Jus CivileCC BY-NC-SA Commercial Licence ISSN 2421-2563
G. Giappichelli Editore

Soggettività giuridica implicita e associazione non riconosciuta (di Angelo Barba, Professore ordinario di Diritto privato – Università degli Studi di Siena)


Il saggio analizza il codice del terzo settore dal punto di vista della soggettività degli enti non espressamente regolati. L'autore utilizza la disciplina dell’associazione non riconosciuta per costruire una fattispecie legale implicita destinata al riconoscimento normativo della soggettività. L'Autore, inoltre, tratta questioni vecchie e nuove che entrano in scena in ordine all’attività d’impresa esercitata da enti diversi da quelli la cui disciplina si trova nel libro quinto del codice civile. Vengono inoltre analizzate le diverse funzioni della soggettività giuridica di diritto privato.

Implicit legal subjectivity and not recognized associations

The essay analyzes the third sector code from the point of view of the subjectivity of entities not expressly regulated. The author’s intention is to build up an implicit legal starting from the discipline of not recognized association so to allow the normative recognition of subjectivity. The Author deals with old and new issues that come into the picture with regard to the activity of enterprise exercised by entities which are different from the ones whose discipline can be found in the fifth book of the Civil Code. The different functions of the legal subjectivity of private law are also analysed.

SOMMARIO:

1. Le funzioni euristiche dell’associazione non riconosciuta: la funzione dogmatica - 2. Segue. la funzione ermeneutica - 3. Atipicità dei soggetti privati costituzionali - 4. Iscrizione nel registro del TS e limitazione della libertà degli enti - 5. Esistenza e qualificazione dell’ETS - 6. Pluralismo e soggetti di diritto privato - 7. Il sistema costituzionale della libertà sociale - 8. Soggetto e soggettivizzazione - 9. Il riconoscimento normativo della soggettività metaindividuale - 10. Il soggetto metaindividuale come fattispecie legale - 11. Le funzioni della soggettività metaindividuale: funzione infrastrutturale - 12. Segue. Il compito pubblico della soggettività metaindividuale. - 13. Segue. L’interesse collettivo - 14. La funzione rimediale - 15. Imputazione e rilevanza rimediale dell’interesse - 16. Segue. Imputazione e rappresentanza - 17. Segue. La rappresentazione dell’interesse generale - 18. La funzione regolatoria - 19. Sistema della soggettività metaindividuale: il problema ermeneutico - 20. La fattispecie legale implicita e generale di soggettività - NOTE


1. Le funzioni euristiche dell’associazione non riconosciuta: la funzione dogmatica

La vicenda culturale, non solo giuridica, sollecitata dalla progressiva affermazione del modello di democrazia pluralista accolto nella Costituzione, ha consolidato l’evoluzione normativa già avviata dal Codice civile nel segno della individuazione di un diritto comune della soggettività metaindividuale. In particolare, la combinazione degli artt. 2 e 18 della Costituzione e, in seguito, il riconoscimento del principio di sussidiarietà orizzontale (art. 118, comma 4), hanno attivato e consolidato argomentazioni costruttive di una sistematica della soggettività metaindividuale più evoluta di quella elaborata dalla cultura giuridica liberale. Un esito, questo, ricavato dalla connessione tra Primo e Quinto libro del Codice civile affidata dal legislatore all’art. 13 cod. civ., e che ha coinvolto e coinvolge anche strutture normative di settore come, solo a voler esemplificare, la disciplina dell’impresa sociale, il CTS e, da ultimo, il Codice della crisi dell’impresa.

Nella costruzione del sistema della soggettività metaindividuale è possibile rintracciare una funzione dogmatica ed una funzione ermeneutica dell’associazione non riconosciuta, ossia di una categoria normativa che si limita ad individuare ed aggregare la disciplina da applicare ad una struttura organizzativa tipica (associazione) in caso di assenza della personalità giuridica.

Gli esiti raggiunti dalla dogmatica, sia con riguardo alla elaborazione di modelli di decisione, sia con riguardo alla costruzione dell’orizzonte assiologico dell’ermeneutica (funzione euristica), sia, infine, con riguardo alla verifica della coerenza sistematica dei contenuti teorici racchiusi nei modelli argomentativi e quindi della loro legittimazione culturale (funzione di controllo), appartengono ormai ad una diffusa consapevolezza epistemologica che accompagna sempre la riflessione dell’interprete, persino in maniera inconsapevole [1].

Si tratta di acquisizioni complesse, che una descrizione assai sintetica può organizzare in una progressione diacronica che muove dal superamento dell’antecedente teorico e, in parte, politico elaborato dalla teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici in termini di esclusiva connessione tra riconoscimento della personalità giuridica e rilevanza, per il diritto dello Stato, degli ordinamenti endoassociativi.

La disciplina delle associazioni non riconosciute accolta nel Codice civile avviava un processo di sistematica unificazione della soggettività metaindividuale, della capacità dei soggetti collettivi, caratterizzato dal riconoscimento dell’autonomia privata come necessario e sufficiente criterio giuridico di rilevanza della struttura organizzativa in forma di autonomo soggetto di diritto privato. Solo l’autonomia privata giustifica il valore giuridico che il fatto associativo assume attraverso la sua sussunzione in una fattispecie legale che non include, tra i suoi elementi, il riconoscimento della personalità giuridica [2].

La categoria normativa (associazione non riconosciuta) organizza il sapere ermeneutico, quello ricavato dall’interpretazione della disciplina delle associazioni riconosciute, nel senso che la personalità giuridica è estranea alla sistematica della soggettività metaindividuale; ossia nel senso della differenza tra soggettività e personalità giuridica: la seconda presuppone la prima di cui costituisce un modo giuridico, ma la soggettività prescinde dalla personalità giuridica [3].

Inoltre, la categoria normativa dell’associazione non riconosciuta delegittima, mediante il controllo di coerenza sistematica, la corrispondenza (coestensione) tra persona giuridica e limitazione della responsabilità. In particolare, esclude la coerenza sistematica di un esito ermeneutico delle discipline dei tipi societari, da un lato, e dell’associazione riconosciuta e non riconosciuta, dall’altro. Quello che riconosce nella limitazione della responsabilità lo specifico contenuto normativo della personalità giuridica.

L’ «insanabile conflitto» tra Primo e Quinto libro del Codice civile [4] dimostra in realtà una estensione ed una intensità maggiori di quelle rese visibili dalla contrapposizione tra società in accomandita semplice e società in accomandita per azioni. È infatti vero che nel Quinto libro il riconoscimento della personalità giuridica non esclude la responsabilità additiva degli amministratori; tuttavia, è altrettanto vero che il Primo libro del Codice civile non accoglie della personalità giuridica un significato che coincide in assoluto con la limitazione della responsabilità anche degli amministratori.

Infatti, da un lato, l’associazione senza personalità giuridica resta caratterizzata dalla limitazione della responsabilità degli associati; dall’altro, la responsabilità additiva, quella che caratterizza anche i tipi societari denominati accomandita semplice e per azioni, coinvolge solo le persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione [5]. Che queste siano anche amministratori e, soprattutto, che l’amministrazione nelle associazioni non riconosciute debba essere affidata ad associati sono esiti ermeneutici ricavati da una precomprensione di contenuto dogmatico: la connessione tra qualità di associato, da un lato, e amministrazione, rappresentanza, responsabilità, dall’altro [6]. Connessione giustificata dalla convinzione, di ispirazione liberale, che la relazione tra potere, responsabilità e partecipazione alle perdite [7] che caratterizza la gestione dell’impresa commerciale abbia un valore sistematico assoluto, non relativo solo al Quinto Libro del Codice civile. Tale convinzione induceva l’interprete a sviluppare un’ermeneutica dogmatica [8] della disciplina delle associazioni non riconosciute secondo il modello della società in accomandita per azioni [9].

In realtà la personalità giuridica, anche nel CTS, è una categoria normativa da collocare nella sistematica della tutela del mercato e, in particolare, della tutela del credito (il patrimonio minimo ex art. 22, comma 4 CTS), non in quella della soggettività metaindividuale. Nondimeno, la limitazione della responsabilità non è un contenuto normativo della personalità giuridica ma una caratteristica strutturale della disciplina dei tipi di organizzazione funzionale alla effettività del patrimonio come garanzia generica offerta dal soggetto metaindividuale: la personalità giuridica è formula che si limita a riferire l’esito di un procedimento di controllo circa le condizioni di effettività del meccanismo previsto ex art. 2740 cod. civ.


2. Segue. la funzione ermeneutica

Il discorso da svolgere deve insistere, invece, sulla funzione ermeneutica dell’associazione non riconosciuta. Una direzione di analisi meno consueta che mobilita la categoria normativa per interpretare una norma e, quindi, per acquisire le strutture di senso necessarie per la soluzione del caso. Si tratta di una strategia argomentativa che muove dal problema concreto per rintracciare nel dato normativo soluzioni applicative adeguate alle aspettative assiologiche accolte nella Costituzione e nelle norme interposte (interpretazione conforme) sia con riguardo ai casi previsti, sia con riguardo ai casi non previsti (interpretazione analogica). Un processo epistemologico che assume la forma dell’argomentazione pratica (logica materiale) e che si collega con l’argomentazione dogmatica (logico-analitica) realizzando una relazione euristica di reciproca integrazione e di reciproco controllo [10].

La riflessione sulla funzione ermeneutica dell’associazione non riconosciuta deve, in questa sede, limitarsi a considerare un quesito circoscritto ma assai significativo: verificare se la categoria normativa possa contribuire alla soluzione del problema ermeneutico sollevato dalla formula «altri enti di carattere privato diversi dalle società» (corsivo aggiunto) accolta nel CTS (art. 4).

Un quesito che a) riguarda l’individuazione dei soggetti del Terzo settore, e quindi l’estensione del Terzo settore quale «complesso di enti privati» (art. 1, comma 1, secondo periodo, l. n. 106 del 6 giugno 2016); e che b) coinvolge il principio di atipicità dei soggetti dell’organizzazione della libertà sociale nella elaborazione di strutture di senso normativo destinate a organizzare la qualificazione di un fatto nel segno della conformità al valore assiologico ordinante che la Costituzione attribuisce all’assetto dinamico del pluralismo [11].

In particolare: si tratta di stabilire se la formula «altri enti di carattere privato diversi dalle società» (art. 4 CTS) faccia riferimento a modelli organizzativi da ricondurre comunque alle «categorie (il legislatore non usa la parola tipi) di enti del TS che hanno una disciplina particolare» (art. 3 CTS) o alle associazioni (riconosciute o non riconosciute) o alle fondazioni (art. 20 CTS). Ovvero se è dato rintracciare – nel CTS o nella combinazione sistematica tra questo e il Codice civile (costruita dall’art. 3 CTS) – una fattispecie generale di fonte legale che riconosca all’ente, in maniera esplicita o implicita, la soggettività giuridica e che affidi poi a) all’autonomia privata la conformazione organizzativa dell’attività di interesse generale funzionale agli scopi selezionati dalla scelta legislativa (finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale) e b) alle discipline strutturali tipiche una funzione integrativa diretta del regolamento negoziale.

Detto in altri termini, si tratta di verificare se sia rintracciabile una fattispecie legale generale di soggettività atipica, ossia non riconducibile ad una delle strutture organizzative particolari, tipiche, che già includono il riconoscimento legale implicito della soggettività giuridica [12].

A ben vedere un interrogativo solo in parte identico a quello che sollevava il riferimento alle altre istituzioni di carattere privato nell’art. 12 cod. civ., formula questa che ancora compare nell’art. 1 del d.P.R. n. 361/2000, e che si ripropone anche con riguardo alla categoria “altro ente collettivo” menzionata nell’art. 1 del Codice della crisi dell’impresa (d.lgs. n. 14/2019) [13].

Il termine “istituzione” ha sollecitato ricostruzioni, in parte ancora replicate, motivate dal comprensibile timore dell’interprete che l’atipicità delle persone giuridiche consentisse l’espansione di un atteggiamento ostile ed autoritario dello Stato nei confronti di enti non riconducibili ad uno dei tre tipi di persone giuridiche disciplinati nel Codice civile: associazioni, fondazioni e società.

Un atteggiamento culturale ancora prigioniero del dogma della personalità giuridica come unica forma di soggettivizzazione dei gruppi organizzati che, nella originaria impostazione, cercava di costruire un più esteso concetto dogmatico di soggetto di diritto come presidio di libertà sociale garantito dalla Costituzione al sindacato ed al partito politico [14]. Si trattava di un’argomentazione di straordinaria innovazione culturale che utilizzava la forma dell’associazione non riconosciuta, e quindi il diritto privato, come tecnica convocata dal legislatore costituzionale, accanto al diritto pubblico, per la costruzione della democrazia pluralista. Ma quella impostazione, ancora molto legata ad una concezione statica dell’assetto pluralista accolto nella Costituzione, nel tentativo di circoscrivere il potere di controllo esercitato dallo Stato sui corpi intermedi, elaborava un modello argomentativo destinato ad incidere sulla costruzione del sistema costituzionale della soggettività metaindividuale. Infatti, la tassativa tipicità delle persone giuridiche accanto alla tipicità delle forme di soggettività giuridica costituzionale non personificata mediante il riconoscimento dello Stato (sindacato e partito politico), ha assecondato il consolidarsi della convinzione, in realtà del pregiudizio, che il principio di tipicità delle formazioni sociali garantite dalla Costituzione riuscisse a proteggere la democrazia pluralista dal pericolo di rinnovate degenerazioni autoritarie equivalenti se non identiche a quelle che la dittatura fascista aveva realizzato strumentalizzando a fini politici la teoria della pluralità degli ordinamenti. In quella impostazione, il problema da affidare al legislatore ordinario si esauriva nell’estensione del sistema normativo di riconoscimento della personalità giuridica anche alle associazioni ed alle fondazioni; e, quindi, si esauriva in una questione di eguaglianza formale rispetto alle società disciplinate dal Quinto libro del codice civile. Rimaneva estraneo al progetto ermeneutico e sistematico la questione dell’estensione della libertà associativa, e più in generale della garanzia di protezione costituzionale delle formazioni sociali, oltre la misura della libertà individuale: ossia il riconoscimento dell’atipicità dei soggetti privati dell’organizzazione della libertà sociale.


3. Atipicità dei soggetti privati costituzionali

Con la successiva elaborazione dell’assetto dinamico del pluralismo si afferma un modello argomentativo diverso [15]. L’interprete utilizza la divergenza – già annunciata dall’associazione non riconosciuta – tra soggettività giuridica metaindividuale, da un lato, e personalità giuridica, dall’altro, per riconoscere l’atipi­cità dei soggetti privati dell’organizzazione della libertà sociale come principio ordinante della legalità costituzionale.

La tutela individuale della persona, il riconoscimento dei diritti inviolabili anche all’interno delle “formazioni intermedie”, viene ricostruita nel segno della compatibilità con una sistematica della soggettività costituzionale caratterizzata nel senso della atipicità. L’assetto dinamico del pluralismo – quello che si caratterizza per l’assenza di un criterio selettivo, sia di carattere funzionale sia di carattere strutturale, di riconoscimento della soggettività costituzionale delle formazioni sociali – assicura la tutela individuale secondo meccanismi di controllo e di limite della libertà dei soggetti collettivi, ma non mediante la selezione, la limitazione, dei soggetti collettivi [16].

Il complesso discorso, a volerne riferire in estrema sintesi il senso e la conclusione, dimostra come la tassatività dei tipi di soggettività costituzionale di diritto privato, se osservata attraverso la connessione (integrazione) tra libertà individuale e libertà sociale che identifica il modello di pluralismo dinamico accolto nella Costituzione, realizza una limitazione della libertà individuale. A ben vedere si propone uno schema argomentativo non lontano – come schema – da quello che il privatista è ormai abituato ad utilizzare con riguardo alla liberà contrattuale: ogni limitazione della libertà sociale si risolve sempre in una limitazione della libertà individuale. Quindi, se dagli artt. 2 e 18 Cost. non è dato rintracciare una limitazione funzionale diversa da quella formalizzata con la riserva di legge rinforzata (norma penale) e se, in punto di analisi strutturale, l’unico limite imposto alle formazioni sociali è la tutela dei diritti inviolabili riconosciuti alle singole persone fisiche, l’interprete non può imporre alla libertà individuale il limite racchiuso nella tassatività dei tipi di soggetti dell’organizzazione della libertà sociale.

All’interno dello spazio di autonomia privata circoscritto dalla norma penale, la libertà individuale di associazione può essere limitata solo in funzione della tutela dei diritti inviolabili dei singoli, ma tale tutela si può realizzare anche con la limitazione della libertà dei soggetti metaindividuali non solo con la selezione, la tipizzazione costituzionale, dei soggetti collettivi del pluralismo. La prevalenza del modello dinamico del pluralismo costruito sulla atipicità è assicurata dall’art. 2 Cost., che riconosce le «formazioni sociali» come categoria aperta, non delimitata da indici funzionali o strutturali [17].

Viene quindi superata ed abbondonata la concezione della tipicità delle formazioni sociali intermedie e viene riconosciuto (in Costituzione) il principio dell’atipicità dei soggetti privati costituzionali. Tuttavia, i modelli argomentativi ancora troppo diffusi nella riflessione sugli enti di diritto privato continuano ad essere caratterizzati nel senso di una asimmetria culturale tra la ormai acquisita costruzione di un concetto dogmatico di soggetto di diritto come autonomo e indipendente (non condizionato) da quello di persona giuridica, da un lato; e la diffusa, spesso inconsapevole, propensione dell’interprete ad assecondare per la soggettività metaindividuale un’ermeneutica ancora edificata sul modello logico e analitico della tipicità delle persone giuridiche, dall’altro.

L’osservatore, anche quando riflette sulla associazione atipica o elabora diverse tipologie di fondazioni, tende a ricostruire il sistema della soggettività metaindividuale secondo il principio della tassatività dei tipi di persone giuridiche: associazione, fondazione e società [18]. In tal modo, i tipi di persone giuridiche assumono dignità argomentativa di tipi di enti soggettivizzati – ancorché privi di personalità giuridica – ed il principio di tassatività dei tipi ripropone della democrazia pluralista il modello statico che, nel segno della organica gradualità delle formazioni sociali intermedie, accoglieva e bloccava la socialità della persona in una serie ordinata e crescente di comunità intermedie, di contenuto economico, familiare, religioso, solidaristico o politico, che si integrano e si coordinano nello Stato [19].


4. Iscrizione nel registro del TS e limitazione della libertà degli enti

La questione ermeneutica sollevata dalla formula “altri enti di carattere privato “utilizzata nel CTS, rivela, dunque, un contenuto ulteriore rispetto a quello racchiuso nella vicenda storica legata alla formula “altre istituzioni di carattere privato”.

Infatti, la relazione identitaria costruita dal legislatore tra ETS ed enti iscritti nel registro nazionale del terzo settore (art. 4, CTS), se fosse collocata all’interno di un contesto ermeneutico incline a riconoscere la tipicità delle forme giuridiche che realizzano l’entificazione privata delle strutture organizzative, ossia delle organizzazioni riconosciute come soggetti giuridici, determinerebbe una duplice limitazione dei soggetti della libertà sociale: la prima attivata mediante il principio di tassatività dei tipi di soggettivizzazione, la seconda con l’iscrizione nel registro.

In tale ipotesi, però, la seconda limitazione incide sulla misura di libertà dell’ente di collocarsi all’interno del terzo settore e, quindi, di partecipare al processo allocativo di risorse pubbliche per la realizzazione di finalità di interesse generale; la prima, invece, seleziona e circoscrive le figure soggettive della libertà sociale e si pone, quindi, in contrasto con gli artt. 2 e 18 Cost.

Il problema sollevato dalla formula “altri enti di carattere privato” contenuta nell’art. 4 CTS si può risolvere solo mediante l’individuazione ermeneutica di una struttura di senso che sia conforme al principio costituzionale dell’atipicità soggettiva delle formazioni sociali intermedie, ossia al sistema costituzionale delle libertà associative.

Il limite attivato con l’iscrizione nel registro del terzo settore incide sulla libertà dei soggetti della solidarietà organizzata anche in funzione di protezione dei destinatari degli interventi di promozione sociale. In termini di efficienza allocativa delle risorse pubbliche destinate all’investimento sociale e, quindi, di tutela dei diritti individuali alla rimozione degli ostacoli che anche solo di fatto limitano o impediscono il pieno sviluppo della persona. Si tratta di una tecnica di controllo funzionale alla tutela individuale della persona che restituisce, in termini di disciplina particolare, il senso della più articolata e complessa connotazione che l’assetto dinamico del pluralismo ha raggiunto mediante l’acquisizione del principio di sussidiarietà orizzontale.

La limitazione della libertà dei soggetti della solidarietà organizzata per scopi di eguaglianza sostanziale è funzionale non solo alla tutela dei diritti della persona all’interno della formazione sociale, ma anche delle aspettative di integrazione e di promozione sociale dei soggetti destinatari dell’azione solidale.

In particolare, la limitazione che viene realizzata con la registrazione, incide sull’autonomia organizzativa dell’ente mediante la previsione di inderogabili condizioni conformative legali, da un lato, e mediante la tassativa tipizzazione delle attività di interesse generale (art. 5, comma 1, CTS), dall’altro. Al CTS resta estranea, invece, la tassativa tipizzazione delle forme giuridiche della soggettività metaindividuale: viene rispettato, detto in altri termini, il principio costituzionale dell’atipicità dei soggetti privati costituzionali [20].


5. Esistenza e qualificazione dell’ETS

All’esito del controllo ammnistrativo, o della verifica notarile ex art. 22, comma 2 CTS, l’iscrizione nel registro unico del TS assicura solo la qualificazione dell’ente di diritto privato come ETS. L’ente come autonomo soggetto giuridico deve esistere già prima della registrazione. La soggettività giuridica, ossia l’esi­stenza giuridica di un’organizzazione come ente di diritto privato, è (arg. ex artt. 22 e 47 CTS) una delle condizioni legali per la sua qualificazione “come ente del terzo settore [21].

La registrazione non incide sull’esistenza giuridica dell’ente di diritto privato, bensì solo sulla sua qualificazione come ETS. Il CTS presuppone la soggettività dell’ente, non contiene una disciplina del riconoscimento della soggettività giuridica metaindividuale [22].

Tuttavia, l’esistenza giuridica dell’ente diverso da quelli che hanno una disciplina legale, ossia da quelli tipizzati, è necessaria (condizione legale) per l’iscrizione nella sezione g) del registro (art. 46). Un dato normativo, quello appena indicato, che solleva il problema della qualificazione come ETS degli enti di diritto privato che non possono essere riconosciuti come soggetti giuridici mediante la qualificazione come associazione o fondazione – ovvero come fattispecie soggettive di secondo grado costruite attraverso l’associazione o la fondazione (artt. 32, 35, 37 e 41 CTS) – o come imprese sociali (art. 40 CTS) o come società di mutuo soccorso (art. 42 CTS) [23].

L’associazione non riconosciuta, in quanto categoria normativa destinata a liberare il sistema della soggettività metaindividuale dalla discrezionalità politica che caratterizza il riconoscimento concessorio della personalità giuridica, può orientare il processo ermeneutico che conduce all’individuazione della struttura di senso normativo conforme alla legalità costituzionale estesa alle norme interposte, che deve essere applicata, in concreto, per la soluzione di questo problema giuridico. Può contribuire alla soluzione, ad esempio, della questione se il trust possa o meno essere registrato come ente del terzo settore [24] Ma analoghi interrogativi possono sorgere con riguardo al contratto di rete tra imprese sociali, con riguardo al patrimonio destinato ex art. 2645-ter c.c., o in relazione al patrimonio destinato da una società benefit ad una finalità riconosciuta dal CTS (ex art. 2447-bis, c. c.). Con riguardo al comitato, l’esistenza giuridica dell’ente – quindi la sua soggettività – è stata già da tempo acquisita attraverso un procedimento ermeneutico che ha utilizzato l’associazione non riconosciuta [25]. Una modalità argomentativa che l’osservatore può utilizzare anche in relazione alla possibilità di ricondurre il comitato alla categoria degli “altri enti di carattere privato diversi dalle società” menzionata nell’art. 4 CTS. Nondimeno, a voler individuare un tipo di problema che include anche – non solo – gli ETS, la categoria normativa dell’associazione non riconosciuta potrebbe rintracciare le strutture di senso necessarie per un’applicazione analogica dell’art. 42-bis cod. civ. ad enti di diritto privato diversi dalle associazioni e dalle fondazioni [26].


6. Pluralismo e soggetti di diritto privato

Rispetto alla soggettività metaindividuale, la relazione sistematica tra Codice civile e Costituzione deve essere meditata ed approfondita nella direzione di analisi indicata dalla (ormai) acquisita consapevolezza circa il superamento della necessaria connessione tra acquisto della personalità giuridica ex art. 12 cod. civ. – secondo una modalità (concessoria) differente da quella prevista ex art. 2331 cod. civ. per le società di capitali (normativa) – e rilevanza dell’ordinamento interno dell’associazione per il diritto dello Stato.

Occorre muovere dall’idea del riconoscimento dell’autonomia privata come criterio del valore giuridico del fatto associativo sufficiente per rintracciare la forma tecnica, la modalità giuridica, che giustifica e realizza la rilevanza della formazione sociale per l’ordinamento statale.

Il principio pluralista che organizza il sistema costituzionale delle libertà associative consolida, nel segno di una compiuta elaborazione sistematica, un risultato ermeneutico che il Codice civile già aveva reso disponibile con la disciplina delle associazioni non riconosciute ex artt. 36 ss. Il riferimento è, in particolare, alla soggettività giuridica delle formazioni sociali come modalità tecnica della loro rilevanza rispetto allo Stato e come criterio costruttivo del diritto comune delle associazioni.

Si tratta di evitare la semplificazione, forse l’equivoco, racchiuso nell’idea che il riconoscimento e la garanzia dei diritti inviolabili dell’uomo “nelle formazioni sociali” dove si svolge la sua personalità non solo assicuri, ma esaurisca la rilevanza della formazione sociale rispetto allo Stato.

Una semplificazione, questa, assai insidiosa che rischia di assecondare una concezione del pluralismo come proiezione, svolgimento, delle situazioni giuridiche individuali – un “prolungamento” della libertà individuale di associarsi [27] – trascurando la necessità costituzionale di elaborare, con il riferimento all’art. 18 Cost., il senso e la misura della libertà come situazione collettiva, ossia dei diritti riconosciuti alla formazione sociale.

In realtà, è la connessione – integrazione – tra situazioni giuridiche individuali e situazioni giuridiche collettive che caratterizza la conformazione strutturale del pluralismo accolta in Costituzione. In particolare, a voler descrivere il modello paradigmatico di tale conformazione utilizzando le forme soggettive della sussidiarietà orizzontale, è possibile muovere dalla considerazione elementare che l’autonoma iniziativa riconosciuta ex art. 118, comma 4, Cost. ai cittadini “associati” è distinta da quella riconosciuta ai cittadini “singoli”.

Si tratta di una distinzione funzionale all’estensione in senso soggettivo, non oggettivo, del potere privato. Infatti, il medesimo potere, quello che ha ad oggetto l’esercizio di attività di interesse generale in base al principio di sussidiarietà, è riconosciuto non solo ai singoli cittadini, ma anche alle associazioni di cittadini. La norma estende il potere non incidendo sul suo contenuto oggettivo, bensì riconoscendo anche l’associa­zione, non solo il singolo, come autonomo soggetto dell’organizzazione della libertà sociale in base al principio di sussidiarietà. Il principio pluralista colloca la sussidiarietà orizzontale nel sistema delle libertà associative (individuale e collettiva); sistema che include anche l’associazione in senso lato (arg. ex art. 18 Cost.) tra i soggetti giuridici del potere privato di creare solidarietà sociale.

In particolare, la conformazione pluralista della libertà (a contenuto) sociale – intesa come fenomenologia solidaristica del potere di costruire «rapporti sociali» e «legami tra gli uomini (…), al di là di vincoli derivanti da doveri pubblici o da comandi dell’autorità» e non solo all’interno di formazioni sociali già individuate (contenuto del potere) [28] – organizza l’azione solidale, ossia l’esercizio della libertà sociale, secondo un modello soggettivo complesso (soggetti del potere).


7. Il sistema costituzionale della libertà sociale

I soggetti del potere di generare solidarietà sociale in base al principio di sussidiarietà sono individuati nel segno della necessità, ma anche dell’insufficienza della concezione individualistica del personalismo costituzionale. Accanto alla persona – singoli cittadini – viene riconosciuta la comunità – associazioni di cittadini – come autonomo e distinto soggetto della libertà sociale. Tale autonoma soggettività, nell’art. 118 comma 4 Cost., continua ad essere costruita sulla connessione tra situazioni individuali e situazioni collettive che già caratterizzava l’art. 18 e l’art. 2 Cost.

Infatti, la libertà individuale di associarsi senza autorizzazioni (arg. ex art. 18 Cost.) per fini che non siano vietati ai singoli dalla legge penale verrebbe compromessa se l’esistenza dell’associazione come esito del­l’esercizio individuale della libertà di associarsi, fosse subordinata ad autorizzazioni.

Quindi, la libertà individuale di associarsi senza autorizzazioni (principio personalista) esiste in concreto solo se viene riconosciuta e garantita la libertà dell’associazione di svolgere attività funzionali allo scopo lecito (principio pluralista). Libertà, quest’ultima, che deve essere limitata nel segno della garanzia dei diritti inviolabili dell’Uomo (art. 2 Cost.) e che, quindi, viene in concreto limitata mediante la costruzione di doveri imputati alla formazione sociale come soggetto costituzionale. Dunque, è la libertà dell’associazione che rende effettiva la libertà individuale di associarsi: la seconda è riconosciuta e garantita in concreto solo nella misura in cui è garantita e riconosciuta la prima.

Allo stesso modo, con riguardo all’art. 118, comma 4, Cost., l’autonoma iniziativa dei singoli associati può esistere solo come autonoma iniziativa dell’associazione. Infatti, se il potere privato di svolgere attività di interesse generale in base al principio di sussidiarietà non fosse riconosciuto e garantito anche al­l’associazione come autonomo soggetto giuridico, sarebbe riconosciuto a garantito solo ai singoli cittadini [29].

Quindi, soltanto l’esistenza dell’associazione come soggetto giuridico del potere privato garantisce la distinzione tecnica rispetto al potere individuale e, con questa, la effettiva estensione del dovere del soggetto pubblico di favorire la libertà di iniziativa solidale privata sulla base del principio di sussidiarietà.

La connessione – integrazione – tra situazioni individuali e situazioni collettive organizza (anche) il sistema della soggettività costituzionale della libertà sociale – quella che a) viene esercitata dai singoli e dalle associazioni e b) favorita dallo Stato secondo il principio della sussidiarietà – nel rispetto dell’assetto pluralista della democrazia accolto nella Costituzione.

Nondimeno, la libertà individuale di associarsi per lo svolgimento di attività di interesse generale può essere esercitata in concreto solo se a ciascuna associazione viene riconosciuta la medesima misura di autonomia di iniziativa; dunque, l’effettivo esercizio della situazione giuridica individuale include il riconoscimento di una pretesa delle associazioni all’eguale trattamento da parte della Repubblica nella costruzione degli interventi destinati a favorire l’autonoma iniziativa [30].


8. Soggetto e soggettivizzazione

Si è visto che il modello di democrazia pluralista accolto nella Costituzione riconosce la soggettività metaindividuale come modo – non l’unico – della rilevanza giuridica delle formazioni sociali, che l’autonomia privata può scegliere di realizzare utilizzando le forme giuridiche predisposte dal legislatore ordinario.

In tale direzione di analisi sistematica i tipi di soggetti giuridici metaindividuali, associazioni e società, diventano specifiche fattispecie legali soggettive e il riconoscimento della personalità giuridica si riduce a procedimento – di tipo normativo o concessorio – necessario solo per applicare al soggetto giuridico già esistente una particolare disciplina della responsabilità.

Il legislatore costituzionale riconosce la possibilità che la formazione sociale assuma la forma di autonomo soggetto del pluralismo (an del soggetto costituzionale); il legislatore ordinario, invece, organizza l’attribuzione (il riconoscimento) della soggettività all’organizzazione (quomodo della soggettivizzazione). Tuttavia, anche laddove il legislatore ordinario non abbia elaborato una fattispecie legale specifica di soggettività, ovvero l’abbia prevista ma l’autonomia privata abbia scelto in concreto di non attivarla, lo Stato deve comunque assicurare e garantire ai singoli la tutela dei diritti inviolabili all’interno delle formazioni sociali non soggettivizzate. Tale tutela individuale identifica la minima condizione di legalità costituzionale necessaria per garantire il primato della persona come principio di razionalità ordinante dell’assetto dinamico del pluralismo.

Garanzia, questa, che in realtà dovrebbe essere effettiva persino nelle ipotesi in cui la mancata soggettivizzazione della formazione sociale, da parte del legislatore ordinario o dell’autonomia privata, escluda la possibilità di attivare i meccanismi di protezione della persona rispetto alla comunità riconducibili al paradigma del rapporto giuridico tra soggetti di diritto.

A tale ultimo riguardo, il discorso non può insistere sul significativo valore euristico della famiglia. Non può, in particolare, soffermarsi sul problema della famiglia come autonomo soggetto di diritto.

Adesso è possibile solo limitarsi a sottolineare a) come la Costituzione riconosca, in realtà, i diritti «della famiglia» – ancorché nella più limitata concezione della «società naturale fondata sul matrimonio» – e b) come l’assenza di una esplicita fattispecie legale soggettiva non escluda la possibilità epistemologica che l’interprete rintracci, con riguardo alla famiglia, una fattispecie legale implicita di soggettivizzazione.

Interessa però sottolineare che l’esito negativo di quest’ultima operazione ermeneutica non potrebbe in ogni caso essere giustificato in base all’argomentazione per cui con la soggettivizzazione della famiglia si riconoscerebbe un superiore interesse collettivo destinato a funzionalizzare i diritti dei soggetti che compongono la famiglia. Una concezione, questa, incompatibile già con il significato letterale della disposizione contenuta nell’art. 2 Cost.

Il discorso deve invece soffermarsi sul rapporto tra riconoscimento legale della soggettività giuridica metaindividuale, ossia il quomodo della soggettivizzazione, e autonomia privata.

La soggettività metaindividuale è una tecnica costruttiva del pluralismo dinamico che viene accolta nella Costituzione in base al principio di autonomia privata e che riguarda, lo si è già accennato, il profilo collettivo della libertà della persona. Il Codice civile individua gli elementi strutturali necessari e sufficienti per il riconoscimento della soggettività e organizza il funzionamento del sistema (di riconoscimento) secondo il principio di razionalità ordinante del diritto privato: l’eguaglianza tra le capacità individuali di costituire soggettività metaindividuale.

L’eguaglianza formale della capacità giuridica riconosciuta alle persone fisiche nate (arg. ex art. 1 c. c.) assicura il funzionamento del principio costituzionale dell’autonomia privata secondo un modello che esclude la rilevanza della discrezionalità amministrativa per il riconoscimento della soggettività giuridica alla formazione sociale.


9. Il riconoscimento normativo della soggettività metaindividuale

L’autonomia privata accolta in Costituzione come principio fondamentale sia per la costruzione del­l’assetto dinamico del pluralismo, sia per l’effettivo funzionamento della sussidiarietà orizzontale, può attivare sempre le fattispecie legali di soggettivizzazione e solo in base alla condizione legale abilitante all’esercizio del potere (capacità).

La soggettività giuridica è riconosciuta sempre alla formazione sociale, se la capacità giuridica individuale sceglie di esercitare il potere di autodeterminazione in adempimento dell’onere conformativo previsto dalla fattispecie legale.

In tale direzione di analisi è dato riscoprire il significato più intimo, e per certi aspetti, più complesso del sistema normativo del riconoscimento della soggettività giuridica metaindividuale. Vuol dirsi che il sistema normativo è l’unica modalità di riconoscimento compatibile con l’assetto dinamico del pluralismo accolto in Costituzione mediante gli artt. 2 e 18 e 118.

La normatività del riconoscimento garantisce che sia solo l’autonomia privata ad attivare, mediante la eguale capacità giuridica individuale, il processo di soggettivizzazione di diritto privato. A predisporre gli elementi della fattispecie legale soggettiva – ossia le condizioni della sussunzione del fatto associativo (costitutivo) nella fattispecie legale soggettiva – conformando la struttura organizzativa in adempimento degli oneri imposti dal legislatore.

La soggettività metaindividuale resta un effetto legale subordinato al solo fatto di adempimento degli oneri conformativi; non costituisce, invece, autonomo e specifico contenuto dell’atto negoziale. Il dovere libero di conformazione (onere in senso tecnico) presuppone il concreto esercizio della capacità giuridica individuale (o collettiva) di scegliere (di volere) una determinata modalità conformativa dell’esercizio dell’autono­mia privata (volontà del fatto di adempimento), non la volontà della soggettivizzazione.

Vuol dirsi che, in punto di analisi teorico generale, il superamento della identificazione tra soggettività e personalità giuridica – che attraverso la forma giuridica del comitato sembra raggiungere persino la fondazione – può riproporre la contrapposizione teorico-generale tra sistema normativo e sistema concessorio del riconoscimento formale con riguardo alla soggettività giuridica.

La ripropone però come contrapposizione tra tecniche di soggettivizzazione costruite sulla correlazione tra autonomia privata e capacità giuridica individuale, da un lato, e tecniche che, invece, subordinano o comunque coinvolgono la discrezionalità politica della eterodeterminazione amministrativa, dall’altro. Processi di soggettivizzazione, questi ultimi, che impongono limiti alla libertà individuale di associazione e, in tal senso, restano estranei al tipo di pluralismo non selettivo, dunque aperto, che è stato accolto nella Costituzione.

A tale ultimo riguardo occorre almeno chiarire come la fondazione non sia un soggetto del pluralismo, bensì un soggetto dell’organizzazione delle libertà sociali che l’autonomia privata può decidere di collocare al servizio del pluralismo. Una forma giuridica che può persino generare una formazione sociale intermedia (i beneficiari), ma che non riesce a formalizzare, in termini di soggettività giuridica, una formazione sociale intermedia. Vuol dirsi di una funzione strumentale della fondazione rispetto al sistema costituzionale definito dalla combinazione degli artt. 2, 18 e 118, comma 4, Cost. che ancora giustifica la coincidenza tra soggettività giuridica e personalità giuridica in relazione all’utilità sociale del vincolo di destinazione imposto al patrimonio (arg. ex art. 41 Cost.); ma che non esclude la possibilità di ricostruire la fondazione non riconosciuta secondo un modello argomentativo simmetrico rispetto all’associazione non riconosciuta. Un modello elaborato utilizzando l’interpretazione analogica della fattispecie legale soggettiva specifica del comitato o del vincolo reale di destinazione dei beni rivelato dall’art. 32 cod. civ. [31].


10. Il soggetto metaindividuale come fattispecie legale

A voler sintetizzare gli esiti della circoscritta analisi sistematica che è stata svolta, può dirsi che la soggettività metaindividuale di diritto privato è riconosciuta mediante qualificazione sussuntiva; è subordinata sempre e solo alla sussunzione del fatto in una fattispecie soggettiva legale generale o specifica (implicita o esplicita). La sussunzione organizza la dinamica giuridica che identifica il sistema normativo di riconoscimento formale della soggettività, anche quando, lo si vedrà in seguito, la tecnica della riconduzione al tipo di soggetto è convocata dall’interprete per accertare che la struttura organizzativa atipica non ecceda la resilienza del tipo legale e, quindi, non imponga una diversa qualificazione sussuntiva.

L’autonomia privata è il “mezzo” (attiene al quomodo) non la “fonte” (an) della soggettività metaindividuale, e questa (la soggettività metaindividuale) è un effetto legale, non negoziale, dell’atto costitutivo [32]. Tale atto, nel processo di qualificazione sussuntiva che conduce al riconoscimento della soggettività metaindividuale, rileva come oggetto della qualificazione normativa (appartiene al fatto).

L’autonomia privata che voglia raggiungere la soggettività metaindividuale ha l’onere (in senso tecnico) di rispettare la conformazione organizzativa richiesta dal legislatore, ossia formalizzata mediante la determinazione degli elementi della fattispecie legale soggettiva.

Nella direzione di analisi indicata dal sistema normativo di riconoscimento della soggettività giuridica, conserva ragioni di significativa attualità l’esito teorico-generale per cui il «soggetto giuridico è una fattispecie» [33] Intendere la soggettività giuridica metaindividuale come fattispecie legale rende visibile, infatti, la effettiva funzione costituzionale del sistema normativo del riconoscimento. Tale sistema realizza una tecnica di uguaglianza formale (normatività) che custodisce il primato dell’autonomia privata, e con questo quello della capacità giuridica, nella concreta costruzione degli elementi selezionati dalla fattispecie legale come necessari e sufficienti per la sussunzione che conduce al riconoscimento della soggettività metaindividuale.

Tuttavia, per risolvere il problema ermeneutico sollevato dalla formula ‘ente di carattere privato’ che viene utilizzata nel CTS (art. 4), occorre sottolineare come tale formula – come quella che era contenuta nel­l’art. 12 cod. civ. – affidi all’osservatore solo una categoria dogmatica, non una categoria normativa. Vuol dirsi che la formula ‘ente di carattere privato’ non descrive una fattispecie soggettiva legale e, quindi, non può individuare la premessa maggiore della qualificazione normativa di carattere sussuntivo che organizza il riconoscimento della soggettività metaindividuale. Non assicura, detto in altri termini, il funzionamento del sistema normativo di riconoscimento della soggettività metaindividuale oltre i tipi legali disciplinati, oltre le fattispecie legali soggettive specifiche: associazione, società, fondazione e comitati [34].

Tale ultima considerazione giustifica la necessità di individuare una fattispecie soggettiva di fonte legale (anche implicita) che riconosca come soggetto l’ente che non sia riconducibile ad uno dei tipi legali; ossia che stabilisca gli oneri conformativi necessari e sufficienti per acquisire, in via di normatività, la soggettività metaindividuale. Una norma che assicuri il funzionamento del sistema normativo di riconoscimento della soggettività metaindividuale in conformità all’assetto aperto (non selettivo) e dinamico del pluralismo accolto dalla Costituzione e dunque nell’effettivo rispetto del principio dell’atipicità dei soggetti privati costituzionali.

Atipicità soggettiva che è, peraltro, necessaria nel CTS anche per compensare la tendenziale connotazione neocorporativa della disciplina (arg. ex artt. 55, 56 e 57 CTS) che organizza la distribuzione delle risorse pubbliche selezionando gli interlocutori privati degli enti pubblici [35]. Se, infatti, solo gli enti del terzo settore sono i soggetti abilitati ad accedere alle forme di sostegno riconosciute dallo Stato all’iniziativa privata (pluralismo assistito); se, in altri termini, solo gli enti registrati possono partecipare alla strategia di investimento sociale attivata dallo Stato – solo l’atipicità degli enti potrà garantire il primato dell’autonomia privata e dell’uguaglianza di capacità nella costruzione delle condizioni soggettive antagoniste che assicurano il funzionamento (conflittuale) del pluralismo.


11. Le funzioni della soggettività metaindividuale: funzione infrastrutturale

Il discorso svolto ha già chiarito il senso e la misura in cui è possibile riconoscere nella soggettività metaindividuale di diritto privato una infrastruttura della democrazia pluralista.

A tal riguardo, occorre adesso solo ricordare come le più evolute dottrine del pluralismo giuridico avevano avviato e sollecitato una “rilettura” delle categorie dogmatiche e normative del diritto privato orientata, da un lato, alla elaborazione di una più complessa razionalità sistematica edificata sul rapporto di reciproca interferenza esegetica tra Costituzione e Codice civile; dall’altro e più in particolare, alla estensione della dottrina della pluralità degli ordinamenti oltre il superamento della identificazione tra Stato e diritto, sino a ricostruire un diverso modello di sovranità articolato non solo sui diritti inviolabili del singolo ma anche sulla garanzia costituzionale delle formazioni sociali come limiti al potere dello Stato [36].

In quelle ricostruzioni, la soggettività metaindividuale veniva riconosciuta come categoria sistematica – una struttura concettuale che racchiude il sapere ermeneutico elaborato dalla dogmatica – movendo dal sindacato (art. 39 Cost.) e dal partito politico (art. 49 Cost.) quali fenomenologie della funzione infrastrutturale affidata dalla Costituzione al diritto privato.

Il principio pluralista (art. 2 Cost.) organizza la democrazia riconoscendo l’autonomia privata, attraverso la eguale capacità giuridica (art. 1 cod. civ.) e la pari dignità sociale delle persone fisiche, come contenuto di una libertà di scelta che non si esaurisce nell’attivazione delle forme giuridiche – si pensi ad esempio al contratto, ai diritti reali, all’impresa e alla famiglia – costitutive e conformative dei rapporti economici e personali.

La Costituzione mobilita il diritto privato come tecnica giuridica per realizzare una forma di Stato che affida alle libertà associative, dunque all’autonomia privata, il compito pubblico di costruire le articolazioni sociali e le figure soggettive funzionali alla diffusione della effettiva partecipazione dei singoli – soggetti con uguale capacità giuridica – all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Un esito sistematico, quello appena evocato, confermato e persino rinforzato dal comma 4 dell’art. 118 Cost., ossia da una disposizione che convoca il “principio di sussidiarietà“ per organizzare lo svolgimento delle attività di interesse generale secondo un modello istituzionale in cui il diritto privato si colloca accanto al diritto pubblico come autonoma infrastruttura dell’integrazione tra Stato e società civile, che caratterizza le democrazie pluraliste rispetto alle più risalenti tradizioni liberali.

Il discorso ancora da svolgere non può insistere oltre sulla funzione infrastrutturale della soggettività metaindividuale di diritto privato, né assecondare la suggestiva direzione di analisi dogmatica che tale funzione indica all’interprete con riguardo al ridimensionamento, se non al superamento, della distinzione tra interesse particolare (individuale o collettivo) e interesse generale – non in assoluto ma – come indice della diversa ed autonoma razionalità sistematica del diritto privato rispetto al diritto pubblico [37] Se mai, ma si tratta di un’ipotesi che deve rimanere sullo sfondo, è la disponibilità dell’interesse (senza aggettivi) – intesa come categoria da meditare con riguardo alla (eguale) capacità giuridica e non come formula che custodisce un’intrinseca essenza dell’interesse – che può individuare il principio di razionalità ordinante del diritto privato.


12. Segue. Il compito pubblico della soggettività metaindividuale.

Adesso occorre almeno sottolineare come la funzionalizzazione della soggettività metaindividuale di diritto privato alla edificazione della democrazia pluralista riveli all’interprete l’urgenza di una riflessione sistematica meno sbrigativa di quella che continua a distinguere il diritto pubblico dal diritto privato movendo dalla concezione liberale della relazione tra interesse generale e diritto pubblico, ossia dal principio dogmatico per cui il perseguimento del bene comune sia solo un compito dello Stato. Se, infatti, a) è generale l’interesse al perseguimento del bene comune e b) tale compito pubblico è di competenza esclusiva dello Stato, ne deriva che c) la relazione tra interesse generale e diritto pubblico custodisce e formalizza un valore (politico e) istituzionale assoluto e necessario. Le democrazie pluraliste, al contrario, escludono il monopolio statale nell’individuazione e nel perseguimento del bene comune e fissano le condizioni di legalità costituzionale per l’autonoma attivazione di processi sociali nell’interesse generale che utilizzano le forme del diritto privato e, in particolare, la soggettività metaindividuale.

In realtà, è proprio il compito pubblico del diritto privato a rivelare la più intima essenza della democrazia pluralista: il superamento del monopolio statale nella selezione e nella gestione dell’interesse generale che caratterizza, invece, le democrazie liberali.

Un modello organizzativo della sovranità che, nei limiti della legalità costituzionale estesa alle norme interposte, affida la selezione dell’interesse generale, del «bene comune» (cfr. art. 1, CTS), sia alla decisione politica sia alla decisione sociale [38] Un modello che riconosce ai soggetti del diritto privato non solo il potere di organizzare la (o di partecipare alla) gestione dell’interesse generale selezionato (tipizzato) dalla scelta politica formalizzata dal legislatore costituzionale o ordinario, ma anche il potere di organizzare processi di legittimazione sociale della scelta che individua un’attività di interesse generale e che mobilita forme giuridiche di cooperazione per la sua realizzazione (arg. ex art. 18 e art. 118, comma 4 Cost.). Il contratto (con comunione di scopo) e la soggettività metaindividuale sono tecniche di gestione dell’interesse generale ‘atipico’, anche di quello selezionato nel segno del dissenso, o persino del conflitto, rispetto alla scelta politica prevalente.

Un modello di sovranità diffusa, quello appena evocato, che non rinuncia alla possibile prevalenza della scelta politica formalizzata dal legislatore rispetto alla scelta sociale e che, quindi, individua il limite della libertà associativa (art. 18, Cost.) e che, d’altro canto, riconosce il “principio di sussidiarietà” con riguardo allo “svolgimento” e non all’individuazione delle attività di interesse generale (art. 118, comma 4 Cost.). La (possibile) atipicità dell’interesse generale non deriva da un limite costituzionale al potere del legislatore.


13. Segue. L’interesse collettivo

In punto di analisi teorico-generale, si tratta di una vicenda giuridica e culturale che può essere adesso solo ricordata in termini di progressiva emancipazione del discorso giuridico dalla “necessità” logico-argomentativa della categoria dell’interesse collettivo. Un dispositivo dogmatico che la riflessione sul diritto sindacale post-corporativo aveva raccolto e rielaborato, in realtà, per assecondare un’esigenza di coerenza sistematica avvertita dall’interprete con riguardo alla divergenza tra funzione pubblica e natura privatistica del sindacato [39].

Nella successiva riflessione, l’interesse collettivo viene costruito, anche osservando la concreta esperienza giuridica, come fenomenologia dell’interesse individuale che l’interprete utilizza per sostenere un processo epistemologico in cui le categorie dogmatiche sono utilizzate per gestire le differenze tra le forme e le tecniche di tutela giurisdizionale del diritto privato e quelle del diritto pubblico. Un’operazione culturale che cercava di costruire soluzioni applicative disponibili ad accogliere istanze di piena ed effettiva tutela giurisdizionale in un contesto sistematico ancora caratterizzato nel senso della irrisarcibilità del danno da lesione dell’interesse legittimo, e ancora lontano sia dall’acquisizione del principio di atipicità delle forme di tutela sia dal riconoscimento delle azioni collettive (art. 840-bis e art. 840-sexiesdecies cod. proc. civ.) [40] Una evoluzione assai istruttiva che, tuttavia, deve rimanere sullo sfondo; adesso occorre solo sottolineare come l’in­teresse collettivo abbia un’origine concettuale di tipo induttivo che riconosce in un fatto (anche, non solo, negoziale) la fonte di una serie di bisogni individuali che il contratto o la soggettivizzazione possono organizzare come interesse comune a più parti o come sintesi (“combinazione”) unitaria generata dall’esercizio della libertà associativa [41]; ovvero che possono rimanere e rilevare solo come interessi diffusi in una determinata formazione sociale (anche occasionale).

L’interesse collettivo, inteso come categoria dogmatica collocata – accanto all’interesse individuale – in quella di interesse particolare che si contrappone all’interesse generale, ha svolto una funzione euristica di protezione e di conservazione della distinzione tra interesse privato e interesse generale. In particolare, ha custodito e conservato il valore sistematico del criterio che già organizzava la dicotomia “diritto pubblico – diritto privato”, ed è riuscito altresì a garantire la legittimazione teorica e tecnica del diritto privato come forma giuridica costruttiva del sistema pluralista.

Resta, tuttavia, una fenomenologia teorica ancora legata, o in larga parte influenzata, dalla identificazione di matrice liberale tra compito pubblico, bene comune (interesse generale) ed esclusiva, necessaria competenza dello Stato [42]. Una direzione di analisi che tende a riconoscere nella garanzia costituzionale del sindacato e del partito politico più una specificità che l’indice sistematico di una più estesa ed articolata funzione infrastrutturale del diritto privato.

La formula “interesse collettivo” racchiude ed evoca un’evoluzione teorica utile anche per comprendere gli iniziali timori, le difficoltà e i pregiudizi ideologici che assecondavano letture della Costituzione inclini a sottovalutare il carattere non selettivo e dinamico del pluralismo che emergeva, invece, dall’art. 18 in relazione agli scopi e che, dunque, già includeva la possibilità che i cittadini si associassero per “fini” di interesse generale autodeterminati e legittimati per decisione sociale. Un atteggiamento culturale che sembra confermato, ma con riguardo ad interessi generali tipizzati dalla scelta politica formalizzata mediante la norma di rango costituzionale, dal modesto valore sistematico – non certo tecnico – riconosciuto all’art. 33 Cost. laddove si garantisce ad “enti e privati” il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione “senza oneri per lo Stato” ed all’art. 38, ult. comma.


14. La funzione rimediale

La funzione infrastrutturale che la Costituzione della democrazia pluralista affida alla soggettività metaindividuale di diritto privato rivela, dunque, le insidie e i limiti culturali delle impostazioni che continuano ad assecondare le suggestive simmetrie sistematiche edificate sulla relazione, percepita dall’interprete come assoluta ed esclusiva, tra interesse generale al perseguimento del bene comune e diritto pubblico. Il principio costituzionale pluralista organizza la sovranità nel rispetto dei limiti che la complessità sociale impone alla rappresentanza politica e utilizza la soggettività metaindividuale di diritto privato come tecnica giuridica che garantisce l’inclusione e la conflittuale partecipazione della società civile nel funzionamento delle istituzioni statali (società politica) [43]

Tuttavia, l’analisi funzionale della soggettività metaindividuale rivela un contenuto tecnico ed un valore sistematico più estesi. Non si esaurisce nella individuazione della infrastruttura giuridica che in concreto abilita il diritto privato alla costruzione del pluralismo delle istituzioni e del pluralismo nelle istituzioni [44].

Infatti, la soggettività metaindividuale è la categoria sistematica che ha attivato e orientato la strategia ermeneutica di progressivo adeguamento della funzione rimediale del diritto privato alla Costituzione e, in particolare, alla relazione tra democrazia pluralista e giurisdizione. Una struttura di senso giuridico disponibile ad accogliere e riprodurre nel processo civile la complessità ed il conflitto sociali e, quindi, a superare i limiti che la concezione liberale dell’organizzazione sociale imponeva alla funzione rimediale del diritto privato, da un lato, attraverso la esclusiva distinzione tra interessi differenziati (individuali) e interessi generali (pubblici); dall’altro, riconoscendo nel diritto soggettivo il fondamento ed il limite della sovranità esercitata dallo Stato in forma di controllo giudiziale attivato dall’iniziativa processuale individuale (azione).

L’evoluzione istituzionale e politica scandita dalla progressiva affermazione di modelli rimediali collettivi elaborati mediante “l’uso alternativo” delle tradizionali tecniche individuali della tutela civile, è stata avviata e in larga parte realizzata dalla soggettività metaindividuale nel rapporto giuridico processuale.

In tal modo, la tecnica della soggettività giuridica ha attivato la giurisdizione (anche) come modalità di legittimazione democratica di interessi e bisogni di tutela diversa dalla rappresentanza politica funzionale alla mediazione legislativa tra fatto e norma giuridica; ed ha, in particolare, realizzato forme di controllo sociale (di legalità) dell’esercizio del potere privato e del potere pubblico emancipate dall’imputazione della situazione giuridica e dalla esclusiva corrispondenza tra l’interesse individuale dell’attore e quello del convenuto.

Una forma di mediazione giuridica tra società civile e istituzioni statali (società politica) destinata ad accogliere e proteggere interessi organizzati ma non imputabili a soggetti individuali o collettivi e che, proprio attraverso la trasparenza istituzionale della giurisdizione, può assicurare visibilità e legittimazione sociale a bisogni di protezione che la logica rimediale individualistica delle democrazie liberali – ossia quella edificata solo sull’imputazione dell’interesse – condannerebbe al silenzio ed all’irrilevanza [45].

A riguardo è necessario sottolineare subito che, in relazione alla funzione rimediale del diritto privato, la soggettività metaindividuale può rivelare un contenuto tecnico ulteriore rispetto a quello individuato con il riferimento all’organizzazione della produzione dell’azione ed all’organizzazione dell’imputazione del­l’azione e dei suoi effetti [46] La categoria sistematica custodisce una struttura di senso che riesce ad assumere nella dinamica giuridica una identità funzionale ancora più estesa di quella che l’osservatore può percepire osservando il modello offerto dai tipi di società commerciale. La soggettività metaindividuale può essere costituita, infatti, secondo modelli causali diversi in ragione della rilevanza finale o solo strumentale dell’im­putazione.

Quando è l’imputazione a giustificare la costruzione della soggettività metaindividuale, la funzione rimediale del diritto privato continua a manifestarsi nel rapporto giuridico processuale secondo lo schema individualistico tradizionale. In tal caso, la tecnica della soggettività viene mobilitata dall’autonomia privata non solo per istituire e conservare, con riguardo alla produzione ed alla gestione dell’attività, un assetto del potere decisionale edificato sulla (tendenziale) corrispondenza tra soggetti organizzati e organizzazione soggettivizzata. Viene utilizzata altresì per differenziare – mediante l’imputazione – la posizione giuridica di potere e di responsabilità dei soggetti organizzati rispetto a beni, utilità o valori economici suscettibili di appropriazione o di fruizione individuali.

Laddove invece la soggettività metaindividuale venga mobilitata per attivare processi di legittimazione sociale, l’imputazione rileva solo come strumento di una strategia istituzionale elaborata e realizzata dall’au­tonomia privata. L’imputazione è funzionale alla rappresentazione di un interesse selezionato, dall’au­tonomia privata o dalla mediazione legislativa, come rilevante e meritevole di protezione solo in quanto principio organizzativo di una comunità (arg. ex art. 2601 c.c.; art. 28 Statuto dei lavoratori) o elemento di aggregazione che sollecita e orienta l’azione o il controllo sociali (arg. ex art. 118, comma 4, Cost.). In tal caso, la soggettività metaindividuale serve a rappresentare (manifestare), non a differenziare (imputare), situazioni di bisogno o condizioni esistenziali nel rapporto giuridico processuale; e la funzione rimediale del diritto privato assume rilevanza anche come modalità conformativa del rapporto tra giurisdizione e democrazia pluralista.


15. Imputazione e rilevanza rimediale dell’interesse

Nel sistema originario del Codice civile, anche la funzione rimediale del diritto privato viene affidata dal legislatore storico a schemi normativi e apparati concettuali ispirati all’individualismo liberale. Prevale, nelle ragioni politiche che orientano le scelte normative, l’idea che il bene comune – l’interesse generale – debba essere realizzato, in misura prevalente ancorché non esclusiva, attraverso le iniziative individuali [47].

Tuttavia, l’intenzione di elaborare fattispecie normative che assicurino rilevanza rimediale solo al bisogno di tutela individuale, ossia che condizionino il funzionamento del rimedio all’imputazione (imputabilità) del­l’interesse meritevole ad un soggetto determinato, non ha impedito all’interprete di sviluppare una strategia ermeneutica orientata alla ricostruzione di una sistematica delle forme e delle tecniche di tutela del diritto privato adeguata alla legalità costituzionale estesa alle norme interposte (principio di effettività).

Il discorso, a riguardo, deve limitarsi a segnalare gli esiti acquisiti dall’interprete utilizzando, nella mediazione epistemologica attivata dal sapere dogmatico, il concetto di soggettività metaindividuale come categoria sistematica.

Occorre muovere dalla considerazione generale che la realizzazione della funzione rimediale del diritto privato è subordinata all’attivazione di tecniche di tutela dell’interesse riconosciuto meritevole di protezione in base ad un criterio oggettivo di valore giuridico riconducibile alla scelta del legislatore o all’autonomia privata. Nondimeno, ed è questo l’aspetto che adesso deve essere considerato, la concreta rilevanza di un interesse meritevole (in astratto) di protezione dipende, altresì, dalla sua imputazione ad un soggetto.

Se, dunque, il funzionamento rimediale del diritto privato presuppone la capacità giuridica – la soggettività – come condizione abilitante all’imputazione, può ritenersi che la rilevanza dell’interesse meritevole di tutela sia riconosciuta anche in base ad un criterio soggettivo del valore giuridico (capacità-impu­tazione).

La necessità e l’insufficienza della oggettiva rilevanza giuridica di un interesse trova ragione di indiretta conferma anche nelle riflessioni sulla legittimazione processuale periorganica – ossia una legittimazione processuale né in nome proprio né in nome altrui – che analizzano e rimeditano il rapporto tra soggetto e tutela giurisdizionale nel segno della costruzione di un processo civile emancipato dall’imputazione al soggetto come indice di appartenenza (titolarità) dell’interesse e fonte del potere di agire in nome proprio o in nome altrui (legittimazione ad agire). Un modello processuale non rappresentativo, elaborato proprio per giustificare l’attivazione – da parte del gestore di un patrimonio – di tecniche rimediali funzionali solo alla protezione di un interesse del patrimonio e, dunque, né imputabile al soggetto titolare del patrimonio né ad altri soggetti [48].

Osservata attraverso le forme e le tecniche di tutela del diritto privato, la soggettività metaindividuale costruisce un ulteriore soggetto della funzione di giustizia [49] e, in tal modo, estende oltre la persona fisica la possibilità dell’imputazione e, quindi, della dinamica giuridica attivata dalle tecniche di tutela del diritto privato. Peraltro, ma si tratta di un aspetto che può essere adesso solo evocato, è proprio con riguardo a questa funzione della soggettività metaindividuale che acquista significativo valore sistematico la critica alla teoria della finzione che veniva manifestata affermando che la personalità degli enti collettivi estende la categoria dei soggetti giuridici, e non quella dei soggetti umani [50].

La progressiva acquisizione, ermeneutica e legislativa, della tutela collettiva come categoria sistematica elaborata utilizzando una concezione del principio di effettività più evoluta di quella che (ancora) caratterizza la tutela individuale, emancipa le tecniche rimediali del diritto privato dalla assoluta necessità logica e tecnica del criterio soggettivo del valore giuridico. La capacità giuridica degli enti di diritto privato assicura la condizione soggettiva di rilevanza rimediale dell’interesse, quello selezionato come meritevole di protezione in base al criterio oggettivo, oltre il limite dell’imputazione al soggetto giuridico. Estende, quindi, la rilevanza rimediale (di diritto privato) agli interessi generali, ossia agli interessi che possono essere solo rappresentati (manifestati) dal soggetto metaindividuale e la cui considerazione giuridica non è subordinata, come per gli interessi individuali e collettivi, all’imputazione (imputabilità).


16. Segue. Imputazione e rappresentanza

Un’evoluzione che, in realtà, non dimostra la coerente continuità di una consapevole strategia istituzionale. Infatti, in una prima fase, tutela individuale e tutela collettiva dissimulano strategie argomentative che in misura significativa, e secondo percezioni teoriche assai diverse, utilizzano la soggettività metaindividuale per trasformare la logica dell’imputazione in principio di razionalità ordinante del sistema rimediale di diritto privato [51].

A riguardo, il discorso deve limitarsi a sottolineare come tali categorie abbiano accolto e trasmesso l’alternativa sostanziale tra interesse particolare e interesse generale che organizzava, e nelle percezioni prevalenti ancora organizza, la distinzione tra diritto pubblico e diritto privato.

Un’operazione culturale che tenta di ricondurre l’ermeneutica orientata alla legalità costituzionale estesa alle norme interposte (art. 24 Cost.; artt. 6 TUE e artt. 6 e 13 CEDU) nella logica dell’imputazione; e che, in tal modo, immagina di proteggere e conservare, anche con riguardo alla tutela collettiva, la coerenza epistemologica dello schema argomentativo che riconduce l’interesse particolare (individuale o collettivo) al diritto privato e l’interesse generale al diritto pubblico.

L’interesse collettivo presuppone gli interessi individuali e, attraverso questi, l’imputabilità del bisogno a soggetti determinati o determinabili in base al contratto o in base a criteri legali che possono far riferimento alla categoria professionale (arg. ex art. 2601 c.c.), oppure a fatti biologici, biografici, status, condizioni personali o sociali. L’interesse generale rileva, invece, solo in ragione dell’oggetto (ad es. ambiente, istruzione, assistenza, funzionamento del mercato) non del soggetto del bisogno, ed è quindi emancipato non solo dal­l’imputazione (imputabilità), ma persino dall’attualità ontologica del soggetto (l’esistenza di un soggetto) e, quindi, può rilevare anche per le generazioni future.

La soggettività metaindividuale aggrega [52], ma nel senso dell’unitaria imputazione, gli interessi individuali convergenti nella direzione teleologica indicata dallo scopo dell’organizzazione e, quindi, realizza una forma di integrazione diversa da quella ottenuta mediante il contratto con comunione di scopo che non incide, invece, sull’imputazione individuale dei poteri e dei doveri ai soggetti-parte del contratto. Tuttavia, l’al­ternativa tra soggetto metaindividuale e contratto con comunione di scopo si risolve in una diversa struttura dell’imputazione dell’interesse, ma presuppone sempre la soggettività (individuale o metaindividuale) come tecnica di imputazione dell’interesse protetto.

Ricostruiti come interessi individuali organizzati dalla soggettività metaindividuale, gli interessi collettivi sono stati attivati nella dinamica giuridica, non solo quella rimediale, con il meccanismo della rappresentanza (indiretta) di diritto privato. Una ricostruzione assai consolidata che ha utilizzato, ancorché con diversità di impostazioni e di sensibilità culturali, il modello giuridico del mandato per elaborare e proteggere [53] una strategia di funzionalizzazione dell’organizzazione dell’interesse collettivo (solo) agli interessi individuali organizzati. Un modello che presuppone e regola sempre un fatto di imputazione da ricondurre alla logica individualistica della rappresentanza: quella che è caratterizzata dalla individuazione (individuabilità) del soggetto rappresentato e che l’osservatore utilizza per confermare l’integrità del valore sistematico da riconoscere alla distinzione tra diritto pubblico e diritto privato.

È infatti l’assenza del rappresentato – ossia del centro di imputazione dell’interesse individuale – che caratterizza la rappresentazione dell’interesse generale come fatto politico-istituzionale, distinguendola dalla rappresentanza come forma di esercizio della capacità giuridica e dell’autonomia negoziale del singolo o del gruppo quali soggetti rappresentati [54].

Persino la complessa vicenda culturale e ideologica che ha accompagnato la riflessione sulla personalità giuridica come limitazione della responsabilità patrimoniale dei singoli e sulla possibilità e le condizioni tecniche del suo superamento, solleva interrogativi ed argomenta soluzioni rimediali in relazione al fatto di imputazione che identifica, attraverso la soggettività metaindividuale, il senso della contrapposizione tra autonomia patrimoniale perfetta e imperfetta.

La soggettività metaindividuale può assicurare anche la rilevanza rimediale metatemporale di un interesse individuale formalizzato come interesse di un patrimonio. Ossia di un interesse che si manifesta e si concretizza mediante un vincolo di destinazione del patrimonio ad uno scopo; vincolo che riesce ad emanciparsi dal limite ontologico naturale o formale imposto dal tempo. Vuol dirsi, in particolare, che la fondazione può realizzare persino la perpetuazione dell’interesse del fondatore alla destinazione del patrimonio allo scopo.


17. Segue. La rappresentazione dell’interesse generale

Il discorso sulla funzione rimediale del diritto privato non può adesso soffermarsi sulla tutela individuale dell’interesse generale, ossia sulle ipotesi in cui la difesa della proprietà o i rimedi contrattuali o, ancora, la protezione dell’impresa attivati dal singolo riescono a tutelare, in via solo mediata o riflessa, anche interessi generali [55]. Ipotesi in cui, a voler esemplificare, la disciplina delle immissioni o quella degli atti emulativi o la tutela risarcitoria o l’abuso del diritto vengano mobilitati per tutelare l’interesse individuale alla protezione dell’ambiente, delle biodiversità o degli ecosistemi secondo un modello ragguagliabile – solo per struttura non certo per contenuto tecnico – a quello consueto nella riflessione sulla tutela della salute come fondamentale diritto dell’individuo e come interesse collettivo.

Deve, in altri termini, rimanere ai margini della riflessione la considerazione della concorrenza, coincidenza, o dell’interferenza di interessi generali e di interessi particolari, individuali e di gruppo, nella disciplina dei rapporti sociali. Una direzione di analisi che pure potrebbe contribuire a ridimensionare il valore sistematico della distinzione tra interessi, almeno nel senso che le qualificazioni come individuale, collettivo o generale, se riferite all’interesse inteso come bisogno riconosciuto e protetto dall’ordinamento giuridico, non rivelano né custodiscono un’identità sostanziale. Non descrivono un contenuto da ricondurre all’alternativa sostanziale scandita dal riferimento al bonum commune (utilità sociale) o al bonum privatum (utilità privata). Rivelano solo la misura – non l’an, né il quomodo – del riconoscimento dell’interesse come meritevole di protezione in base al criterio dell’imputazione [56].

La rilevanza particolare (individuale o collettiva) dell’interesse è limitata dalla necessità dell’esistenza antecedente del soggetto fisico (persona) o metaindividuale dell’imputazione. Al contrario, la rilevanza generale dell’interesse riconosciuto meritevole di tutela non presuppone l’imputazione. Il bisogno viene tutelato come contenuto dello statuto giuridico della persona in base ad un meccanismo di uguaglianza formale e, quindi, costruisce non presuppone la capacità giuridica.

L’interesse individuale che coincide con l’interesse generale, o lo incontra, assume rilevanza rimediale solo nei limiti dell’imputazione di una situazione giuridica soggettiva. Paradigmatico, a riguardo, il modello logico e concettuale rintracciabile nella relazione tra diritto soggettivo e danno ingiusto [57].

In tale direzione di analisi, occorre adesso insistere proprio sulla considerazione che il soggetto metaindividuale può essere il centro di imputazione di un interesse (particolare), ma può anche attivare la funzione rimediale del diritto privato utilizzando una tecnica diversa dall’imputazione.

Nella concreta esperienza emergono, da tempo e con crescente frequenza, ipotesi in cui il legislatore utilizza la capacità giuridica metaindividuale anche in funzione di rappresentazione e di attivazione di un interesse generale. Un interesse che l’ordinamento giuridico riconosce come meritevole di protezione solo in ragione del suo contenuto (criterio oggettivo di rilevanza) e che anche il diritto privato può raggiungere mediante una tecnica di entificazione affidata all’autonoma iniziativa dei «cittadini (…) associati» quale indice sufficiente del valore giuridico. Un criterio del valore giuridico alternativo rispetto all’imputazione ed alla logica dell’appartenenza individuale del bisogno di protezione.

La rilevanza giuridica rimediale dell’interesse generale è assicurata dalla costruzione di una articolazione sociale organizzata in forma di soggetto che funziona come mezzo, come strumento tecnico, per la rappresentazione unitaria e, quindi, per assicurare l’effettiva esistenza rimediale dell’interesse che resta non identificabile per imputazione.

A tal fine può essere utilizzata, dal legislatore, non solo una tecnica di diritto pubblico ma anche una tecnica di diritto privato. In particolare, quella affidata all’eguale capacità giuridica individuale di esercitare l’autonomia privata garantita dalla Costituzione nel senso della costruzione di strutture organizzative che attivano il sistema normativo di soggettivizzazione. In tal modo, la soggettività metaindividuale di diritto privato predispone l’antecedente necessario del private enforcement di un interesse generale.

Proprio quest’ultimo riferimento suggerisce di sottolineare altresì che la soggettività metaindividuale, con la rappresentazione dell’interesse generale, assicura anche la condizione giuridica rimediale della situazione antagonista [58] Il riferimento alla legittimazione processuale passiva aiuta a comprendere una funzione rimediale ‘inversa’ della soggettività metaindividuale: quella che esclude la possibilità che esistano ambiti di immunità generati dall’assenza di una capacità di legittimazione soggettiva che assicuri l’effettiva azionabilità del dovere. La tutela giurisdizionale degli interessi generali inerenti, ad esempio, all’ambiente, alla biodiversità, agli ecosistemi, al buon funzionamento del mercato e alla sostenibilità della spesa sociale (pensioni, assistenza, sanità), interessi che oltrepassano le singole vicende esistenziali e che coinvolgono persino le future generazioni, ha bisogno della soggettività metaindividuale anche come destinatario della specifica domanda di protezione. D’altro canto, anche la garanzia dei diritti inviolabili riconosciuti all’uomo nelle formazioni sociali (art. 2 Cost.) riceve occasione di più effettiva realizzazione rimediale solo se la formazione sociale è qualificata come autonomo soggetto di diritto.


18. La funzione regolatoria

Il riferimento al private enforcement degli interessi generali dovrebbe essere ripreso e approfondito anche per analizzare la soggettività metaindividuale come tecnica giuridica che contribuisce alla realizzazione della funzione regolatoria del diritto privato. Una linea di ricerca trascurata che, per certi aspetti, coinvolge ancora la funzione rimediale del diritto privato ed a cui, adesso, è possibile solo accennare [59].

Attraverso la soggettività metaindividuale, questo il senso complessivo della riflessione, il diritto privato può ‘orientare’ le scelte personali o negoziali, lo svolgimento di attività economiche e i processi di allocazione delle risorse pubbliche nella direzione teleologica indicata dagli scopi di interesse generale selezionati dalla Costituzione e dalle norme interposte. La funzione regolatoria mobilita il sistema rimediale del diritto privato in un senso diverso da quello che caratterizza la protezione degli interessi particolari o generali. Le tutele invalidative, risarcitorie e inibitorie sono solo – o in prevalenza – un mezzo per la realizzazione delle finalità costituzionali selezionate dalla scelta politica del legislatore nazionale o europeo come prevalenti in una determinata situazione storica (diritto privato politico).

Tuttavia, la funzione regolatoria del diritto privato può essere realizzata anche mediante tecniche giuridiche diverse da quelle predisposte per la tutela degli interessi individuali o collettivi. Il legislatore nazionale o europeo, per realizzare funzioni regolatorie, può ricorrere alle tecniche del diritto pubblico o a quelle del diritto privato, e può persino scegliere di utilizzarle entrambe. Tra le tecniche del diritto privato che il legislatore può scegliere di utilizzare in funzione regolatoria non vi sono solo quelle conformate secondo il tradizionale schema logico, di ispirazione liberale, del diritto soggettivo e dell’azione processuale esercitata per la sua protezione. La soggettività metaindividuale è una tecnica del diritto privato che può essere attivata anche secondo il modello concettuale, di ispirazione pluralista, della capacità e dell’autonomia privata impegnate nella partecipazione ai processi di organizzazione (regolazione) delle relazioni sociali, economiche e politiche.

Di tale articolato e lungo discorso, l’osservatore deve segnalare soprattutto le insidie generate da atteggiamenti culturali che ancora sottovalutano o scelgono di trascurare il valore giuridico e istituzionale generato dal trascorrere da un sistema di democrazia liberale allo Stato costituzionale pluralista. Il riferimento è, in particolare, alla delegittimazione teorico generale e sistematica della soggettività metaindividuale – quella che viene attuata con maggiore o minore consapevolezza mediante la strategia ermeneutica che riduce la soggettività metaindividuale a sintesi di effetti o a particolare assetto dei rapporti individuali – come fenomenologia epistemologica della delegittimazione culturale del diritto privato come tecnica di regolazione sociale [60] Un’operazione ideologica incline a conservare la esclusiva centralità del diritto pubblico (diritto amministrativo) nell’attuazione delle finalità di interesse generale ed a ridimensionare o persino rifiutare l’effettiva rilevanza sistematica della sussidiarietà orizzontale in un sistema di democrazia pluralista.

In realtà, si tratta di una ermeneutica dogmatica estranea alla legalità costituzionale, che viene smentita anche dal CTS (cfr. art. 1 CTS). Una norma, quest’ultima, che registra imbarazzi ermeneutici ragguagliabili, per intensità, a quelli che inducono l’interprete a riconoscere prevalente valore morale ed etico, ma scarso valore giuridico, al riferimento costituzionale all’interesse delle future generazioni (art. 9).

Il CTS formalizza un sistema di allocazione di risorse pubbliche funzionale alla protezione delle condizioni di effettività dello sviluppo della persona secondo una modalità ispirata al principio di sussidiarietà orizzontale. A tal fine mobilita solo soggetti giuridici metaindividuali di diritto privato.


19. Sistema della soggettività metaindividuale: il problema ermeneutico

La riflessione sulle funzioni della soggettività metaindividuale di diritto privato, sebbene svolta in maniera assai sintetica, circoscrive e chiarisce il contesto sistematico in cui collocare il problema ermeneutico sollevato dalla formula ‘altri enti di carattere privato’ utilizzata nel CTS (art. 4). È infatti nel sistema che l’interprete deve rintracciare l’orizzonte di senso ermeneutico necessario per argomentare la soluzione del problema.

L’analisi funzionale rivela l’effettivo valore euristico che la soggettività metaindividuale può generare nella dinamica giuridica, se utilizzata dall’interprete come categoria sistematica ordinante nell’ermeneutica della disciplina legale dell’associazione non riconosciuta. E, in particolare, se mobilitata per la costruzione di una fattispecie legale, implicita e generale, della soggettività metaindividuale.

Un esito, questo, da chiarire subito nel senso che gli altri enti di carattere privato non sono da ricondurre al tipo legale dell’associazione. Vuol dirsi che il riferimento alla associazione non riconosciuta circoscrive la disciplina da cui è possibile ricavare, in via ermeneutica, la fattispecie legale implicita ma generale che fissa i contenuti conformativi, minimi e sufficienti, che l’autonomia privata ha l’onere di rispettare se vuole attivare la sussunzione, quella che genera il riconoscimento normativo della soggettività giuridica (effetto legale), anche nelle ipotesi in cui il fatto costitutivo non sia riconducibile ai tipi legali di soggettività che hanno una disciplina organizzativa particolare [61].

Si tratta di una fattispecie generale che, qualificando in via sussuntiva il fatto di organizzazione, riconosce – in base ad un meccanismo di uguaglianza formale – la soggettività metaindividuale dell’ente del Terzo settore che non sia riconducibile alle “categorie che hanno una disciplina particolare” in quanto non sia riconducibile alla categoria tipologica dell’associazione o a quella della fondazione (o alla società).

A riguardo occorre innanzitutto distinguere la disciplina della struttura organizzativa dalla disciplina del­l’imputazione, ossia dalla disciplina costruttiva (di riconoscimento) della soggettività come capacità di legittimazione all’imputazione [62].

Le categorie di enti che hanno una disciplina legale (i tipi) contengono anche una fattispecie legale implicita di riconoscimento formale della soggettività. Associazioni, fondazioni, società non sono solo fattispecie oggettive nel senso che racchiudono una disciplina della struttura organizzativa che ammette una misura di atipicità. Sono, altresì, fattispecie soggettive implicite: forme giuridiche di riconoscimento normativo implicito della soggettività [63].

Dunque: gli enti che non hanno una disciplina legale e che devono essere riconosciuti come soggetti di diritto – per poter essere qualificati come ETS – hanno bisogno di una norma che attribuisca loro la capacità di legittimazione soggettiva. Invece, all’ente qualificato come associazione o come altro ente che ha una disciplina particolare viene riconosciuta la capacità di legittimazione soggettiva già mediante tale qualificazione. Le categorie tipizzate sono altrettante fattispecie soggettive implicite.

L’esistenza di tipi di strutture organizzative con implicita capacità di legittimazione all’imputazione non giustifica, in punto di legalità costituzionale dei processi ermeneutici, l’idea della tassatività dei tipi di (riconoscimento normativo della) soggettività. Non autorizza l’interprete a riproporre per la soggettività la tipicità che, secondo alcune letture, caratterizzava il riconoscimento della personalità giuridica. La fattispecie soggettiva implicita non presuppone la categoria tipizzata.

Occorre, a tal riguardo, che il discorso ermeneutico non eluda la responsabilità culturale generata dal­l’evoluzione del sapere sistematico. In particolare: a) acquisito l’esito sistematico che risolve (nel senso del­l’esclusione) l’antinomia tra contratto e istituzione e b) acquisito l’esito sistematico che ha reso “concettualmente” possibile non solo la ‘contrattualizzazione’ del fenomeno associativo, ma anche c) la connessione tra autonomia privata e soggettività metaindividuale realizzata mediante l’atto unilaterale, l’interprete deve evitare il rischio di imprigionare la dinamica che caratterizza i sistemi di democrazia pluralista in una strategia epistemologica di impostazione e contenuto negoziale che tuttavia non riesce a rispettare e proteggere il valore costituzionale della atipicità soggettiva.

In altri termini: l’interprete non può emarginare la soggettività metaindividuale in una condizione culturale analoga a quella in cui si trovava il contratto atipico quando la riflessione del giurista positivo elaborava i contenuti teorici ed ermeneutici antecedenti, che resero poi possibile le più evolute costruzioni del tipo contrattuale [64].

Si tratta di verificare in che misura il modello teorico offerto dall’atipicità del contratto possa essere utilizzato per costruire l’atipicità dei soggetti del pluralismo, ovvero se la contrattualizzazione della soggettività metaindividuale non imponga, invece, una costruzione conclusa in tipi legali di soggettività metaindividuale (formazioni sociali tipiche). Esito quest’ultimo che collocherebbe il CTS fuori dalla dinamica pluralistica.

In tale direzione di analisi occorre sottolineare come l’esistenza di associazioni atipiche o di differenti tipologie di fondazione non esclude, anzi conferma, la tipicità delle forme giuridiche soggettive racchiusa (implicita) nella disciplina dell’associazione o della fondazione. Nondimeno, l’atipicità della struttura organizzativa qualificata comunque come associazione o fondazione o altra categoria tipizzata non genera l’ati­picità della soggettività metaindividuale. Quest’ultima (l’atipicità) ha bisogno, invece, di una fattispecie legale di riconoscimento della capacità di legittimazione all’imputazione indifferente al tipo legale di struttura or­ganizzativa.

Se la struttura generata dal contratto o dall’atto unilaterale non corrisponde né in termini sussuntivi, né in termini tipologici ad una fattispecie soggettiva tipica (specifica), l’esistenza dell’ente “altro” può essere costruita solo mediante la sussunzione del fatto (atto) costitutivo in una fattispecie soggettiva generale che racchiuda le condizioni legali sufficienti per il riconoscimento normativo della soggettività.

L’ermeneutica della disciplina dell’associazione non riconosciuta riesce a generare ed a mobilitare nella dinamica giuridica questo contenuto normativo: rivela la implicita fattispecie legale costruttiva della soggettività metaindividuale. Una fattispecie legale che si caratterizza a) come generale in quanto conforme al principio di uguaglianza formale, che identifica il sistema normativo del riconoscimento della soggettività nel segno dell’esclusione della discrezionalità politico-amministrativa; b) come implicita in quanto ricavata in via ermeneutica dalla disciplina dell’associazione non riconosciuta.

Un esito, questo, giustificato in termini di coerenza sistematica proprio dalla identità del tipo di struttura organizzativa che caratterizza l’associazione non riconosciuta rispetto a quella riconosciuta come persona giuridica. L’identità di struttura generata dal contratto associativo esclude persino la possibilità logica, non solo giuridica, di qualificare l’associazione non riconosciuta come autonomo tipo di ente che ha una disciplina particolare [65].

Sullo sfondo vi è la convinzione dell’incompatibilità della Typuslehre come ermeneutica dogmatica della disciplina del contratto edificata sempre sulla ‘riconduzione’ al tipo, con la freie Körperschaftsbildung come forma giuridica dell’assetto dinamico del pluralismo edificato sul principio di eguaglianza formale, che garantisce la normatività – e quindi la certezza intesa come assenza di discrezionalità politica – del riconoscimento attraverso il meccanismo della ‘sussunzione’ del fatto nella fattispecie legale [66].

In tale direzione di analisi è dato rintracciare, altresì, il senso effettivo e ancora molto attuale della differenza tra I e V libro del Codice civile: il V libro conosce un sistema di tipicità (tassatività, Typuszwang) che continua a rimanere estraneo al I libro del Codice civile e al CTS.

Nel CTS in base al riferimento agli altri enti di carattere privato e nel libro primo del Codice civile – ancora dopo l’abrogazione dell’art. 12 che menzionava le altre istituzioni di carattere privato – con l’art. 13, viene accolto un principio di atipicità soggettiva. L’esigenza di apertura alla soggettività atipica – indispensabile per assicurare l’assetto dinamico del pluralismo – è oggi ancora presidiata nel Codice civile dall’art. 13, ossia dalla norma che colloca e circoscrive la tassatività del tipo alle società che hanno per oggetto l’eser­cizio di un’attività commerciale (art. 2249 cod. civ.).

Il problema del rapporto tra Primo e Quinto libro del Codice civile, questo il senso di un discorso che adesso può essere solo accennato, non è più da ricondurre al profilo causale dell’atto costitutivo [67]. Il vero ed attuale quesito riguarda, invece, la contrapposizione tra il tipo e la atipicità generata dalla fattispecie soggettiva generale.

La atipicità realizzata dalla fattispecie di origine legale che assicura la normatività del riconoscimento della soggettività metaindividuale deve essere, quindi, intesa sia come indifferenza alla disciplina legale tipica della struttura organizzativa, sia come indifferenza alla conformazione atipica della struttura organizzativa.


20. La fattispecie legale implicita e generale di soggettività

La conclusione del discorso deve ancora dar conto delle ragioni, ermeneutiche e sistematiche, che inducono a rintracciare proprio nell’art. 38 c. c. quell’eccedenza di senso normativo della disciplina legale delle associazioni non riconosciute, che, attraverso la categoria sistematica della soggettività metaindividuale, l’interprete può organizzare in fattispecie soggettiva implicita e generale per ricostruire il sistema di riconoscimento normativo della capacità di legittimazione all’imputazione. La fattispecie normativa generale e implicita che attiva la qualificazione sussuntiva degli enti non riconducibili ai tipi che hanno una disciplina particolare come associazioni o fondazioni e, quindi, neppure come fattispecie legali soggettive di secondo grado (arg. ex artt. 3 e 4, CTS).

L’art. 38 Cod. civ. fissa due regole di responsabilità. Tali regole sono basate su due elementi: l’esistenza di una rappresentanza organica ossia necessaria (presupposto di responsabilità principale), da un lato, e l’as­senza della personalità giuridica dall’altro (presupposto di responsabilità additiva). La norma descrive una fattispecie oggettiva non soggettiva, ossia una articolata regola di responsabilità del soggetto e non di struttura organizzativa del soggetto. Regola che non è applicabile all’associazione riconosciuta in quanto la sua applicazione presuppone l’assenza della personalità giuridica.

D’altro canto, l’intera disciplina dell’associazione non riconosciuta è costruita in base al principio di identità del tipo e non individua una tipologia di struttura organizzativa diversa da quella dell’associazione riconosciuta. Il presupposto applicativo della disciplina è, infatti, solo l’assenza della personalità giuridica.

Adesso interessa sottolineare che la fattispecie oggettiva descritta nell’art. 38 cod. civ. rende visibili, presupponendoli, gli elementi strutturali necessari e sufficienti della soggettività giuridica metaindividuale senza però collocarli all’interno di un tipo specifico di struttura organizzativa: la modalità organizzativa dell’atti­vità (rappresentanza), l’identità (nome) e la responsabilità principale (fondo comune) [68].

L’art. 38, quindi, descrive anche la fattispecie soggettiva generale e implicita che può attivare la qualificazione necessaria per il riconoscimento normativo della soggettività giuridica. Funzione, quest’ultima, che la norma può svolgere in quanto si dimostra indifferente ad un tipo di struttura organizzativa.

La rappresentanza, l’identità e la responsabilità organizzano la relazione funzionale tra attività e interesse metaindividuale, ossia dell’interesse che trascende (oltrepassa) il singolo individuo o in quanto comune ad un gruppo determinato o determinabile di soggetti (interesse collettivo), o in quanto generale. L’interesse che orienta l’attività può, altresì, derivare da una soggettiva esigenza di perpetuazione che può ambire persino a superare il naturale limite ontologico, la vita del suo titolare, o manifestarsi solo come interesse del patrimonio [69].

Quindi l’identificazione dell’interesse – il nome che conferisce identità all’organizzazione – che funzionalizza l’esercizio del potere – ossia la produzione dell’azione negoziale (rappresentanza) – da un lato, giustifica l’imputazione di un dovere ad un soggetto diverso dalle persone che agiscono per l’ente secondo una modalità gestoria; dall’altro, attiva una regola di responsabilità principale ed una regola di responsabilità additiva.

In altri termini, la rappresentanza organica presuppone l’identità ed il potere negoziale del rappresentato, ossia l’oggetto della regola di produzione dell’azione e la direzione dell’effetto generato; la responsabilità principale presuppone l’imputazione della proprietà e dell’obbligazione.

La soggettività giuridica, intesa come attitudine (legittimazione) all’imputazione (capacità) del dovere o del potere, è riconosciuta sempre, ossia in base al sistema normativo organizzato secondo lo schema applicativo dell’uguaglianza formale (sussunzione), quando l’atto di autonomia privata costituisce l’ente secondo il modello della rappresentanza (organica) di un interesse identificato – dal nome – o per la rappresentazione attraverso l’esercizio dell’attività o per l’imputazione al soggetto metaindividuale rappresentato.

Imputazione e rappresentazione descrivono differenti modalità tecniche per rendere visibile, ossia rilevante nel giuridico, l’interesse organizzato come autonomo soggetto. Tecniche che oggettivizzano l’interesse meritevole di protezione mediante strutture giuridiche che organizzano l’attività e possono estendere la meritevolezza di protezione dell’interesse oltre la persona fisica, ossia emancipare la protezione del bisogno dalla necessità giuridica dell’antecedente ontologico dell’imputazione nel caso concreto e, quindi, raggiungere le generazioni future.

D’altro canto, la capacità di legittimazione soggettiva dell’ente diverso dalla società, quindi sottratto alla tipicità che caratterizza il V libro del Codice civile (art. 2249), in quanto riconosciuta mediante la sussunzione in una fattispecie soggettiva generale (di fonte legale, ancorché implicita) non incide sulla disciplina della struttura organizzativa eccedente quella necessaria e sufficiente ai fini del riconoscimento della soggettività. La fattispecie legale e implicita che assicura la normatività del riconoscimento della soggettività metaindividuale è indifferente alla conformazione atipica della struttura organizzativa.

Questa (la struttura organizzativa), laddove manchi del tutto una regola conformativa autonoma, sarà disciplinata mediante l’applicazione in via diretta, non analogica (né tipologica), della “precisa disposizione” (arg. ex art. 12 preleggi) prevista, a riguardo, da una delle strutture giuridiche tipizzate (associazioni, fondazioni, particolari categorie di enti). Infatti, l’assenza nel Primo Libro del cod. civ. della tipicità legale che caratterizza, invece, il V libro del Codice civile (ex art. 2249, c.c.), esclude non solo la tassatività dei tipi, ma anche il principio di organicità del tipo di struttura organizzativa che ha una disciplina particolare. In base a tale principio la definizione, legale o rintracciata mediante interpretazione, non si limita ad individuare l’og­getto della disciplina ma fissa anche l’ambito di applicazione dell’intera disciplina del tipo. Viene meno, in tal modo, la stessa necessità ermeneutica dell’analogia o dell’applicazione tipologica.


NOTE

[1] Per l’impostazione del discorso cfr. L. Mengoni, Ermeneutica e dogmatica giuridica, Giuffrè, Milano, 1996, 48 ss.; 51 ss.

[2] Cfr. G. Ponzanelli, R. Breda, L. Bugatti, V. Montani, Le associazioni non riconosciute, Il Codice Civile. Commentario, fondato da P. Schlesinger, diretto da F.D. Busnelli, Milano, Giuffrè, 2016, 8 ss.; 31 ss., 56 ss.

[3] Cfr. An. Fusaro, Gli Enti del Terzo Settore, in Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da A. Cicu, F. Messineo, continuato da V. Roppo, F. Anelli, Giuffrè, Milano, 2022, 23 ss.; v. inoltre F. Galgano, Struttura logica e contenuto normativo del concetto di persona giuridica, in Riv. dir. civ., 1965, I, 553 ss.; P. Zatti, Persona giuridica e soggettività, Cedam, Padova, 1975, 332 ss.; si v. M. Tamponi, Persone giuridiche, Il Codice Civile. Commentario, fondato da P. Schlesinger, diretto da F.D. Busnelli, Milano, Giuffrè, 2018, 113 ss.

[4] Rintracciato da F. Galgano, Delle associazioni non riconosciute e dei comitati, in Comm. cod. civ., a cura di A. Scialoja, G. Branca, II ed., Zanichelli, Bologna-Roma, 1976, 124.

[5] Cfr. Cass. 4 ottobre 2019, n. 24874; Cass., 7 dicembre 2020, n. 27959.

[6] Elaborata da F. Galgano, op. cit., 247 ss.; v. inoltre C.M. Bianca, I gruppi minori e la responsabilità della associazione non riconosciuta, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1963, 1319 ss.; v. inoltre F. Galgano, Struttura logica e contenuto normativo del concetto di persona giuridica, in Riv. dir. civ., 1965, I, 553 ss.

[7] Relazione conformata nel senso che la responsabilità è la manifestazione esterna della partecipazione alle perdite che giustifica il potere di gestione.

[8] Sull’ermeneutica dogmatica v. L. Mengoni, op. cit., 49.

[9] Nel CTS la necessaria correlazione tra qualità di amministratore e qualità di associato è giustificata, invece, dalla coincidenza tra motivazione allo scopo (Zweckmotivation) che caratterizza la partecipazione associativa del singolo, da un lato, e interesse generale che funzionalizza l’attività dell’ente, dall’altro (arg. ex art. 5 CTS). Coincidenza che viene riconosciuta in misura diversa (art. 26, comma 2 e art. 34 comma 1, CTS).

[10] Mengoni, op. cit., 114, ma cfr. anche, 18 e 81 ss. e 86 ss.

[11] S. La Porta, L’organizzazione delle libertà sociali, Giuffrè, Milano, 2004, 28 ss.

[12] Cfr. An. Fusaro, Gli enti del terzo settore, cit., 61 ss.

[13] Circa l’art. 12 cod. civ., v. la ricostruzione elaborata da M. Tamponi, Persone giuridiche, cit., 65 ss.

[14] Si v. P. Rescigno, Sindacati e partiti nel diritto privato, ora in Persona e comunità, Cedam, Padova, rist. 1987, 139 ss.

[15] Si v. in particolare P. Ridola, Democrazia pluralista e libertà associative, Giuffrè, Milano, 1987, passim, ma 261 ss.

[16] P. Ridola, op. cit., 217 ss., e 222 ss.

[17] Cfr. P. Rescigno, Le formazioni sociali intermedie, ora in Persona e comunità, vol. III, Cedam, Padova, 1999, 3 ss.

[18] Cfr. M. Graziadei, Le fondazioni di partecipazione nel prisma della comparazione, in Giur. it., 2021, 2492 ss.; G. Sicchiero, Le fondazioni di partecipazione, in Contr. impr., 2020, 19 ss. Si v. A. Zoppini, Le fondazioni. Dalla tipicità alle tipologie, Jovene, Napoli, 1995, 13 ss. e 54 ss.

[19] P. Ridola, op. cit., 188 ss.

[20] Preziosi spunti di riflessione in Ar. Fusaro, Dalla frammentazione legislativa alla ri-codificazione? Traiettorie di una disciplina per gli enti non lucrativi, in Riv. dir. civ., 2022, 910 ss.

[21] Cfr. l’analisi di M.V. De Giorgi, La scelta degli enti: riconoscimento civilistico e/o registrazione speciale, ora in Enti del Primo libro e Terzo settore, Pisa, Pacini, 2021, 123 ss.

[22] La riflessione trae spunto, non solo per l’impostazione, da K. Schmidt, Verbandszweck und Rechtsfähigkeit im Vereinsrecht, Decker und Müller, Heidelberg, 1984, 14 ss., 25 ss.,47 ss.

[23] In generale v. R. Patti, La disciplina del terzo settore in Italia dopo la riforma: profili ricostruttivi e problemi aperti, in Dir. fam. pers., 2021, 862 ss.; D. Foresta, Sugli enti del terzo settore, Tipi e funzione nell’articolazione del registro unico, in Nuove leggi civ. comm., 2022, 1461 ss.

[24] Il medesimo tipo di problema si pone, ma in un ambito differente, per i fondi comuni di investimento, v. L. Galanti, Processo senza soggetti, Milano, Giuffrè, 2021, 85 ss. e 235 ss. Cfr. G. Ferri jr., Soggettività giuridica e autonomia patrimoniale nei fondi comuni di investimento, in ODC, 2015, fascicolo 3.

[25] Cass. 8 maggio 2003, n. 6985; ma cfr. anche Cass. 13 maggio 2022, n. 15303.

[26] M. Bianca, Trasformazione, fusione e scissione degli enti del terzo settore, in ODC, 2018, fasc. 2.

[27] P. Ridola, op. cit., 218.

[28] Corte cost., 28 febbraio 1992, n.75.

[29] Cfr. G. Vecchio, Le istituzioni della sussidiarietà. Oltre la distinzione tra pubblico e privato, ESI, Napoli 2022, 291 ss., 310 ss.; v. inoltre S. La Porta, op. cit., 59 ss.

[30] Cfr. Corte cost., 31 marzo 2021, n. 52.

[31] F. Galgano, Sull’ammissibilità di una fondazione non riconosciuta, in Riv. dir. civ., II, 1963, 172 ss.; F. Di Ciommo, Sulle fondazioni non riconosciute, in Foro it., 1999, I, c. 348 ss.

[32] Si v. A. Falzea, Il soggetto nel sistema dei fenomeni giuridici, Milano, Giuffrè, 1939, 69.

[33] A. Falzea, op. cit., 39.

[34] Ma v. M.V. De Giorgi, Tra legge e leggenda: la categoria ente nel diritto delle associazioni, ora in Enti del Primo libro e Terzo settore, cit., 141 ss.

[35] Cfr. M. Renna, Associazioni di promozione sociale ed enti filantropici nello sviluppo del Terzo settore, in Riv. crit. dir. priv., 2021, 503 ss. Sul concetto di neocorporativismo v. P. Ridola, op. cit., 178. Cfr. Corte cost. 15 marzo 2022, n. 72.

[36] Cfr. P. Rescigno, Introduzione al Codice civile, Laterza, Roma-Bari, 1992, 17 ss.

[37] Ma cfr. la diversa impostazione che viene accolta e tramandata con la formula diritto comune, F. Galgano, Il diritto privato fra Codice e Costituzione, Zanichelli, Bologna, II ed., 1999, 43 s.; v. inoltre P. Rescigno, Introduzione al Codice civile, cit., 55.

[38] Cfr. a riguardo A. Pizzorusso, Interesse pubblico e interessi pubblici, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1972, 57 ss. Ma si v. P. Häberle, Öffentliches Interesse als juristisches Problem – Eine Analyse von Gesetzgebung und Rechtsprechung, Athenäum, Bad Homburg,1970, 22; 87-95; 214; 468-498; 499-507. Per alcuni spunti v. S. La Porta, op. cit., 55 ss. e 64 ss.

[39] Si v. F. Santoro-Passarelli, Autonomia collettiva, giurisdizione e diritto di sciopero, in Riv. it. scienze giur., 1949, 138 ss. 142. Sull’interesse collettivo v. M. Cresti, Contributo allo studio della tutela degli interessi diffusi, Giuffrè, Milano, 1992, 42 ss., 47 ss.; cfr. inoltre la scrupolosa ricostruzione di N. Rumine, Natura e forme civilistiche di tutela degli interessi collettivi dei consumatori, Pacini, Pisa, 2022, 17 ss. e 51 ss.

[40] Cfr. N. Rumine, op. cit., 54 (anche nota 138); v. inoltre I. Pagni, L’atipicità delle azioni tra interessi rilevanti e diritto ad un rimedio effettivo: considerazioni a margine del brocardo ubi ius, ibi remedium (e un cenno alle nuove azioni collettive), in Judicium, 13 gennaio 2022.

[41] Non più come somma o serie di interessi individuali cfr. R. Donzelli, La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi, Jovene, Napoli, 2008, passim, 54 ss., 60 ss., 101 ss.

[42] Cfr. A. Hellgardt, Regulierung und Privatrecht, Tübingen, Mohr Siebeck, 2016, 233-236, 239-246; H. Schweitzer, Vertragsfreiheit, Marktregulierung, Marktverfassung: Privatrecht als dezentrale Koordinationsordnung, in AcP, 2020, 544 ss., 560 ss.

[43] Cfr. G. Berti, Interessi senza struttura, in Studi in onore di A. Amorth, Giuffrè, Milano, Vol. I, 1982, 67 ss.

[44] Cfr. P. Ridola, op. cit., 266 e nota 291.

[45] Cfr. S. Rodotà, Repertorio di fine secolo, Laterza, Roma-Bari, 1992, 171 ss.

[46] Si v. P. Ferro-Luzzi, I contratti associativi, Giuffrè, Milano, 1976, 128 ss.

[47] Si v., la ricostruzione di L. Nivarra, Diritto privato e capitalismo. Regole giuridiche e paradigmi di mercato, Editoriale Scientifica, Napoli, 2010, 45 ss., 77 ss. e 90 ss.

[48] Si v. L. Galanti, Processo senza soggetti, cit., 387, 390 e 394 ss.

[49] V. L. Galanti, op. cit., 6.

[50] Si v. A. Falzea, op. cit., 64.

[51] Si v., ad esempio, A. Di Majo, La tutela civile dei diritti, Giuffrè, Milano, II ed., 1993, 32 ss.

[52] Cfr. M. Lüdeking, Der gemeinsame Zweck in §705 BGB, in AcP, 2020, 303 ss., 323 ss.

[53] Cfr. ad esempio, G. Minervini, Contro la funzionalizzazione dell’impresa privata, in Riv. dir. civ., 1958, I, 618 ss.

[54] Si v. P. Rescigno, La «Rappresentazione nella democrazia» di G. Leibholz, in Persona e comunità, vol. III, cit., 21 ss., 35.

[55] Cfr. Cass. 2 luglio 2021, n. 18810 e Corte EDU, 14 ottobre 2021 n. 75031.

[56] Cfr. J. Croon-Gestefeld, Gemeininteressen im Privatrecht, Tübingen, Mohr Siebeck, 2022, 3 ss., 58 ss., 131 ss. Cfr. inoltre A. Hellgardt, V. Jouannaud, Nachhaltigkeitsziele und Privatrecht, in AcP, 2022, 163 ss.

[57] Cfr. L. Nivarra, La tutela giurisdizionale dei diritti. Prolegomeni, Giappichelli, Torino, 2018, 24 ss., 55 ss. e 62 ss.; M. Bussani, Le funzioni delle funzioni della responsabilità civile, in Riv. dir. civ., 20222, 64 ss., 273 ss.

[58] Istruttivo, a riguardo, il dibattito sull’intelligenza artificiale, cfr., G. Bevivino, Situazioni giuridiche “soggettive” e forme di tutela delle intelligenze artificiali, in Nuova giur. civ. comm., 2022, 899 ss.; G Finocchiaro, La regolazione dell’intelligenza artificiale, in Riv. trim. dir. pubb., 2022, 1085 ss., G. Teubner, Digitale Rechtssubjekte? Zum privatrechtlichen Status autonomer Softwareagenten, in AcP, 2018, 155 ss.

[59] Si v. A. Hellgardt, Regulierung und Privatrecht, cit., 50 ss. e 440 ss. Preziosi spunti di riflessione in A. Zoppini, Il diritto privato e i suoi confini, Bologna, Il Mulino, 2021, 179 ss., 201 ss. e 239 ss. Si v. altresì C. Attanasio, Profili ricostruttivi del diritto privato regolatorio, ESI, Napoli, 2022, 89 ss. e 119 ss.

[60] Paradigmatico, in tal senso, N. Lipari, Le categorie del diritto civile, Giuffrè, Milano, 2013, 47 ss. e 67 ss.

[61] Per uno spunto in tal senso v. Cass. 29 dicembre 1999, n. 14686.

[62] Cfr., per significativi spunti di riflessione, A. Falzea, op. cit., 75 ss. e 85 ss.

[63] Si v. A. Falzea, op. cit., 66.

[64] In particolare, R. Sacco, Autonomia contrattuale e tipi, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1966, 790 ss.; M. Giorgianni, Riflessioni sulla tipizzazione dei contratti agrari, in Riv. dir. agr., 1969, I, 153 ss.

[65] F. Galgano, Delle associazioni non riconosciute, cit., 47 s. e 177 ss. (183).

[66] Se tale incompatibilità sia collegata o meno alla più generale crisi della strategia tipologica che è ormai acquisita nell’espe­rienza giuridica tedesca (almeno quella teorica) è tema che deve rimanere estraneo a questa più circoscritta riflessione, v. J. Oechsler, Vertragstypen, in Eckpfeiler des Zivilrechts, Berlin, Ottoschmidt-De Gruyter, 2020, 885 ss., 900 ss.

[67] Cfr. U. Tombari, “Potere” e “interessi” nella grande impresa azionaria, Giuffrè, Milano, 2019, passim, ma 80 ss. e 88 ss. Si v. inoltre C. Granelli, Impresa e terzo settore: un rapporto controverso, in Jus Civile, 2015, 5; M. Tamponi, Persone giuridiche, cit., 105 ss.

[68] Cfr. U. John, Die organisierte Rechtsperson, Duncker & Humblot, Berlin, 1977, 72 ss., 81 ss. e 92 ss.

[69] Si v. L. Galanti, op. cit., 333.