggioranza dei casi in cui siano ipotizzabili lesioni degli interessi di singoli consumatori in seguito all’esercizio di una condotta scorretta da parte del professionista. Tale particolarità infatti, per un verso, rende inevitabile che al problema delle pratiche commerciali scorrette sia riservato un trattamento normativo di matrice pubblicistica e, per altro verso, impone al singolo che lamenti gli effetti pregiudizievoli di una pratica, pure se riconosciuta scorretta dall’istituzione investita del relativo potere di accertamento – in Italia l’Autorità garante della concorrenza e del mercato – di dimostrarne la contrarietà al dovere di buona fede nell’ambito della relazione che, seppure spesso del tutto impersonale, si pretenda esistente con il professionista, quale che sia la natura contrattuale o extracontrattuale che le si voglia assegnare.

[51] Da ultimo, C. Castronovo, Il diritto italiano delle obbligazioni dal codice civile del 1942 a oggi. Profili di un’evoluzione, in Europa dir. priv., 2021, 614 ss.; Id., (Voce), L’obbligo di protezione, in Enc. giur. Treccani, XXIV, Roma 1991. In senso analogo, F. Piraino, La natura, cit., 47 ss.; A. Albanese, Responsabilità, cit., 1706 ss.

[52] C. Castronovo, La responsabilità, cit., 521 ss.

[53] A. Nicolussi, L’obbligazione oltre il principio del contratto. Comportamenti socialmente tipici e relazioni di affidamento, in Per i cento anni dalla nascita di Renato Scognamiglio, I, Jovene, 2022, 692.

[54] L. Mengoni, Scritti, cit., 279. In dottrina l’opinione della natura contrattuale della responsabilità precontrattuale è largamente condivisa. Oltre agli autori già citati nelle note precedenti, F. Benatti, La responsabilità, cit., 126 ss.; R. Scognamiglio, Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, in Nov. Dig. It., XV, Utet, 1968, 675; L. Rovelli, La responsabilità precontrattuale, in Tratt. Dir. Priv. diretto da M. Bessone, vol. XII, t. II, Utet, 2000, 347 ss. Per i fautori della natura extracontrattuale di tale ipotesi di responsabilità, supra, note nn. 45 e 47. Tuttavia, ritiene che la diversa qualificazione della natura della responsabilità precontrattuale “non sembra avere incidenza decisiva nella soluzione dei problemi di trattamento di tale fattispecie di responsabilità”, G. D’Amico, La responsabilità precontrattuale, in Tratt. del Contratto, diretto da V. Roppo, vol. V, t. II, Giuffrè, 2006, 1115. Da ultimo, considera inappagante la logica rigidamente dicotomica che domina il confronto sulla natura della responsabilità precontrattuale C. Camardi, Note critiche sull’approccio dicotomico alla «natura» della responsabilità precontrattuale e sulle cosiddette «terre di nessuno», in Per i cento anni dalla nascita di Renato Scognamiglio, Jovene, 2022, 257, ipotizzando che “le regole da applicare alla responsabilità precontrattuale potrebbero individuarsi in relazione ai principi che si è visto essere preposti allo svolgimento delle trattative, indipendentemente dal pregiudiziale richiamo di una o dell’altra «natura» o di una o di un’altra categoria”.

[55] Esprime un’opinione fortemente critica nei riguardi dell’orientamento che fonda il dovere di buona fede ex art. 1337 c.c. sull’esistenza di un contatto sociale qualificato, fonte di affidamento tra le parti impegnate nella trattativa precontrattuale, considerandolo causa di un’incontrollabile dilatazione della sfera della responsabilità contrattuale, A. Zaccaria, La “teoria” del “contatto sociale”, in Studium Iuris, 2018, 592 ss.

[56] M. Mantovani, Vizi, cit., 186.

[57] A. Di Majo, Il problema del danno al patrimonio, in Riv. crit. dir. priv., 1984, 322 ss.

[58] Non a caso si osserva che “l’interesse alla protezione non è interesse positivo alla prestazione, cioè un interesse a un incremento patrimoniale, ma un interesse alla conservazione della sfera giuridico-patrimoniale con cui si è entrati nella relazione; perciò il risarcimento viene commisurato in funzione del cosiddetto interesse negativo”. A. Nicolussi, L’obbligazione, cit., 697.

[59] In ragione dell’attribuzione di una struttura complessa all’obbligazione, si è affermato che la responsabilità da inadempimento di un rapporto obbligatorio “ha una referenza più ampia di quella dell’obbligo di prestazione” ovvero reagisce anche alla frustrazione delle legittime aspettative del creditore circa la correttezza della condotta, ex fide bona, del debitore e dei terzi che concorrono alla realizzazione dell’interesse sul quale il rapporto si fonda. C. Castronovo, La responsabilità, cit., 309; C. Scognamiglio, Il danno al patrimonio tra contratto e torto, in Resp. civ. prev., 2007, 1253 ss.; S. Mazzamuto, Spunti in tema di danno ingiusto e di danno meramente patrimoniale, in Europa dir. priv., 2008, 370 ss.; Id., La responsabilità contrattuale in senso debole, in Europa dir. priv., 2011, 123 ss., ove l’Autore riconduce alla categoria della responsabilità contrattuale “in senso debole” sia la responsabilità derivante dalla violazione di obblighi di protezione, ricorrente in relazione alla frustrazione di “istanze di salvaguardia del patrimonio e della persona dell’altra parte del rapporto obbligatorio” (ivi, 136-137), pur sempre qualificabili come interessi finali alla stregua dell’interesse del creditore all’adempimento di una prestazione; sia la responsabilità connessa alla perdita di chance, alla quale corrisponderebbe invece un pregiudizio che, atteggiandosi a “mancato incremento patrimoniale soltanto possibile (..), andrebbe correttamente qualificato come perdita di una ragionevole aspettativa patrimoniale (…) per approdare ad una riconcettualizzazione della chance come criterio di quantificazione del lucro cessante” (ivi, p. 129). In diversa prospettiva, M. Maggiolo, Il risarcimento della pura perdita patrimoniale, Giuffrè, 2003, 169 ss., il quale, argomentando che “se non sussiste una prestazione dedotta in obbligazione e la pretesa obbligazione abbia ad oggetto il solo dovere secondario di risarcimento, un rischio di danno specificamente determinato dall’esistenza di un rapporto obbligatorio è insussistente” (ivi, 178-179), ascrive all’area dell’illecito extracontrattuale e non a quella della responsabilità contrattuale la rilevanza giuridica del danno meramente patrimoniale prodotto dalla violazione della buona fede e dei doveri di protezione della sfera giuridica altrui, che da essa discendono. Non riconosce alla categoria del danno meramente economico effettiva consistenza E. Navarretta, L’ingiustizia, cit., 252.

[60] Non può omettersi di ricordare infatti che “è, in linea di principio, consentito alle imprese rivolgersi ai consumatori con messaggi suggestivi, cioè di contenuto non verificabile, che si pongono dichiaratamente sul terreno dell’opinabilità, del gusto, delle scelte culturali, ecc.”. M. Libertini, Clausola, cit., 99 e, più ampiamente, Id., La pubblicità commerciale, in C. Castronovo, S. Mazzamuto, (a cura di), Manuale di diritto privato europeo, Giuffrè, 2007, 461 ss. In quest’ambito, si sofferma in particolare sul fenomeno della pubblicità mirata, realizzabile attraverso un’attività di massiccia e costante raccolta e rielaborazione di dati personali, in virtù della quale “la capacità di fare scelte adeguatamente informate alla luce delle proprie preferenze può essere erosa dall’utilizzo strategico o incontrollato dei profili e delle informazioni personali”, F. Galli, La pubblicità mirata al tempo dell’intelligenza artificiale: quali regole a tutela dei consumatori?, in Contr. impr., 2022, 923 ss.

[61] M. Libertini, Clausola, cit., 98 ss. Un particolare interesse in questo senso presentano i contenuti normativi del reg. (UE) 2019/1150 del Parlamento e del Consiglio del 20 giugno 2019 che promuove equità e trasparenza per gli utenti commerciali dei servizi di intermediazione online. Sebbene infatti le disposizioni relative alle condotte dovute dai fornitori di servizi di intermediazione online siano rivolte a disciplinare le interazioni negoziali con gli utenti commerciali, al fine di contenere il fenomeno della dipendenza di questi ultimi da tali servizi, soprattutto ove si tratti di microimprese, piccole e medie imprese (considerando n. 2), esse definiscono veri e propri standard di comportamento precontrattuale e contrattuale che i fornitori di servizi online devono osservare “al fine di garantire un contesto commerciale online equo, prevedibile, sostenibile e sicuro nell’ambito del mercato interno “ (considerando n. 7).

[62] Considerato che, ai sensi dell’art. 18, lett. h), cod. cons. la diligenza professionale equivale al “normale grado della specifica competenza ed attenzione che ragionevolmente i consumatori attendono da un professionista nei loro confronti rispetto ai principi generali di correttezza e buona fede nel settore di attività del professionista”, si osserva, per un verso, che “quella di «diligenza professionale» è (…) nozione specificamente propria della disciplina delle pratiche commerciali scorrette, una nozione dotata di piena autonomia rispetto alla nozione civilistica di diligenza” e, per altro verso, che la concretizzazione delle «ragionevoli aspettative» nutrite dai consumatori nei riguardi delle condotte del professionista “deve a rigore avvenire attraverso l’utilizzazione di un unico parametro”, da individuarsi proprio nei principi generali di correttezza e di buona fede. G. De Cristofaro, La nozione generale di pratica commerciale «scorretta», in G. De Cristofaro, (a cura di), Pratiche, cit., 150-151, il quale prosegue precisando che “si tratta con tutta evidenza – come inequivocabilmente dimostra l’utilizzazione dell’aggettivo «generali» – di principi che affondano le proprie radici nella «correttezza» e nella «buona fede» (in senso oggettivo) di cui agli artt. 1175, 1337, e 1375 c.c. (ivi, 152). Secondo M. Libertini, Clausola, cit., 90 ss., il riferimento disposto dall’art. 2, lett. h), dir. 2005/29/CE alla diligenza sarebbe, da un lato, improprio, poiché indicativo di un parametro di colpevolezza eventualmente applicabile solo nell’accertamento della responsabilità del singolo professionista, dall’altro inessenziale, in quanto il mancato rispetto della diligenza professionale non sarebbe sufficiente al riconoscimento della scorrettezza della pratica. A tal fine, sarebbe comunque rilevante il riferimento, nell’ambito della definizione della diligenza professionale ex art. 2, lett. h), dir. 2005/29/CE, ma soprattutto ex art. 18, lett. h) cod. cons., al principio generale di buona fede, cui dovrebbe tuttavia attribuirsi “portata normativa autonoma” (ivi, 91): esso, avvalorato nella disposizione nazionale dal richiamo congiunto alla correttezza, sarebbe espressivo delle “regole oggettive esterne, che impongono alle imprese, (…) doveri di informazione e di protezione, funzionali al rispetto della libertà di scelta del consumatore, e ciò a prescindere da qualsiasi consuetudine o pratica corrente” (ivi, 96). Preso atto della rilevanza che entrambi gli autori citati attribuiscono comunque al richiamo della buona fede, sembra che la differenza tra gli approcci interpretativi proposti riguardi soprattutto la portata normativa di tale richiamo ai fini dell’accertamento della scorrettezza di una pratica commerciale. Per il primo autore citato la clausola generale della buona fede opererebbe solo in via residuale – G. De Cristofaro, La nozione, cit., 143 – mentre per il secondo autore citato, essa avrebbe una funzione qualificatoria primaria, rappresentando le categorie intermedie dell’ingannevolezza e dell’aggressività e le singole ipotesi di pratiche comunque vietate, tipizzate nella c.d. lista nera, sue mere esemplificazioni. M. Libertini, Clausola, cit., 85. Ma, in tal senso, si veda anche CGUE, 19 settembre 2013, C-435/11 e CGUE, 16 aprile 2015, C-388/13.

[63] In proposito si considerino le disposizioni dell’art. 3 della direttiva 2019/2161/UE, in particolare quelle finalizzate a integrare gli artt. 3, 6 e 7 della dir. 2005/29/CE e quelle che ne modificano l’allegato 1. Il primo gruppo di disposizioni sollecitano gli Stati membri ad indicare nuovi standard comportamentali dovuti dai professionisti che offrono la vendita di beni e servizi fuori dai locali commerciali, considerano ingannevole le attività di marketing di prodotti venduti in diversi Stati di cui si sostenga l’identità, malgrado la diversità di caratteristiche e composizione e richiedono la fornitura di adeguate informazioni circa i parametri che determinano il posizionamento delle diverse offerte di un prodotto ricercato online dal consumatore. Il secondo gruppo di disposizioni introduce invece altrettante nuove ipotesi di pratiche commerciali da considerarsi in ogni caso ingannevoli. Un’analoga impostazione di contenuti emerge d’altronde dalla lettura della proposta di direttiva del Parlamento e del Consiglio che modifica le direttive 2005/29/CE e 2011/83/UE per quanto riguarda la responsabilizzazione dei consumatori per la transizione verde mediante il miglioramento della tutela delle pratiche sleali e dell’informazione. Più in generale, a riguardo si potrebbe fare riferimento al modello disciplinare della c.d. accountability offerto dall’art. 24 del Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR – regolamento UE 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), in virtù del quale “il titolare del trattamento mette in atto misure tecniche e organizzative adeguate per garantire, ed essere in grado di dimostrare, che il trattamento è effettuato conformemente al presente regolamento”. Sul punto, F. Galli, La pubblicità, cit., 951 ss.

[64] Evocando lo strumento giuridico della garanzia, si intende fare riferimento ad un rimedio che, sia dal punto vista funzionale, sia dal punto vista operativo, ricalchi quello della garanzia per vizi della cosa oggetto di una compravendita ex art. 1490 c.c. o della garanzia di conformità del bene al contratto di vendita, che della prima rappresenta l’evoluzione nell’ambito del diritto dei contratti conclusi tra un professionista e un consumatore (art. 129 ss. cod. cons.). Il tema della natura e della funzione giuridica dell’istituto della garanzia, come è noto, è da tempo oggetto di ampio dibattito, sul quale G. Tucci, (Voce), Garanzia, in Dig. Disc. priv., sez. civ. VIII, Utet, 1992, 581 ss.; M. Fragali, (Voce), Garanzia, in Enc. dir., XVIII, Giuffrè, 1969, 449 ss.; L. Cabella Pisu, Garanzia e responsabilità nelle vendite commerciali, Giuffrè, 1983, 60 ss. Secondo un primo orientamento interpretativo, nella vendita la garanzia sarebbe un effetto del contratto, funzionale ad assicurare al compratore il conseguimento di un certo risultato, ovvero a far ricadere sul venditore il rischio del suo mancato conseguimento, essendo impossibile la deducibilità di tale risultato in obbligazione. Essa dunque, piuttosto che come oggetto di un’obbligazione di natura risarcitoria, si caratterizzerebbe come “surrogato dell’azione di adempimento”. L. Mengoni, Profili di una revisione della teoria sulla garanzia per i vizi nella vendita, oggi in L. Mengoni, Scritti – Obbligazioni e negozio, II, Giuffrè, 2011, 402-403. In senso analogo, D. Rubino, La compravendita, Giuffrè, 1962, 505 ss. Richiamando le origini romanistiche dell’istituto, rimarca l’autonomia degli effetti restitutori, ritenuti ora come allora tipici della garanzia, dagli effetti risarcitori, che pure possono collegarsi al suo azionamento alla stregua dell’actio empti, C. Castronovo, Problema e sistema nel danno da prodotti, Giuffrè, 1979, 418 ss. Per un diverso approccio alla questione, M. C. Bianca, La vendita e la permuta, Utet, 1993, 708 ss., e più oltre, 895-896, secondo il quale, “l’integrità e la bontà della cosa attengono alla «promessa» dell’alienante, cioè al suo impegno contrattuale”, la cui violazione “si traduce in termini di obbligazione inadempiuta”. Da ultimo, in giurisprudenza, Cass., sez. un., 3 maggio 2019, n. 11748, in Contr., 2019, 373 ss. con nota di T. Dalla Massara, L’onere della prova dei vizi del bene venduto al vaglio delle sezioni Unite: resistenza e resilienza del modello della garanzia; in Giur. it., 2019, 1527 ss., con nota di R. Calvo, Luci e ombre nella cornice del congedo dalla garanzia edilizia, il quale, in contrasto con il primo orientamento sopra riportato, considera la garanzia come un’ipotesi particolare di responsabilità, derivante dalla violazione di una “promessa di conformità” espressa nel contratto (Ivi, 1536). Sul punto, invece, in senso adesivo all’orientamento che riconosce nella garanzia uno specifico effetto del contratto di vendita, si vedano da ultimo anche F. Piraino, La garanzia nella vendita: durata e fatti costitutivi delle azioni edilizie, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2020, 1117 ss.; A. Iuliani, Note minime in tema di garanzia per i vizi nella vendita, in Europa dir. priv., 2020, 671 ss. Pur riconoscendo che, ove si tratti di “obbligazione di conformità” o specific performance, come nell’ambito del diritto dei consumatori di matrice europea, “il modello di tradizione romanistica della garanzia che espone alla responsabilità a prescindere dall’esistenza di un debito a monte (…) trova sempre più ridotti campi di applicazione”, ritiene che “almeno in Italia, non si può dire che le cose stiano in questo modo” T. Dalla Massara, L’onere, cit., 383-384. A riguardo si vedano anche S. Mazzamuto, Equivoci e concettualismi nel diritto europeo dei contratti: Il dibattito sulla vendita dei beni di consumo, in Europa dir. priv., 2004, 1051 ss.; G. De Cristofaro, L’interruzione del termine prescrizionale del diritto del compratore «alla garanzia per vizi», in Riv. dir. civ., 2020, p. 903 ss.

[65] La previsione di una obbligazione risarcitoria infatti, rappresenterebbe comunque l’esito di una procedura di accertamento della responsabilità in capo al professionista, poco importa in questa prospettiva se di natura contrattuale o extracontrattuale, che, sul piano della relazione individuale b2c, si prospetterebbe tutt’altro che agevole. In primo luogo a causa dell’impersonalità di tale relazione e della conseguente difficoltà ad individuare la controparte del consumatore vittima della condotta scorretta, cui imputare, a seconda della prospettiva teorica adottata, ora la violazione dell’obbligazione senza prestazione, generata ex lege dal dovere di buona fede che presiede alle condotte dovute nella fase precontrattuale, ora la responsabilità per la commissione di un illecito di natura extracontrattuale. In secondo luogo, a causa della complessità dell’onere probatorio, comunque gravante sul consumatore, con riguardo alla violazione della buona fede nell’ambito della relazione individuale, in terzo luogo a causa delle già segnalate difficoltà connesse alla quantificazione dell’eventuale obbligazione risarcitoria, supra, paragr. 4.

[66] La proposta interpretativa, come è evidente, è rivolta in particolare alla considerazione delle ipotesi di pratiche commerciali scorrette che precedono, condizionandola, la conclusione del contratto tra professionista e consumatore. Ove ricorra, ad esempio, una delle ipotesi già menzionate (supra, nota n. 26) di pratiche commerciali in ogni caso ingannevoli, introdotte dall’art. 3, punto 7, dir. 2019/2161/UE nell’elenco allegato alla dir. 2005/29/CE ai punti 11-bis, 23-bis e 23-ter o ancora l’ipotesi prevista dall’art. 23, 1° co. lett. a), cod. cons., relativa all’affermazione non veritiera del professionista di essere firmatario di un codice di condotta, potrebbe darsi che il consumatore, pur consapevole del condizionamento esercitato dalla pratica scorretta sulla decisione commerciale assunta, sia più interessato a riportare il rapporto di corrispettività tra le prestazioni concordate all’equilibrio che sarebbe stato raggiunto in assenza degli effetti della pratica scorretta, che non a rinunciare del tutto alla realizzazione dell’operazione economica dedotta in contratto, attraverso l’azionamento di un rimedio caducatorio, eventualmente rappresentato dal recesso di pentimento ex art. 52 cod. cons. o dall’annullabilità per vizio del consenso. In tutti questi casi, il ricorso allo strumento di tutela della riduzione del prezzo consentirebbe senz’altro la soddisfazione dell’interesse del consumatore, oltre a rivelarsi più agevolmente azionabile di una pretesa risarcitoria. Così come, nelle ipotesi in cui si voglia al contrario ottenere la liberazione dal vincolo contrattuale, ma non sia possibile esercitare il diritto di recesso perché i relativi termini siano già scaduti o perché il rapporto contrattuale non sia stato instaurato a distanza o fuori dai locali commerciali del professionista, la richiesta stragiudiziale di risoluzione del contratto potrebbe soddisfare in modo efficace e proporzionato l’interesse del consumatore, consentendogli certamente di pretendere la restituzione di quanto già prestato a favore del professionista, senza bisogno di ulteriori allegazioni, che l’eventuale pretesa di un risarcimento del danno invece imporrebbe.

[67] Con particolare riferimento alla garanzia della vendita di beni di consumo, per tutti A. Di Majo, Garanzia e inadempimento nella vendita di beni di consumo, in Europa dir. priv., 2002, 5 ss.; R. Alessi, L’attuazione della direttiva sulla vendita dei beni di consumo nel diritto italiano, in Europa dir. priv., 2004, 743 ss.; G. Amadio, Proprietà e consegna nella vendita di beni di consumo, in Riv. dir. civ., 2004, 140 ss.

[68] Di estremo interesse, a riguardo, risultano le considerazioni sviluppate da C. Camardi, Note, cit., 229 ss.

[69] G. Vettori, Effettività tra legge e diritto, Giuffrè, 2020, 12, secondo il quale il “test di effettività” si configura come uno strumento essenziale al servizio dell’interpretazione, la quale, a fronte di norme che, “a causa della complessità del fatto”, spesso appaiono di difficile attuazione, se non “obsolete o riduttive”, ove la protezione di un interesse soggettivo giuridicamente rilevante risulti insoddisfacente, potrà ricondurla “ad uno standard costituzionale interno o comunitario”, proprio grazie al richiamo dell’effettività. Id., Il diritto ad un rimedio effettivo nel diritto privato europeo, in Riv. dir. civ., 666 ss.; Id., L’attuazione del principio di effettività. Chi e come, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2018, 939 ss. Ma sul principio di effettività si vedano anche M. Libertini, Le nuove declinazioni del principio di effettività, in G. Grisi (a cura di), Processo e tecniche di attuazione dei diritti, Jovene, 2019, 21 ss.; P. Iamiceli (a cura di), Effettività delle tutele e diritto europeo. Un percorso di ricerca per e con la formazione giudiziaria, Università Trento, 2020; F. Cafaggi, Tutela, cit., 51 ss.; E. Navarretta, Costituzione, Europa e diritto privato. Effettività e Drittwirkung ripensando la complessità giuridica, Giappichelli, 2017, 3 ss.

[70] Un’analoga funzione è assolta anche dalla disciplina della risarcibilità del danno da illeciti antitrust disposta dalla direttiva 2014/104/UE e recepita nel nostro ordinamento dal d.lgs. 19 gennaio 2017, n. 3. Sul tema, CGUE, 20 settembre 2001, C-453/99; CGUE, 14 marzo 2019, C-724/17; CGUE, 6 ottobre 2021, C-882/19. Per un’analisi delle norme di recepimento della dir. 104/2014/UE, F. Casolari, Diritto ad un pieno risarcimento, in P. Manzini, (a cura di), Il risarcimento del danno nel diritto della concorrenza, Giappichelli, 2017, 1 ss.; E. Corapi, Il risarcimento del danno antitrust. La direttiva n. 104/2014 UE e la sua attuazione. Modelli a confronto, Jovene, 2017, 28 ss.; A. Montanari, Il danno antitrust, Wolters Kluwer, 2019, 171 ss.; C. Scognamiglio, Danno antitrust, scopo della norma violata e funzioni della responsabilità civile, in Quest. giust., 2018 https://www.questione
giustizia.it/rivista/articolo/danno-antitrust-scopo-della-norma-violata-e-funzioni-della-responsabilita-civile_523.php
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[71] Denunciando l’anacronismo di un approccio che analizzi i bisogni e gli interessi dei singoli separatamente dalle istanze regolatorie che connotano le attuali dinamiche di mercato, F. Denozza, Principle vs. Policy: spunti sui contratti a valle e sulla nullità virtuale “regolatoria”, in Nuova giur. civ. comm., 2022, 673-674, evidenzia come il superamento di un modello regolatorio focalizzato su comandi e controlli, a favore dell’affermazione di “una regolazione basata su incentivi”, fa sì che “l’adempimento degli obblighi posti a carico degli agenti, non è più integralmente garantito da costosi controlli pubblici preventivi, ma è, in parte rilevante, affidato all’attivo controllo da parte dei privati danneggiati dal non soddisfacente adempimento degli obblighi in questione”. Seppure con maggiore indulgenza nei riguardi della prospettiva di un ragguardevole incremento del contenzioso giudiziale, T. Febbrajo, Il private enforcement, cit., 123, sostiene che “l’ordinamento ottimale è quello che prevede l’agire combinato di private e di public enforcement. In particolar modo, l’iniziativa dei privati appare imprescindibile per garantire che un sistema sanzionatorio soddisfi i requisiti di proporzionalità e di dissuasività”. Di notevole interesse appaiono a riguardo gli argomenti da ultimo sviluppati da Cass., sez. un., 30 dicembre 2021, n. 41994, ove, al fine di accreditare la tesi della nullità parziale, nei contratti a valle di un’intesa anticoncorrenziale, delle clausole espressive dei contenuti oggetto della medesima intesa, si afferma che “l’interesse protetto dalla normativa antitrust è principalmente quello del mercato in senso oggettivo, e non soltanto l’interesse individuale del singolo contraente pregiudicato, con la conseguente inidoneità di un rimedio risarcitorio che protegga, nei singoli casi, solo quest’ultimo, ed esclusivamente se ha subito un danno in concreto”. Commentando questa decisione, si soffermano sul rapporto e la possibile complementarietà tra il rimedio della nullità totale o parziale di contratti a valle di un illecito antitrust e il rimedio risarcitorio, eventualmente azionabili dal terzo A. Montanari, Sulla tutela privata antitrust dopo le Sezioni unite n. 41994/2021, in Nuova giur. civ. comm., 2022, 682 ss.; C. Scognamiglio, I contratti di fideiussione a valle di intese in violazione della disciplina antitrust: il problema dei rimedi, in Nuova giur. civ. comm., 2022, 694 ss. A riguardo si veda anche M. Libertini, Gli effetti delle intese restrittive della concorrenza sui c.d. contratti “a valle”. Un commento sullo stato della giurisprudenza in Italia, in Nuova giur. civ. comm., 2020, 378 ss.

[72] Può essere utile ricordare nuovamente che nella strategia regolatoria perseguita dal legislatore eurounitario si inserisce anche la rinnovata disciplina delle azioni rappresentative a tutela degli interessi collettivi dei consumatori, disposta dalla dir. 2020/1828/UE, la quale, per un verso è chiaramente orientata alla predisposizione di procedimenti inibitori e risarcitori che consentano il superamento degli ostacoli “cui devono far fronte i consumatori in azioni individuali” rivolte ad ottenere il rispetto da parte dei professionisti del diritto dell’Unione (considerando n. 9). Per altro verso, quella stessa disciplina “dovrebbe prevedere un meccanismo procedurale che non pregiudichi le norme che stabiliscono diritti sostanziali dei consumatori a rimedi contrattuali ed extracontrattuali nei casi in cui i loro interessi siano stati lesi da una violazione, come il diritto al risarcimento dei danni, alla risoluzione del contratto, al rimborso, alla sostituzione, alla riparazione o alla riduzione del prezzo, a seconda di quanto opportuno e previsto dal diritto dell’Unione o nazionale” (considerando n. 42, il quale si conclude con la precisazione, già presente al considerando n. 10, che “la presente direttiva non dovrebbe consentire l’imposizione di risarcimenti a carattere punitivo nei confronti del professionista che ha commesso la violazione, a norma del diritto nazionale”). La disciplina delle azioni rappresentative, dunque, aggiungendosi e non sostituendosi agli strumenti di tutela degli interessi individuali dei consumatori, non solo non sembra attribuire alcuna posizione di preminenza al rimedio risarcitorio, ma, in modo significativo, esclude anche che dalla sua applicazione derivi l’imposizione di “risarcimenti a carattere punitivo”.

[73] Sul punto, G. Perlingieri, L’inesistenza della distinzione tra regole di comportamento e di validità nel diritto italo-europeo, Esi 2013, 55, il quale, sviluppando una più ampia riflessione sulla diversa caratura dell’incidenza di volta in volta esercitata da una condotta sull’idoneità della fattispecie contrattuale a produrre effetti giuridicamente rilevanti, contesta che la reazione dell’ordina­mento all’accertamento degli effetti pregiudizievoli di una pratica commerciale scorretta sulla conclusione di un contratto possa essere rappresentata da un solo rimedio, identificato ora nella nullità, ora nell’annullabilità, ora infine nell’obbligazione risarcitoria. “Simili esiti, infatti, opereranno alternativamente a seconda della diversa incidenza del comportamento scorretto sul regolamento di interessi e rilevante sarà anche la valutazione della loro capacità a soddisfare o a ripristinare il bene della vita compromesso”.

[74] A proposito dell’evoluzione disciplinare impressa all’istituto dell’invalidità dal diritto europeo dei contratti del consumatore, G. Passagnoli, Nullità speciali, Giuffrè, 1995, 29 ss.; A. Gentili, Nullità annullabilità inefficacia (nella prospettiva del diritto europeo), in Contr., 2003, 200 ss.; V. Scalisi, Nullità e inefficacia nel sistema europeo dei contratti, in Europa dir. priv., 2001, 489 ss.; Id., Invalidità e inefficacia. Modalità assiologiche della negozialità, in Riv. dir. civ., 2003, 201 ss.; Id., Autonomia privata e regole di validità: le nullità conformative, in V. Scalisi, il contratto in trasformazione. Invalidità e inefficacia nella transizione al diritto europeo, Giuffrè, 2011, 377 ss. Da ultimo, M. Girolami, (Voce), Nullità di protezione, in Contratto, Enc. dir., I tematici, cit., 701 ss. Quanto alla conformazione del diritto di recesso alla stregua di un diritto di pentimento, idoneo a consentire al consumatore di recuperare la fase di valutazione dell’opportunità dell’operazione di scambio, neutralizzata dall’effetto “sorpresa” dell’offerta commerciale preliminare alla conclusione del contratto, G. Gabrielli, F. Padovini, (Voce), Recesso, in Enc. dir., XXXIX, Giuffrè, 1998, 38; C. Pilia, Accordo debole e diritto di recesso, Giuffrè, 2008, 25 ss.; C. Confortini, Il recesso di pentimento, in Corr. giur., 2014, 19 ss.; S. Pagliantini, L’ibridazione del nuovo recesso di pentimento, in Riv. dir. civ., 2015, 275 ss.; C. Confortini, A proposito del ius poenitendi del consumatore e della sua discussa natura, in Europa dir. priv., 2017, 1343 ss.

[75] La formulazione dell’art. 11-bis avrebbe consigliato, in fase di recepimento, un intervento legislativo di razionalizzazione normativa proprio in questa direzione. Si è già evidenziato, tuttavia, che lo schema del decreto legislativo attuativo della dir. 2019/2161/UE, come purtroppo spesso accade, disponendo l’inserimento del comma 15-bis all’art. 27 del d.lgs. n. 206/2005, si limita ad un “riadattamento” minimale del testo della disposizione da integrare nel codice del consumo. Per questa ragione, d’altra parte, la proposta di una lettura esplicativa del riferimento al risarcimento del danno e, “ove applicabili”– come recita il testo del comma 15-bis – alla riduzione del prezzo e alla risoluzione del contratto, si offre come contributo all’elaborazione di un orientamento interpretativo che consenta esiti applicativi coerenti all’imperativo dell’interpretazione conforme al diritto eurounitario del diritto interno, imperativo ripetutamente richiamato dalla Corte di Giustizia UE nelle sue decisioni – alcune delle quali ricordate supra nota n. 19 – sul quale G. Benacchio, Diritto privato dell’Unione europea, Wolters Kluwer, 2016, 104 ss.

[76] Non pare infatti del tutto appagante il semplice richiamo all’uopo dell’attività di integrazione analogica delle regole “dello ius commune sull’errore, sul dolo, sulla violenza e sulla follia” o il richiamo alla “regola d’insieme” riportata dall’art. 1337 c.c., come pure invocato da R. Sacco, G. De Nova, Il contratto, cit., 619.

[77] L’evidente impersonalità dei rapporti contrattuali di massa, che tipicamente connota il contesto economico sociale nel quale le pratiche commerciali scorrette si diffondono, è ulteriormente esasperata dall’irrilevanza delle dimensioni di spazio e di tempo della contrattazione online. N. Irti, Scambi senza accordo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1998, 347 ss.; L. Rossi Carleo, Dalla comunicazione commerciale alle pratiche commerciali sleali, in E. Minervini, L. Rossi Carleo, (a cura di), Le pratiche commerciali sleali, Giuffrè, 2007, 12-13, ove si legge che, nel contesto preso in considerazione, “la parola si materializza nello scritto e nei simboli e si unisce al «prodotto» o accompagna il «servizio». (…) L’uso di Internet procura una più intensa commistione fra promozione e informazione, e sembra rendere assai meno precise e rigorose le fasi dell’«invito all’acquisto», dando al consumatore la sensazione di essere un soggetto attivo e lontano dalla massa attraverso il passaggio da «broadcasting» a «narrowcasting». A ciò si aggiunga che l’imperativo della concorrenza induce il singolo operatore economico ad elaborare le proprie pratiche commerciali anche e soprattutto in considerazione del modo in cui i propri competitors si propongono sul mercato, predisponendo un’offerta di mercato che, in quanto rivolta alla massa dei consumatori, fa comunque aggio sul dato della strutturale asimmetria informativa di tale tipo di pubblico. A riguardo, da ultimo AGCM, provvedimento n. 30355 del 25 ottobre 2022, punti n. 77 ss. Sicché, la regolazione del fenomeno inevitabilmente richiede il perseguimento di finalità specifiche, solo occasionalmente assimilabili a quelle che ispirano la disciplina dei vizi del consenso o ai nobili intenti dei teorici degli obblighi di protezione. Esse, per un verso, esprimono l’aspirazione alla realizzazione di obiettivi etici – la tutela degli attori di mercato più vulnerabili – attraverso l’implementazione della normativa antitrust, tendendo per altro verso a conformare i singoli rapporti contrattuali o precontrattuali tra professionista e consumatore allo standard oggettivo di correttezza e lealtà, che dovrebbe presiedere allo sviluppo di tutte le dinamiche connesse alla concorrenza economica. Tra gli innumerevoli contributi sul tema, oltre a quelli già citati, R. Calvo, Le pratiche commerciali «ingannevoli», L. Di Nella, Le pratiche commerciali «aggressive», entrambi in G. De Cristofaro, (a cura di) Pratiche, cit., rispettivamente 177 ss. e 289 ss.; L. Di Nella, Il sistema delle tutele e dei rimedi nella disciplina delle pratiche commerciali scorrette, in Studi in onore di Giorgio Cian, I, Cedam, 2010, 836 ss.; A. Albanese, Contratto mercato responsabilità, Giuffrè, 2008, 144 ss.; E. Labella, Pratiche commerciali scorrette e autonomia privata, Giappichelli, 2018, 21 ss.; L. Guffanti Pesenti, Scorrettezza, cit., 65 ss.

[78] Per quanto sia innegabile che in alcune circostanze la condotta del professionista possa ben integrare i presupposti del dolo o della violenza, causando alterazioni della volontà del consumatore assimilabili ai vizi del consenso – si pensi rispettivamente ad una presentazione del prodotto o del servizio idonea ad indurre in errore il singolo consumatore circa “il prezzo o il modo in cui questo è calcolato o l’esistenza di uno specifico vantaggio quanto al prezzo” (art. 21, comma 1, lett. d), cod. cons.) o all’ipotesi di una minaccia verbale o allo “sfruttamento da parte del professionista di qualsivoglia evento tragico o circostanza specifica di gravità tale da alterare la capacità di valutazione del consumatore, al fine di influenzarne la decisione relativa al prodotto” (art. 25, lett. b) e c), cod. cons.); sul punto si veda anche la recentissima decisione CGUE, 2 febbraio 2023, C-208/21 – è largamente condivisa, seppure sulla base di motivazioni non sempre coincidenti, l’opinione secondo la quale “la disciplina dei vizi della volontà, pur facilmente evocabile in materia di pratiche commerciali sleali, non appare idonea ad offrire un’ampia tutela del singolo consumatore, dal momento che risponde a logiche sistematiche differenti da quelle che guidano le nuove regole”. C. Tenella Sillani, Pratiche commerciali sleali e tutela del consumatore, in Obbl. contr., 2009, 780. Sul punto, si vedano anche C. Granelli, Le “pratiche commerciali scorrette” tra imprese e consumatori: l’attuazione della direttiva 2005/29/CE modifica il codice del consumo, in Obbl. contr., 2007, 776 ss.; M. R. Maugeri, Pratiche, cit., 282 ss.; C. Camardi, Pratiche, cit., 414 ss.; E. Labella, Pratiche commerciali scorrette e rimedi civilistici, in Contr. impr., 2013, 719 ss.; Id. Pratiche commerciali scorrette e autonomia privata, Giappichelli, 2018, 125 ss. In proposito, può essere utile richiamare l’attenzione sulla circostanza che la fattispecie del dolo vizio descritta dall’art. 1439 c.c. appaia concepita in relazione all’ipotesi di un rapporto personale tra due contraenti impegnati nella stipulazione di un contratto in condizioni di parità formale. C. A. Funaioli, Dolo, (Voce), in Enc. dir., XIII, Giuffrè, 1964, 738 ss.; A. Trabucchi, Dolo, (Voce), in Nov. dig. it., VI, Utet, 1960, 150 ss.; A. Gentili, Dolo, (Voce), in Enc. giur. Treccani, Roma, 1989, 1 ss.; M. Franzoni, Un vizio del consenso: il dolo, in Studi in onore di Pietro Rescigno, III.2, Diritto Privato, Giuffrè, 1998, 315 ss. E ciò risulta confermato, per un verso, dal condizionamento della sua ricorrenza alla prova del requisito, invero piuttosto restrittivo, dell’intenzionalità dell’inganno, ove, invece, l’art. 21 cod. cons. attribuisce rilevanza indiscriminata all’idoneità della pratica ad indurre in errore il consumatore medio. Per altro verso, dall’esclusione della reticenza dalle ipotesi idonee ad integrare la fattispecie del dolo vizio, se non ove si provi la sua specifica premeditazione – ex multis, Cass., 11 aprile 2022, n. 11605, Cass., 20 aprile 2006, n. 9253, Cass., 15 marzo 2005 n. 5549; Cass., 11 ottobre 1994 n. 8295, decisioni tutte consultabili in Banca Dati De Jure. Sul punto, in dottrina C. Colombo, Il dolo nei contratti: idoneità del mezzo fraudolento e rilevanza della condotta del deceptus, in Riv. dir. comm., 1993, 347 ss.; M. De Poli, I mezzi dell’attività ingannatoria e la reticenza da Alberto Trabucchi alla stagione della «trasparenza contrattuale», in Riv. dir. civ., 2011, 647 ss. All’opposto, l’art. 22 cod. cons. qualifica come pratiche commerciali ingannevoli le omissioni di tutte quelle informazioni di cui si debba ritenere il consumatore abbia bisogno, al fine di prendere una decisione consapevole di natura commerciale, riconoscendo, ai sensi del secondo comma dello stesso articolo, anche nella presentazione “oscura, incomprensibile, ambigua o intempestiva” di tali informazioni la causa dell’ingannevolezza della pratica commerciale adottata. Quanto alla fattispecie della violenza, secondo l’art. 1435 c.c., questa sarebbe connotata dalla ricorrenza di una minaccia idonea ad impressionare una persona sensata, al punto da farle temere per sé o i suoi beni un male ingiusto e notevole. Diversamente, l’aggressività di una pratica commerciale, ai sensi dell’art. 24 cod. cons., parrebbe evidenziare più l’invasività e l’arroganza della condotta del professionista, che spingerebbe il consumatore ad adottare la decisione commerciale auspicata dallo stesso professionista, pur di ottenere la cessazione delle sue pressioni, che non l’idoneità della stessa condotta a suscitare il timore di un male evitabile solo attraverso l’adozione della decisione commerciale aggressivamente promossa dal professionista. Per un’esposizione ben più analitica e puntuale a riguardo, L. Guffanti Pesenti, Scorrettezza, cit. 226 ss. In diversa prospettiva, ritiene che “La pratica scorretta è in definitiva sempre un (odioso) abuso da parte di chi si trova in una posizione strutturale di potere (economico) fatta valere contro la libertà contrattuale del consumatore e a suo danno, e in quest’ottica non c’è ragione per non ammettere l’annullabilità del contratto, con l’invocazione della corrispondente disciplina, in modo ben più ampio di quanto risulti ammissibile in base alle norme del codice civile”, N. Zorzi Galgano, Sulla invalidità del contratto a valle di una pratica commerciale scorretta, in Contr. impr., 2011, 952. In senso analogo, M. Nuzzo, Pratiche commerciali sleali ed effetti sul contratto: nullità di protezione o annullabilità per vizi del consenso?, in E. Minervini, L. Rossi Carleo, (a cura di), Le pratiche, cit., 235 ss.; R. Calvo, Le pratiche, cit., 218; A. Gentili, Pratiche sleali e tutele legali: dal modello economico alla disciplina giuridica, in Riv. dir. priv., 2010, 60 ss.

[79] Come è noto, spesso la «decisione di natura commerciale» del consumatore è frutto, più che di un’opinione razionalmente maturata sulla qualità e la convenienza del prodotto o del servizio, di un desiderio/bisogno creato ad arte dai messaggi pubblicitari e successivamente alimentato da ripetuti messaggi di sollecitazione alla conclusione del contratto, in modo da indurre il consumatore alla manifestazione di una volontà negoziale apparentemente libera e consapevole ma di fatto fortemente condizionata da informazioni e suggestioni ingannevoli o modalità particolarmente invasive di approccio al consumatore perpetrate nel tempo da parte del professionista, in assenza delle quali la stessa decisione commerciale avrebbe potuto anche non essere stata presa. Si sofferma in particolare sulla descrizione dei meccanismi di definizione della pubblicità mirata nei mercati digitali, e sull’elaborazione a tal fine della grande massa di dati forniti più o meno consapevolmente dagli utenti di tali mercati F. Galli, La pubblicità, cit., 919 ss.

[80] Una delle ragioni dell’evidente disaffezione dei consumatori alla tutela giudiziale dei loro interessi contro gli effetti di pratiche commerciali scorrette potrebbe essere individuata, oltre che nella macchinosità e nei costi delle relative azioni, nell’incerta idoneità degli strumenti giuridici offerti dall’ordinamento alla tutela degli interessi soggettivi effettivamente incisi. In molto casi d’altronde non pare che il pregiudizio lamentato dal consumatore riguardi tanto la perdita patrimoniale subita a causa di una manipolazione della propria volontà e di una conseguente decisione commerciale che, in assenza degli effetti della pratica commerciale scorretta esercitata dal professionista, non sarebbe stata adottata. Non pare in particolare che il pregiudizio possa essere verosimilmente integrato dalla violazione dell’aspettativa di una oggettiva congruità nella distribuzione di vantaggi svantaggi e rischi o dalla violazione di obblighi di protezione degli interessi del consumatore, i quali vincolerebbero il professionista a condotte tanto determinate dal punto di vista funzionale quanto incerte dal punto di vista sostanziale. Piuttosto, se investito dagli effetti pregiudizievoli di una pratica commerciale scorretta, l’obiettivo del singolo consumatore potrebbe più banalmente risiedere nel ripristino delle condizioni patrimoniali nelle quali si sarebbe trovato qualora la conclusione del contratto con il professionista non fosse stata condizionata dagli effetti distorsivi derivati dalla pratica commerciale scorretta. Obiettivo che, a seconda della rilevanza di siffatti effetti distorsivi, potrebbe essere perseguito alternativamente mediante la riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto, accompagnata dalla restituzione di quanto eventualmente già corrisposto dal consumatore. L’azionamento di queste misure non escluderebbe certo la contestuale domanda del risarcimento del danno ma è evidente che, come già osservato, ciò comporterebbe un ben diverso impegno probatorio da parte del consumatore, oltre che una maggiore insicurezza circa l’esito della procedura giudiziale così azionata, non potendosi eludere l’oggettiva difficoltà dell’accertamento di una responsabilità personale del professionista nell’ambito di una relazione che, come si è detto, si presenta nella stragrande maggioranza dei casi in termini squisitamente impersonali.

[81] Secondo la migliore dottrina, la funzione reintegratoria assolta dal risarcimento del danno risponderebbe all’esigenza di reagire alla distruzione del bene oggetto di un diritto, verificatasi in seguito all’illecita interferenza nella sfera giuridica del titolare dello stesso diritto, mentre la funzione restitutoria assolta dall’istituto dell’arricchimento senza causa risponderebbe alla diversa esigenza di compensare l’effetto circolatorio di una risorsa oggetto di un diritto altrui, ove esso sia prodotto in assenza di una giustificazione giuridicamente plausibile. A. Di Majo, La tutela civile dei diritti, Giuffrè, 2001, 301 ss.; P. Barcellona, C. Camardi, Le istituzioni del diritto privato contemporaneo, Jovene, 2002, 403; P. Sirena, La restituzione dell’arricchimento e il risarcimento del danno, in Riv. dir. civ., 2009, 65 ss.

[82] In questa prospettiva, naturalmente, diventerebbe centrale il problema, non affrontabile analiticamente in questa sede, della determinazione del criterio di quantificazione della riduzione del prezzo dovuta. Sul punto, F. Oliviero, La riduzione del prezzo nel contratto di compravendita, Jovene, 2015, 135 ss. Essenziale, sarebbe che tale calcolo avvenga al netto dell’utilità comunque ricavata o ricavabile a favore del consumatore dall’esecuzione del contratto pendente. Sembra d’altra parte questo il significato attribuibile a quanto oggi disposto rispettivamente dall’art. 15 della dir. 2019/771/UE e dall’art. 135-quater cod. cons., ai sensi dei quali “la riduzione del prezzo è proporzionale alla diminuzione di valore del bene ricevuto dal consumatore rispetto al valore che avrebbe avuto se fosse stato conforme”. Non può che condividersi a riguardo l’opinione secondo la quale siffatta quantificazione non possa avvenire sulla base della logica reintegratoria tipica del rimedio risarcitorio, perché si opererebbe in tal modo un’indebita sovrapposizione di due rimedi funzionalmente differenti che, come nel caso della disciplina della garanzia nella vendita, possono coesistere, ma non smarrire il senso della loro distinzione. F. Oliviero, La riduzione, cit., 84 ss. La loro confusione, d’altra parte, finirebbe per dare copertura a rischi estranei a quelli oggetto di garanzia. Per un inquadramento in tal senso della quanti minoris, D. Rubino, La compravendita, cit., 636; M.C. Bianca, La vendita e la permuta, cit., 953 ss. Per le ragioni appena esposte, dunque, non pare si possa accogliere l’opinione di quanti, riflettendo sulla misura del risarcimento del danno che si ritiene possa essere richiesto in luogo dell’annullamento del contratto per errore o per violazione dolosa di obblighi di informazione, sostengono che il criterio da adottare debba essere lo stesso che presiede al calcolo della riduzione del prezzo, il quale si fonderebbe sulla differenza tra il prezzo pagato e “un nuovo prezzo teorico calcolato in funzione del rapporto tra valore reale e valore ipotetico del bene”. G. Afferni, La responsabilità precontrattuale per violazione di obblighi di informazione, in Inadempimento e Rimedi, Tratt. Resp. Contr., I, diretto da G. Visintini, Cedam, 2009, 766 ss.; Id., Il quantum del danno nella responsabilità precontrattuale, Giappichelli, 2008, 206 ss. L’equivoco di fondo sembra risiedere, in questo caso, nell’idea che la riduzione del prezzo possa essere quantificata facendo riferimento a valori ipotetici che si sarebbero potuti assegnare al bene ove si fossero ricevute informazioni corrette, quando, proprio per la diversa funzione assolta da tale rimedio rispetto a quello risarcitorio, la riduzione dovuta potrà solo adeguare il rapporto di corrispettività divisato in origine dalle parti al valore reale delle prestazioni oggetto dello scambio, non potendo al contrario determinare, a vantaggio della parte vittima dell’inganno, alcun guadagno ulteriore fondato su valori che ipoteticamente si sarebbero potuti realizzare in assenza dell’inganno.

[83] Proprio il rischio del verificarsi di una situazione di doppio vantaggio per la parte che, da un lato, richieda la reintegrazione delle perdite patite in seguito all’alterazione del processo di formazione della sua volontà contrattuale e, dall’altro, pretenda che il contratto così concluso rimanga efficace, induce autorevole dottrina ad affermare il carattere rigorosamente eccezionale dell’ipotesi disciplinata dall’art. 1440 c.c., all’infuori della quale “un risarcimento che scaccia l’annullamento è un rimedio extra ordinem: segnatamente un mezzo che persegue obliquamente una (discutibile) finalità di giustizia contrattuale”. S. Pagliantini, Tutela per equivalente di un contratto annullabile e principio di effettività: appunti per uno studio, in Nuove leg. civ. comm. 2014, 660. In senso analogo, L. Rovelli, La responsabilità precontrattuale, in Il contratto in generale, II, in Tratt. Dir. Priv. diretto da M. Bessone, Giappichelli, 2000, 336.

[84] AGCM, Provv. n. 30355 del 25 ottobre 2022 (Vinted – Problematiche varie su vendite online); AGCM, Provv. n. 30421 del 13 dicembre 2022 (Unieuro/Monclick vendite online-problemi vari), in https://www.agcm.it/competenze/tutela-del-consumatore/
delibere/.

[85] Si consideri che è ampiamente condiviso l’orientamento interpretativo che considera il contrasto del fenomeno delle pratiche commerciali scorrette, a favore del corretto funzionamento della concorrenza e del mercato, indipendente dall’accertamento della negligenza del professionista. Si vedano in proposito CGUE 16 aprile 2015, C-388/13, punto n. 48; TAR, 8 marzo 2019, n. 3095; Cons. Stato, 19 settembre 2017, n. 4378. Ciò sembra avvalorare ulteriormente l’ipotesi disciplinare formulata nel testo, secondo la quale gli strumenti maggiormente idonei ad una tutela effettiva e proporzionata degli interessi ascrivibili al singolo consumatore dovrebbero avere carattere restitutorio, essendo al contrario una tutela di tipo risarcitorio condizionata alla prova, sul piano individuale di certo possibile ma altrettanto certamente non agevole, del danno e dell’imputabilità della responsabilità al professionista autore della pratica commerciale scorretta.

[86] Trib. Venezia, 7 luglio 2021 in relazione all’azione di classe promossa dall’associazione Altroconsumo, ai sensi della disciplina disposta dall’allora vigente art. 140-bis cod. cons., contro Volkswagen AG e Volkswagen IG, sulla quale P. Santoro, Dieselgate italiano: (e)mission impossible. Il Tribunale di Venezia accoglie la class action e, in sintonia con i Tribunali di Avellino e Genova, riconosce il risarcimento dei danni da illecito antitrust e da pratiche commerciali scorrette, in Danno resp., 2022, 243 ss.; F. Ruggero, Class action, pratiche commerciali scorrette e danni non patrimoniali: la recente pronuncia del Tribunale di Venezia, in Nuova giur. civ. comm., 2021, 1345 ss. Più in generale, F. Bertelli, Profili civilistici del «dieselgate». Questioni risolte e tensioni irrisolte tra mercato e sostenibilità, Esi 2021, 91 ss.; I. Garaci, Il dieselgate. Riflessioni sul private e public enforcement nella disciplina delle pratiche commerciali scorrette, in Riv. dir. ind., 2018, 61 ss.; E. Rajneri, Illeciti lucrativi, efficacia dissuasiva dei rimedi e responsabilità sociale d’impresa. Riflessioni a margine del dieselgate, in Riv. crit. dir. priv., 2017, 397 ss.

[87] La condotta contestata alle convenute e qualificata dal giudice alla stregua di una pratica commerciale ingannevole, in conformità a quanto già statuito in sede di public enforcement dall’AGCM con il provvedimento n. 26137 del 4 agosto 2016, era consistita nell’installazione, su una determinata tipologia di autoveicoli delle cui prestazioni si era valorizzata la particolare sostenibilità ambientale, di un dispositivo in grado di ridurre sensibilmente le emissioni inquinanti di NOx in occasione delle verifiche di laboratorio necessarie all’omologazione dell’autoveicolo. Essa è stata giudicata senz’altro ingannevole, ai sensi dell’art. 23, comma 2, lett. d), nonché comunque ingannevole ai sensi degli artt. 21, comma 1, lett. b), 21, comma 2, lett. b) e 22 cod. cons., oltre che contraria allo standard di diligenza professionale dovuta ex art. 20, comma 2, cod. cons., di cui i consumatori avrebbero atteso il rispetto, in virtù della “ragionevole aspettativa di trovarsi di fronte ad un produttore che ponesse la tutela dell’ambiente tra i suoi primari obiettivi”. In quell’occasione, il giudice ha ritenuto invero di riconoscere a carico della casa automobilistica convenuta una responsabilità extracontrattuale ed una conseguente obbligazione risarcitoria, nella misura dell’interesse negativo, in relazione alla “pura perdita patrimoniale” subita dai consumatori in forza della lesione, prodotta dalle false informazioni ricevute, della loro libertà contrattuale. Tuttavia, considerato che il danno risarcibile è stato individuato “nel maggior aggravio economico, parametrato al maggior prezzo dei veicoli omologati Euro5, sostenuto per l’acquisto di un veicolo formalmente Euro5, ma di fatto di classe inferiore” e che il criterio adottato per la sua quantificazione sia consistito nella definizione in via equitativa – ex art. 140-bis, comma 12, cod. cons. – della percentuale di incidenza della lesione sul prezzo medio corrisposto per l’acquisto degli autoveicoli oggetto della pratica commerciale scorretta, si può rilevare una sostanziale corrispondenza tra il rimedio azionato e quello rappresentato dalla riduzione del prezzo.

[88] Si tratta in particolare di ricorrere ad una interpretazione funzionale delle norme del diritto dei contratti presenti nel nostro ordinamento, che ne consenta l’adeguamento alle indicazioni normative provenienti dal legislatore eurounitario, in assenza di una “novellazione formale”. Tale obiettivo sarebbe perseguibile, secondo autorevole Dottrina, azionando il surplus regolativo, connesso alla contrapposizione tra fattispecie e ratio, tipico delle norme che compongono il sistema giuridico ed elevando per questa via il paradigma analogico “a paradigma generale dell’interpretazione”. M. Barcellona, Norme e prassi giuridiche. Giurisprudenze usurpative e interpretazione funzionale, Mucchi Ed., 2022, 50 ss.

[89] C. Granelli, Pratiche, cit., 503, il quale ritiene che, nel perseguimento di una maggiore effettività della tutela degli interessi dei consumatori vittime di pratiche commerciali scorrette, potrebbe essere utile promuovere l’operatività del sistema di risoluzione alternativo delle controversie, soprattutto con riguardo a controversie che, per il modico valore dell’oggetto del contendere, diversamente il singolo consumatore faticherebbe ad avviare innanzi alla giurisdizione ordinaria.