A partire dall'assetto motivazionale di una decisione del Tribunale di Treviso, si affronta una ricognizione delle questioni connesse alla domanda di rimborso delle spese sostenute per il mantenimento ordinario e straordinario del figlio dal genitore che ab origine ha provveduto al riconoscimento dello stesso, nei confronti dell’altro genitore che, invece, abbia visto tale status accertato solo a seguito di pronuncia giudiziale. Dato conto degli effetti occasionalmente costitutivi prodotti dalla pronuncia giudiziale di genitorialità e della natura giuridica – a nostro avviso indennitaria – del rimborso, viene poi affrontato il problema della difformità dei criteri presenti nella giurisprudenza di merito cui ricorrere al fine di quantificare secondo equità l’ammontare dello stesso.
Infine, a valle della decisione sulla natura giuridica, si indaga se possano essere riconosciuti gli interessi sulla somma dovuta e se sussista possibilità di rivalutazione della stessa.
Starting from a judgment rendered by the Tribunale di Treviso, this article will tackle several issues related to the application for the reimbursement of the expenses incurred for child support, both ordinary and extraordinary, in favor of the parent who recognized a child as their own from the start, vis-à-vis the parent who, instead, was declared as such only after a judgment.
In light of the constitutive effects occasionally produced by the judgment establishing parenthood and of the nature – in our view compensatory – of the reimbursement of child support, this article will then deal with the issues caused by the variety of criteria used to quantify, in an equitable way, the amount of the reimbursement.
Finally, in light of the debate on the legal nature of the reimbursement, this article will investigate whether interest may be granted on such an amount and whether the latter may be subject to indexation.
1. Premessa - 2. La natura giuridica del rimborso del mantenimento arretrato - 3. Criteri di elaborazione giurisprudenziale in tema di quantificazione del mantenimento arretrato - 4. Quantificazione presuntiva secondo equità - 5. Sugli interessi e sulla rivalutabilità secondo gli indici ISTAT della somma riconosciuta in regresso - NOTE
Il Tribunale di Treviso, con una recente decisione [1], si è venuto a pronunciare su una questione tanto foriera di dubbi applicativi, quanto poco affrontata dalla dottrina, ovvero la quantificazione equitativa dell’ammontare del mantenimento del figlio minore, nella particolare ipotesi in cui non vi siano allegazioni specifiche della parte creditrice in merito.
Nel caso sottoposto alla decisione del Tribunale la madre di un ragazzo di sei anni aveva convenuto in giudizio il (presunto) padre per ottenere l’accertamento del rapporto di filiazione tra lui e il minore, nonché per chiedere, oltre all’affidamento esclusivo del bambino ed alla regolamentazione dei rapporti tra il genitore e il figlio, un contributo al mantenimento in favore dello stesso, il rimborso pro quota delle spese sostenute ed il risarcimento dei danni.
Il convenuto, costituito in giudizio, aveva contestato l’esistenza di un rapporto di filiazione con il minore e chiesto il rigetto delle domande di parte attrice.
Dopo lo svolgimento di una CTU ematologica, era stata accertato con sentenza parziale il rapporto di filiazione e, nel merito, con successiva pronuncia [2] era stato disposto che il minore Matteo venisse affidato in via esclusiva alla madre con collocazione e residenza presso di lei, disciplinando il diritto di visita paterno e stabilito che il padre versasse in favore della madre, a titolo di contributo al mantenimento del minore, un assegno mensile periodico dell’importo di euro 300,00, condannandolo altresì al pagamento della somma di € 1.200,00 in favore dell’attrice, a titolo di rimborso delle spese del mantenimento del minore dalla data della nascita sino alla data della presentazione del ricorso, oltre ad interessi dalla domanda al saldo e respingendo la domanda di risarcimento del danno.
Il Collegio trevigiano ha, pertanto, ritenuto di aderire all’orientamento del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere [3] di cui aveva dato conto in parte motiva, secondo il quale, in assenza di altri elementi probatori, l’importo dell’assegno di mantenimento riconosciuto per l’attualità e pro futuro può assurgere a parametro equitativo di quantificazione anche degli importi pregressi.
È proprio tale approdo a non convincere pienamente.
Prima di entrare nel merito delle problematiche enucleate, pare necessario riepilogare la disciplina relativa agli obblighi di mantenimento previsti ex lege in capo ai genitori, con particolare attenzione al rapporto degli stessi rispetto alla pronuncia di accertamento giudiziale.
In particolare, la pronuncia di accertamento giudiziale della filiazione naturale acquisisce efficacia occasionalmente costitutiva [4], laddove posta in relazione all’obbligo genitoriale di mantenimento della prole.
Normalmente, a tale sentenza è attribuita efficacia meramente dichiarativa, in quanto ha l’effetto di affermare ed esplicitare uno status – rispettivamente di figlio naturale e di genitore – ed il relativo rapporto costitutivo – filiazione – che preesistono alla dichiarazione stessa, poiché originano dal semplice fatto di aver procreato [5].
Diversamente accade nel caso in cui, in seno al medesimo giudizio, ovvero all’interno di un diverso procedimento, venga proposta domanda di regresso, ai sensi dell’art. 1299 c.c. da parte del genitore che da solo abbia provveduto alle necessità del figlio, agendo nei confronti del soggetto accertato genitore. In tale ipotesi, alla decisione deve essere riconosciuta efficacia costitutiva [6].
Quest’ultima pronuncia è infatti attributiva di uno status, il cui accertamento e la cui sussistenza sono imprescindibili ai fini dell’esercizio dei diritti e delle facoltà connesse allo status medesimo [7]. Nel caso di specie, l’azione per il rimborso delle spese necessarie al mantenimento del figlio è data ai genitori (qualifica che assurge a condizione di legittimazione attiva) nei reciproci confronti in virtù dell’obbligazione legale di mantenimento, desumibile dal combinato disposto degli artt. 147, 148 e 316-bis c.c. Entrambi, infatti, sono tenuti a concorrere alle esigenze del figlio, con la conseguenza che il riconoscimento ovvero la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità, ex art. 277 c.c., sono elementi (alternativi) costitutivi necessari della fattispecie complessa inerente l’azione di regresso pro quota tra genitori.
Dato conto della natura della sentenza che accerta la filiazione naturale, il secondo presupposto logico è costituito dalla decisione in merito alla natura giuridica del rimborso del mantenimento dovuto per il periodo pregresso all’accertamento.
La giurisprudenza di legittimità ha attribuito – correttamente a nostro avviso – a tale rimborso natura indennitaria [8], in quanto diretto ad indennizzare il genitore che ha riconosciuto il figlio per gli esborsi sostenuti in via esclusiva per il mantenimento della prole.
Infatti, seppur appaia arduo offrire una nozione tipica ed unitaria di “indennità”, soprattutto a fronte del difforme dato casistico-normativo in cui il lemma è utilizzato dal legislatore e degli elementi di differenza con le ipotesi di risarcimento, è possibile sostenere che, con tale termine, si faccia riferimento a tutte quelle ipotesi in cui un soggetto è tenuto ad una prestazione in danaro, quale dazione per un servizio da altri prestato, ovvero in considerazione del sacrificio, consentito dalla legge [9], dell’altrui diritto od interesse.
La quantificazione dell’importo dovuto, inoltre, deve essere condotta sulla base di criteri proporzionali di volta in volta stabiliti legislativamente: il preminente scopo della prestazione, coerentemente con quanto sopra indicato, infatti, non deve essere parametrato alla reintegra del patrimonio (inteso nel suo complesso) del soggetto beneficiario dell’indennità, quanto alla reintegra del singolo bene sacrificato (autonomamente considerato), sia pur in via equivalente.
Dunque, in sintesi, si può coerentemente parlare di indennizzo laddove concorrano, nella fattispecie attributiva, i seguenti elementi: corrispettività, mancanza dell’illecito e carattere pecuniario della prestazione.
È evidente che nel caso del rimborso del mantenimento arretrato si possano ravvisare tutti gli elementi sopra indicati. In particolare, la natura compensativa della somma emerge chiaramente allorquando si ponga l’attenzione sul sacrificio – che solo a posteriori dell’accertamento può qualificarsi come ingiusto – che il genitore che ha per primo riconosciuto il figlio ha sopportato in termini di libertà economica e di spesa, ovvero di libero godimento del proprio patrimonio e di risparmio, latamente tutelati dall’art. 47 Cost. e dall’art. 25 CEDU.
Certamente, poi, non è possibile parlare di atto illecito rispetto al mancato riconoscimento del figlio, non ritrovandosi nell’ordinamento alcuna norma che imponga di provvedere a tale atto, tanto più se si riflette sul fatto che gli strumenti giudiziali predisposti dal Legislatore al fine di ricostruire un legame di filiazione tra soggetti (presunzioni, accertamento giudiziale di maternità o paternità, reclamo dello stato di figlio) si fondano sulla specifica esigenza di tutela del minore e di garanzia dell’universalità dei diritti connessi a tale status giuridico.
Sul carattere necessariamente pecuniario della prestazione nel caso oggetto di studio è superfluo soffermarsi, non potendosi ipotizzare alcuna diversa natura.
L’adesione alla categoria delle indennità non è questione esclusivamente dogmatica: comporta, in primis, che al diritto di credito per tali somme si applichi l’ordinario termine di prescrizione decennale, salva la previsione di termini speciali, ai sensi dell’art. 2946 c.c. e non, invece, il termine breve fissato in cinque anni per il risarcimento del danno (art. 2947 c.c.).
Sul piano probatorio, poi, stante l’evidente difficoltà di provare nel loro preciso ammontare le spese sopportate dal genitore che ab origine ha riconosciuto il figlio, la natura indennitaria del rimborso non osta all’applicazione del criterio equitativo [10], sebbene, come si vedrà infra, esso dovrebbe essere sorretto da una valutazione presuntiva delle circostanze addotte in via diretta o mediata nel giudizio. In ogni caso, l’ammissibilità della valutazione equitativa della misura del mantenimento arretrato si può derivare anche dall’assunto secondo cui, in genere, è la legge stessa ad indicare il criterio di quantificazione dell’indennità: nel caso di specie l’equità costituisce parametro di valutazione desumibile dall’art. 279 c.c., in tema di responsabilità per il mantenimento e l’educazione.
Per insegnamento della giurisprudenza di legittimità il quantum del rimborso dovuto al genitore che ha provveduto in via esclusiva al mantenimento deve liquidarsi in via equitativa, pur nei limiti degli esborsi in concreto o presumibilmente sostenuti dal genitore che per l’intero si è accollato le spese [11].
Nella decisione in commento è dato conto di tre diversi indirizzi giurisprudenziali circa i criteri da utilizzarsi nell’operazione di quantificazione del mantenimento.
Il primo, inaugurato dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere [12], assume quale parametro equitativo l’importo dell’assegno di mantenimento ordinario riconosciuto al momento della decisione: tale criterio può essere condivisibile laddove l’accertamento giudiziale della filiazione naturale (o, comunque, il riconoscimento volontario) sia pronunciato a breve distanza di tempo dalla nascita del figlio in quanto le valutazioni condotte per la determinazione pro futuro si devono generalmente ritenere congrue anche in riferimento al passato stante il breve iato temporale [13] durante il quale difficilmente si realizza un radicale sconvolgimento delle condizioni di vita dei genitori e delle necessità della prole.
Tale orientamento, tuttavia, non può soddisfare in quelle diverse ipotesi in cui il lasso temporale è maggiore e, pertanto, il parametro sopra indicato risulta del tutto scollegato dalla valutazione dell’insieme di circostanze che, ai sensi dell’art. 316-bis c.c. e secondo comune esperienza, concorrono a formare il giudizio quantitativo circa l’entità del mantenimento in concreto (redditi dei genitori, esigenze del figlio, condizioni socio-economiche delle parti e del contesto di riferimento, eccetera).
Non pare condivisibile, invece, l’opinione assunta dal Tribunale di Modena [14], che nega il riconoscimento del rimborso laddove non sia addotta alcuna prova o circostanza a fondamento della richiesta svolta: tale eccessivo formalismo cozza con le stesse considerazioni indennitarie sopra riportate, dacché risulta evidente, per il solo fatto che il figlio sia in vita, goda di buona salute e abbia magari svolto attività sportive, ludiche o di altra natura, che il mantenimento da parte di un genitore vi sia stato e che sorga pertanto un diritto all’indennizzo di quota parte dello stesso.
Nel decidere di negare il rimborso alla madre, si deve ritenere che il Tribunale di Modena sia caduto in errore laddove ha escluso il mantenimento materno sulla base della dichiarazione del marito convivente della stessa – nonché padre putativo del soggetto il cui stato di figlio veniva accertato – di aver provveduto alle spese di mantenimento, prestando il fianco all’assunto secondo cui per spese di mantenimento si potrebbero intendere solo gli esborsi di denaro in via indiretta, così escludendo il mantenimento in via diretta o nelle altre modalità (ad esempio in termini di lavoro casalingo) previste espressamente dalla lettera dell’art. 316-bis c.c.
Infine, si deve dar conto dell’indirizzo proposto dal Tribunale di Trani [15], che risulta essere quello che più si avvicina alla soluzione che si intende proporre, come pure maggiormente in armonia con il complesso di norme che l’ordinamento dedica all’obbligo di mantenimento dei genitori nei confronti dei figli e della sua ripartizione pro quota tra gli stessi.
Il Tribunale, infatti, evidenzia la necessità di riferire la quantificazione ad una serie di indici da “cucire addosso”, di volta in volta, alle parti processuali.
Come accennato nel precedente paragrafo, il criterio di equità da adottarsi nel giudizio di quantificazione del rimborso è un criterio composito, che deve avere riguardo alle specifiche e variabili esigenze – provate, desumibili o, in via residuale, anche solo presunte – del figlio.
In tale vaglio, ogni circostanza direttamente o indirettamente connessa con l’evoluzione delle situazioni reddituali e patrimoniali dei genitori, del loro status socio-economico, nonché delle esigenze di vita del figlio deve essere presa in considerazione, in quanto in grado di fornire elementi presuntivi utili nell’individuazione di un quantum che sia equo.
In tal senso, laddove si possa desumere che il figlio abbia svolto delle attività sportive, ovvero abbia proseguito gli studi oltre la scuola dell’obbligo, abbia avuto degli hobbies, etc., il Giudice dovrà tenere conto di tali fattori, aumentando la misura del mantenimento rispetto a quella minima di natura sostanzialmente alimentare.
Solo nel caso – peraltro quasi di scuola, per quanto detto sinora – in cui vi sia una mancanza assoluta di elementi circa le condizioni di vita presenti e passate delle parti e del figlio, allora la liquidazione dovrà essere parametrata ad una misura minima da commisurare al costo della vita nel luogo di residenza e che tenga conto delle spese ineliminabili sostanzialmente di natura alimentare, le quali devono ritenersi provate presuntivamente dal fatto noto della crescita e dello sviluppo della prole.
Quanto alla decorrenza degli interessi, è necessario qualificare il titolo in base al quale il genitore-creditore agisce.
In merito, in dottrina ed in giurisprudenza, non sono mancate opinioni contrastanti: alcuni intravvedevano nel comportamento del genitore adempiente un caso di negotiorum gestio [16] produttiva delle obbligazioni di cui all’art. 2031 c.c.; altri incardinavano il diritto al rimborso nella disciplina dell’arricchimento senza causa [17]. La tesi oggi maggiormente condivisa [18], cui già si è accennato in precedenza, muove però dal presupposto che l’obbligo di mantenimento del figlio a carico dei genitori abbia natura di obbligazione solidale (in virtù dell’art. 148 c.c., suscettibile di interpretazione estensiva anche ai casi di nascita fuori dal matrimonio); ne consegue che il diritto di ripetere i pregressi contributi al mantenimento discende dall’art. 1299 c.c., che regola il regresso tra condebitori in solido per il caso che uno di essi abbia pagato l’intero debito.
È evidente che, nel caso in oggetto, la funzione svolta dagli interessi sia moratoria (dovendosi escludere funzioni compensative e corrispettive [19]): pertanto essi potranno essere riconosciuti esclusivamente a partire dalla richiesta formale di adempimento formulata del creditore, che nella maggior parte dei casi coinciderà con la domanda giudiziale, sì che il decorso degli interessi avrà inizio alla data di deposito della stessa.
Infine, quanto alla possibilità di rivalutazione della somma liquidata, è necessario preliminarmente ricollegare il rimborso alla categoria dei debiti di valore ovvero di valuta. La distinzione, di matrice giurisprudenziale [20], formulata a temperamento del principio nominalistico, sottrae infatti alla disciplina di cui all’art. 1227 c.c. la categoria dei debiti di valore, poiché al fine di determinare il valore della prestazione è necessaria un’operazione di conversione di un bene – chiaramente diverso dal denaro – in termini monetari.
La natura indennitaria del rimborso, tuttavia, risulta inconciliabile con la possibilità di operare una rivalutazione della somma, che andrà pertanto esclusa: il credito in parola – necessariamente e fin da principio – avrà ad oggetto un’obbligazione di valuta, e ciò anche e nonostante la circostanza per cui il mantenimento possa consistere in beni diversi dal denaro [21].
[1] Trib. Treviso, 28 aprile 2022, n. 771.
[2] Questi i passaggi motivazionali della sentenza in commento di rilievo per quanto si dirà in proseguo: (Omissis) – Insegna la Suprema Corte che “la sentenza dichiarativa della filiazione naturale produce gli effetti del riconoscimento, ai sensi dell’art. 277 c.c., e, quindi, giusta l’art. 261 c.c., implica per il genitore tutti i doveri propri della procreazione legittima, incluso quello del mantenimento ex art. 148 c.c. La relativa obbligazione si collega allo “status” genitoriale ed assume, di conseguenza, pari decorrenza, dalla nascita del figlio, con il corollario che l’altro genitore, il quale nel frattempo abbia assunto l’onere del mantenimento anche per la porzione di pertinenza del genitore giudizialmente dichiarato (secondo i criteri di ripartizione di cui al citato art. 148 c.c.), ha diritto di regresso per la corrispondente quota, sulla scorta delle regole dettate dall’art. 1299 c.c. nei rapporti fra condebitori solidali”. (Cass., civ. 7960/2017).
Consegue che deve provvedersi sulla domanda di rimborso delle spese anticipate dalla signora F. per il mantenimento del minore.
Nel caso di specie è pacifico e non contestato che il resistente non ha mai contribuito al mantenimento del figlio.
Secondo l’inveterato insegnamento della Suprema Corte, per quanto concerne l’accertamento del quantum dovuto in restituzione all’altro genitore, questo, sebbene suscettibile di liquidazione equitativa, trova limite negli esborsi in concreto o presumibilmente sostenuti dal genitore che ha per l’intero sostenuto le spese (cfr. Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 14417 del 16.5.2016).
In particolare, secondo la condivisibile Cass., n. 16657 del 22.7.2014, in materia di filiazione naturale, il diritto al rimborso delle spese a favore del genitore che ha provveduto al mantenimento del figlio fino dalla nascita, ancorché trovi titolo nell’obbligazione legale di mantenimento imputabile anche all’altro genitore, ha natura in senso lato indennitaria, in quanto diretto ad indennizzare il genitore, che ha riconosciuto il figlio, per gli esborsi sostenuti da solo per il mantenimento della prole. Ne consegue che il giudice di merito, ove l’importo non sia altrimenti quantificabile nel suo preciso ammontare, legittimamente provvede, per le somme dovute dalla nascita fino alla pronuncia, secondo equità trattandosi di criterio di valutazione del pregiudizio di portata generale, fermo restando che, essendo la richiesta di indennizzo assimilabile ad un’azione di ripetizione di indebito, gli interessi, in assenza di un precedente atto stragiudiziale di costituzione in mora, decorrono dalla data della domanda giudiziale.
Circa la determinazione del quantum dell’importo dovuto nella giurisprudenza di merito si sono sviluppati tre diversi orientamenti.
Secondo un primo orientamento (cfr. ad es. Trib. Santa Maria Capua Vetere 4093/2016 pubbl. il 14/12/2016) è possibile determinare equitativamente l’importo dovuto per gli esborsi sostenuti a titolo di mantenimento utilizzando come parametro equitativo l’importo dell’assegno riconosciuto all’attualità; un diverso orientamento (Trib. Trani 1349/2018 pubbl. il 19/6/2018) ricorre invece alla quantificazione equitativa dell’importo dovuto in base ad un criterio composito (fondato sull’analisi delle esigenze presuntive del minore, delle sostanze e dei redditi di ciascun genitore all’epoca goduti, del tenore di vita di cui il figlio aveva diritto di fruire).
V’è infine terzo orientamento che, in assenza di precise prove ed allegazioni circa gli esborsi sostenuti, nega il rimborso.
Nel caso di specie, in assenza di alcun elemento probatorio (se non di tipo presuntivo) in ordine agli esborsi sostenuti dalla F. per il mantenimento di M., si ritiene di poter aderire al primo degli orientamenti pretori sopra indicati, tenuto conto dell’assenza di specifiche allegazioni da parte della ricorrente e dell’impossibilità di determinare diversamente gli esborsi sostenuti. Considerata, allora, la data di nascita del minore (3.7.2016) ed il conseguente decorso di 4 mesi dalla nascita alla data della domanda (2.12.2016), tenuto conto delle presumibili spese sostenute, desumibili in via presuntiva (in mancanza di elementi specifici dedotti, riferiti e dimostrati) sulla base dell’assegno nella misura oggi fissata, il sig. B. va condannato al pagamento dell’importo complessivo di € 1.200,00 (€ 300,00 x 4) in favore di R. F., oltre ad interessi legali dalla data della domanda sino al saldo. (Omissis).
[3] Trib. Santa Maria Capua Vetere, 14 dicembre 2016, n. 4093.
[4] Al riguardo, se nella prassi giurisprudenziale, prevale la tesi circa l’essenza meramente dichiarativo – accertativa della sentenza di accertamento giudiziale della filiazione naturale, nella dottrina, soprattutto processualcivilistica, trova favore un approccio ricostruttivo volto ad evidenziarne il carattere costitutivo. A sostegno della prima opinione v. Cass., 4 novembre 2010, n. 22506 in CED Cassazione, 2010; Cass., 25 gennaio 2008, n. 1733 in Mass. giur. it., 2008; Cass., 11 luglio 2006, n. 15756, in Mass. giur. it., 2006; Cass., 14 agosto 1998, n. 8042 in Fam. dir., 1999, I, 75; Cass., 24 marzo 1994, n. 2907 in Mass. giur. it., 1994; Cass., 26 giugno 1984, n. 3709 in Mas. giur. it., 1984; in dottrina v., ex multis, C. Cossu, Filiazione legittima e naturale, in La famiglia, III, in Il diritto privato nella giurisprudenza, a cura di P. Cendon, Utet, 2000, 548 ss.; G. Ferrando, La filiazione naturale e la legittimazione, in Trattato di diritto privato, a cura di P. Rescigno, III, Utet, 1997, 120 ss.; U. Majello, Della filiazione naturale e della legittimazione, in Commentario del codice civile a cura di A. Scialoja e G. Branca, II, Zanichelli-Il Foro Italiano, 1982, 213 ss. Contra e, dunque, a favore della natura costitutiva dell’azione in parola si è espressa la giurisprudenza più remota: si vedano Cass., 13 luglio 1995, n. 7644 in Corr. giur., 1995, 9, 1047 e Cass., 9 giugno 1978, n. 2908 in CED Cassazione, 1978; in dottrina sono fautori dell’essenza costitutiva dell’azione ex art. 269 c.c. M. G. Civinini, I procedimenti in camera di consiglio, I e II, in Giurisprudenza sistematica di Diritto Processuale Civile, diretta da A. Proto Pisani, Utet, 1994, 803 ss.; F. Danovi, Le azioni in materia di filiazione ed i principi generali del processo, in Fam. dir., 2004, 153 ss.; A. Jannuzzi, Manuale della volontaria giurisdizione, Giuffrè, 2004, 412 ss. Per una posizione intermedia, che assegna una natura ibrida all’azione in commento, v. R. Thomas, Accertamento della filiazione naturale, Giuffrè, 2001, 39 ss.
[5] L’opinione secondo cui è possibile riferirsi ad una “responsabilità per procreazione” è assolutamente prevalente, soprattutto in dottrina, anche risalente: si veda, ex multis, G. Gioia, L’obbligo di mantenimento tra padre putativo e padre biologico, in Fam. dir., 2000, 56 ss.; M. Sesta, La filiazione naturale, in Il diritto di famiglia a cura di M. Dogliotti e M. Sesta, III, Giappichelli, 1999, 110 ss.; P. Perlingieri, Commento alla Costituzione italiana, a cura di P. Perlingieri, Esi, 1997, 195 ss.; V. Carbone, La paternità rifiutata, in Fam. dir., 1996, 347 ss.; I. Patrone, Obbligo di mantenimento dei figli: contenuto, garanzie, sanzioni, in Fam. dir., 1996, 68 ss.
[6] Sul tema v. G. Ferrando, Il rapporto, di filiazione naturale, in Filiazione e adozione, a cura di G. Bonilini e G. Cattaneo, Utet, 1999, 110 ss.; A. De Cupis, Note introduttive agli artt. 269 – 279, in Commentario al diritto italiano della famiglia a cura di G. Cian, G. Oppo e A. Trabucchi, IV, Cedam, 1992, 166 ss. V. anche U. Majello, Della filiazione, cit., 14 ss.
[7] In tal senso Cass., 26 maggio 2004, n. 10124 in Mass. giur. it., 2004, ma anche Cass., 3 novembre 2006 n. 23596 in CED Cassazione, 2006.
[8] Così Cass., 22 luglio 2014, n. 16657, in CED Cassazione, 2014.
[9] È indubbio che nel codice civile ricorrano ipotesi in cui viene usato il termine “indennità” in relazione a danni subiti dal soggetto senza che questi sia costretto a sopportarlo (a titolo esemplificativo v. artt. 937, 1017, 2045 c.c.). In molti casi, tuttavia, il Legislatore usa impropriamente la parola (come, ad esempio, nel caso dell’art. 139 c.c.); in altri il riferimento alla locuzione è giustificato in considerazione dell’esaltazione della funzione compensativa e della natura pecuniaria dell’attribuzione, mentre l’elemento del fatto illecito – che si rinviene nella previsione normativa – viene tralasciato in relazione a tale determinato effetto. Solo in tale senso si può, allora, accogliere l’opinione di chi mette in evidenza l’irrisarcibilità del danno in forma specifica, ai sensi dell’art. 2058 c.c., in tali ipotesi. In quest’ottica G. Torregrossa, Il problema della responsabilità da atto lecito, Giuffrè, 1964, 152 ss.
[10] Il ricorso all’equità è pacificamente ammesso per giurisprudenza costante della Corte di Cassazione, v. Cass., 19 febbraio 2010, n. 3991 in CED Cassazione, 2010 e Cass., 1 ottobre 1999, n. 10861 in CED Cassazione, 1999.
[11] V. Cass., 16 maggio 2016, n. 14417 in Quotidiano Giuridico, 2016.
[12] V. Trib. S. Maria Capua V., 14 dicembre 2016, n. 4093 in DeJure.
[13] Come nel caso in commento, essendo giunto l’accertamento giudiziale di paternità a soli quattro mesi dal parto.
[14] V. Trib. Modena, 2 ottobre 2020, n. 1078 in CED Cassazione, 2020.
[15] V. Trib. Trani, 19 giugno 2018, n. 1349 in DeJure.
[16] In questo senso, Cass., 4 settembre 1999, n. 9386, in Foro it. Rep., 1999, 98 ss.; Cass., 5 dicembre 1996, n. 10849, in Foro it., 1997, I, 3337; in dottrina, G. Manera, Dichiarazione giudiziale di paternità e decorrenza dell’obbligo di mantenimento. Nuova metodica per l’accertamento della paternità, in Giur. mer., 1989, 644 ss.
[17] Cfr. L. Lenti, Sulla collaborazione dei genitori al mantenimento del figlio naturale, nota adesiva a Cass., 20 aprile 1991, n. 4273, in Giur. it., 1991, I, 1, 639 ss.
[18] Nello stesso senso v., fra gli altri, in giurisprudenza, Cass., 14 agosto 1998, n. 8042, in Fam. dir., 1999, 271 con nota critica sul punto di G. Amadio, Obblighi di mantenimento, accertamento della filiazione e rapporti tra genitori; App. Cagliari, 9 aprile 1997, in Riv. giur. sarda, 1997, 644; Cass., 23 marzo 1995, n. 3402, in Fam. dir., 1995, 452; Cass., 29 marzo 1994, n. 3049 in Giur. it., 1995, I, 1, 652; Cass., 20 aprile 1991, n. 4273, in Giur. it., 1991, I, 1, 634. V. altresì, in dottrina, T. Auletta, Il diritto di famiglia, V, Giappichelli, 2000, 333 ss.; I. Ambrosi, M. Gambini, Cenni sulla natura giuridica dell’obbligo di mantenimento del figlio naturale, in Giur. mer., 1999, 670 ss.; A. Finocchiaro, L’azione per la dichiarazione giudiziale di paternità e maternità naturale, in Vita not., 1999, 1165 ss.; M. Paradiso, I rapporti personali tra coniugi, in Il codice civile. Commentario, a cura di P. Schlesinger, Giuffrè, 1990, 302 ss.; C.M. Bianca, Diritto civile, La famiglia – Le successioni, II, Giuffrè, 1989, 233 ss..
[19] Gli interessi corrispettivi sono previsti dall’art. 1282 c.c., che dispone siano riconosciuti interessi di pieno diritto sui crediti liquidi ed esigibili aventi ad oggetto somme di danaro. Come si è detto, il credito da mantenimento pregresso diviene esigibile solo con la pronuncia di accertamento giudiziale della filiazione naturale, pertanto mancano i presupposti necessari perché gli interessi possano assumere tale funzione. Per quanto riguarda gli interessi compensativi, solo di recente tenuti distinti dai precedenti, essi sarebbero dovuti a titolo equitativo per compensare un vantaggio consistito nel godimento di un bene fruttifero di cui non sia stato versato il prezzo; in tale ottica, gli interessi compensativi troverebbero la loro norma istitutiva nell’art. 1499 c.c.
[20] Da ultimo Cass., 20 gennaio 2009, n. 1335, in Mass. giur. it., 2009.
[21] Sul tema vanno segnalati anche gli ulteriori contributi: F. Arrivas, Il recente orientamento della S.C. in tema di competenze sulla revisione delle disposizioni relative all’affidamento della prole, in Dir. Famiglia, 1982, 478; F.P. Luiso, Una giurisdizione per i minori, in Riv. dir. civ., 1995, 184; R. Thomas, M. Bruno, I provvedimenti a tutela dei minori, Giuffrè, 2005, 160; A. Graziosi, Strumenti processuali a tutela dei figli legittimi e dei figli naturali, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1995, 319 ss.; G. Ferrando, La nuova legge sulla filiazione. Profili sostanziali, in Corr. giur., 2013, 525 ss.; A. Figone, La riforma della filiazione e della responsabilità genitoriale, Giappichelli, 2014; A. Graziosi, Una buona novella di fine legislatura: tutti i “figli” hanno eguali diritti, dinnanzi al tribunale ordinario, in Fam. e dir., 2013, 263 ss.