Il saggio analizza il codice del terzo settore dal punto di vista della soggettività degli enti non espressamente regolati. L'autore utilizza la disciplina dell’associazione non riconosciuta per costruire una fattispecie legale implicita destinata al riconoscimento normativo della soggettività. L'Autore, inoltre, tratta questioni vecchie e nuove che entrano in scena in ordine all’attività d’impresa esercitata da enti diversi da quelli la cui disciplina si trova nel libro quinto del codice civile. Vengono inoltre analizzate le diverse funzioni della soggettività giuridica di diritto privato.
The essay analyzes the third sector code from the point of view of the subjectivity of entities not expressly regulated. The author’s intention is to build up an implicit legal starting from the discipline of not recognized association so to allow the normative recognition of subjectivity. The Author deals with old and new issues that come into the picture with regard to the activity of enterprise exercised by entities which are different from the ones whose discipline can be found in the fifth book of the Civil Code. The different functions of the legal subjectivity of private law are also analysed.
1. Le funzioni euristiche dell’associazione non riconosciuta: la funzione dogmatica - 2. Segue. la funzione ermeneutica - 3. Atipicità dei soggetti privati costituzionali - 4. Iscrizione nel registro del TS e limitazione della libertà degli enti - 5. Esistenza e qualificazione dell’ETS - 6. Pluralismo e soggetti di diritto privato - 7. Il sistema costituzionale della libertà sociale - 8. Soggetto e soggettivizzazione - 9. Il riconoscimento normativo della soggettività metaindividuale - 10. Il soggetto metaindividuale come fattispecie legale - 11. Le funzioni della soggettività metaindividuale: funzione infrastrutturale - 12. Segue. Il compito pubblico della soggettività metaindividuale. - 13. Segue. L’interesse collettivo - 14. La funzione rimediale - 15. Imputazione e rilevanza rimediale dell’interesse - 16. Segue. Imputazione e rappresentanza - 17. Segue. La rappresentazione dell’interesse generale - 18. La funzione regolatoria - 19. Sistema della soggettività metaindividuale: il problema ermeneutico - 20. La fattispecie legale implicita e generale di soggettività - NOTE
La vicenda culturale, non solo giuridica, sollecitata dalla progressiva affermazione del modello di democrazia pluralista accolto nella Costituzione, ha consolidato l’evoluzione normativa già avviata dal Codice civile nel segno della individuazione di un diritto comune della soggettività metaindividuale. In particolare, la combinazione degli artt. 2 e 18 della Costituzione e, in seguito, il riconoscimento del principio di sussidiarietà orizzontale (art. 118, comma 4), hanno attivato e consolidato argomentazioni costruttive di una sistematica della soggettività metaindividuale più evoluta di quella elaborata dalla cultura giuridica liberale. Un esito, questo, ricavato dalla connessione tra Primo e Quinto libro del Codice civile affidata dal legislatore all’art. 13 cod. civ., e che ha coinvolto e coinvolge anche strutture normative di settore come, solo a voler esemplificare, la disciplina dell’impresa sociale, il CTS e, da ultimo, il Codice della crisi dell’impresa. Nella costruzione del sistema della soggettività metaindividuale è possibile rintracciare una funzione dogmatica ed una funzione ermeneutica dell’associazione non riconosciuta, ossia di una categoria normativa che si limita ad individuare ed aggregare la disciplina da applicare ad una struttura organizzativa tipica (associazione) in caso di assenza della personalità giuridica. Gli esiti raggiunti dalla dogmatica, sia con riguardo alla elaborazione di modelli di decisione, sia con riguardo alla costruzione dell’orizzonte assiologico dell’ermeneutica (funzione euristica), sia, infine, con riguardo alla verifica della coerenza sistematica dei contenuti teorici racchiusi nei modelli argomentativi e quindi della loro legittimazione culturale (funzione di controllo), appartengono ormai ad una diffusa consapevolezza epistemologica che accompagna sempre la riflessione dell’interprete, persino in maniera inconsapevole [1]. Si tratta di acquisizioni complesse, che una descrizione assai sintetica può organizzare in una progressione diacronica che muove dal superamento dell’antecedente teorico e, in parte, politico elaborato dalla teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici in termini di esclusiva connessione tra riconoscimento della personalità giuridica e rilevanza, per il diritto dello Stato, degli ordinamenti endoassociativi. La disciplina delle associazioni [continua ..]
Il discorso da svolgere deve insistere, invece, sulla funzione ermeneutica dell’associazione non riconosciuta. Una direzione di analisi meno consueta che mobilita la categoria normativa per interpretare una norma e, quindi, per acquisire le strutture di senso necessarie per la soluzione del caso. Si tratta di una strategia argomentativa che muove dal problema concreto per rintracciare nel dato normativo soluzioni applicative adeguate alle aspettative assiologiche accolte nella Costituzione e nelle norme interposte (interpretazione conforme) sia con riguardo ai casi previsti, sia con riguardo ai casi non previsti (interpretazione analogica). Un processo epistemologico che assume la forma dell’argomentazione pratica (logica materiale) e che si collega con l’argomentazione dogmatica (logico-analitica) realizzando una relazione euristica di reciproca integrazione e di reciproco controllo [10]. La riflessione sulla funzione ermeneutica dell’associazione non riconosciuta deve, in questa sede, limitarsi a considerare un quesito circoscritto ma assai significativo: verificare se la categoria normativa possa contribuire alla soluzione del problema ermeneutico sollevato dalla formula «altri enti di carattere privato diversi dalle società» (corsivo aggiunto) accolta nel CTS (art. 4). Un quesito che a) riguarda l’individuazione dei soggetti del Terzo settore, e quindi l’estensione del Terzo settore quale «complesso di enti privati» (art. 1, comma 1, secondo periodo, l. n. 106 del 6 giugno 2016); e che b) coinvolge il principio di atipicità dei soggetti dell’organizzazione della libertà sociale nella elaborazione di strutture di senso normativo destinate a organizzare la qualificazione di un fatto nel segno della conformità al valore assiologico ordinante che la Costituzione attribuisce all’assetto dinamico del pluralismo [11]. In particolare: si tratta di stabilire se la formula «altri enti di carattere privato diversi dalle società» (art. 4 CTS) faccia riferimento a modelli organizzativi da ricondurre comunque alle «categorie (il legislatore non usa la parola tipi) di enti del TS che hanno una disciplina particolare» (art. 3 CTS) o alle associazioni (riconosciute o non riconosciute) o alle fondazioni (art. 20 CTS). Ovvero se è dato rintracciare – nel CTS o nella combinazione sistematica tra questo e il Codice [continua ..]
Con la successiva elaborazione dell’assetto dinamico del pluralismo si afferma un modello argomentativo diverso [15]. L’interprete utilizza la divergenza – già annunciata dall’associazione non riconosciuta – tra soggettività giuridica metaindividuale, da un lato, e personalità giuridica, dall’altro, per riconoscere l’atipicità dei soggetti privati dell’organizzazione della libertà sociale come principio ordinante della legalità costituzionale. La tutela individuale della persona, il riconoscimento dei diritti inviolabili anche all’interno delle “formazioni intermedie”, viene ricostruita nel segno della compatibilità con una sistematica della soggettività costituzionale caratterizzata nel senso della atipicità. L’assetto dinamico del pluralismo – quello che si caratterizza per l’assenza di un criterio selettivo, sia di carattere funzionale sia di carattere strutturale, di riconoscimento della soggettività costituzionale delle formazioni sociali – assicura la tutela individuale secondo meccanismi di controllo e di limite della libertà dei soggetti collettivi, ma non mediante la selezione, la limitazione, dei soggetti collettivi [16]. Il complesso discorso, a volerne riferire in estrema sintesi il senso e la conclusione, dimostra come la tassatività dei tipi di soggettività costituzionale di diritto privato, se osservata attraverso la connessione (integrazione) tra libertà individuale e libertà sociale che identifica il modello di pluralismo dinamico accolto nella Costituzione, realizza una limitazione della libertà individuale. A ben vedere si propone uno schema argomentativo non lontano – come schema – da quello che il privatista è ormai abituato ad utilizzare con riguardo alla liberà contrattuale: ogni limitazione della libertà sociale si risolve sempre in una limitazione della libertà individuale. Quindi, se dagli artt. 2 e 18 Cost. non è dato rintracciare una limitazione funzionale diversa da quella formalizzata con la riserva di legge rinforzata (norma penale) e se, in punto di analisi strutturale, l’unico limite imposto alle formazioni sociali è la tutela dei diritti inviolabili riconosciuti alle singole persone fisiche, l’interprete non può imporre alla [continua ..]
La questione ermeneutica sollevata dalla formula “altri enti di carattere privato “utilizzata nel CTS, rivela, dunque, un contenuto ulteriore rispetto a quello racchiuso nella vicenda storica legata alla formula “altre istituzioni di carattere privato”. Infatti, la relazione identitaria costruita dal legislatore tra ETS ed enti iscritti nel registro nazionale del terzo settore (art. 4, CTS), se fosse collocata all’interno di un contesto ermeneutico incline a riconoscere la tipicità delle forme giuridiche che realizzano l’entificazione privata delle strutture organizzative, ossia delle organizzazioni riconosciute come soggetti giuridici, determinerebbe una duplice limitazione dei soggetti della libertà sociale: la prima attivata mediante il principio di tassatività dei tipi di soggettivizzazione, la seconda con l’iscrizione nel registro. In tale ipotesi, però, la seconda limitazione incide sulla misura di libertà dell’ente di collocarsi all’interno del terzo settore e, quindi, di partecipare al processo allocativo di risorse pubbliche per la realizzazione di finalità di interesse generale; la prima, invece, seleziona e circoscrive le figure soggettive della libertà sociale e si pone, quindi, in contrasto con gli artt. 2 e 18 Cost. Il problema sollevato dalla formula “altri enti di carattere privato” contenuta nell’art. 4 CTS si può risolvere solo mediante l’individuazione ermeneutica di una struttura di senso che sia conforme al principio costituzionale dell’atipicità soggettiva delle formazioni sociali intermedie, ossia al sistema costituzionale delle libertà associative. Il limite attivato con l’iscrizione nel registro del terzo settore incide sulla libertà dei soggetti della solidarietà organizzata anche in funzione di protezione dei destinatari degli interventi di promozione sociale. In termini di efficienza allocativa delle risorse pubbliche destinate all’investimento sociale e, quindi, di tutela dei diritti individuali alla rimozione degli ostacoli che anche solo di fatto limitano o impediscono il pieno sviluppo della persona. Si tratta di una tecnica di controllo funzionale alla tutela individuale della persona che restituisce, in termini di disciplina particolare, il senso della più articolata e complessa connotazione che l’assetto dinamico del pluralismo [continua ..]
All’esito del controllo ammnistrativo, o della verifica notarile ex art. 22, comma 2 CTS, l’iscrizione nel registro unico del TS assicura solo la qualificazione dell’ente di diritto privato come ETS. L’ente come autonomo soggetto giuridico deve esistere già prima della registrazione. La soggettività giuridica, ossia l’esistenza giuridica di un’organizzazione come ente di diritto privato, è (arg. ex artt. 22 e 47 CTS) una delle condizioni legali per la sua qualificazione “come ente del terzo settore” [21]. La registrazione non incide sull’esistenza giuridica dell’ente di diritto privato, bensì solo sulla sua qualificazione come ETS. Il CTS presuppone la soggettività dell’ente, non contiene una disciplina del riconoscimento della soggettività giuridica metaindividuale [22]. Tuttavia, l’esistenza giuridica dell’ente diverso da quelli che hanno una disciplina legale, ossia da quelli tipizzati, è necessaria (condizione legale) per l’iscrizione nella sezione g) del registro (art. 46). Un dato normativo, quello appena indicato, che solleva il problema della qualificazione come ETS degli enti di diritto privato che non possono essere riconosciuti come soggetti giuridici mediante la qualificazione come associazione o fondazione – ovvero come fattispecie soggettive di secondo grado costruite attraverso l’associazione o la fondazione (artt. 32, 35, 37 e 41 CTS) – o come imprese sociali (art. 40 CTS) o come società di mutuo soccorso (art. 42 CTS) [23]. L’associazione non riconosciuta, in quanto categoria normativa destinata a liberare il sistema della soggettività metaindividuale dalla discrezionalità politica che caratterizza il riconoscimento concessorio della personalità giuridica, può orientare il processo ermeneutico che conduce all’individuazione della struttura di senso normativo conforme alla legalità costituzionale estesa alle norme interposte, che deve essere applicata, in concreto, per la soluzione di questo problema giuridico. Può contribuire alla soluzione, ad esempio, della questione se il trust possa o meno essere registrato come ente del terzo settore [24] Ma analoghi interrogativi possono sorgere con riguardo al contratto di rete tra imprese sociali, con riguardo al patrimonio destinato ex art. 2645-ter c.c., o in [continua ..]
Rispetto alla soggettività metaindividuale, la relazione sistematica tra Codice civile e Costituzione deve essere meditata ed approfondita nella direzione di analisi indicata dalla (ormai) acquisita consapevolezza circa il superamento della necessaria connessione tra acquisto della personalità giuridica ex art. 12 cod. civ. – secondo una modalità (concessoria) differente da quella prevista ex art. 2331 cod. civ. per le società di capitali (normativa) – e rilevanza dell’ordinamento interno dell’associazione per il diritto dello Stato. Occorre muovere dall’idea del riconoscimento dell’autonomia privata come criterio del valore giuridico del fatto associativo sufficiente per rintracciare la forma tecnica, la modalità giuridica, che giustifica e realizza la rilevanza della formazione sociale per l’ordinamento statale. Il principio pluralista che organizza il sistema costituzionale delle libertà associative consolida, nel segno di una compiuta elaborazione sistematica, un risultato ermeneutico che il Codice civile già aveva reso disponibile con la disciplina delle associazioni non riconosciute ex artt. 36 ss. Il riferimento è, in particolare, alla soggettività giuridica delle formazioni sociali come modalità tecnica della loro rilevanza rispetto allo Stato e come criterio costruttivo del diritto comune delle associazioni. Si tratta di evitare la semplificazione, forse l’equivoco, racchiuso nell’idea che il riconoscimento e la garanzia dei diritti inviolabili dell’uomo “nelle formazioni sociali” dove si svolge la sua personalità non solo assicuri, ma esaurisca la rilevanza della formazione sociale rispetto allo Stato. Una semplificazione, questa, assai insidiosa che rischia di assecondare una concezione del pluralismo come proiezione, svolgimento, delle situazioni giuridiche individuali – un “prolungamento” della libertà individuale di associarsi [27] – trascurando la necessità costituzionale di elaborare, con il riferimento all’art. 18 Cost., il senso e la misura della libertà come situazione collettiva, ossia dei diritti riconosciuti alla formazione sociale. In realtà, è la connessione – integrazione – tra situazioni giuridiche individuali e situazioni giuridiche collettive che caratterizza la conformazione strutturale del [continua ..]
I soggetti del potere di generare solidarietà sociale in base al principio di sussidiarietà sono individuati nel segno della necessità, ma anche dell’insufficienza della concezione individualistica del personalismo costituzionale. Accanto alla persona – singoli cittadini – viene riconosciuta la comunità – associazioni di cittadini – come autonomo e distinto soggetto della libertà sociale. Tale autonoma soggettività, nell’art. 118 comma 4 Cost., continua ad essere costruita sulla connessione tra situazioni individuali e situazioni collettive che già caratterizzava l’art. 18 e l’art. 2 Cost. Infatti, la libertà individuale di associarsi senza autorizzazioni (arg. ex art. 18 Cost.) per fini che non siano vietati ai singoli dalla legge penale verrebbe compromessa se l’esistenza dell’associazione come esito dell’esercizio individuale della libertà di associarsi, fosse subordinata ad autorizzazioni. Quindi, la libertà individuale di associarsi senza autorizzazioni (principio personalista) esiste in concreto solo se viene riconosciuta e garantita la libertà dell’associazione di svolgere attività funzionali allo scopo lecito (principio pluralista). Libertà, quest’ultima, che deve essere limitata nel segno della garanzia dei diritti inviolabili dell’Uomo (art. 2 Cost.) e che, quindi, viene in concreto limitata mediante la costruzione di doveri imputati alla formazione sociale come soggetto costituzionale. Dunque, è la libertà dell’associazione che rende effettiva la libertà individuale di associarsi: la seconda è riconosciuta e garantita in concreto solo nella misura in cui è garantita e riconosciuta la prima. Allo stesso modo, con riguardo all’art. 118, comma 4, Cost., l’autonoma iniziativa dei singoli associati può esistere solo come autonoma iniziativa dell’associazione. Infatti, se il potere privato di svolgere attività di interesse generale in base al principio di sussidiarietà non fosse riconosciuto e garantito anche all’associazione come autonomo soggetto giuridico, sarebbe riconosciuto a garantito solo ai singoli cittadini [29]. Quindi, soltanto l’esistenza dell’associazione come soggetto giuridico del potere privato garantisce la distinzione tecnica rispetto al potere [continua ..]
Si è visto che il modello di democrazia pluralista accolto nella Costituzione riconosce la soggettività metaindividuale come modo – non l’unico – della rilevanza giuridica delle formazioni sociali, che l’autonomia privata può scegliere di realizzare utilizzando le forme giuridiche predisposte dal legislatore ordinario. In tale direzione di analisi sistematica i tipi di soggetti giuridici metaindividuali, associazioni e società, diventano specifiche fattispecie legali soggettive e il riconoscimento della personalità giuridica si riduce a procedimento – di tipo normativo o concessorio – necessario solo per applicare al soggetto giuridico già esistente una particolare disciplina della responsabilità. Il legislatore costituzionale riconosce la possibilità che la formazione sociale assuma la forma di autonomo soggetto del pluralismo (an del soggetto costituzionale); il legislatore ordinario, invece, organizza l’attribuzione (il riconoscimento) della soggettività all’organizzazione (quomodo della soggettivizzazione). Tuttavia, anche laddove il legislatore ordinario non abbia elaborato una fattispecie legale specifica di soggettività, ovvero l’abbia prevista ma l’autonomia privata abbia scelto in concreto di non attivarla, lo Stato deve comunque assicurare e garantire ai singoli la tutela dei diritti inviolabili all’interno delle formazioni sociali non soggettivizzate. Tale tutela individuale identifica la minima condizione di legalità costituzionale necessaria per garantire il primato della persona come principio di razionalità ordinante dell’assetto dinamico del pluralismo. Garanzia, questa, che in realtà dovrebbe essere effettiva persino nelle ipotesi in cui la mancata soggettivizzazione della formazione sociale, da parte del legislatore ordinario o dell’autonomia privata, escluda la possibilità di attivare i meccanismi di protezione della persona rispetto alla comunità riconducibili al paradigma del rapporto giuridico tra soggetti di diritto. A tale ultimo riguardo, il discorso non può insistere sul significativo valore euristico della famiglia. Non può, in particolare, soffermarsi sul problema della famiglia come autonomo soggetto di diritto. Adesso è possibile solo limitarsi a sottolineare a) come la Costituzione riconosca, in realtà, i diritti [continua ..]
L’autonomia privata accolta in Costituzione come principio fondamentale sia per la costruzione dell’assetto dinamico del pluralismo, sia per l’effettivo funzionamento della sussidiarietà orizzontale, può attivare sempre le fattispecie legali di soggettivizzazione e solo in base alla condizione legale abilitante all’esercizio del potere (capacità). La soggettività giuridica è riconosciuta sempre alla formazione sociale, se la capacità giuridica individuale sceglie di esercitare il potere di autodeterminazione in adempimento dell’onere conformativo previsto dalla fattispecie legale. In tale direzione di analisi è dato riscoprire il significato più intimo, e per certi aspetti, più complesso del sistema normativo del riconoscimento della soggettività giuridica metaindividuale. Vuol dirsi che il sistema normativo è l’unica modalità di riconoscimento compatibile con l’assetto dinamico del pluralismo accolto in Costituzione mediante gli artt. 2 e 18 e 118. La normatività del riconoscimento garantisce che sia solo l’autonomia privata ad attivare, mediante la eguale capacità giuridica individuale, il processo di soggettivizzazione di diritto privato. A predisporre gli elementi della fattispecie legale soggettiva – ossia le condizioni della sussunzione del fatto associativo (costitutivo) nella fattispecie legale soggettiva – conformando la struttura organizzativa in adempimento degli oneri imposti dal legislatore. La soggettività metaindividuale resta un effetto legale subordinato al solo fatto di adempimento degli oneri conformativi; non costituisce, invece, autonomo e specifico contenuto dell’atto negoziale. Il dovere libero di conformazione (onere in senso tecnico) presuppone il concreto esercizio della capacità giuridica individuale (o collettiva) di scegliere (di volere) una determinata modalità conformativa dell’esercizio dell’autonomia privata (volontà del fatto di adempimento), non la volontà della soggettivizzazione. Vuol dirsi che, in punto di analisi teorico generale, il superamento della identificazione tra soggettività e personalità giuridica – che attraverso la forma giuridica del comitato sembra raggiungere persino la fondazione – può riproporre la contrapposizione teorico-generale tra sistema [continua ..]
A voler sintetizzare gli esiti della circoscritta analisi sistematica che è stata svolta, può dirsi che la soggettività metaindividuale di diritto privato è riconosciuta mediante qualificazione sussuntiva; è subordinata sempre e solo alla sussunzione del fatto in una fattispecie soggettiva legale generale o specifica (implicita o esplicita). La sussunzione organizza la dinamica giuridica che identifica il sistema normativo di riconoscimento formale della soggettività, anche quando, lo si vedrà in seguito, la tecnica della riconduzione al tipo di soggetto è convocata dall’interprete per accertare che la struttura organizzativa atipica non ecceda la resilienza del tipo legale e, quindi, non imponga una diversa qualificazione sussuntiva. L’autonomia privata è il “mezzo” (attiene al quomodo) non la “fonte” (an) della soggettività metaindividuale, e questa (la soggettività metaindividuale) è un effetto legale, non negoziale, dell’atto costitutivo [32]. Tale atto, nel processo di qualificazione sussuntiva che conduce al riconoscimento della soggettività metaindividuale, rileva come oggetto della qualificazione normativa (appartiene al fatto). L’autonomia privata che voglia raggiungere la soggettività metaindividuale ha l’onere (in senso tecnico) di rispettare la conformazione organizzativa richiesta dal legislatore, ossia formalizzata mediante la determinazione degli elementi della fattispecie legale soggettiva. Nella direzione di analisi indicata dal sistema normativo di riconoscimento della soggettività giuridica, conserva ragioni di significativa attualità l’esito teorico-generale per cui il «soggetto giuridico è una fattispecie» [33] Intendere la soggettività giuridica metaindividuale come fattispecie legale rende visibile, infatti, la effettiva funzione costituzionale del sistema normativo del riconoscimento. Tale sistema realizza una tecnica di uguaglianza formale (normatività) che custodisce il primato dell’autonomia privata, e con questo quello della capacità giuridica, nella concreta costruzione degli elementi selezionati dalla fattispecie legale come necessari e sufficienti per la sussunzione che conduce al riconoscimento della soggettività metaindividuale. Tuttavia, per risolvere il problema ermeneutico sollevato [continua ..]
Il discorso svolto ha già chiarito il senso e la misura in cui è possibile riconoscere nella soggettività metaindividuale di diritto privato una infrastruttura della democrazia pluralista. A tal riguardo, occorre adesso solo ricordare come le più evolute dottrine del pluralismo giuridico avevano avviato e sollecitato una “rilettura” delle categorie dogmatiche e normative del diritto privato orientata, da un lato, alla elaborazione di una più complessa razionalità sistematica edificata sul rapporto di reciproca interferenza esegetica tra Costituzione e Codice civile; dall’altro e più in particolare, alla estensione della dottrina della pluralità degli ordinamenti oltre il superamento della identificazione tra Stato e diritto, sino a ricostruire un diverso modello di sovranità articolato non solo sui diritti inviolabili del singolo ma anche sulla garanzia costituzionale delle formazioni sociali come limiti al potere dello Stato [36]. In quelle ricostruzioni, la soggettività metaindividuale veniva riconosciuta come categoria sistematica – una struttura concettuale che racchiude il sapere ermeneutico elaborato dalla dogmatica – movendo dal sindacato (art. 39 Cost.) e dal partito politico (art. 49 Cost.) quali fenomenologie della funzione infrastrutturale affidata dalla Costituzione al diritto privato. Il principio pluralista (art. 2 Cost.) organizza la democrazia riconoscendo l’autonomia privata, attraverso la eguale capacità giuridica (art. 1 cod. civ.) e la pari dignità sociale delle persone fisiche, come contenuto di una libertà di scelta che non si esaurisce nell’attivazione delle forme giuridiche – si pensi ad esempio al contratto, ai diritti reali, all’impresa e alla famiglia – costitutive e conformative dei rapporti economici e personali. La Costituzione mobilita il diritto privato come tecnica giuridica per realizzare una forma di Stato che affida alle libertà associative, dunque all’autonomia privata, il compito pubblico di costruire le articolazioni sociali e le figure soggettive funzionali alla diffusione della effettiva partecipazione dei singoli – soggetti con uguale capacità giuridica – all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Un esito sistematico, quello appena evocato, confermato e persino rinforzato dal comma 4 dell’art. [continua ..]
Adesso occorre almeno sottolineare come la funzionalizzazione della soggettività metaindividuale di diritto privato alla edificazione della democrazia pluralista riveli all’interprete l’urgenza di una riflessione sistematica meno sbrigativa di quella che continua a distinguere il diritto pubblico dal diritto privato movendo dalla concezione liberale della relazione tra interesse generale e diritto pubblico, ossia dal principio dogmatico per cui il perseguimento del bene comune sia solo un compito dello Stato. Se, infatti, a) è generale l’interesse al perseguimento del bene comune e b) tale compito pubblico è di competenza esclusiva dello Stato, ne deriva che c) la relazione tra interesse generale e diritto pubblico custodisce e formalizza un valore (politico e) istituzionale assoluto e necessario. Le democrazie pluraliste, al contrario, escludono il monopolio statale nell’individuazione e nel perseguimento del bene comune e fissano le condizioni di legalità costituzionale per l’autonoma attivazione di processi sociali nell’interesse generale che utilizzano le forme del diritto privato e, in particolare, la soggettività metaindividuale. In realtà, è proprio il compito pubblico del diritto privato a rivelare la più intima essenza della democrazia pluralista: il superamento del monopolio statale nella selezione e nella gestione dell’interesse generale che caratterizza, invece, le democrazie liberali. Un modello organizzativo della sovranità che, nei limiti della legalità costituzionale estesa alle norme interposte, affida la selezione dell’interesse generale, del «bene comune» (cfr. art. 1, CTS), sia alla decisione politica sia alla decisione sociale [38] Un modello che riconosce ai soggetti del diritto privato non solo il potere di organizzare la (o di partecipare alla) gestione dell’interesse generale selezionato (tipizzato) dalla scelta politica formalizzata dal legislatore costituzionale o ordinario, ma anche il potere di organizzare processi di legittimazione sociale della scelta che individua un’attività di interesse generale e che mobilita forme giuridiche di cooperazione per la sua realizzazione (arg. ex art. 18 e art. 118, comma 4 Cost.). Il contratto (con comunione di scopo) e la soggettività metaindividuale sono tecniche di gestione dell’interesse generale ‘atipico’, [continua ..]
In punto di analisi teorico-generale, si tratta di una vicenda giuridica e culturale che può essere adesso solo ricordata in termini di progressiva emancipazione del discorso giuridico dalla “necessità” logico-argomentativa della categoria dell’interesse collettivo. Un dispositivo dogmatico che la riflessione sul diritto sindacale post-corporativo aveva raccolto e rielaborato, in realtà, per assecondare un’esigenza di coerenza sistematica avvertita dall’interprete con riguardo alla divergenza tra funzione pubblica e natura privatistica del sindacato [39]. Nella successiva riflessione, l’interesse collettivo viene costruito, anche osservando la concreta esperienza giuridica, come fenomenologia dell’interesse individuale che l’interprete utilizza per sostenere un processo epistemologico in cui le categorie dogmatiche sono utilizzate per gestire le differenze tra le forme e le tecniche di tutela giurisdizionale del diritto privato e quelle del diritto pubblico. Un’operazione culturale che cercava di costruire soluzioni applicative disponibili ad accogliere istanze di piena ed effettiva tutela giurisdizionale in un contesto sistematico ancora caratterizzato nel senso della irrisarcibilità del danno da lesione dell’interesse legittimo, e ancora lontano sia dall’acquisizione del principio di atipicità delle forme di tutela sia dal riconoscimento delle azioni collettive (art. 840-bis e art. 840-sexiesdecies cod. proc. civ.) [40] Una evoluzione assai istruttiva che, tuttavia, deve rimanere sullo sfondo; adesso occorre solo sottolineare come l’interesse collettivo abbia un’origine concettuale di tipo induttivo che riconosce in un fatto (anche, non solo, negoziale) la fonte di una serie di bisogni individuali che il contratto o la soggettivizzazione possono organizzare come interesse comune a più parti o come sintesi (“combinazione”) unitaria generata dall’esercizio della libertà associativa [41]; ovvero che possono rimanere e rilevare solo come interessi diffusi in una determinata formazione sociale (anche occasionale). L’interesse collettivo, inteso come categoria dogmatica collocata – accanto all’interesse individuale – in quella di interesse particolare che si contrappone all’interesse generale, ha svolto una funzione euristica di protezione e di conservazione della [continua ..]
La funzione infrastrutturale che la Costituzione della democrazia pluralista affida alla soggettività metaindividuale di diritto privato rivela, dunque, le insidie e i limiti culturali delle impostazioni che continuano ad assecondare le suggestive simmetrie sistematiche edificate sulla relazione, percepita dall’interprete come assoluta ed esclusiva, tra interesse generale al perseguimento del bene comune e diritto pubblico. Il principio costituzionale pluralista organizza la sovranità nel rispetto dei limiti che la complessità sociale impone alla rappresentanza politica e utilizza la soggettività metaindividuale di diritto privato come tecnica giuridica che garantisce l’inclusione e la conflittuale partecipazione della società civile nel funzionamento delle istituzioni statali (società politica) [43] Tuttavia, l’analisi funzionale della soggettività metaindividuale rivela un contenuto tecnico ed un valore sistematico più estesi. Non si esaurisce nella individuazione della infrastruttura giuridica che in concreto abilita il diritto privato alla costruzione del pluralismo delle istituzioni e del pluralismo nelle istituzioni [44]. Infatti, la soggettività metaindividuale è la categoria sistematica che ha attivato e orientato la strategia ermeneutica di progressivo adeguamento della funzione rimediale del diritto privato alla Costituzione e, in particolare, alla relazione tra democrazia pluralista e giurisdizione. Una struttura di senso giuridico disponibile ad accogliere e riprodurre nel processo civile la complessità ed il conflitto sociali e, quindi, a superare i limiti che la concezione liberale dell’organizzazione sociale imponeva alla funzione rimediale del diritto privato, da un lato, attraverso la esclusiva distinzione tra interessi differenziati (individuali) e interessi generali (pubblici); dall’altro, riconoscendo nel diritto soggettivo il fondamento ed il limite della sovranità esercitata dallo Stato in forma di controllo giudiziale attivato dall’iniziativa processuale individuale (azione). L’evoluzione istituzionale e politica scandita dalla progressiva affermazione di modelli rimediali collettivi elaborati mediante “l’uso alternativo” delle tradizionali tecniche individuali della tutela civile, è stata avviata e in larga parte realizzata dalla soggettività metaindividuale nel [continua ..]
Nel sistema originario del Codice civile, anche la funzione rimediale del diritto privato viene affidata dal legislatore storico a schemi normativi e apparati concettuali ispirati all’individualismo liberale. Prevale, nelle ragioni politiche che orientano le scelte normative, l’idea che il bene comune – l’interesse generale – debba essere realizzato, in misura prevalente ancorché non esclusiva, attraverso le iniziative individuali [47]. Tuttavia, l’intenzione di elaborare fattispecie normative che assicurino rilevanza rimediale solo al bisogno di tutela individuale, ossia che condizionino il funzionamento del rimedio all’imputazione (imputabilità) dell’interesse meritevole ad un soggetto determinato, non ha impedito all’interprete di sviluppare una strategia ermeneutica orientata alla ricostruzione di una sistematica delle forme e delle tecniche di tutela del diritto privato adeguata alla legalità costituzionale estesa alle norme interposte (principio di effettività). Il discorso, a riguardo, deve limitarsi a segnalare gli esiti acquisiti dall’interprete utilizzando, nella mediazione epistemologica attivata dal sapere dogmatico, il concetto di soggettività metaindividuale come categoria sistematica. Occorre muovere dalla considerazione generale che la realizzazione della funzione rimediale del diritto privato è subordinata all’attivazione di tecniche di tutela dell’interesse riconosciuto meritevole di protezione in base ad un criterio oggettivo di valore giuridico riconducibile alla scelta del legislatore o all’autonomia privata. Nondimeno, ed è questo l’aspetto che adesso deve essere considerato, la concreta rilevanza di un interesse meritevole (in astratto) di protezione dipende, altresì, dalla sua imputazione ad un soggetto. Se, dunque, il funzionamento rimediale del diritto privato presuppone la capacità giuridica – la soggettività – come condizione abilitante all’imputazione, può ritenersi che la rilevanza dell’interesse meritevole di tutela sia riconosciuta anche in base ad un criterio soggettivo del valore giuridico (capacità-imputazione). La necessità e l’insufficienza della oggettiva rilevanza giuridica di un interesse trova ragione di indiretta conferma anche nelle riflessioni sulla legittimazione processuale periorganica [continua ..]
Un’evoluzione che, in realtà, non dimostra la coerente continuità di una consapevole strategia istituzionale. Infatti, in una prima fase, tutela individuale e tutela collettiva dissimulano strategie argomentative che in misura significativa, e secondo percezioni teoriche assai diverse, utilizzano la soggettività metaindividuale per trasformare la logica dell’imputazione in principio di razionalità ordinante del sistema rimediale di diritto privato [51]. A riguardo, il discorso deve limitarsi a sottolineare come tali categorie abbiano accolto e trasmesso l’alternativa sostanziale tra interesse particolare e interesse generale che organizzava, e nelle percezioni prevalenti ancora organizza, la distinzione tra diritto pubblico e diritto privato. Un’operazione culturale che tenta di ricondurre l’ermeneutica orientata alla legalità costituzionale estesa alle norme interposte (art. 24 Cost.; artt. 6 TUE e artt. 6 e 13 CEDU) nella logica dell’imputazione; e che, in tal modo, immagina di proteggere e conservare, anche con riguardo alla tutela collettiva, la coerenza epistemologica dello schema argomentativo che riconduce l’interesse particolare (individuale o collettivo) al diritto privato e l’interesse generale al diritto pubblico. L’interesse collettivo presuppone gli interessi individuali e, attraverso questi, l’imputabilità del bisogno a soggetti determinati o determinabili in base al contratto o in base a criteri legali che possono far riferimento alla categoria professionale (arg. ex art. 2601 c.c.), oppure a fatti biologici, biografici, status, condizioni personali o sociali. L’interesse generale rileva, invece, solo in ragione dell’oggetto (ad es. ambiente, istruzione, assistenza, funzionamento del mercato) non del soggetto del bisogno, ed è quindi emancipato non solo dall’imputazione (imputabilità), ma persino dall’attualità ontologica del soggetto (l’esistenza di un soggetto) e, quindi, può rilevare anche per le generazioni future. La soggettività metaindividuale aggrega [52], ma nel senso dell’unitaria imputazione, gli interessi individuali convergenti nella direzione teleologica indicata dallo scopo dell’organizzazione e, quindi, realizza una forma di integrazione diversa da quella ottenuta mediante il contratto con comunione di scopo che non incide, [continua ..]
Il discorso sulla funzione rimediale del diritto privato non può adesso soffermarsi sulla tutela individuale dell’interesse generale, ossia sulle ipotesi in cui la difesa della proprietà o i rimedi contrattuali o, ancora, la protezione dell’impresa attivati dal singolo riescono a tutelare, in via solo mediata o riflessa, anche interessi generali [55]. Ipotesi in cui, a voler esemplificare, la disciplina delle immissioni o quella degli atti emulativi o la tutela risarcitoria o l’abuso del diritto vengano mobilitati per tutelare l’interesse individuale alla protezione dell’ambiente, delle biodiversità o degli ecosistemi secondo un modello ragguagliabile – solo per struttura non certo per contenuto tecnico – a quello consueto nella riflessione sulla tutela della salute come fondamentale diritto dell’individuo e come interesse collettivo. Deve, in altri termini, rimanere ai margini della riflessione la considerazione della concorrenza, coincidenza, o dell’interferenza di interessi generali e di interessi particolari, individuali e di gruppo, nella disciplina dei rapporti sociali. Una direzione di analisi che pure potrebbe contribuire a ridimensionare il valore sistematico della distinzione tra interessi, almeno nel senso che le qualificazioni come individuale, collettivo o generale, se riferite all’interesse inteso come bisogno riconosciuto e protetto dall’ordinamento giuridico, non rivelano né custodiscono un’identità sostanziale. Non descrivono un contenuto da ricondurre all’alternativa sostanziale scandita dal riferimento al bonum commune (utilità sociale) o al bonum privatum (utilità privata). Rivelano solo la misura – non l’an, né il quomodo – del riconoscimento dell’interesse come meritevole di protezione in base al criterio dell’imputazione [56]. La rilevanza particolare (individuale o collettiva) dell’interesse è limitata dalla necessità dell’esistenza antecedente del soggetto fisico (persona) o metaindividuale dell’imputazione. Al contrario, la rilevanza generale dell’interesse riconosciuto meritevole di tutela non presuppone l’imputazione. Il bisogno viene tutelato come contenuto dello statuto giuridico della persona in base ad un meccanismo di uguaglianza formale e, quindi, costruisce non presuppone la capacità [continua ..]
Il riferimento al private enforcement degli interessi generali dovrebbe essere ripreso e approfondito anche per analizzare la soggettività metaindividuale come tecnica giuridica che contribuisce alla realizzazione della funzione regolatoria del diritto privato. Una linea di ricerca trascurata che, per certi aspetti, coinvolge ancora la funzione rimediale del diritto privato ed a cui, adesso, è possibile solo accennare [59]. Attraverso la soggettività metaindividuale, questo il senso complessivo della riflessione, il diritto privato può ‘orientare’ le scelte personali o negoziali, lo svolgimento di attività economiche e i processi di allocazione delle risorse pubbliche nella direzione teleologica indicata dagli scopi di interesse generale selezionati dalla Costituzione e dalle norme interposte. La funzione regolatoria mobilita il sistema rimediale del diritto privato in un senso diverso da quello che caratterizza la protezione degli interessi particolari o generali. Le tutele invalidative, risarcitorie e inibitorie sono solo – o in prevalenza – un mezzo per la realizzazione delle finalità costituzionali selezionate dalla scelta politica del legislatore nazionale o europeo come prevalenti in una determinata situazione storica (diritto privato politico). Tuttavia, la funzione regolatoria del diritto privato può essere realizzata anche mediante tecniche giuridiche diverse da quelle predisposte per la tutela degli interessi individuali o collettivi. Il legislatore nazionale o europeo, per realizzare funzioni regolatorie, può ricorrere alle tecniche del diritto pubblico o a quelle del diritto privato, e può persino scegliere di utilizzarle entrambe. Tra le tecniche del diritto privato che il legislatore può scegliere di utilizzare in funzione regolatoria non vi sono solo quelle conformate secondo il tradizionale schema logico, di ispirazione liberale, del diritto soggettivo e dell’azione processuale esercitata per la sua protezione. La soggettività metaindividuale è una tecnica del diritto privato che può essere attivata anche secondo il modello concettuale, di ispirazione pluralista, della capacità e dell’autonomia privata impegnate nella partecipazione ai processi di organizzazione (regolazione) delle relazioni sociali, economiche e politiche. Di tale articolato e lungo discorso, l’osservatore deve segnalare [continua ..]
La riflessione sulle funzioni della soggettività metaindividuale di diritto privato, sebbene svolta in maniera assai sintetica, circoscrive e chiarisce il contesto sistematico in cui collocare il problema ermeneutico sollevato dalla formula ‘altri enti di carattere privato’ utilizzata nel CTS (art. 4). È infatti nel sistema che l’interprete deve rintracciare l’orizzonte di senso ermeneutico necessario per argomentare la soluzione del problema. L’analisi funzionale rivela l’effettivo valore euristico che la soggettività metaindividuale può generare nella dinamica giuridica, se utilizzata dall’interprete come categoria sistematica ordinante nell’ermeneutica della disciplina legale dell’associazione non riconosciuta. E, in particolare, se mobilitata per la costruzione di una fattispecie legale, implicita e generale, della soggettività metaindividuale. Un esito, questo, da chiarire subito nel senso che gli altri enti di carattere privato non sono da ricondurre al tipo legale dell’associazione. Vuol dirsi che il riferimento alla associazione non riconosciuta circoscrive la disciplina da cui è possibile ricavare, in via ermeneutica, la fattispecie legale implicita ma generale che fissa i contenuti conformativi, minimi e sufficienti, che l’autonomia privata ha l’onere di rispettare se vuole attivare la sussunzione, quella che genera il riconoscimento normativo della soggettività giuridica (effetto legale), anche nelle ipotesi in cui il fatto costitutivo non sia riconducibile ai tipi legali di soggettività che hanno una disciplina organizzativa particolare [61]. Si tratta di una fattispecie generale che, qualificando in via sussuntiva il fatto di organizzazione, riconosce – in base ad un meccanismo di uguaglianza formale – la soggettività metaindividuale dell’ente del Terzo settore che non sia riconducibile alle “categorie che hanno una disciplina particolare” in quanto non sia riconducibile alla categoria tipologica dell’associazione o a quella della fondazione (o alla società). A riguardo occorre innanzitutto distinguere la disciplina della struttura organizzativa dalla disciplina dell’imputazione, ossia dalla disciplina costruttiva (di riconoscimento) della soggettività come capacità di legittimazione all’imputazione [62]. Le categorie di [continua ..]
La conclusione del discorso deve ancora dar conto delle ragioni, ermeneutiche e sistematiche, che inducono a rintracciare proprio nell’art. 38 c. c. quell’eccedenza di senso normativo della disciplina legale delle associazioni non riconosciute, che, attraverso la categoria sistematica della soggettività metaindividuale, l’interprete può organizzare in fattispecie soggettiva implicita e generale per ricostruire il sistema di riconoscimento normativo della capacità di legittimazione all’imputazione. La fattispecie normativa generale e implicita che attiva la qualificazione sussuntiva degli enti non riconducibili ai tipi che hanno una disciplina particolare come associazioni o fondazioni e, quindi, neppure come fattispecie legali soggettive di secondo grado (arg. ex artt. 3 e 4, CTS). L’art. 38 Cod. civ. fissa due regole di responsabilità. Tali regole sono basate su due elementi: l’esistenza di una rappresentanza organica ossia necessaria (presupposto di responsabilità principale), da un lato, e l’assenza della personalità giuridica dall’altro (presupposto di responsabilità additiva). La norma descrive una fattispecie oggettiva non soggettiva, ossia una articolata regola di responsabilità del soggetto e non di struttura organizzativa del soggetto. Regola che non è applicabile all’associazione riconosciuta in quanto la sua applicazione presuppone l’assenza della personalità giuridica. D’altro canto, l’intera disciplina dell’associazione non riconosciuta è costruita in base al principio di identità del tipo e non individua una tipologia di struttura organizzativa diversa da quella dell’associazione riconosciuta. Il presupposto applicativo della disciplina è, infatti, solo l’assenza della personalità giuridica. Adesso interessa sottolineare che la fattispecie oggettiva descritta nell’art. 38 cod. civ. rende visibili, presupponendoli, gli elementi strutturali necessari e sufficienti della soggettività giuridica metaindividuale senza però collocarli all’interno di un tipo specifico di struttura organizzativa: la modalità organizzativa dell’attività (rappresentanza), l’identità (nome) e la responsabilità principale (fondo comune) [68]. L’art. 38, quindi, descrive anche la fattispecie [continua ..]