Lo studio mira (non ad abbandonare ma) a ridimensionare la diffusa reinterpretazione dell’art. 844 c.c. in chiave di tutela dei diritti della personalità, auspicando altresì un cambiamento di approccio con riguardo ai parametri pubblicistici e alla loro rilevanza anche per i rapporti di vicinato.
The study aims (not to abandon but) to scale back the widespread reinterpretation of article 844 of the Italian Civil Code in terms of protection of personality rights while also hoping for a likewise change in approach with regard to public law rules and their relevance to neighborhood relations as well.
1. Introduzione - 2. La fase della tutela privatistica proprietaria (inibitoria): il diritto romano e la tradizione romanistica medioevale - 3. Segue. Le moderne esperienze giuridiche francese e tedesca nonché considerazioni di sintesi - 4. Segue. il diritto italiano precedente la codificazione del 1942 - 5. La fase dell’affermazione della tutela privatistica pecuniaria (risarcitoria e soprattutto indennitaria): l’esempio emblematico del diritto tedesco - 6. Segue. Altre esperienze giuridiche e considerazioni di sintesi - 7. Segue. Il diritto italiano successivo alla codificazione del 1942 - 8. La fase, spiccatamente italiana, della tutela anche inibitoria della salute e di altri diritti della personalità attraverso la disciplina sulle immis-sioni: stato dell’arte - 9. Segue. Critica - 10. La fase della tutela pubblicistica e della sua crescente in-fluenza (diretta principalmente a contenere il rimedio inibitorio) sul diritto privato: l’esempio emblematico del diritto tedesco - 11. Segue. Altre esperienze giuridiche e considerazioni di sintesi - 12. Segue. Stato dell’arte del diritto italiano e sua critica - 13. Conclusioni - NOTE
La materia delle immissioni, cioè della indiretta e involontaria propagazione di fattori disturbanti tra vicini, è definita, in una delle più diffuse opera accademiche di common law [1], una giungla impenetrabile, forse la più impenetrabile in ambito giuridico. Una simile definizione, come verificheremo, non è inadeguata pure per ordinamenti giuridici di civil law [2] e specialmente per il diritto italiano.
Nella nostra materia, si verificano, infatti, mutamenti talvolta non lineari né agevoli da ricondurre a sistema, venendo in rilievo nuove esigenze concrete connesse alla evoluzione della società e dell’economia così come impostazioni concettuali, se non ideologiche [3], su istituti centrali del diritto civile, innanzi tutto la proprietà [4] ma in tempi più recenti anche la salute e altri diritti della personalità.
Si potrebbe immaginare che nei Paesi dotati di un’apposita disciplina, come quella di cui all’art. 844 c.c., il giurista positivo abbia di fronte a sé un compito semplificato, consistente principalmente nell’esegesi della stessa, ma non è affatto così, in quanto in tema di immissioni, più che in relazione ad altre questioni privatistiche, ha storicamente pesato e continua a essere centrale il ruolo della giurisprudenza, oltre e persino a prescindere dai testi scritti [5].
A complicare ulteriormente il quadro [6], si aggiunge la crescente rilevanza di leggi speciali di ambito pubblicistico, la cui esatta interazione con i rimedi civilistici va collocata nel contesto delle generali novità concernenti il rapporto tra i due settori dell’ordinamento giuridico, senza contare la a sua volta sempre più frequente incidenza di atti normativi sovranazionali.
Orientando l’indagine civilistica in prospettiva storico-comparatistica (con particolare riguardo ai principali Paesi di civil law) e al tempo stesso rimediale è peraltro possibile individuare, sia pure non senza un certo livello di approssimazione, tre tappe fondamentali. Innanzi tutto vi è la fase più tradizionale, che affonda le sue radici nel diritto romano e si protrae fino all’età moderna, incentrata sulla tutela privatistica squisitamente proprietaria, ovverosia inibitoria. Segue una ulteriore fase, affermatasi indicativamente al tempo della seconda rivoluzione industriale, in cui si sviluppa particolarmente la tutela privatistica pecuniaria, risarcitoria e soprattutto indennitaria. Si può infine riscontrare, negli ultimi decenni e pure nel momento attuale, una terza fase caratterizzata prevalentemente dalle tutele pubblicistiche e dalla loro crescente influenza (diretta fondamentalmente a contenere il rimedio inibitorio) sul diritto privato.
Verificheremo come il diritto italiano abbia vissuto in pieno le prime due fasi, ma si trovi, attualmente, a non avere ancora sviluppato fino in fondo la terza. Gli sforzi di significativa parte del nostro ordinamento giuridico sembrano negli ultimi decenni dedicati piuttosto alla realizzazione di una diversa fase, non riscontrabile negli stessi termini negli altri Paesi presi in considerazione in questa sede, basata sulla tutela anche inibitoria della salute e di altri diritti della personalità attraverso la disciplina civilistica sulle immissioni.
Le citate fasi saranno ora esaminate, come si è anticipato, con un approccio storico-comparatistico e al tempo stesso rimediale, sembrando questa la strada migliore per tentare di penetrare la giungla delle immissioni ovverosia, per quanto qui più interessa, di ricostruire compiutamente l’art. 844 cod. civ.
Sebbene non sembri possibile individuare con certezza l’assetto del diritto romano in tema di immissioni nelle sue varie fasi storiche [7], può ragionevolmente ipotizzarsi che da un lato «il profondo rispetto della libertà del proprietario» [8] in linea di massima caratterizzante tale diritto e dall’altro la limitata urbanizzazione propria dei tempi più risalenti rendano a lungo la questione in esame scarsamente rilevante [9].
Al tempo dei Severi è peraltro presente un principio generale a governo della nostra materia [10], quello per cui in suo hactenus facere licet, quatenus nihil in alienum immittat, dal quale potrebbe a prima vista pensarsi di desumere un divieto assoluto di propagazione di fattori disturbanti da un fondo a un altro.
Di tale principio si trova chiara testimonianza nei Digesti di Giustiniano [11], ove Ulpiano illustra la celebre fattispecie della taberna casiaria: una persona abitante sopra una fabbrica di formaggi si rivolge al giurista Aristone, per conoscere la liceità oppure non delle immissioni di fumo provenienti dalla citata fabbrica e dirette verso il proprio edificio. Aristone risponde in senso negativo, affermando appunto che a ciascuno è consentito fare sulla sua proprietà ciò che vuole, purché però non produca immissioni su quella altrui, giustificando quindi in relazione a tale caso la tutela reale dell’immesso, salva solo l’ipotesi della presenza di una servitù di immissioni di fumi in favore dell’immittente [12].
Un simile divieto, concepito in termini davvero assoluti, però, non avrebbe alcun senso: anche senza contare che è già il verbo immittere a esprimere l’idea di superamento del limite [13], è infatti un’affermazione scontata e senza tempo quella che continuiamo leggere, per esempio, nella cinquantesima edizione delle Istituzioni di Alberto Trabucchi, ovverosia che «una certa tolleranza è sempre necessaria, perché altrimenti non sarebbe addirittura possibile la vita in società» [14].
La società romana, del resto, era piuttosto complessa, essendo già per questo motivo inverosimile che non si verificassero quotidianamente numerose immissioni, molte delle quali normali e come tali da tollerare: basti pensare che, al tempo del Principato, Roma aveva all’incirca un milione o un milione e mezzo di abitanti ed era caratterizzata anche da tanti edifici (le insulae) ove varie abitazioni e attività erano assai ravvicinate [15].
L’ipotesi a prima vista sopra prospettata è, in effetti, infondata già in diritto romano [16]. Se pure vi è quel principio generale e se pure esso esprime indubbiamente una impostazione di forte tutela per l’immesso, anche dal punto di vista del rimedio di natura reale dell’actio negatoria servitutis concessogli [17], non manca una invero inevitabile considerazione pure per la posizione dell’immittente, dimostrando la più ampia casistica trattata dai giuristi romani come occorra tollerare l’immissione corrispondente a un uso normale della propria cosa da parte del vicino [18]: per questo motivo, non era concesso impedire, per esempio, l’umidità propagatasi sulla propria parete cui il vicino tenesse addossato il proprio bagno oppure una modesta quantità di fumo proveniente dall’altrui cucina [19].
Chi ha tentato di compendiare in poche parole il diritto romano in tema di immissioni ha dunque persuasivamente affermato che «ogni immissione nella cosa altrui non è lecita, a meno che non sia richiesta da una necessità derivante dall’uso normale della propria cosa» [20]. Sembra, in ogni caso, che fossero senz’altro vietate le immissioni provenienti da attività che oggi definiremmo produttive, come ben esemplificato proprio dalla vicenda della taberna casiaria.
Anche nella tradizione romanistica una impostazione in linea di massima del tipo di quella appena illustrata persiste molto a lungo [21].
Lo dimostra, tra le altre, la circostanza che, in epoca medioevale, Bartolo da Sassoferrato continua a considerare decisivi l’intensità e il carattere normale o anormale delle immissioni [22], precisando in particolare che avviare una bottega o una trattoria con continua produzione di fuoco e di molto fumo integra una violazione dei rapporti di vicinato e lasciando intendere che «the extended commercial use of land was also judged inadmissible» [23].
Pure nella tradizione dello ius commune rimane inoltre centrale, per quanto concerne il profilo rimediale, l’actio negatoria di derivazione romanistica [24].
Nella modernità, prima del Code civil, una impostazione sempre del tipo di quella in discorso si ritrova chiaramente negli scritti dei principali giuristi francesi dei secoli diciassettesimo e diciottesimo, Jean Domat e Robert Joseph Pothier.
In estrema sintesi, Domat lascia infatti intendere che, a parte la diversa ipotesi in cui un proprietario produca immissioni con l’intenzione di disturbare il vicino a prescindere da un proprio vantaggio, l’illiceità delle propagazioni dipenda dalle caratteristiche della località ovverosia da ciò che è normale in una certa zona [25]. In termini che paiono nella sostanza non dissimili, Pothier ritiene che la valutazione debba essere incentrata sulla maggiore o minore intensità delle immissioni [26].
Con il Code civil del 1804 (si veda soprattutto l’art. 544 [27]) si afferma peraltro una concezione amplissima, che può senz’altro considerarsi ideologica, per non dire «sacro-sainte» [28], del contenuto della proprietà (diversa da quella tutto sommato più equilibrata derivante dalle fonti del diritto romano [29]), definita dai giuristi francesi del tempo come un potere sovrano ovverosia un completo dispotismo sopra la cosa [30], prospettiva questa che risulta assai difficile da conciliare con la presenza di limiti a tale diritto, quale anche il divieto di immissioni anormali evidentemente è. Sebbene possa aver giocato un ruolo pure la fretta con cui il testo normativo è stato predisposto [31], sembra in linea con tale prospettiva la circostanza che nel Code civil non si trova alcun riferimento esplicito alle immissioni.
Come si è già avuto modo di segnalare con riguardo al diritto romano, peraltro, un divieto assoluto di qualsivoglia immissione sarebbe davvero inconcepibile [32]: lo riconoscono gli stessi giuristi francesi che pure definiscono la proprietà nel modo appena rammentato, ammettendo che, se ognuno invocasse il proprio diritto illimitato, nessuno sarebbe davvero proprietario e l’esito sarebbe la guerra e/o l’anarchia [33].
Si comprende agevolmente, pertanto, come la giurisprudenza francese, nonostante l’assenza di una specifica disciplina codiscistica, si sia preoccupata di trovare una soluzione equilibrata simile a quella derivante dalle pagine di Domat e Pothier e rappresentata (in aggiunta agli ulteriori istituti, per motivi diversi però entrambi poco adeguati alla nostra materia, dell’azione generale di responsabilità extracontrattuale [34] e dell’abus du droit de propriété [35]) dalla teoria dei troubles anormaux de voisinage, ai sensi della quale sono illecite (solo) le immissioni gravi e anormali in una certa area [36]. Tale teoria, con le integrazioni su cui ci soffermeremo nel prosieguo ancora oggi applicata in Francia, si fonda su un antico principio, quello secondo cui nessuno dovrebbe arricchirsi a spese di qualcun altro, ciò che non si verifica ove le immissioni reciproche non superino la soglia della normalità, nel qual caso può dirsi che i pregiudizi subiti da un proprietario controbilanciano quelli da lui arrecati ai vicini [37].
Pure in ambito tedesco, prima del BGB, dominano soluzioni – almeno dal punto di vista dei più semplici e tradizionali rapporti di vicinato – equilibrate [38], in linea con la fase che stiamo tratteggiando, in forza delle quali peraltro le attività industriali, per lungo tempo, continuano a soccombere di fronte a confliggenti interessi dei proprietari vicini [39].
Tracce di questa impostazione giungono fino a Rudolf von Jhering, il quale coerentemente con essa afferma che le attività produttive, per non essere inibite, dovrebbero spostarsi in luoghi isolati, sostenendo peraltro anche la necessità di un bilanciamento tra i diversi interessi dei vicini alla luce di quanto è normalmente sopportabile [40] e così ponendo le premesse per una crescente considerazione delle ragioni della produzione, come verificheremo caratterizzante la successiva evoluzione del diritto tedesco.
Sia pure non senza una certa semplificazione, si può pertanto affermare che il quadro considerato fino a questo punto lascia, nel complesso, trasparire un approccio di maggiore protezione per l’immesso. Ciò può sostenersi in quanto, in questa prima fase, la tutela contro le immissioni tende a essere configurata come un sottotipo di quella contro gli sconfinamenti nel fondo altrui, così che si prospettano quali soluzioni principali quella ex ante della costituzione di una servitù (volontaria o in certi casi coattiva) e quella ex post di un’azione di cessazione delle immissioni (le quali, evidentemente, non siano giustificate da una servitù) sul modello dell’actio negatoria del diritto romano, rimanendo invece marginale la tutela risarcitoria o più in generale pecuniaria [41], che comunque, se esperibile, normalmente si aggiunge alla principale tutela reale, non la sostituisce [42].
Il Codice civile del 1865 segue il modello del Code civil, così evitando di dedicare un’apposita disciplina alle immissioni. Nel suo vigore, la prassi italiana tende peraltro a orientarsi sua volta in modo simile a quella francese, considerando illecite le immissioni eccessive in quanto consistenti in un uso anormale della cosa tale da comportare disagi insoliti al vicino [43].
Ciò non stupisce, tenuto conto dello stretto legame sussistente a quel tempo tra la cultura giuridica italiana e quella francese, non solo nella materia in esame [44].
Tale assetto, peraltro, è destinato a subire significativi mutamenti: si noti fin d’ora che, nel Codice civile del 1942, il comma 1 dell’art. 844 cod. civ., finirà per indicare come criterio generale quello della tollerabilità, segnando in tal modo quale limite non la normalità dell’esercizio di una certa attività, ma appunto la tollerabilità per l’immesso, ovverosia la normalità degli effetti che l’attività provoca nel fondo che la subisce [45]. Si tratta di una impostazione – per non dire un «capovolgimento concettuale» [46] – che lascerà trasparire l’intenzione del legislatore italiano di tutelare maggiormente, rispetto all’approccio tradizionale, l’immittente [47], intenzione questa che risulterà ancora più chiara nel comma 2 dell’art. 844 cod. civ., come verificheremo a tempo debito (v. infra, par. vii).
Il quadro normativo appena descritto si rivela inadeguato quando, con la diffusione dell’industrializzazione e delle attività altamente inquinanti a essa collegate, le immissioni divengono idonee a colpire numerose proprietà anche non contigue, così che, indicativamente al tempo della seconda rivoluzione industriale nel diciannovesimo secolo avanzato [48], si sviluppa una seconda fase caratterizzata dalla progressiva affermazione, sempre più in sostituzione della tradizionale actio negatoria, della tutela privatistica pecuniaria, risarcitoria e soprattutto indennitaria [49]. Occorre parlare al riguardo di un’affermazione progressiva, in quanto all’inizio dell’industrializzazione il favor per le attività produttive, considerati i benefici sociali derivanti dalle stesse, tende a essere ancora più spiccato, traducendosi talvolta in un diniego all’immesso non solo della tutela reale ma anche di quella meno incisiva puramente pecuniaria [50].
È emblematico al riguardo l’esempio del diritto tedesco, per il cambio di rotta del quale è – ancora una volta nella nostra materia – decisiva la creatività giurisprudenziale, innanzi tutto quella del Reichsgericht che nel 1882 adotta una valutazione non più astratta come in precedenza ma concreta incentrata specialmente sulla condizione dei luoghi, in forza della quale si è tenuti a sopportare immissioni usuali per un certo tempo e un certo territorio [51]. Tale prospettiva, come verificheremo tra breve, rimarrà ferma anche in seguito all’adozione del BGB e anzi sarà nei primi anni della sua entrata in vigore sempre più interpretata in favore delle attività produttive, per esempio prendendo in considerazione non solo la zona circostante le immissioni ma anche altre città, oltre che estendendo la tutela concessa alle attività industriali anche a quelle agricole [52].
Si tenga conto che nel BGB, come noto di quasi un secolo successivo al Code civil, si trova – verosimilmente anche proprio a causa della sua maggiore modernità e dell’industrializzazione nel frattempo sviluppatasi [53] – sancita una impostazione più equilibrata di quella della codificazione francese sul diritto di proprietà, di cui sono positivamente disciplinate più incisive limitazioni [54].
Non sorprende dunque la presenza di una specifica normativa pure con riguardo alle immissioni, quella di cui al § 906 BGB che, nella versione originaria del 1900, come già accennato, tiene fermo l’assetto elaborato dalla precedente giurisprudenza tedesca, senza fare peraltro ancora esplicito riferimento a una soddisfazione pecuniaria in favore del proprietario che sia tenuto a sopportare significative immissioni (né a misure precauzionali) [55].
La mancanza di una base normativa di portata generale per giustificare una siffatta soddisfazione pecuniaria non impedisce, peraltro, ai giudici di orientarsi proprio in tal senso già verso la fine del diciannovesimo secolo. Questa evoluzione del diritto vivente si verifica innanzi tutto facendo leva su una previsione settoriale (il § 26) della Gewerbeordnung für den Norddeutschen Bund del 1869, sulla quale torneremo più approfonditamente nel prosieguo, quando illustreremo la sua rilevanza anche come prima importante testimonianza della incidenza del diritto pubblico sulla nostra materia. La giurisprudenza tedesca arriva infatti progressivamente a estendere questa previsione a ogni attività produttiva, di cui in tal modo si evita la cessazione, salva una soddisfazione pecuniaria per l’immesso, ove la citata attività sia stata autorizzata dalle competenti autorità amministrative [56].
In seguito a una modifica del 1959, il § 906 del BGB, ancora una volta, finisce quindi per recepire esplicitamente gli esiti della precedente evoluzione giurisprudenziale, contemplando a quel punto il suo comma 2, per ciò che qui più interessa, einen angemessenen Ausgleich in Geld in favore del proprietario che debba subire eine wesentliche Beeinträchtigung la quale sia al tempo stesso ortsüblich e non evitabile con l’adozione di misure precauzionali wirtschaftlich zumutbar [57].
La citata previsione non parla di risarcimento del danno (Schadensersatz) ma di adeguato ristoro in denaro. Sebbene la natura del rimedio sia oggetto di un approfondito dibattito nella dottrina tedesca, viene essenzialmente in rilievo il concetto, che sta guadagnando terreno a livello internazionale [58], denominato dalla letteratura di lingua inglese denial damage. Questo concetto inizia a riscuotere fortuna nella nostra materia già nella seconda metà del diciannovesimo secolo, quando come sappiamo comincia a emergere l’esigenza di consentire immissioni che secondo la prospettiva tradizionale potevano invece essere fatte cessare attraverso l’actio negatoria, attribuendo però all’immesso appunto una soddisfazione pecuniaria collegata all’indennità di espropriazione [59].
In ogni caso, si tratta di un rimedio pecuniario che, dal punto di vista dei suoi presupposti, si avvicina fortemente a una forma di responsabilità oggettiva [60]. Tale rimedio, essendo sottoposto al limite massimo dell’attuale valore di mercato dell’immobile colpito dalle immissioni, peraltro non consente di ottenere l’integrale riparazione di tutti i danni subiti, differenziandosi pertanto anche sotto questo profilo dalla vera e propria responsabilità civile, sebbene nella dottrina tedesca non manchino diversità di vedute al riguardo [61].
Anche nell’evoluzione del diritto francese, nel quale attesa l’assenza di una disciplina specifica per le immissioni è tradizionalmente accentuato il ruolo di quella generale sulla responsabilità civile, è riscontrabile uno spazio crescente per la tutela pecuniaria, innanzi tutto in quanto tale responsabilità è per larga parte del diciannovesimo secolo comunemente intesa come fondata sulla colpa, mentre sul finire del medesimo secolo si sviluppa un orientamento anche giurisprudenziale favorevole a varie forme di responsabilità oggettiva [62].
Si consolida per questa via un assetto del diritto vivente francese, ancora oggi attuale (salvo quanto si dirà più avanti con riguardo alla rilevanza dei parametri pubblicistici), per cui è illecita l’immissione che superi quanto è normale tenuto conto delle caratteristiche dei luoghi [63], illiceità questa che può senz’altro comportare, specialmente ove si tratti di un’attività produttiva, l’obbligo di risarcire i danni – peraltro solo quelli eccedenti la soglia di normalità [64] – a prescindere dalla colpa [65] (quindi anche ove non vi fossero misure precauzionali che si sarebbero potute adottare per evitare il disturbo ai vicini), cui può però accompagnarsi il permesso da parte del giudice di continuare la citata attività [66].
Nel prosieguo verificheremo inoltre come in vari ordinamenti giuridici l’intensificazione della tutela pecuniaria continui a verificarsi pure in parallelo con l’ulteriore e più recente fase caratterizzante la nostra materia, quella del predominio di parametri pubblicistici, anche sulle valutazioni di diritto privato.
Per il momento basti comunque segnalare come il fondamento della tutela pecuniaria contro le immissioni non sia omogeneo nei vari Paesi [67]: in alcuni di essi è richiesta almeno la colpa (se non addirittura l’intenzione, come nel caso della dottrina francese dell’abus de droit, peraltro – lo si è già accennato – poco rilevante nella nostra materia, per la quale è centrale piuttosto il diverso istituto dei troubles de voisinage), mentre in molti altri si sono sviluppate forme – probabilmente più adeguate, se si vuole evitare che la tutela sia pure solo pecuniaria dell’immesso rimanga confinata a pochi casi [68] – di responsabilità oggettiva (o comunque aggravata), sembrando essere quest’ultima la tendenza dominante [69].
Tutto ciò considerato, la seconda fase del diritto delle immissioni da ultimo esaminata può dirsi caratterizzata da una impostazione, nel complesso, di maggiore protezione per l’immittente e specialmente per le attività industriali (nonché per altre attività di interesse pubblico a esse parificate), in contrapposizione rispetto alla fase precedente, che come sappiamo era orientata in senso opposto [70].
Ciò può sostenersi in quanto la tutela pecuniaria, se pure non è escluso che possa talvolta aggiungersi alla tutela reale, finisce in molti casi per sostituirla, ovverosia per giustificare la continuazione di immissioni industriali di notevole consistenza (che come tali secondo l’impostazione tradizionale sarebbero da inibire), sia pure con l’attribuzione all’immesso di un ristoro economico [71].
Soluzioni di tutela puramente pecuniaria sono giustificate in dottrina sulla base dell’idea che chi beneficia di un’attività dovrebbe pagare per i danni che produce, idea questa che viene declinata con specifico riguardo alle immissioni osservando che un simile pagamento dovrebbe gravare sul proprietario che da un lato trae dal proprio fondo benefici che il vicino non ottiene e che dall’altro lo disturba con modalità con le quali non è da quest’ultimo a sua volta molestato [72].
Il Codice civile del 1942, a differenza di quello previgente, introduce un’apposita disciplina sulle immissioni, resasi necessaria a causa del progresso industriale e della moltiplicazione delle fonti di disturbo a esso collegate [73].
Nel comma 1 dell’art. 844 cod. civ., ovverosia con riguardo alle fattispecie in cui non vengano in rilievo attività produttive, è indicato il parametro della normale tollerabilità da intendersi come sopportabilità alla stregua della coscienza sociale [74] e da valutarsi «anche» con riguardo alla condizione dei luoghi [75], superato il quale il proprietario del fondo immesso può impedire le propagazioni provenienti dal fondo vicino [76] ovverosia esperire la tutela reale inibitoria, solitamente definita negativa, riconducibile al modello dell’actio negatoria (o a qualcosa di simile sia pure a rigore al di fuori di tale modello [77]) al fine di far cessare definitivamente le immissioni [78] che non possano essere contenute entro il citato parametro attraverso un meno invasivo ordine di adozione di idonei accorgimenti tecnici, nel quale ultimo caso si parla invece di inibitoria positiva [79].
Configurandosi in presenza di immissioni intollerabili una lesione del suo diritto di proprietà, l’immesso può inoltre ottenere, cumulativamente con la tutela inibitoria, un vero e proprio risarcimento in sede extracontrattuale [80], purché ne sussistano tutti gli altri presupposti, che dovrebbero peraltro essere non quelli generali dell’art. 2043 cod. civ. ma quelli meno rigorosi della fattispecie speciale sul danno da cosa in custodia di cui all’art. 2051 cod. civ. [81].
Nel caso in cui le immissioni rimangano invece entro la soglia della normale tollerabilità, non spetta all’immesso alcuna tutela, né inibitoria né risarcitoria, mancando la lesione del suo diritto di proprietà [82].
Tale assetto, con riguardo alle attività produttive, è peraltro modificato dal comma 2 dell’art. 844 cod. civ., che impone un contemperamento tra le esigenze di tali attività e le ragioni della proprietà, consentendo altresì di tenere conto della priorità di un determinato uso [83].
La giurisprudenza italiana, infatti, si è tradizionalmente attestata su una lettura (c.d. interpretazione dicotomica [84]) della previsione da ultimo citata nel senso che essa giustifica senz’altro la liceità ovverosia l’autorizzazione da parte del giudice di immissioni che sarebbero intollerabili ai sensi del comma 1 dell’art. 844 cod. civ., qualora esse provengano da attività produttive, a causa dell’indiretta utilità sociale delle stesse [85], salvo però il diritto a un indennizzo in favore del proprietario immesso [86].
In altre parole, secondo questa ampiamente diffusa (anche se non pacifica [87]) lettura, finalità del comma 2 dell’art. 844 cod. civ. è, in primo luogo, escludere che immissioni riconducibili alle esigenze della produzione, considerate preminenti dal Codice civile del 1942 [88], possano essere classificate come illecite e quindi fatte cessare [89] cioè inibite negativamente, rimanendo anche in questa ipotesi invece esperibile la tutela inibitoria positiva, ove siano adottabili idonei accorgimenti tecnici [90]. Alla luce del loro diverso ambito di applicazione, i due rimedi in discorso dovrebbero essere pertanto considerati nettamente distinti, tanto più che si caratterizzano per una diversa disciplina anche sotto il profilo processuale [91].
In secondo luogo, finalità della normativa in esame è evitare che le immissioni industriali fondino un vero e proprio diritto al risarcimento del danno in capo a chi le subisce, salva una soddisfazione pecuniaria nella forma di un semplice indennizzo [92].
L’indennizzo si distingue in generale dal risarcimento del danno perché non presuppone la colpevolezza di chi è condannato a pagarlo consistendo piuttosto in un rimedio di tipo oggettivo fondato sulla presenza di un pregiudizio da atto lecito [93]. Coerentemente con questo inquadramento, l’indennizzo risulta di ammontare inferiore rispetto a un vero e proprio risarcimento, non applicandosi il principio dell’integrale riparazione [94].
L’esercente un’attività produttiva è, pertanto, protetto dal comma 2 dell’art. 844 cod. civ. con una sorta di immunità che concerne innanzi tutto l’inibitoria negativa, per l’obiettivo di non arrestare la produzione, ma che essendo esclusa l’illiceità delle immissioni autorizzate dal giudice si estende anche al risarcimento del danno, rimanendo all’immesso i soli rimedi dell’inibitoria positiva (ove praticabile) oppure dell’indennizzo da atto lecito.
Tale indennizzo (a differenza di quanto abbiamo verificato in relazione al § 906 del BGB) non è menzionato espressamente dal comma 2 dell’art. 844 cod. civ. ma lo giustificano la possibilità di configurare il diritto a continuare immissioni industriali oltre la normale tollerabilità come servitù coattiva [95] (potendo del resto un simile diritto anche essere costituito per accordo tra i proprietari vicini secondo lo schema della servitù volontaria) o come una simile situazione giuridica soggettiva cui applicare in via analogica la relativa disciplina e/o il «principio di tutela economica del diritto di proprietà assoggettato ad espropriazione per pubblica utilità o specificamente gravato nell’altrui interesse» [96].
Sebbene non manchi chi ragiona dell’interpretazione in discorso come di una probabile forzatura della previsione di legge [97], sembra allo scrivente che tale previsione, per la sua notevole genericità, sia compatibile con la suesposta soluzione italiana, che come si è veduto è per di più in linea con l’assetto di Paesi vicini, anche se ciò non toglie che sarebbe stato e ancora sarebbe più agevole disporre di una formulazione più precisa e dettagliata.
La rilevanza delle norme costituzionali anche per i rapporti civilistici, sebbene sia stata oggetto di una evoluzione travagliata e continui a suscitare vivaci dibattiti (che non sarebbe utile ripercorrere nel dettaglio in questa sede) con riguardo alla sua maggiore o minore estensione, è da tempo un dato acquisito del diritto italiano [98].
Tale acquisizione giustifica, per quanto qui più interessa, da un lato l’affermazione di una prospettiva di fondo personalistica (sancita innanzi tutto ma non solo dall’art. 2 Cost.), alla quale l’ordinamento giuridico italiano è indubbiamente informato, e dall’altro una rimeditazione (per la quale sono stati decisivi gli anni ’70 del secolo scorso [99]) della proprietà nel senso del tendenziale superamento della tradizionale eccezionalità dei limiti gravanti sulla stessa in ossequio alla sua funzione sociale (art. 42, comma 2, Cost.) [100], «la quale esprime proprio l’orientamento della disciplina dell’appartenenza e dell’utilizzazione dei beni allo sviluppo della persona» [101].
Venendo più direttamente alle immissioni, pur essendo controverso se la normativa proprietaria in esame possa essere applicata in via analogica a protezione non solo di altri diritti reali di godimento (ciò che è pacifico [102]) ed eventualmente pure della posizione del conduttore [103] ma anche del diritto alla salute in quanto tale [104], un diffuso – e assai discusso [105] – orientamento si spinge ad affermare senz’altro la preminenza del diritto alla salute con particolare riguardo al giudizio di contemperamento con le esigenze della produzione di cui al comma 2 dell’art. 844 cod. civ., con la conseguenza che immissioni lesive (forse persino non gravemente [106]) di tale diritto dovrebbero essere senz’altro inibite.
In una delle numerose pronunce di legittimità riconducibili al citato orientamento, si è per esempio affermato che «l’art. 844, comma 2, cod. civ. […] va letto tenendo conto che il limite della tutela della salute è da ritenersi ormai intrinseco nell’attività di produzione, oltre che nei rapporti di vicinato, alla luce di una interpretazione costituzionalmente orientata, sicché deve sempre considerarsi prevalente – rispetto alle esigenze della produzione – la soddisfazione di una normale qualità della vita. Ne deriva l’esclusione, in siffatta evenienza, dell’impiego di qualsiasi criterio di contemperamento di interessi contrastanti e di priorità dell’uso» [107].
Sebbene l’idea secondo cui solo l’inibitoria sarebbe idonea a tutelare interessi non patrimoniali come quello alla salute sia stata persuasivamente definita «del tutto irrealistica» [108], alcuni studiosi si sono spinti a ragionare in termini simili anche con riguardo al diritto all’ambiente [109] (ambiente che grazie alla l. cost. 11 febbraio 2022, n. 1 [110] si trova oggi espressamente menzionato negli artt. 9, comma 3, e 41, commi 2 e 3, Cost., peraltro senza che ciò sembri comportare alcun reale cambiamento ai nostri fini [111]).
Non consta, però, che una siffatta posizione si sia affermata in giurisprudenza e la stessa dottrina dominante esclude che l’art. 844 cod. civ. possa essere reinterpretato a tutela pure di tale diritto, che per sua natura [112] richiede di essere protetto da speciali discipline pubblicistiche [113], salva peraltro la possibilità che un danno ambientale sottoponga a una particolare condizione di degrado anche un determinato fondo, incidendo sul suo normale godimento, nel qual caso la protezione civilistica in esame potrebbe rivelarsi più sicura rispetto a quella della responsabilità extracontrattuale [114].
In tempi più recenti, si segnala poi l’influenza sulla nostra materia, sempre per quanto concerne i diritti della personalità, pure del diritto al rispetto della vita privata e familiare di cui all’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che secondo la giurisprudenza della Corte EDU si presta a essere violato in presenza di immissioni intollerabili, con conseguente condanna ai sensi della citata Convenzione degli Stati contraenti che non abbiano assicurato nei loro ordinamenti giuridici adeguata tutela all’immesso [115].
Tale giurisprudenza sovranazionale, se da un lato può giustificare, ai sensi della ben nota evoluzione del diritto vivente italiano in materia di danno non patrimoniale da lesione non lieve di interessi attinenti a posizioni della persona di rango costituzionale [116], condanne, da parte della giurisprudenza nazionale [117], dell’immittente al risarcimento di un danno di tal fatta (che sia allegato e provato, almeno per presunzioni, escluso secondo la ricostruzione più rigorosa ogni pregiudizio in re ipsa [118]) in favore dell’immesso [119], dovrebbe dall’altro assumere rilevanza soprattutto sotto un diverso profilo, sul quale avremo modo di soffermarci nel prosieguo, quello delle discipline pubblicistiche dirette a prevenire e a far cessare le immissioni, che gli Stati dovrebbero essere spinti ad adottare sempre più in futuro (così al tempo stesso riducendo l’importanza dei rimedi privatistici) anche per di evitare di essere sanzionati dalla Corte EDU [120].
Sia pure non senza una certa semplificazione, che sembra peraltro utile ai fini della presente indagine, possiamo dunque affermare che questa terza fase del diritto delle immissioni italiano lascia, nel complesso, trasparire una impostazione di maggiore tutela per l’immesso, con un esito paragonabile a quello della prima e più risalente fase, come abbiamo veduto orientata nella stessa direzione, anche se per una motivazione assai diversa.
Il nostro ordinamento giuridico rischia, in altre parole, di tornare, sia pure nella nuova prospettiva della preminente tutela dei diritti della personalità, a un divieto pressoché assoluto di immissioni [121], specialmente ma non solo industriali, del tipo di quello che sembrava a prima vista potersi desumere dalla celebre fattispecie della taberna casiaria, sebbene abbiamo verificato come lo stesso assetto complessivo del diritto romano in argomento fosse, a ben vedere, diverso e più equilibrato.
La fase appena considerata, a differenza delle altre due esaminate per prime, caratterizza specificamente il diritto italiano, differenziandolo significativamente dalle altre esperienze giuridiche alle quali abbiamo avuto modo di fare riferimento in precedenza. Si pensi, per esempio, al BGB, ove, come verificheremo meglio nel prosieguo, il § 906 finisce sovente (anche se non sempre) per svolgere la funzione di legittimare immissioni che altrimenti rileverebbero ai sensi dell’azione generale di responsabilità aquiliana di cui al § 823, funzione questa che tende a essere confermata persino qualora l’immesso subisca danni alla salute, che se derivanti da immissioni lecite ai sensi del § 906 rischiano pertanto di essere non risarciti in forza della citata azione generale, come accadrebbe normalmente, bensì solo indennizzati secondo la disciplina speciale sui rapporti di vicinato [122].
È sorprendente che in esperienze giuridiche che hanno vissuto evoluzioni, dal punto di vista rimediale, abbastanza simili a quella italiana e che risultano vincolate agli stessi testi sovranazionali che valgono per l’Italia sembri non esservi traccia di una rilettura costituzionale in senso personalistico della disciplina civilistica in tema di immissioni del tipo di quella affermatasi in così larga parte della giurisprudenza e della dottrina del nostro Paese [123].
Ciò non significa, peraltro, che una simile rilettura debba essere abbandonata, occorrendo piuttosto, secondo lo scrivente, contenerla entro margini di compatibilità con il diritto positivo sancito innanzi tutto nel Codice civile.
Orbene, con riguardo al comma 1 dell’art. 844 c.c., cioè all’ipotesi in cui non vengano in rilievo attività produttive, una lettura costituzionalmente orientata diretta a valorizzare il principio personalistico consente di classificare come intollerabili e quindi da inibire le immissioni gravemente lesive per i diritti della personalità del proprietario [124], con valutazione della posizione di quest’ultimo da compiersi peraltro oggettivamente, dal punto di vista di quello che patirebbe un uomo medio, prescindendo da particolari condizioni personali [125]. Una siffatta interpretazione non conduce, peraltro, a esiti davvero significativi (tanto che si potrebbe persino dubitare della sua utilità pratica), limitandosi essa a confermare in tema di immissioni l’orientamento sempre più diffuso – anche se non pacifico – che afferma il carattere generale della tutela inibitoria [126], spettante quantomeno a chi sia stato leso in un proprio diritto della personalità (ma non solo [127]) anche a prescindere da una specifica disposizione di legge che la contempli.
Venendo quindi al comma 2 dell’art. 844 cod. civ, a parere di chi scrive le norme costituzionali possono incidere su due versanti.
In primo luogo, il riferimento all’utilità sociale come limite all’iniziativa economica privata di cui all’art. 41, comma 2, Cost., giustifica o quantomeno corrobora [128] una interpretazione assai estensiva delle «esigenze della produzione» contemplate dalla previsione civilistica, consentendo di ricondurvi anche attività non economiche ma dirette a creare appunto utilità sociale nell’interesse della collettività. Si pensi, per esempio [129], al suono delle campane di una chiesa [130] o più in generale ai rumori provenienti da attività ricreative e di assistenza sociale (ai sensi dell’art. 38 Cost.) svolte presso una struttura religiosa [131], che pertanto, parificati al fine in discorso alle immissioni sonore di una industria, non dovrebbero essere fatti senz’altro cessare dal giudice, nemmeno qualora superassero la soglia della normale tollerabilità, salva la possibilità dell’adozione di accorgimenti tecnici per contenerli oppure della corresponsione di un indennizzo (non un vero e proprio risarcimento del danno, salvo quanto si dirà tra breve) in favore del vicino che sia costretto a subirli.
In secondo luogo, se si rammenta (v. supra, par. vii) come il comma 2 dell’art. 844 cod. civ. intenda proteggere l’esercente un’attività produttiva con una sorta di immunità concernente sia l’inibitoria negativa sia il risarcimento del danno, salvi rimanendo solo l’inibitoria positiva se praticabile (ciò che non sempre è) e l’indennizzo da atto lecito, sembra eccessivo ribaltare tale assetto interpretativo attraverso il principio personalistico costituzionale spingendosi ad affermare che qualsivoglia attività lesiva di uno o più diritti della personalità deve essere senz’altro fermata. Ne deriverebbe uno sconvolgimento che la prospettiva costituzionale comporterebbe per il diritto civile, giungendosi in tal modo all’esito irragionevole per non dire assurdo della chiusura persino di una grande industria con migliaia di dipendenti per la lesione anche solo del diritto alla salute di un unico proprietario che si trovi, isolato da ogni altra abitazione, a vivere vicino al luogo della produzione [132].
Il principio personalistico, pertanto, non dovrebbe giustificare il superamento del divieto di cessazione di attività produttive causa di immissioni superanti la soglia della normale tollerabilità, poiché tale divieto, sebbene non esplicitato nel testo, integra la ratio più profonda del comma 2dell’art. 844 c.c., cui si collega la normale esclusione pure del risarcimento del danno, anche se quest’ultimo profilo assume minore rilevanza, come dimostrato già solo dal fatto che una tutela pecuniaria, sia pure solo in forma di indennizzo, rimane senz’altro accordabile. Il ruolo che la Costituzione svolge per la reinterpretazione della previsione in esame dovrebbe pertanto consistere solo nell’escludere che la summenzionata immunità riguardi anche la responsabilità civile ovverosia nel consentire l’ottenimento da parte dell’immesso, in aggiunta all’indennizzo da lesione del diritto di proprietà, pure di un vero e proprio risarcimento del danno [133], anche non patrimoniale, secondo la fattispecie speciale di cui all’art. 2051 c.c., per la lesione del suo diritto alla salute o di altro suo diritto della personalità.
In questo modo, si verifica una rilettura alla luce della Costituzione del comma 2dell’art. 844 cod. civ. che però non ne stravolge il senso tradizionale e il principale obiettivo bensì, in caso di lesione di diritti della personalità, si limita a incrementare la tutela pecuniaria ottenibile. Quanto alla circostanza che i citati diritti finiscano per essere tutelati dalla normativa in esame solo attraverso un risarcimento per equivalente pecuniario, si tratta di un esito che, se può da un lato certamente apparire insoddisfacente, è dall’altro normale anche per altri ordinamenti giuridici (i quali anzi, come verificato poco sopra per il diritto tedesco, possono persino limitarsi a un indennizzo).
Di accordare pure l’inibitoria negativa, in caso di immissioni da attività produttive lesive di diritti della personalità, dovrebbero semmai preoccuparsi, anche nell’ordinamento giuridico italiano, discipline pubblicistiche, sulla crescente rilevanza delle quali nella nostra materia è giunto il momento di soffermarci.
Negli ultimi decenni, si è sviluppata a livello internazionale una nuova e ultima fase, che pare sempre più dominante, incentrata prevalentemente sulla disciplina pubblicistica e sulla sua sempre maggiore influenza sul diritto privato [134].
Chi ha di recente esaminato in prospettiva comparatistica tale fase vi ha individuato quattro diversi momenti, quello più risalente caratterizzato da vari tipi di permessi e licenze che le industrie, previa adozione di precauzioni idonee a ridurre le loro immissioni, sono tenute a ottenere al fine di poter svolgere la loro attività, quello manifestatosi all’incirca alla metà del ventesimo secolo della pianificazione territoriale diretta a individuare zone ove consentire solo particolari attività [135], quello più recente della introduzione di una legislazione pubblicistica a tutela dell’ambiente con riguardo ad ambiti territoriali sempre più estesi a causa della crescente capacità di diffusione di certe forme di inquinamento e infine quello, sviluppatosi solo negli ultimi anni, di una responsabilità ambientale ex post ma sempre di tipo pubblicistico [136].
Un esempio emblematico è offerto, ancora una volta, dal diritto tedesco, nel quale il § 906 BGB è stato, nel 1994, nuovamente modificato, questa volta con l’aggiunta di una seconda parte al suo comma 1 diretta, fondamentalmente, a sancire la liceità di immissioni non superanti i parametri contemplati dalle pertinenti norme pubblicistiche [137].
Si tratta di una innovazione tutt’altro che inaspettata [138], trovando essa importanti antecedenti in alcune previsioni settoriali, che la giurisprudenza tedesca aveva anche in vario modo esteso oltre il loro ambito applicativo letterale. Viene innanzi tutto in rilievo il già citato § 26 [139] della Gewerbeordnung für den Norddeutschen Bund del 1869, da cui sostanzialmente risultava una protezione per le attività produttive, che fossero state debitamente autorizzate sul piano del diritto amministrativo, dall’actio negatoria, rimanendo salva per l’immesso solo la possibilità di ottenere misure precauzionali oppure, se queste fossero risultate eccessivamente costose, una soddisfazione puramente pecuniaria [140]. La medesima impostazione si trova successivamente adottata anche nel § 14 [141] del Bundesimmissionsschutzgesetz (BImSchG) del 1974, in tema di Ausschluss von privatrechtlichen Abwehransprüchen [142].
È importante evidenziare che nel diritto vivente tedesco la liceità di immissioni non superanti i parametri contemplati dalle pertinenti norme pubblicistiche tende a comportare la protezione dell’immittente (che potrebbe svolgere non solo un’attività produttiva in senso stretto ma anche altri lebenswichtige oder gemeinwichtige Betriebe, si pensi per esempio a un centro di recupero per tossicodipendenti [143]) non solo dall’actio negatoria ma anche dall’azione generale di responsabilità civile [144], con la quale come abbiamo già chiarito si dovrebbe fare attenzione a non confondere l’angemessenen Ausgleich in Geld di cui al comma 2 del § 906 BGB.
Più precisamente, all’interno del BGB l’interazione tra l’azione generale di responsabilità civile di cui al § 823 e la disciplina sulle propagazioni di fattori disturbanti di cui al § 906 opera in linea di massima nel senso che le immissioni da considerarsi lecite (vale la pena di ripetere, salvo indennizzo) ai sensi di quest’ultima disciplina non danno luogo a risarcimento del danno. Si può in questa prospettiva sostenere che il § 906 serve tra l’altro a conferire legittimità a immissioni che altrimenti rileverebbero ai sensi del § 823 [145].
Ne deriva che, per il diritto tedesco, la tendenza evolutiva, sia pure non senza una certa semplificazione che sembra peraltro utile per l’indagine che stiamo conducendo [146], è la seguente: se i parametri pubblicistici eventualmente rilevanti sono rispettati, l’immissione non può essere inibita (negativamente), trovando spazio solo misure precauzionali o indennitarie; se invece i parametri pubblicistici eventualmente rilevanti non sono rispettati, l’immissione può essere inibita (negativamente) e può spettare all’immesso pure un vero e proprio risarcimento del danno, se gli riesce di provare i relativi presupposti e specialmente il nesso causale tra violazione e pregiudizio, ciò che è peraltro facilitato da una inversione giudiziale dell’onere della prova in suo favore [147].
Varie altre esperienze giuridiche si sono già mosse o si stanno muovendo nella medesima direzione appena tratteggiata.
Particolarmente interessante è il Código civil de Cataluña del 2006, una delle più recenti e avanzate codificazioni europee, specialmente negli artt. 544-5, 544-6, 546-13 e 546-14, dai quali si desume un assetto normativo in linea con quello tedesco attuale e così anche con la crescente tendenza internazionale alla incorporazione dei parametri di diritto pubblico nelle valutazioni di diritto privato, fondamentalmente (la disciplina è in realtà più articolata, ma quello che segue può dirsi il suo obiettivo principale) nel senso che, se un’attività non rispetta tali parametri, scatta una presunzione assoluta della sua illiceità, mentre se li rispetta non può essere inibita rimanendo però salva la possibilità di misure precauzionali o di una soddisfazione pecuniaria per l’immesso [148].
Anche in Francia, ove come abbiamo verificato la materia delle immissioni, in assenza di una specifica disciplina codicistica, è da molto tempo e ancora oggi governata dall’istituto di creazione giurisprudenziale dei troubles de voisinage, sebbene i precedenti della Cour de cassation in argomento «ne sont pas limpides» [149], si riscontra negli ultimi decenni un ruolo dominante e comunque crescente per la disciplina pubblicistica [150].
Si pensi innanzi tutto al Code de l’urbanisme, il cui art. R. 111-3, con riguardo a una nuova costruzione che si intenda realizzare, stabilisce che «Le projet peut être refusé ou n’être accepté que sous réserve de l’observation de prescriptions spéciales s’il est susceptible, en raison de sa localisation, d’être exposé à des nuisances graves, dues notamment au bruit».
Viene poi in rilievo soprattutto il Code de la construction et de l’habitation, ove si contempla persino la controversa exception de préoccupation, che nella letteratura di common law è denominata «coming to the nuisance» defense [151]. L’art. L. 112-16 (spostato in quella sede normativa nel 1980 e oggetto poi di limitate modifiche dirette a estenderne l’ambito di applicazione nel 2003 e nel 2019) di tale Codice, rinumerato a decorrere dal 1 luglio 2021 art. L. 113-8 [152], stabilisce infatti che «les dommages causés aux occupants d’un bâtiment par des nuisances dues à des activités agricoles, industrielles, artisanales, commerciales, touristiques, culturelles ou aéronautiques, n’entraînent pas droit à réparation lorsque le permis de construire afférent au bâtiment exposé à ces nuisances a été demandé ou l’acte authentique constatant l’aliénation ou la prise de bail établi postérieurement à l’existence des activités les occasionnant dès lors que ces activités s’exercent en conformité avec les dispositions législatives ou réglementaires en vigueur et qu’elles se sont poursuivies dans les mêmes conditions». L’idea di fondo è che chi costruisce in una certa zona non può lamentarsi per le immissioni esistenti prima della sua richiesta del permesso di costruire, se si tratta di immissioni conformi ai parametri pubblicistici che le concernono. Ai sensi di questa previsione, pertanto, il rispetto di tali parametri preclude qualsivoglia tutela collegata all’istituto civilistico dei troubles de voisinage, non solo l’inibitoria ma anche una semplice soddisfazione pecuniaria [153].
Sempre per quanto concerne la Francia, in prospettiva evolutiva è inoltre interessante, tra gli altri progetti [154], il projet de réforme de la responsabilité civile presentato dal Ministro della Giustizia francese il 13 marzo 2017, nel cui ambito è prospettata l’introduzione di una specifica disciplina in tema di troubles anormaux de voisinage, la quale non solo conferma il tradizionale criterio francese di normalità, stabilendo che «Le propriétaire, le locataire, le bénéficiaire d’un titre ayant pour objet principal de l’autoriser à occuper ou à exploiter un fonds, le maître d’ouvrage ou celui qui en exerce les pouvoirs, qui provoque un trouble excédant les inconvénients normaux de voisinage, répond de plein droit du dommage résultant de ce trouble», ma aggiunge anche che, «Lorsqu’une activité dommageable a été autorisée par voie administrative, le juge peut cependant accorder des dommages et intérêts ou ordonner les mesures raisonnables permettant de faire cesser le trouble» (si tratta, rispettivamente, dei commi 1 e 2 dell’art. 1244). La previsione da ultimo citata è particolarmente interessante ai nostri fini in quanto sembra diretta a stabilire che, in caso di autorizzazione amministrativa, rimane preclusa l’inibitoria (negativa) dell’attività immissiva, potendo in tal caso l’immesso, se non sono adottabili misure ragionevoli che eliminino il disturbo, pretendere solo una tutela pecuniaria.
Sebbene si tratti di un’opera puramente dottrinale che non ha, almeno per il momento, riscosso il successo che era stato da più parti pronosticato, una impostazione sempre diretta ad affermare la preminenza dei parametri pubblicistici emerge anche dal Draft Common Frame of Reference (DCFR) e specialmente dal suo art. VI.-3:206 [155], in tema di Accountability for damage caused by dangerous substances or emissions [156].
L’esito di questa nuova fase che pare sempre più dominante a livello internazionale risulta nel complesso più equilibrato, dal punto di vista del rapporto tra proprietari vicini, rispetto a quello di tutte le altre fasi in precedenza considerate e comunque corrispondente all’assetto preferibile per la società contemporanea.
Parametri di diritto pubblico incidenti anche sui rapporti privatistici sono infatti migliori rispetto alle soluzioni tradizionali in quanto più protettivi in ragione della loro specificità, più agevolmente conoscibili in anticipo da parte di tutti i consociati e più idonei per considerare, contemperandoli tra loro, sia gli interessi dei vari proprietari [157] sia quelli della collettività. Tali caratteristiche rendono, agli occhi della più attenta dottrina comparatistica [158], la soluzione in discorso preferibile, nonostante che essa presenti il principale limite (peraltro ampiamente compensato dai citati vantaggi) di non consentire decisioni notevolmente differenziate a seconda delle peculiarità di ciascun caso di specie, le quali sarebbero invece facilitate ove si consentisse al giudice civile di superare senz’altro i parametri pubblicistici eventualmente rilevanti.
La fase da ultimo considerata risulta pertanto dominata dal diritto pubblico, i cui parametri divengono vincolanti anche per i rimedi privatistici, con la principale conseguenza che attività industriali o comunque di interesse pubblico che rispettino i citati parametri non possono essere inibite, peraltro salva rimanendo, normalmente [159], la possibilità per l’immesso di ottenere misure precauzionali (ove praticabili) e soprattutto una soddisfazione pecuniaria [160].
Tale fase si caratterizza così pure per un rafforzamento delle regole privatistiche sul ristoro economico ottenibile dall’immesso, mentre la tradizionale tutela inibitoria rimane confinata all’ipotesi in cui l’attività immissiva non abbia rispettato i parametri del diritto pubblico oppure a quella in cui si tratti di attività per la quale non sono riscontrabili parametri di tal fatta [161].
Nonostante che la direttiva 2004/35/CE sulla responsabilità ambientale intenda – sorprendentemente [162] – lasciare intatte le varie discipline privatistiche nazionali in tema di immissioni (si veda specialmente il par. 3 dell’art. 3, ai sensi del quale, «Ferma restando la pertinente legislazione nazionale, la presente direttiva non conferisce ai privati un diritto a essere indennizzati in seguito a un danno ambientale o a una minaccia imminente di tale danno» [163]), sembra in linea con l’evoluzione appena delineata la tesi dottrinale secondo cui anche tale direttiva (così come simili testi normativi che dovessero sopravvenire [164]) dovrebbe essere presa in considerazione nella summenzionata valutazione dei parametri pubblicistici, specialmente nel senso che la sua violazione dovrebbe considerarsi indice sufficiente della intollerabilità di una certa immissione anche sul piano del diritto privato [165].
Nel diritto italiano, si è da tempo consolidata la tesi secondo cui il superamento dei livelli di accettabilità stabiliti da leggi e regolamenti di ambito pubblicistico determina senz’altro l’illiceità dell’attività immissiva [166], mentre l’eventuale rispetto di tali limiti non esime dalla valutazione privatistica richiesta dall’art. 844 cod. civ., ai sensi della quale anche immissioni conformi ai parametri pubblicistici potrebbero considerarsi intollerabili [167].
L’argomento fondamentale in favore di questa valutazione privatistica spinta oltre i citati parametri è quello di carattere generale incentrato sulla tradizionale netta separazione tra diritto pubblico e diritto privato [168].
Tale netta separazione, sebbene non possa basarsi su un sicuro fondamento romanistico (basti rammentare che Ulpiano distingueva sì diritto pubblico e diritto privato ma come due semplici positiones studii [169]), è stata dominante nella modernità ma è da molto tempo messa seriamente in discussione per non dire senz’altro superata [170]. Pure l’ordinamento giuridico italiano contemporaneo sembra in altre parole caratterizzarsi per una forte tendenza al predominio del diritto pubblico [171].
Anche qualora si volesse fare leva non solo sulla collocazione delle discipline settoriali pretese irrilevanti per le valutazioni di cui all’art. 844 cod. civ. ma anche e soprattutto sulla differenza dei conflitti presi in considerazione dalle normative in discorso, una simile posizione non risulterebbe persuasiva perlomeno con riguardo al contemperamento di cui al comma 2 dell’art. 844 cod. civ., che pur integrando una previsione privatistica evidentemente richiede di tenere conto pure degli interessi pubblici coinvolti nella vicenda [172].
Vi sono invece argomenti, sia pure sempre di carattere generale, che rendono persuasivamente sostenibile anche in Italia la tesi che si sta affermando a livello internazionale. Come abbiamo verificato, fin dal diritto romano e ancora oggi la tutela privatistica contro le immissioni è intimamente collegata all’istituto della servitù, nel senso che la si poteva e la si può escludere previa costituzione di una servitù volontaria [173]. La nostra disciplina dovrebbe pertanto essere idonea a favorire trattative e intese preventive tra gli interessati, idoneità questa che però viene meno ove le immissioni industriali riguardino, come sovente accade, un ampio ed eterogeneo numero di soggetti, che non è verosimile possa negoziare. Per immissioni di tal fatta, la risposta del diritto privato da un lato è stato da tempo dimostrato che è più efficiente (e preferibile anche per la realizzazione di finalità redistributive) sia data attraverso «regole di responsabilità» piuttosto che «di proprietà» [174] ma dall’altro lato rischia di risultare comunque inadeguata, essendo sempre più necessario impiegare strumenti di diritto pubblico (che normalmente contemplano pure sanzioni pecuniarie o simili corresponsioni in favore della collettività [175]) da valorizzare anche per quanto concerne la loro interazione con i rimedi privatistici [176].
Pure per il diritto italiano possono essere tenute ferme le medesime considerazioni già esposte dal punto di vista comparatistico le quali rendono preferibile, rispetto alle soluzioni tradizionali, l’adozione di parametri di diritto pubblico incidenti anche sui rapporti privatistici (v. supra, par. xi). Il principale limite che tale approccio comporta, cioè quello di precludere decisioni notevolmente differenziate a seconda delle peculiarità di ciascun caso di specie (che sarebbero invece favorite da un’ampia discrezionalità del giudice civile [177]), risulta del resto, nel diritto italiano, meno significativo che altrove, avendo il nostro ordinamento giuridico da tempo iniziato un percorso di degiurisdizionalizzazione che sembra destinato a farsi più intenso in futuro, come dimostrato per esempio dalle pagine del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) [178] dedicate alla gestione delle controversie, ove ci si ripromette tra l’altro di «arrestare sin d’ora il trend in crescita della domanda di giustizia» [179].
Certamente sarebbe auspicabile l’introduzione nell’art. 844 cod. civ. di una inequivocabile disciplina dettagliata del profilo in esame, magari del tipo di quella tedesca o di quella catalana, ma la genericità delle regole attualmente vigenti si concilia, già de iure condito, con la medesima soluzione interpretativa sempre più dominante in altri ordinamenti giuridici.
Anche il legislatore italiano, del resto, ha ripetutamente tentato, sia pure per il momento «goffamente» [180] e comunque senza successo, di muoversi proprio in quella direzione.
Si segnala al riguardo l’art. 6-ter (rubricato «Normale tollerabilità delle immissioni acustiche») del d.l. 30 dicembre 2008, n. 208, inserito dalla l. di conversione 27 febbraio 2009, n. 13, nel quale si è stabilito espressamente che, «nell’accertare la normale tollerabilità delle immissioni e delle emissioni acustiche, ai sensi dell’art. 844 del codice civile, sono fatte salve in ogni caso le disposizioni di legge e di regolamento vigenti che disciplinano specifiche sorgenti e la priorità di un determinato uso». Tale indicazione testuale, per quanto «di difficile comprensione» [181], poteva essere letta proprio nel senso della prevalenza «in ogni caso» dei parametri pubblicistici sulla valutazione privatistica in tema di immissioni [182], ma la Corte costituzionale, investita della questione di costituzionalità della previsione per violazione degli artt. 3 e 32 Cost., dichiarandola manifestamente inammissibile, ha preso posizione in senso contrario, ribadendo il «consolidato […] principio che differenzia – quanto ad oggetto, finalità e sfera di applicazione – la disciplina contenuta nel codice civile dalla normativa di diritto pubblico: l’una posta a presidio del diritto di proprietà e volta a disciplinare i rapporti di natura patrimoniale tra i privati proprietari di fondi vicini; l’altra diretta – con riferimento ai rapporti tra i privati e la p.a. – alla tutela igienico-sanitaria delle persone o comunità esposte» [183].
Il nostro legislatore quindi «ci ha riprovato» [184] con la l. 30 dicembre 2018, n. 145, la quale ha inserito nell’art. 6-ter un nuovo comma 1-bis secondo cui, «ai fini dell’attuazione del comma 1, si applicano i criteri di accettabilità del livello di rumore di cui alla legge 26 ottobre 1995, n. 447, e alle relative norme di attuazione». L’obiettivo di far prevalere in ogni caso i parametri pubblicistici, sia pure tradotto ancora una volta in formulazioni non perfettamente perspicue, sembrava così rafforzato, ma la giurisprudenza ha continuato e continua a tenere fermo l’orientamento tradizionale secondo cui le immissioni acustiche rispettanti detti parametri non è escluso che siano considerate intollerabili ai sensi dell’art. 844 cod. civ. [185].
Ciò, da un lato, conferma l’impressione più generale della difficoltà di superare orientamenti giurisprudenziali consolidati sia pure attraverso apposite riforme, specialmente quando esse non siano formulate in modo assolutamente inequivocabile [186], e, dall’altro, porta ad auspicare che l’obiettivo in discorso sia raggiunto – sul modello di quanto già accaduto in Germania con il § 906 BGB – attraverso una modifica dell’art. 844 cod. civ., sebbene si tratti come già chiarito di un obiettivo che potrebbe conseguirsi già solo in via interpretativa del diritto italiano attualmente vigente.
Riassumendo le principali conclusioni dell’indagine compiuta nelle pagine precedenti, sarebbe innanzi tutto necessario (non abbandonare ma) ridimensionare, nei termini che abbiamo tentato di delineare, la diffusa reinterpretazione spiccatamente italiana dell’art. 844 cod. civ. in chiave costituzionale e specialmente di tutela dei diritti della personalità.
Occorrerebbe inoltre distinguere nettamente, da un lato, l’inibitoria negativa dall’inibitoria positiva nonché, dall’altro, il rimedio indennitario da quello risarcitorio. Nonostante che i primi due strumenti così come i secondi due siano non di rado sovrapposti per non dire confusi l’uno con l’altro, si tratta come si è chiarito di rimedi ciascuno con un proprio e differenziato ambito di applicazione.
Sarebbe pertanto preferibile evitare di parlare di inibitoria positiva, riservando a tale strumento una terminologia (per esempio, azione per l’adozione di misure precauzionali) che escluda qualsivoglia possibilità di equiparazione [187] all’azione più radicalmente diretta a ottenere la cessazione dell’attività immissiva.
Quanto al rapporto tra risarcimento e indennità, il principale rischio di sovrapposizione [188] nasce dal fatto che si tratta pur sempre di strumenti che consentono di conseguire una soddisfazione pecuniaria [189], ma sono decisive le differenze attinenti tanto alla illiceità oppure non del comportamento a monte quanto alla maggiore o minore estensione della citata soddisfazione, che secondo la prospettiva qui adottata dovrebbe in ogni caso farsi più consistente ove siano lesi diritti della personalità.
La principale sfida futura consiste, infine, in un auspicabile cambiamento di approccio con riguardo ai parametri pubblicistici e alla loro rilevanza anche per i rapporti di vicinato. È fondamentalmente attraverso tali parametri (che dovrebbero anche essere sempre più allineati a livello internazionale [190]) e il loro crescente valore vincolante pure per le valutazioni privatistiche in tema di immissioni, non attraverso la distorsione interpretativa di una disciplina concepita per i rapporti di vicinato, che la tutela della salute e dell’ambiente – innegabilmente di vitale importanza per la società contemporanea – dovrebbe essere perseguita e incrementata.
[1] W.P. Keeton, D.B. Dobbs, R.E. Keeton, D.G. Owen (a cura di), Prosser and Keeton on Torts, 5a ed., St. Paul, 1984, 616: «there is perhaps no more impenetrable jungle in the entire law than that which surrounds the word “nuisance”. It has meant all things to all people, and has been applied indiscriminately to everything from an alarming advertisement to a cockroach baked in a pie». Su una simile linea di pensiero, v., con riguardo al Regno Unito, G.D.L. Cameron, Scots and English Nuisance... Much the Same Thing?, in Edinburgh Law Review, 2005, 116.
[2] In tal senso, v., con riferimento all’Europa continentale, V. Casado Perez, C. Gomez Liguerre, From Nuisance to Environmental Protection in Continental Europe, in Southern California Law Review, 2019, 1003. V. altresì, in relazione al diritto francese, N. Reboul-Maupin, Droit des biens, 9a ed., Parigi, 2022, 381: «entre le droit des biens et le droit de la responsabilité civile, les troubles anormaux de voisinage peinent à trouver leur place».
[3] V. per esempio V. Lojacono, voce Immissioni, in Enc. dir., XX, Milano, 1970, 173, il quale appunto evidenzia come in questa materia si pongano «vasti e complessi problemi di natura ideologico-politica prima ancora che giuridica»; nonché, da ultimo, G. Alpa, Proprietà privata, funzione sociale, poteri pubblici di «conformazione», in Riv. trim. dir. pubbl., 2022, 608 s.
[4] È infatti un dato acquisito che, nella definizione e nella disciplina dei rapporti di vicinato, «va tenuto conto della esteriore fisionomia che […] presenta il diritto di proprietà, riflettendo le esigenze sociali, economiche e politiche del nostro tempo» (S. Pugliatti, La proprietà nel nuovo diritto, Milano, 1954, 117).
[5] V., in prospettiva comparatistica, V. Casado Perez, C. Gomez Liguerre, op. cit., 1009 s: «the legislator was not the only driving force of change in nuisance provisions: court also played an important role, which is not a common feature in civil law».
[6] Più in generale al riguardo, v. M. Trimarchi, Complessità e integrazione delle fonti nel diritto privato in trasformazione, in Complessità e integrazione delle fonti nel diritto privato in trasformazione. Convegno in onore del Prof. Vincenzo Scalisi. Messina 27-28 maggio 2016, a cura di M. Trimarchi, Ang. Federico, M. Astone, C. Ciraolo, A. La Spina, F. Rende, E. Fazio, S. Carabetta, Milano, 2017, 27 ss., ove si ragiona della «complessità che non costituisce il mero presupposto sociologico della riflessione del giurista, ma integra piuttosto il dato connotativo della giuridicità».
[7] Lo sottolineano, tra gli altri, V. Casado Perez , C. Gomez Liguerre, op. cit., 1005.
[8] M. Talamanca, Istituzioni di diritto romano, Milano, 1990, 406.
[9] Su una simile linea di pensiero, v. A. Gambaro, La proprietà – Beni, proprietà, possesso, II ed., in Tratt. dir. priv., a cura di G. Iudica e P. Zatti, Milano, 2017, 273: «il problema delle immissioni non può essere realisticamente affrontato senza porlo in relazione con gli sviluppi della tecnologia disponibile alle attività dei singoli proprietari. Per quasi tutta la storia, l’insieme degli strumenti tecnici disponibili agli esseri umani è stato piuttosto modesto. Di conseguenza anche la rilevanza sociale della tematica delle immissioni è stata marginale e circoscritta agli ambienti urbani». Non manca chi si spinge persino ad affermare che «there was no law of nuisance in classical Rome» (G.D.L. Cameron, op. cit., 2005, 103).
[10] V. in tal senso A. Lovato, S. Puliatti, L. Solidoro, Diritto privato romano, II ed., Torino, 2017, 274. Anche A. Burdese, Manuale di diritto privato romano, Torino, 1993, IV ed., 333, ragiona al riguardo di un «principio».
[11] D. 8.5.8.5-7 (Ulp. 17 ad ed.).
[12] Una un poco più approfondita sintesi in lingua italiana può leggersi in A. Lovato, S. Puliatti, L. Solidoro, op. cit., 275 s. Dimostra di considerare il caso in discorso fondamentale per la comprensione del diritto romano in materia, tra gli altri, A. Petrucci, Manuale di diritto privato romano, Torino, 2019, 198. In particolare sulla importanza della possibilità per le parti di risolvere il problema delle immissioni costituendo una servitù, v. M. Vučković, Planning law, the right of ownership and relations of neighbours in roman and in modern law, in IUS ROMANUM, II/2019 (RES PUBLICA & RES PRIVATA), 703.
[13] Questo rilievo è stato svolto da R. Cardilli in occasione della moderazione della II Sessione del Seminario «Personae e Res. Sistema romano e diritti odierni» (II Seminario internazionale dell’Osservatorio su persona e famiglia del Centro di Studi Giuridici Latinoamericani – CSGLA), tenutosi presso l’Università di Roma «Tor Vergata» nei giorni 26 e 27 ottobre 2022.
[14] A. Trabucchi, Istituzioni di diritto civile, 50a ed., a cura di G. Trabucchi, Milano, 2021, 788. Tra i tanti altri, v. G. Calabresi, A.D. Melamed, (Property Rules, Liability Rules and Inalienability: One View of the Cathedral, in Harvard Law Review, 1972, 1089 ss., ora nella traduzione italiana) Regole di proprietà, regole di responsabilità e inalienabilità: un’istantanea della cattedrale, in Riv. dir. civ., 2020, 539: «affidarsi a misure generali volte ad interdire ogni attività inquinante sembra, di fatto, irrealistico».
[15] V. in tal senso M. Vučković, ibidem. V. anche Z. Yavetz, The Living Conditions of the Urban Plebs in Republican Rome, in Latomus, 1958, fasc. 3, 500 ss.
[16] Tra gli altri, v. V. Lojacono, op. cit., 168, secondo cui varie motivazioni «sconsigliano il ricorso incondizionato sia al principio qui iure suo utitur neminem laedit, in base al quale ogni immissione sarebbe legittima, sia all’opposto e non meno anacronistico principio in suo hactenus facere licet quatenus in alienum immittat, in base al quale ogni e qualsiasi immissione sarebbe illecita […]. In realtà sono entrambi vecchi ditteri teorici, estranei per la loro assolutezza alla nostra tradizione civilistica e praticamente inoperanti anche in diritto romano».
[17] Sul punto v., per esempio, A. Lovato, S. Puliatti, L. Solidoro, op. cit., 275. La tutela aquiliana era invece problematica, per la difficile configurabilità di tutti i relativi presupposti in una fattispecie immissiva: v. in tal senso M. Vučković, op. cit., 702. Ne deriva una impostazione incentrata su «regole di proprietà», secondo la celebre classificazione di G. Calabresi, A.D. Melamed, op. cit., 500 s.
[18] V. in tal senso M. Talamanca, op. cit., 407.
[19] Per questi e altri casi esposti in modo chiaro e sintetico, v. A. Lovato, S. Puliatti, L. Solidoro, ibidem.
[20] P. Voci, Istituzioni di diritto romano, VI ed., Milano, 2004, 243. Nello stesso senso, v. A. Burdese, ibidem, ove si ragiona della «liceità di modeste immissioni dovute a un uso normale della cosa propria».
[21] Per un simile rilievo, v. A. Gambaro, ibidem, secondo cui, «in epoche storiche a basso sviluppo tecnico, il criterio dell’uso normale non è irragionevole e crea un forte incentivo ad attuare forme di zonizzazione funzionale, come quelle cui si fece ricorso in quasi tutte le città medioevali, raggruppando alcuni tipi di lavorazioni in apposite zone ove i fabbricanti di corazze, ad esempio, stavano tutti assieme e provocando rumori piuttosto fastidiosi si davano fastidio a vicenda, ovvero si davano un fastidio molto attenuato perché i rumori prodotti dalla percussione sull’incudine del vicino erano coperti da quelli propri e comunque ci si doveva fare l’abitudine». Sulle immissioni nel sistema feudale (e nel successivo passaggio ai codici liberali), v. altresì, amplius, M.R. Maugeri, Violazione delle norme contro l’inquinamento ambientale e tutela inibitoria, Milano, 1997, 188 ss., la quale tra l’altro critica la convinzione (di C. Salvi, Le immissioni industriali. Rapporti di vicinato e tutela dell’ambiente, Milano, 1979, 11 s.) secondo cui negli ordinamenti giuridici premoderni (per motivazioni legate alla struttura della proprietà e all’articolazione delle fonti del diritto) la ricerca di un criterio generale di regolamento dei rapporti di vicinato sarebbe stata priva di significato, osservando piuttosto come «la vera differenza fra il sistema pre-rivoluzionario e quello post-rivoluzionario attenga alle forme giuridiche di controllo della produzione e di appropriazione della ricchezza, non riscontrandosi, invece, grosse fratture fra i due sistemi in relazione alla forma di appropriazione abitativa (soprattutto urbana, ed è, invece, rispetto a quest’ultima che nasceva il conflitto in quel periodo non essendoci industrie capaci di inquinare il fondo al punto da renderlo meno produttivo)».
[22] In argomento, cfr., tra gli altri, M. Vučković, op. cit., 704; nonché V. Casado Perez, C. Gomez Liguerre, op. cit., 1006.
[23] A. Thier, Disturbances between neighbours in Germany 1850-2000, in The development of liability between neighbours, vol. II, a cura di J. Gordley, Cambridge, 2010, 89.
[24] V. ancora A. Thier, ibidem, ove ulteriori riferimenti.
[25] J. Domat, Les loix civiles dans leur ordre naturel, Parigi, 1697, II ed., 127 ss. Sul pensiero di Domat in argomento, v. amplius, in lingua italiana, M.R. Maugeri, op. cit., 197 ss.
[26] R. Pothier, Traité du contrat de société, App. 2, Du voisinage, in Œuvres de Pothier annotées et mises en corrélation avec le Code civil et la législation actuelle, a cura di M. Bugnet, IV, Parigi, 1847, 330 ss. e specialmente 332, ove, dopo essersi affermato in termini generali che «le voisinage oblige les voisins à user chacun de son héritage, de manière qu’il ne nuise pas à son voisin», si precisa, per esempio, che «il n’est pas permis de faire sur son héritage quelque chose qui enverrait dans la maison voisine une fumée trop épaisse et trop incommode, telle que celle qui sort d’un four à chaux, ou d’un fourneau à brûler des lies de vin». V. amplius, in lingua italiana, ancora M.R. Maugeri, op. cit., 207 ss. Sul pensiero di Domat e Pothier, v. anche J. Gordley, Disturbances among neighbours in French law, in The development of liability between neighbours, vol. II, a cura di J. Gordley, cit., 68.
[27] Peraltro, «à la lecture de l’article 544 du Code civil, on se rende compte déjà qu’en 1804 le droit de propriété, ou du moins son usage, pouvait être limité par les lois et réglements» (N. Reboul-Maupin, op. cit., 424).
[28] N. Reboul-Maupin, op. cit., 444.
[29] Nelle quali non si trovano mai definiti né il diritto di proprietà né il suo contenuto (iniziando le prime definizioni a circolare solo in epoca medioevale), ma dalle quali emergono, «sparpagliate qua e là», varie limitazioni, come chiarisce A. Petrucci, op. cit., 195 s.
[30] V., tra gli altri, C. Demolombe, Cours de Code Napoléon, IX, Parigi, 1870, 449 ss. Nella letteratura italiana, cfr. da ultimo G. Alpa, op. cit., 600.
[31] V. in tal senso J. Gordley, op. cit., 69: «presumably, the reason was an oversight by the drafters. They were working under enormous time pressure, since Bonaparte had asked them to produce a draft in a few months». Più ampiamente sui lavori preparatori e sui vari progetti di Code civil, v. M.R. Maugeri, op. cit., 209 ss., la quale –216 – ritiene «probabile che Portalis […] abbia deciso di affidare al diritto precedente, ed all’interpretazione giudiziaria di esso, la soluzione dei casi che si sarebbero presentati».
[32] Nella dottrina francese recente, v. assai chiaramente P. Malaurie, L. Aynés, M. Julienne, Droit des biens, IX ed., Parigi, 2021, 365: «le principe est qu’il est licite, parce qu’inévitable, que l’exercice de la propriété cause un préjudice aux voisins; chacun doit supporter les inconvénients normaux du voisinage sans pouvoir être indemnisé».
[33] V., per esempio, C. Demolombe, ibidem. V. anche J. Gordley, op. cit., 69 s., ove ulteriori riferimenti.
[34] Tale azione generale, infatti, secondo l’impostazione tradizionale, presuppone d’ordinario (almeno) la colpa del danneggiante, non agevole da riscontrare in capo all’immittente: v. J. Gordley, op. cit., 66 ss.
[35] La teoria dell’abuso del diritto serve in Francia a contrastare le interferenze poste in essere con l’intenzione di pregiudicare il vicino, ovverosia con un presupposto soggettivo più restrittivo persino rispetto a quello dell’azione generale di responsabilità extracontrattuale: v. N. Reboul-Maupin, op. cit., 385; J. Gordley, op. cit., 68. Ciò segna inoltre una profonda differenza rispetto alla teoria dei troubles de voisinage, secondo la quale, «même si l’usage n’est pas fautif, le caractère excessif du trouble est source de responsabilité» (P. Malaurie, L. Aynés, M. Julienne, op. cit., 158 e 365 s., ove si rammenta altresì che la citata teoria fu inizialmente elaborata come un’applicazione di quella dell’abus des droits, per poi però distaccarsene da quando la giurisprudenza francese ha iniziato a concedere le relative tutele a prescindere da qualsivoglia elemento soggettivo riscontrabile in capo all’immittente).
[36] V. ancora J. Gordley, ibidem; nonché, da ultimo, P. Malaurie, L. Aynés, M. Julienne, op. cit., 366 s.: «le principe est désormais acquis que nul ne doit causer è autrui un trouble anormal de voisinage. Un préjudice est anormal lorsqu’il est important, durable, répétitif, inhabituel et dépasse un seuil de tolérance, qui s’apprécie en fonction des circonstances, du moment et du lieu».
[37] V. in tal senso J. Gordley, op. cit., 72 s.; Id., Immissionsschutz, nuisance and troubles de voisinage in comparative and historical perspective, in ZEuP – Zeitschrift für Europäisches Privatrecht, 1998, 13; nonché L. Andreu, N. Thomassin, Cours de droit des biens, Parigi, 2021, 155, i quali evidenziano trattarsi di «un raisonnement proche de celui que les cours supérieures tiennent afin de concilier des droits fondamentaux en conflit».
[38] V. la sintesi di B. Brückner, sub § 906 BGB, in Münchener Kommentar zum BGB, a cura di F.J. Säcker, R. Rixecker, H. Oetker e B. Limperg, IX ed., Monaco di Baviera, 2023, Rn. 5: «Der in der Rspr. des 19. Jahrhunderts entwickelte Immissionsschutz sah Duldungspflichten nur gegenüber unwesentlicher Beeinträchtigung oder üblicher Grundstücksnutzung vor. Dies beruhte auf der Erwägung, dass Ausschließlichkeit und Willkür der Nutzungsbefugnisse des einen Eigentümers ihre notwendige Begrenzung in der dem anderen Eigentümer ebenfalls zustehenden Ausschließlichkeit und Willkür finde».
[39] V. A. Thier, op. cit., 90 s.; nonché V. Casado Perez, C. Gomez Liguerre, op. cit., 1012: «up until 1883, industrial users were always at the losing end».
[40] V. R. von Jhering, Zur Lehre von den Beschränkungen des Grundeigenthümers im Interesse der Nachbarn, in Jahrbücher für die Dogmatik des heutigen römischen und deutschen Privatrechts, 6, 1863, 81 ss., poi in Id., Gesammelte Aufsätze aus den Jahrbüchern für die Dogmatik des heutigen römischen und deutschen Privatrechts, II, Abhandlungen aus dem 5. bis 15. Bande der Jahrbücher, Jena, 1882, poi Aalen, 1969, 22 ss. In merito al pensiero di Jhering e alla sua notevole influenza sull’evoluzione del diritto tedesco, v. A. Thier, op. cit., 91 ss. V. inoltre, per quanto concerne la rilevanza di simili riflessioni pure pur il diritto italiano e in particolare per l’elaborazione del criterio della normale tollerabilità poi sancito nell’art. 844 c.c., con varie prospettive d’indagine, C. Salvi, op. cit., 107 ss.; F. Nappi, Le regole proprietarie e la teoria delle immissioni, Napoli, 1984, 36 ss.; A. Procida Mirabelli di Lauro, Immissioni e «rapporto proprietario», Napoli, 1984, 74 ss.; U. Mattei, Tutela inibitoria e tutela risarcitoria. Contributo alla teoria dei diritti sui beni, Milano, 1987, 349 ss.; P. Gallo, Immissioni, usi incompatibili e problemi di allocazione di risorse scarse, in Riv. dir. civ., 1995, I, 670 ss.; A. Gambaro, op. cit., 274. Il pensiero di Jhering fu fondamentale per il nostro ordinamento giuridico, anche se vi incontrò pure alcune critiche severe (soprattutto quelle di P. Bonfante, Criterio fondamentale nei rapporti di vicinanza, in Riv. dir. civ., 1911, 517 ss. e specialmente 523, la cui posizione si incentrava invece sul limite dato dalla «necessità della coesistenza sociale», poi – Id., L’azione negatoria e l’azione dei danni nei rapporti di vicinanza, in Foro it., 1926, I, c. 24 ss. e specialmente 26 – peraltro sostituito da quello della normale tolleranza, accompagnato a una sorta di indennizzo da espropriazione ove quest’ultimo limite fosse superato e ciò nonostante l’interesse pubblico imponesse di considerare lecite le immissioni), come rammentato con particolare chiarezza da M.R. Maugeri, op. cit., 248 ss.
[41] Per simili rilievi, v. Casado Perez, C. Gomez Liguerre, op. cit., 1007.
[42] V. in tal senso, con particolare riguardo al diritto tedesco, A. Thier, op. cit., 91.
[43] Lo rammenta per esempio C.M. Bianca, Diritto civile, 6, La proprietà, II ed., Milano, 2017, 159, ove anche riferimenti alla dottrina del tempo. Una indagine più approfondita sull’assetto del nostro ordinamento giudico prima del 1942 è compiuta da M.R. Maugeri, op. cit., 237 ss. V. anche infra, nt. 86.
[44] Cfr., tra i tanti, An. Fusaro, Tendenze del diritto privato in prospettiva comparatistica, 2ª ed., Torino, 2017, 305 ss.
[45] V. assai chiaramente G. Carapezza Figlia, Disciplina delle immissioni e interpretazione sistematica. Un caso di bilanciamento tra interessi non patrimoniali in conflitto, in Nuova giur. civ. comm., 2021, II, 850.
[46] A. Gambaro, op. cit., 274. Al riguardo v. peraltro anche le considerazioni critiche di U. Mattei, La proprietà, II ed. con la coll. di A. Quarta ed E. Ariano, in Tratt. dir. civ., dir. da R. Sacco, Torino, 2015, 333: «la dottrina e la giurisprudenza considerano un passo avanti metodologico l’aver fatto chiarezza su un punto: che la tollerabilità va valutata dal punto di vista di chi subisce le immissioni. A ben vedere, tuttavia, se l’analisi viene condotta sul piano operazionale, anche quei sistemi, che focalizzano sulla ragionevolezza dell’attività immissiva, finiscono per elaborare regole analoghe».
[47] Questo profilo si trova chiaramente evidenziato anche nella manualistica: v. per esempio A. Trabucchi, op. cit., 787. V. altresì, amplius, B. Gardella Tedeschi, in B. Gardella Tedeschi, L. Navone, I rapporti di vicinato, in Tratt. dir. imm., dir. da G. Visintini, I, I beni e la proprietà, I, Padova, 2013, 394 s.; nonché C. Salvi, Proprietà e possesso, in Tratt. dir. priv., a cura di S. Mazzamuto, vol. III, Torino, 2021, 93, ove si sottolinea come il criterio della normale tollerabilità serva a rendere il potere di esclusione del proprietario, in caso di immissioni, più circoscritto rispetto a quello generale fondato sull’interesse oggettivo di cui all’art. 840 cod. civ.
[48] È intuitivo che, più eterogenei diventano gli usi che i proprietari vicini fanno dei propri fondi, più è probabile che sorgano conflitti tra gli stessi. Se dunque la vicinitas è tradizionalmente mater discordiarum (v. per tutti A. Trabucchi, ibidem), si può facilmente comprendere come il problema della propagazione di fattori disturbanti abbia dovuto assumere diversa consistenza con la diffusione dell’industrializzazione: v. in tal senso le brillanti riflessioni di V. Casado Perez, C. Gomez Liguerre, op. cit., 1003 e 1008.
[49] Interessanti considerazioni comparatistiche in argomento possono leggersi per esempio in P. Gallo, op. cit., 673 ss., ove si evidenzia appunto che «con il progredire dell’industrializzazione doveva […] farsi gradualmente strada l’idea che qualsiasi uso ragionevole, quindi anche quello industriale, non potesse essere inibito, salva ovviamente la regola del risarcimento del danno».
[50] Cfr. al riguardo, sempre in prospettiva comparatistica, V. Casado Perez, C. Gomez Liguerre, op. cit., 1020.
[51] Per dettagliati riferimenti e un sintetico esame di questa giurisprudenza, v. A. Thier, op. cit., 92.
[52] V. anche per ulteriori citazioni A. Thier, op. cit., 93 s.
[53] Attenti studi comparatistici hanno peraltro dimostrato che nei Paesi di civil law, a differenza di quanto ci si potrebbe aspettare, non vi è sempre un chiaro collegamento tra il maggiore o minore livello di sviluppo industriale e la maggiore o minore minuziosità dei testi normativi in tema di immissioni. Si è infatti addotto l’esempio degli artt. 590 e 1908 del Código Civil spagnolo del 1889, che sono più dettagliati del § 906 del BGB nella sua versione originaria del 1900, sebbene le due codificazioni in esame risalgano all’incirca allo stesso periodo e sebbene a quel tempo la Germania fosse maggiormente industrializzata della Spagna: v. in tal senso V. Casado Perez, C. Gomez Liguerre, op. cit., 1014 s. e 1020, ove si chiarisce come la normativa spagnola abbia incorporato una particolare tradizione giuridica sviluppatasi nei secoli precedenti in quel territorio.
[54] V., in tal senso, V. Casado Perez, C. Gomez Liguerre, op. cit., 1012, ove si fa leva specialmente sul § 1004 BGB.
[55] V. per esempio B. Brückner, op. cit., Rn. 6: «[…] erfuhr Deutschland in der Zeit zwischen der Reichsgründung und dem ersten Weltkrieg einen unerhörten Wandel von einem überwiegend agrarisch zu einem industriell und großstädtisch geprägten Land; neue Schlüsselindustrien wie Maschinenbau, Großchemie und Elektroindustrie nahmen einen rasanten Aufstieg. Der weiteren freien und ungehinderten Entfaltung der Industrie wollte der Gesetzgeber möglichst wenig in den Weg stellen. Daher sah die Vorschrift zunächst weder einen Vorrang wirtschaftlich zumutbarer Schutzvorkehrungen noch einen Ausgleichsanspruch vor».
[56] V. amplius A. Thier, op. cit., 95.
[57] Per approfondimenti su tutte le citate nozioni, v. da ultimo R. Lemke, sub § 906 BGB, in Bürgerliches Gesetzbuch Kommentar, a cura di H. Prütting, G. Wegen e G. Weinreich, 17a ed., Hürth, 2022, 2067 ss.
L’ambito di applicazione della previsione in esame è sovente ampliato in via analogica dalla giurisprudenza tedesca: al riguardo v., tra i tanti, P. Bruns, Der nachbarrechtliche Ausgleichsanspruch im Spiegel der BGH-Rechtsprechung, in NJW– Neue juristische Wochenschrift, 2020, 3493 ss.; C.F. Majer, Gefährdungshaftung aus Eigentum? Der nachbarrechtliche Ausgleichsanspruch analog § 906 II 2 BGB in der neueren Rechtsprechung, in NZM – Neue Zeitschrift für Miet – und Wohnungsrecht, 2020, 584 ss.; M. Klöpfer ed E. Meier, Eigentümerhaftung für mittelbar verursachte Brandschäden am Nachbargrundstück, in NJW– Neue juristische Wochenschrift, 2018, 1516 ss.; nonché, in lingua italiana, T.J. Chiusi, Azione negatoria, immissioni e responsabilità nei recenti orientamenti della giurisprudenza tedesca, in Ius civile europaeum – Pena privata e risarcimento del danno, a cura di L. Garofalo, Pisa, 2022, 221 ss.
[58] V. in tal senso V. Casado Perez, C. Gomez Liguerre, op. cit., 1013.
[59] Per simili considerazioni, v. A. Thier, op. cit., 100; nonché, da ultimo, R. Lemke, op. cit., 2069.
[60] Così A. Thier, op. cit., 87 e 106; nonché, tra i tanti altri, C.F. Majer, op. cit., 584.
[61] V. amplius A. Thier, op. cit., 102 s.; nonché, in lingua italiana, T.J. Chiusi, op. cit., 219 ss.
[62] V. amplius J. Gordley, Disturbances among neighbours in French law, cit., 66.
[63] Al riguardo, è diffusa la convinzione che «des nuisances et des pollution industrielles occasionnées dans une zone industrielle n’apparaîtront pas tolérables dans une zone résidentielle» (N. Reboul-Maupin, op. cit., 415).
[64] Ciò, in aggiunta alla irrilevanza dell’elemento soggettivo, segna una ulteriore differenza della teoria dei troubles anormaux de voisinage rispetto ai comuni principi della responsabilità civile, secondo cui il risarcimento del danno è invece integrale, come evidenziato per esempio da L. Andreu e N. Thomassin, op. cit., 155 s. e 162.
[65] V. ancora L. Andreu, N. Thomassin, op. cit., 159 s., i quali, premesso che, «aux origines, on a pu essayer de faire reposer la responsabilité pour trouble de voisinage sur l’idée de faute», concludono che da tempo, invece, «la responsabilité pour trouble anormal de voisinage est tout simplement indépendante de la faute et indifférente à l’absence de celle-ci», precisando altresì che, «si le voisin a commis une faute, rien n’interdit à la victime d’agir sur les deux fondements (faute et trouble anormal) pour augmenter ses chances d’emporter une condamnation (elle n’obtiendra, évidemment, qu’une réparation). Les normes s’étant multipliées ces dernières années, il devient parfois plus facile d’agir en responsabilité de droit commun “pour faute”». V. anche, amplius, N. Reboul-Maupin, op. cit., 387 ss. e 416 ss.
[66] Per una simile sintesi del diritto vivente francese, e per ulteriori riferimenti, v. J. Gordley, op. ult. cit., 71 s.
[67] Lo evidenzia anche J. Murphy, Review of J. Gordley (ed.), The development of liability between neighbours, vol. II, Cambridge, 2010, in Journal of European Tort Law – JETL, 2/2012, 270.
[68] V. V. Casado Perez, C. Gomez Liguerre, op. cit., 1010, ove, con particolare riferimento al diritto francese, si sottolinea che «the traditional nuisance scenario does not often fit a framework based on fault».
[69] V., al riguardo, V. Casado Perez, C. Gomez Liguerre, op. cit., 1008 e 1020, i quali considerano la responsabilità oggettiva «preferable to forms of negligence because it affects the incentives of the polluter in relation to both precautions and the level of activity».
[70] V. in tal senso, con particolare riguardo al diritto tedesco, A. Thier, op. cit., 94.
[71] Ne deriva una impostazione incentrata su «regole di responsabilità», secondo la celebre classificazione di G. Calabresi e A.D. Melamed, op. cit., 501 e 534, ove si evidenzia tra l’altro come il ricorso a regole di tal fatta sembri preferibile qualora, come normalmente accade, «vi sia incertezza su chi, tra soggetto inquinante e soggetto pregiudicato dall’inquinamento, sia quello posto nella posizione migliore per minimizzare i costi dell’inquinamento».
[72] V. assai chiaramente J. Gordley, op. ult. cit., 85.
[73] Per una simile spiegazione, v. C.M. Bianca, op. cit., 159 s.
[74] V., tra i tanti, C.M. Bianca, op. cit., 163.
[75] Come evidenzia sempre C.M. Bianca, op. cit., 163 s., «in tal modo acquista una certa rilevanza anche la normalità d’uso dei fondi, espressamente richiamata dal codice tedesco», la quale nel diritto italiano «va però sempre valutata in funzione dell’accertamento della normale sopportabilità delle immissioni, nel senso che può ritenersi normalmente tollerabile ciò che nella zona è generalmente tollerato». Al riguardo, è stato inoltre efficacemente rilevato che «per condizione dei luoghi si è inteso a lungo che esse coincidano con la destinazione di zona prevista dalla disciplina urbanistica. La più recente giurisprudenza, con innovazione non felice, la intende nel senso di condizione di fatto deducibile dalle abitudini di vita della popolazione. Ciò sottrae certezza e prevedibilità sia alle scelte dei singoli sia alla valutazione giudiziale senza alcun apprezzabile guadagno sotto altri profili» (A. Gambaro, op. cit., 275). In ogni caso, come evidenziato da M.R. Maugeri, op. cit., 265, «il riferimento alla condizione dei luoghi […] permette di chiudere ogni discussione circa la possibile rilevanza di valori personali. […] Viene confermata, così, l’idea che si tratti di tutela posta a protezione della proprietà fondiaria in quanto tale».
[76] Nella disciplina attualmente vigente, il concetto di vicinanza non corrisponde all’antico significato di prossimità bensì riguarda anche propagazioni disturbanti di provenienza remota, indicando semplicemente la relazione spaziale che rende un fondo assoggettabile alle immissioni di un altro: così C.M. Bianca, op. cit., 162, ove si sostiene anche l’applicabilità analogica della disciplina in esame a immissioni derivanti da attività non connesse alla proprietà immobiliare (per esempio quelle rumorose degli aerei).
[77] In tal senso, v. R. Pardolesi, Azione reale ed azione di danni nell’art. 844 cod. civ. Logica economica e logica giuridica nella composizione del conflitto tra usi incompatibili di proprietà vicine, in Foro it., 1977, I, c. 1146 s.
[78] V. al riguardo C. Salvi, op. ult. cit., 98, il quale parla di tutela reale inibitoria appunto richiamando l’art. 949, comma 2 cod. civ. e la distingue dalla tutela personale di cui all’art. 2058 cod. civ.(in cui è peraltro contemplato un risarcimento in forma specifica, non una inibitoria sia pure di natura personale, trattandosi di rimedi che comunque non dovrebbero essere confusi: in tal senso, v. anche C.M. Bianca, Diritto civile, 5, La responsabilità, 3a ed., Milano, 2021, 213 s., il quale evidenzia come il risarcimento del danno in forma specifica integri «pur sempre un rimedio risarcitorio, ossia una forma di reintegrazione dell’interesse del danneggiato mediante una prestazione diversa e succedanea rispetto al contenuto del rapporto obbligatorio o del dovere di rispetto altrui», mentre l’inibitoria è una «forma di tutela preventiva del danno»).
[79] Per questa consolidata terminologia, v., per esempio, G. Carapezza Figlia, op. cit., 851, il quale appunto ragiona di «tutela inibitoria, di carattere negativo (volta a proibire la continuazione delle molestie: non facere) o positivo (diretta all’adozione di specifici accorgimenti tecnici: facere)»; A. Proto Pisani, Brevi note sull’art. 844 c.c. e sul rilievo dei valori nell’interpretazione della legge, in Liber amicorum per Giuseppe Vettori, Firenze, 2022, 3475 s.; nonché M. Maugeri, Le immissioni, Padova, 1999, 196 ss., ove la distinzione tra inibitoria negativa e inibitoria positiva è giudicata «corretta nelle linee di fondo», anche se «non […] sufficiente a dar conto della pluralità di rimedi adottati dai giudici».
[80] V., tra i tanti, C. Salvi, op. ult. cit., 94 e 98, il quale segnala altresì criticamente come a volte la giurisprudenza faccia confusione da un lato assimilando la tutela inibitoria al risarcimento in forma specifica e dall’altro affermando il loro carattere prioritario rispetto al risarcimento per equivalente.
[81] V. in tal senso C.M. Bianca, Diritto civile, 6, La proprietà, 2a ed., cit., 172, il quale con riguardo all’art. 2051 cod. civ.ragiona di una responsabilità aggravata per colpa presunta. L’orientamento dottrinale maggioritario parla peraltro, in merito alla previsione da ultimo citata, di responsabilità oggettiva: v. da ultimo V. Villanova, La responsabilità per il danno cagionato da cose in custodia, in Resp. civ. prev., 2022, 760 ss., ove ulteriori riferimenti. Sia pure in diversa prospettiva (di analisi economica del diritto, su cui torneremo infra, nt. 177), v. inoltre, sempre in favore di una responsabilità civile oggettiva da immissioni intollerabili, U. Mattei, Tutela inibitoria e tutela risarcitoria. Contributo alla teoria dei diritti sui beni, cit., 396; nonché R.A. Albanese, Il diritto privato alle prese con la movida: disciplina delle immissioni, risarcimento del danno non patrimoniale, allocazione delle esternalità, in Resp. civ. prev., 2021, 13.
Con riguardo al danno risarcibile, non sembra che esso possa estendersi pure ai profitti eventualmente ottenuti dall’immittente, nemmeno ove si parta dall’idea della vocazione generale della restituzione degli utili di cui all’art. 125, comma 3, cod. propr. ind., che non sarebbe comunque applicabile in via analogica alla nostra fattispecie: v. in tal senso S. Gatti, Il problema dell’illecito lucrativo tra norme di settore e diritto privato generale, Napoli, 2021, 450 ss., il quale evidenzia come, dal lato dell’immittente, non sussista alcun atto di sfruttamento di una utilità riservata e come, dal lato dell’immesso, la reversione dei profitti darebbe luogo a un arricchimento ingiustificato, mancando l’usurpazione di qualsivoglia sua possibilità di guadagno, sia pure solo astratta o potenziale.
[82] In tal senso v., tra i tanti, C. Salvi, op. ult. cit., 93. Non si è affermata la diversa tesi di V. Lojacono, op. cit., 176, secondo cui «il proprietario del fondo colpito da immissioni tollerabili, se non può opporsi a esse, ha però […] il diritto di essere indennizzato per il danno ricevuto, poiché se vien disapplicato per legge il principio per cui il danneggiato può chiedere, oltre e prima che il risarcimento, la cessazione della causa del pregiudizio, non può negarsi rilevanza alla diminuzione patrimoniale inflitta dalle immissioni del vicino».
[83] Quello del preuso (da intendersi in senso oggettivo cioè con riguardo alla priorità della forma di utilizzazione in atto sul fondo), in linea del resto con la formulazione letterale della previsione, è generalmente inteso da giurisprudenza e dottrina come un criterio puramente facoltativo e sussidiario: v. per esempio R. Petruso, voce Immissioni, in Dig. disc. priv. – sez. civ., Agg. VII, Torino, 2012, 551; nonché C. Salvi, op. ult. cit., 98, secondo il quale «l’unica eccezione in concreto alla sostanziale irrilevanza del criterio è rinvenibile nelle ipotesi in cui la destinazione del fondo che subisce le immissioni sia mutata successivamente all’inizio dell’attività che le causa, rendendo intollerabili immissioni che in precedenza dovevano considerarsi lecite. In tale ipotesi la priorità dell’uso può comportare il venir meno di ogni tutela, oppure la diminuzione dell’indennità dovuta». A. Gambaro, op. cit., 276, dopo aver persuasivamente rilevato che «il criterio è […] discutibile, perché la disciplina degli usi del territorio è funzione riservata a chi esercita le potestà di pianificazione urbanistica e territoriale, sicché se un dato uso […] è ammesso, la presenza sul territorio di attività scarsamente compatibili […] non può generare una regola contraddittoria con le destinazioni di uso programmate dal pianificatore pubblico», si spinge ad affermare che la giurisprudenza «ha semplicemente cancellato la regola del codice». Secondo l’orientamento dominante, si tratta comunque di un criterio che, nei rari casi in cui opera, serve a valorizzare gli investimenti fatti per lo sviluppo produttivo di un immobile, comprimendo la sfera proprietaria dei vicini. Per una particolare proposta interpretativa diretta a valorizzare notevolmente il criterio del preuso nell’ambito di una lettura unitaria – e non, come da orientamento dominante, dicotomica – e al tempo stesso «ecologica» dell’art. 844 c.c., v. peraltro M.W. Monterossi, Interesse «a non tollerare» e conformazione delle sfere proprietarie, in The Cardozo Electronic Law Bulletin, 2020, 34 ss., secondo il quale tale criterio potrebbe «favorire una soluzione del conflitto tra usi incompatibili tale da imprimere alla zona di riferimento caratteristiche incompatibili con quelle della produzione industriale o meglio con lo svolgimento di attività fonti di degrado sotto il profilo ambientale». Tale proposta si fonda soprattutto sugli studi di U. Mattei, La proprietà, cit., 335 s. e 341, il quale – con un approccio di analisi economica del diritto: v. infra, nt. 177 – critica l’orientamento dominante sulla base di argomenti letterali (ragionando di «un criterio che l’art. 844 cod. civ.non ha certo esplicitamente introdotto per veder cancellato», anche se ai sensi del comma 2 del citato articolo il giudice «può» e non deve «tener conto della priorità di un determinato uso») e storici (sembrandogli che la ragione dell’orientamento dominante «possa trovarsi nel residuo della concezione assoluta della proprietà, un aspetto profondo della tradizione romanista», cui si collega «il divieto di immissio in alienum» che porta a intendere la «sfera dell’immesso» come «impermeabilizzata»; ma in precedenza nel testo abbiamo veduto come il progresso industriale abbia comportato un profondo mutamento di tale concezione, la quale tende peraltro a riemergere nella diversa prospettiva della tutela dei diritti della personalità, come verificheremo nel prosieguo) e sostiene pertanto che il preuso dovrebbe integrare «un’importante guida alla discrezionalità del giudice». Su una simile linea di pensiero, v. anche A. Pradi, Immissioni, in Riv. dir. civ., 1995, II, 606. Pure G. Calabresi, A.D. Melamed, op. cit., 538 s., avevano evidenziato l’idoneità del criterio del preuso a soddisfare, tra le altre, «ragioni di “giustizia”» che potrebbero per esempio riscontrarsi nella «protezione delle aspettative».
[84] C.M. Bianca, op. ult. cit., 167. Nello stesso senso, v. tra i tanti M.R. Maugeri, Immissioni acustiche, normale tollerabilità e normative di settore: la nuova disciplina, in Nuova giur. civ. comm., 2010, II, 205. Si parla anche di «valutazione bifasica» (A. Gambaro, op. cit., 276).
[85] Come spiegato da C. Salvi, op. ult. cit., 96, sulla base di questa disciplina, ove a entrare in conflitto siano due usi entrambi produttivi, occorrerebbe contemperarli alla luce dell’interesse della collettività «tendenzialmente coincidente con l’incremento di valore prodotto». V. anche, tra gli altri, R. Pardolesi, op. cit., c. 1150 ss. (il quale commenta adesivamente Cass., 18 febbraio 1977, n. 740, a proposito della intollerabilità e della illiceità di immissioni causate a un uliveto da un vicino frantoio di pietre).
[86] Un simile diritto era stato talvolta affermato anche dalla giurisprudenza italiana precedente il Codice civile del 1942, come rammentato per esempio da F. De Martino, sub art. 844 c.c., in Comm. del Cod. Civ., a cura di A. Scialoja e G. Branca, Libro terzo: Proprietà, Artt. 810-956, IV ed., Roma-Bologna, 1976, 202; nonché da F. Nappi, op. cit., 48, ove ulteriori riferimenti. Come testimonia dettagliatamente M.R. Maugeri, Violazione delle norme contro l’inquinamento ambientale e tutela inibitoria, cit., 258 ss., la necessità oppure non di prevedere espressamente un indennizzo per chi fosse stato costretto a subire immissioni gravose in considerazione delle esigenze delle industrie fu inoltre oggetto di discussioni durante la preparazione del Codice civile del 1942, anche se è arduo coglierne fino in fondo la rilevanza, essendo carente la documentazione sui lavori che portarono alla formulazione definitiva dell’art. 844 c.c.
[87] Una lettura non dicotomica ma unitaria dell’art. 844 cod. civ. è propugnata, tra gli altri, da A. Procida Mirabelli di Lauro, op. cit., 261 ss., secondo il quale da un lato l’influenza che eccede la normale tollerabilità dovrebbe considerarsi sempre illecita e dall’altro il giudizio di contemperamento, alla pari dei criteri della condizione dei luoghi e del preuso, si tradurrebbe in un canone ermeneutico esauriente la sua operatività esclusivamente in funzione della regola (che sarebbe appunto unitaria) della normale tollerabilità. Per riferimenti anche ad altre ricostruzioni dottrinali e giurisprudenziali rimaste minoritarie, v. di recente M.W. Monterossi, op. cit., 20 ss. V. anche supra, nt. 83.
[88] V. per esempio C. Salvi, op. ult. cit., 99 s., ove si ragiona appunto di una disciplina che «risente fortemente del clima in cui fu formulata» e che pertanto «è organizzata intorno alla considerazione preminente dell’interesse alla produzione». Tra i vari altri, v. anche G. Alpa, op. cit., 601, secondo cui «la proprietà […], con la codificazione del 1942, è stata modellata come istituto dinamico, e coniugata […] all’impresa, e alla sua utilizzazione nell’ambito del commercio e delle società»; A. di Majo, Diritto civile e amministrativo si contaminano a vicenda, in Europa e dir. priv., 2021, 782, il quale a sua volta sottolinea che «anche l’istituto più egocentrico del diritto civile, quale la proprietà, è venuto caricandosi di interessi superindividuali»; M.R. Maugeri, Immissioni acustiche, normale tollerabilità e normative di settore: la nuova disciplina, cit., 205; U. Mattei, op. ult. cit., 331; F. Di Giovanni, Strumenti privatistici e tutela dell’«ambiente», Padova, 1982, 48; S. Patti, La tutela civile dell’ambiente, Padova, 1979, 54 ss.; Id., voce Ambiente (tutela dell’) nel diritto civile, in Dig. disc. priv. – sez. civ., I, Torino 1987, 290 s. Ciò emerge anche dalla relazione al Re, ove con riguardo alla proprietà in genere si osserva che «non si tratta di un diritto primigenio o naturale dell’individuo, a cui sono portate specifiche limitazioni […]. La misura stessa del diritto si desume organicamente dalle finalità per cui il potere è riconosciuto e varia quindi in relazione ai diversi beni suscettibili di appropriazione», che «il proprietario deve provvedere all’utilizzazione dei propri beni, per conseguirne la massima produttività» e con specifico riguardo alle immissioni si precisa che «il principio di socialità, da cui l’istituto della proprietà è pervaso, torna a riflettersi sulla disciplina», ponendosi in particolare evidenza le «esigenze della produzione» (n. 402, 404 e 412). Non convince, pertanto, fino in fondo l’affermazione di A. Proto Pisani, op. cit., 3477, secondo cui «il legislatore del 1942 non ebbe […] dubbi nell’attribuire al giudice il bilanciamento […], anche se ciò poteva essere fonte di “incertezze” […] soprattutto per l’imprenditore». Anche F. Nappi, op. cit., 55 ss., peraltro, facendo leva su alcune indicazioni desumibili dai lavori preparatori, preferisce ragionare dell’idea secondo cui l’art. 844 cod. civ., avrebbe risentito della logica produttivistica tipica del regime fascista come di un «luogo comune» da «sfatare».
[89] Tra i tanti, v. C.M. Bianca, op. ult. cit., 165: «le immissioni industriali possono essere consentite pur quando superano il limite della normale tollerabilità. La norma sul contemperamento denunzia l’attenzione che il legislatore del 1942 dedicava agli interessi dell’industria»; F. De Martino, op. cit., 209; nonché A. Gambaro, op. cit., 276.
[90] V. assai chiaramente C.M. Bianca, op. ult. cit., 166: «non vi è luogo al contemperamento tra esigenze dell’industria e ragioni della proprietà quando le immissioni intollerabili sono eliminabili mediante accorgimenti tecnici di costo ragionevole. In tal caso la giurisprudenza giunge ad ordinare senz’altro l’adozione di tali accorgimenti, anziché inibire l’attività disturbante». Per affermare invece l’eventuale irragionevolezza del costo dei citati accorgimenti, può prendersi spunto dalla nozione di wirtschaftlich Unzumutbarkeit di cui al comma 2 del § 906 BGB, la quale «ist gegeben, wenn die notwendigen Maßnahmen solche Kosten verursachen, dass ein dem konkreten Grundstücksnutzer vergleichbarer durchschnittlicher Benutzer keinen angemessenen Gewinn aus der Grundstücksnutzung mehr erzielen könnte» (R. Lemke, op. cit., 2068). In una diversa prospettiva, si tratterebbe piuttosto di «immaginare che tutti i fondi appartengano al medesimo proprietario per verificare quali misure un proprietario razionale assumerebbe per rimediare alla incompatibilità tra le attività […]», prospettiva questa adottando la quale «il calcolo razionale sarebbe semplice, perché la rinuncia ai redditi procurati da ciascuna attività diviene, in caso di incompatibilità assoluta, il costo opportunità dell’altra», giungendosi alla conclusione operativa che «il giudice non può inibire la prosecuzione dell’attività economicamente più vantaggiosa, ma deve disporre che chi la prosegue debba risarcire colui, o coloro, che non possono proseguire la propria a causa delle immissioni che creano l’incompatibilità», però con la precisazione che, qualora «tecniche di abbattimento delle emissioni siano disponibili e meno costose dell’ammontare dei risarcimenti dovuti ai proprietari immessi, il giudice dovrebbe disporre la loro adozione e non il risarcimento dei danni futuri (quelli pregressi sono ovviamente da risarcire ogni qual volta le immissioni superano la normale tollerabilità)» (A. Gambaro, op. cit., 277 s.).
[91] V. al riguardo A. Proto Pisani, op. cit., 3476, il quale evidenzia che la condanna ad astenersi in futuro dalle immissioni illecite (inibitoria negativa) ha per oggetto un non fare per sua natura infungibile e pertanto non surrogabile da parte di un terzo tramite l’esecuzione forzata, salve a partire dal 2009 solo le c.d. misure di coercizione indirette di cui all’art. 614-bis, cod. proc. civ., mentre la condanna al compimento delle opere necessarie per eliminare le immissioni illecite (inibitoria positiva) ha per oggetto un fare fungibile, con la conseguenza che è suscettibile di attuazione in via surrogatoria da parte di un terzo ai sensi degli artt. 612 ss., cod. proc. civ., salve anche in questa seconda ipotesi pure le già citate misure di coercizione indirette.
[92] Come evidenzia per esempio C. Salvi, op. ult. cit., 96, «sulla base di tali criteri risulta in concreto difficile un giudizio di illiceità, con conseguente inibizione, delle immissioni causate da attività produttive. La tutela del proprietario del fondo che le subisce si esaurisce, in genere, nell’attribuzione di un’indennità».
[93] In giurisprudenza, v. tra le altre Cass., 26 maggio 1990, n. 4903, in Riv. giur. edil., 1990, I, 645, ove con particolare chiarezza si distingue appunto l’immissione eccedente la normale tollerabilità in genere, la quale dà luogo a un fatto illecito ai sensi dell’art. 2043 c.c., da quella che pur eccedendo la normale tollerabilità sia consentita dal giudice, nel qual caso vi è solo un atto lecito (proprio perché consentito dal giudice) indennizzabile.
[94] Nella materia in esame, l’indennizzo è infatti calcolato tenendo conto solo della diminuzione di valore dell’immobile a causa delle immissioni, salva la possibilità di commisurarlo ai costi ragionevoli eventualmente sostenuti dall’immesso per rendere il suo bene normalmente utilizzabile: per simili rilievi, v. C.M. Bianca, op. ult. cit., 168. Con specifico riguardo alla diminuzione di valore dell’immobile (esclusi pregiudizi di diverso tipo, che l’indennizzo non copre e che sono eventualmente risarcibili in sede aquiliana), sono da considerare anche i danni futuri, come evidenziato da C. Salvi, op. ult. cit., 97.
Per una critica all’irragionevole «consolidamento delle reciproche situazioni proprietarie per il tempo dopo il giudizio» che la liquidazione una tantum dell’indennizzo comporterebbe, v. M.W. Monterossi, op. cit., 11 s., il quale ritiene «più opportuno promuovere una liquidazione su base periodica (attraverso la previsione ad esempio del pagamento di un indennizzo annuale), così imprimendo alla relativa obbligazione un carattere “ambulatorio”». Tale interessante posizione sembra ispirata da un approccio di analisi economica del diritto, su cui avremo modo di tornare infra, nt. 177.
[95] In tal senso, v. Cass., Sez. Un., 29 luglio 1995, n. 8300, in Giur. it., 1996, I, sez. I, c. 328 ss., con nota di A.M. Musy, Immissioni sonore nell’isola di Ponza, regole economiche, superstizioni e soluzioni giuridiche. Ma v. anche la diversa posizione di C. Salvi, op. ult. cit., 97, secondo il quale invece «l’art. 844, comma 2, non reagisce a un danno, da risarcire, ma alla modificazione reciproca, e tendenzialmente permanente, della sfera giuridica di due soggetti; con incremento dell’una a carico dell’altra. L’obbligazione indennitaria discende dunque dall’esigenza – secondo quello che è un principio generale in tema di spostamento patrimoniale – di garantire un giusto corrispettivo al soggetto la cui sfera giuridica sia stata ristretta»; nonché, amplius, Id., Le immissioni industriali. Rapporti di vicinato e tutela dell’ambiente, cit., 258 ss. La teoria della servitù coattiva è criticata anche da R. Picaro, Il divieto di immissioni tra relazioni economiche e bisogni esistenziali, Napoli, 2000, 307 ss., il quale ragiona piuttosto dell’«integrazione pretoria, finalizzata all’attribuzione di una sorta di ristoro (l’indennità) per il pregiudizio cagionato dall’attività immissiva», come di una operazione che «non trova alcun riscontro sul piano normativo, e costituisce unicamente la presenza della volontà di assecondare il processo di industrializzazione».
[96] C.M. Bianca, op. ult. cit., 167 s. Ha richiamato l’espropriazione per pubblica utilità, tra i tanti altri, pure P. Bonfante, op. ult. cit., 26.
[97] È l’opinione di M. Paradiso, Corso di Istituzioni di diritto privato, XIIa ed., Torino, 2022, 169.
[98] Per una chiara sintesi in argomento, v. da ultimo P. Perlingieri, Stagioni del diritto civile. A colloquio con Rino Sica e Pasquale Stanzione, Napoli, 2021, 66 ss.
[99] Si rinvia a G. Carapezza Figlia, Premesse ricostruttive del concetto di beni comuni nella civilistica italiana degli anni Settanta, in Rass. dir. civ., 2011, 1061 ss., ove dettagliati riferimenti.
[100] V. in tal senso, tra i tanti, C. Salvi, op. ult. cit., 383 s.; P. Perlingieri, op. cit., 69; G. Perlingieri, Criticità della presunta categoria dei beni c.dd. «comuni». Per una «funzione» e una «utilità sociale» prese sul serio, in Rass. dir. civ., 2022, 159 s. e 162; nonché A. Proto Pisani, op. cit., 3482. V. inoltre, per interessanti approfondimenti sulle diverse teorie da un lato della «proprietà vincolata» e dall’altro della «proprietà conformata» nonché sugli influssi rispettivamente svolti dalle concezioni cattolica, laica liberale e laica marxista, G. Alpa, op. cit., 607 ss. La prospettiva di «un processo di depotenziamento dell’art. 42 Cost.» (legata al fatto che, ai sensi dell’art. 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, il legislatore potrebbe sì «regolare l’uso dei beni “nei limiti imposti dall’interesse generale”», ma non più introdurre «riduzioni o compressioni incisive ed importanti del contenuto del diritto di proprietà, come invece è stato possibile in precedenza attraverso il principio della funzione sociale di cui all’art. 42, comma 2°, Cost.») è invece prefigurata da M. Comporti, La proprietà europea e la proprietà italiana, in Riv. dir. civ., 2008, I, 206.
[101] G. Carapezza Figlia, op. ult. cit., 1071. V. anche, con particolare riferimento alla disciplina delle acque, Id., Tecniche e ideologie nella disciplina delle acque. Dagli «usi di pubblico generale interesse» ai «beni comuni», in Arch. giur., 4/2015, 557 s. Per una brillante riflessione secondo cui attualmente «si (ri)propone un modello di contratto sociale che mira a saldare nuovamente la proprietà alla libertà e si attualizza l’idea costitutiva dei codici borghesi, che vede nel diritto soggettivo assoluto, e segnatamente nella proprietà, il presidio della libertà del singolo», v. inoltre A. Zoppini, Il diritto privato e i suoi confini, Bologna, 2020, 229.
[102] V. per esempio C. Salvi, Proprietà e possesso, cit., 99; F. Di Giovanni, op. cit., 50 ss.
[103] Per la tesi affermativa, v., tra gli altri, C.M. Bianca, op. ult. cit., 171 s., ove anche ulteriori riferimenti.
[104] V. in senso affermativo Cass., 6 aprile 1983, n. 2396, in Giur. it., 1984, I – Sez. I, c. 537 ss., con nota adesiva di F. Mastropaolo, Tutela della salute, risarcimento del «danno biologico» e difesa dalle immissioni; nonché, in dottrina, V. Scalisi, Immissioni di rumore e tutela della salute, in Riv. dir. civ., 1982, I, 153 e 161 s., il quale ammette «la tutelabilità dalle immissioni nocive anche del proprietario come persona, in quanto tale, a prescindere dal rapporto di godimento con la cosa, e indipendentemente dal fatto di essere titolare di un diritto di proprietà fondiaria», con la conseguenza che può riconoscere la legittimazione attiva «anche ai soggetti che, ad esempio, si trovino semplicemente a transitare per il fondo oppure prestino la loro opera nel fondo stesso». V. anche, tra gli altri, F.P. Traisci, Le immissioni fra tutela proprietaria e tutela della persona. Modelli a confronto, Napoli, 1996, 291 ss.; nonché R. Petruso, op. cit., 554 s. e 560. In senso contrario, v. però A. De Cupis, Disciplina delle immissioni e tutela della salute, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1983, 252 ss.; nonché, in giurisprudenza, tra le altre, Cass., Sez. Un., 19 luglio 1985, n. 4263, in Nuova giur. civ. comm., 1986, I, 226 ss. (con nota di R. De Matteis), secondo cui la tutela della salute è estranea all’art. 844 c.c., ma può essere ottenuta, anche con rimedi di tipo inibitorio, ai sensi degli art. 2043 ss. c.c.; Cass., 10 dicembre 2009, n. 25820, in One legale; Cass., Sez. Un., ord. 23 aprile 2020, n. 8092, in Nuova giur. civ. comm., 2020, I, 1290 ss. (con commento di G. Ceccherini, Danno ambientale e tutela di situazioni giuridiche esclusive: l’inibitoria del giudice ordinario, ivi, 1284 ss.). Su una linea di pensiero di quest’ultimo tipo, v. anche Corte cost., 23 luglio 1974, n. 247, in Giur. it., 1975, I, 585 ss., con nota adesiva di C. Salvi, Legittimità e «razionalità» dell’art. 844 Codice civile; nonché Corte cost., ord. 24 marzo 2011, n. 103, in Giur. cost., 2011, 1436 ss.
[105] Non mancano, infatti, dure critiche dottrinali. V., tra gli altri, A. Gambaro, op. cit., 280 ss. e specialmente 284, il quale conclude: «è dubbio che simile indirizzo giurisprudenziale per quanto attestato da un numero impressionante di pronunce possa mantenersi inalterato essendo straordinariamente dimentico del principio di proporzionalità nella somministrazione dei rimedi; è certo però che non può essere spacciato per una applicazione analogica dell’art. 844 cod. civ., di cui contraddice l’impianto e la logica relazionale di fondo»; nonché U. Mattei, op. ult. cit., 341 s., il quale critica la «pretesa onnipotenza della tutela costituzionale» ed evidenzia che «ogni soggetto dispone di risorse limitate: la salute è uno fra i beni, che ciascuno può desiderare, esattamente come le sigarette, il tempo libero, i quadri, e per il quale può decidere un determinato investimento, a scapito degli altri beni».
[106] Su una simile linea di pensiero sembrano porsi V. Scalisi, op. cit., 159, il quale considera rilevanti al fine in discorso «non solo l’incolumità fisica, ma anche il benessere psichico dell’individuo e in genere tutto ciò che vale a definire la “qualità” stessa della vita, intesa come piena e integrale realizzazione della persona umana nella totalità e globalità dei suoi valori»; nonché G. Visintini, Il divieto di immissioni e il diritto alla salute nella giurisprudenza odierna e nei rapporti con le recenti leggi ecologiche, in Riv. dir. civ., 1980, II, 264. Ma v. anche C.M. Bianca, op. ult. cit., 171, secondo il quale con particolare riguardo alle immissioni rumorose occorre distinguere quelle nocive da quelle semplicemente fastidiose, queste ultime assoggettate al contemperamento di cui al comma 2 dell’art. 844 cod. civ.
[107] Cass., 31 agosto 2018, n. 21504, in One legale. V. anche, tra le tante, Cass., ord. 11 marzo 2019, n. 6906, in Riv. giur. edil., 2019, I, 656; Cass., 12 luglio 2016, n. 14180, in Resp. civ. prev., 2016, 2015 ss.; Cass., Sez. Un., 21 luglio 2015, n. 15207, in One legale; Cass., 2 aprile 2015, n. 6786, in Resp. civ. prev., 2015, 1291; Cass., 7 aprile 2014, n. 8094, in Giur. it., 2015, 306 ss. (con nota critica di A. Ferrero, Normale tollerabilità e bilanciamento di interessi in tema di immissioni); Cass., 8 marzo 2010, n. 5564, in Riv. giur. edil., 2010, I, 1151 s.; Cass., 11 aprile 2006, n. 8420, in Giust. civ., 2007, I, 459 ss. (con nota critica di M. Costanza, Evoluzioni ed involuzioni giurisprudenziali in tema di immissioni). V. anche, in dottrina, tra gli altri, M. Paradiso, op. cit., 169 s.; G. Carapezza Figlia, Disciplina delle immissioni e interpretazione sistematica. Un caso di bilanciamento tra interessi non patrimoniali in conflitto, cit., 852; V. Scalisi, op. cit., 160; G. Visintini, op. cit., 263 ss.; A. Procida Mirabelli di Lauro, op. cit., 360 ss.; M. Lamicela, L’interpretazione in chiave personalistica dell’art. 844 c.c.: ricadute sistematiche e nodi irrisolti, in Contr. e impr., 2019, 175 ss.; M. Tampieri, Immissioni intollerabili e danno alla persona, Milano, 2006, 114 e 122.
[108] U. Mattei, op. ult. cit., 332, il quale così argomenta: «la tutela inibitoria, lungi dal contenere una regola di inalienabilità, altro non è che una property rule, di cui le parti possono disporre dopo negoziazione. Ciò significa che, qualora l’immittente valuti il diritto di inquinare più di quanto il proprietario limitrofo valuti il proprio fondo, ci sarà ampio spazio per il negoziato. Nell’ambito di un giuoco cooperativo, in cui entrambe le parti hanno da guadagnare, il diritto ad inquinare verrà comprato, con buona pace dei bambini che frequentano il vicino parco».
[109] Tra gli altri, v. F.P. Traisci, op. cit., 297 ss., il quale, con riguardo al «problema della estendibilità della tutela contro le immissioni alla protezione di beni sui quali l’attore non possa vantare alcun diritto individuale come l’ambiente», condivide «la tesi che ritiene che la tutela dell’ambiente, configurandosi come momento della tutela della persona umana e della sua salute, afferisca al godimento stesso del bene». Cfr. altresì G.G. D’Angelo, L’art. 844 Codice Civile e il diritto alla salute, in Tutela della salute e diritto privato, a cura di F.D. Busnelli e U. Breccia, Milano, 1978, 433 e 443, il quale, sia pure «senza arrivare a sostenere […] che l’art. 844 possa costituire la panacea per una idonea tutela della salute e dell’ambiente», valorizza «il positivo ruolo che una interpretazione ispirata ai “mutati valori storicamente emersi e garantiti dalla Costituzione” può far rivestire alla norma dell’art. 844 nella misura in cui, ponendosi nella sua applicazione concreta un problema di scelte fra le esigenze della produzione e quelle della salute umana, appresti finalmente a queste ultime la tutela maggiore», e quindi conclude che tra le tecniche privatistiche utilizzabili in questa prospettiva «un ruolo di non secondaria importanza può […] rivestire la norma di cui all’art. 844, ogni qualvolta l’appiglio “reale” diventa solo un pretesto formale perché tale norma spieghi i suoi effetti inibitori nelle fattispecie lesive della sfera personalissima dei soggetti». Da ultimo, v. anche C. Lazzaro, Le immissioni nelle rinnovate logiche della responsabilità civile, Torino, 2021, 51 e 139 ss., il quale sostiene che, «a ben vedere, l’art. 844 cod. civ.si presterebbe – almeno in linea di principio – per la sua duttilità, ad un’applicazione estensiva anche in materia ambientale tramite l’applicazione dell’azione inibitoria tipica definitiva a particolari fattispecie inquinanti», anche se poi propone una soluzione più articolata, secondo cui «in tema di immissioni esistono tutele diversificate, a velocità variabile, che mutano a seconda degli interessi (privatistici/pubblicistici) in gioco», sembrandogli comunque «forse opportuno rafforzare il collegamento tra l’istituto delle immissioni e quello dell’illecito aquiliano».
[110] Cfr. in argomento G. Alpa, Note sulla riforma della Costituzione per la tutela dell’ambiente e degli animali, in Contr. e impr., 2022, 361 ss.; A. D’Aloia, La Costituzione e il dovere di pensare al futuro, in BioLaw Journal – Rivista di BioDiritto, n. 2/2022, 1 ss.; nonché F.G. Menga, Dare voce alle generazioni future. Riflessioni filosofico-giuridiche su rappresentanza e riconoscimento a margine della recente modifica dell’articolo 9 della Costituzione italiana, ivi, 73 ss.
[111] V., persuasivamente su questa linea di pensiero, G. Perlingieri, op. cit., 156. Anche G. Alpa, Proprietà privata, funzione sociale, poteri pubblici di «conformazione», cit., 615, ragiona di un aggiornamento testuale che, «per certi aspetti, traduce in norma esplicita gli orientamenti interpretativi accreditatisi da lungo tempo nella nostra giurisprudenza, sulla base di una complessa e colta tradizione dottrinale». Ma v. anche E. Leccese, L’ambiente: dal Codice ambientale alla Costituzione, un percorso al contrario? (riflessioni intorno ai progetti di legge per l’inserimento dello sviluppo sostenibile e della tutela ambientale tra i principi fondamentali della Costituzione), in Liber amicorum per Giuseppe Vettori, cit., 1888, secondo cui «forse l’aspetto più rilevante della introduzione esplicita e formale della tutela dell’ambiente nella Costituzione è proprio nella separazione, con la formalizzazione in due disposizioni distinte, tra diritto all’ambiente e diritto alla salute, con conseguenze rilevanti anche sotto il profilo della tutela risarcitoria». V. inoltre, tra gli scritti più risalenti, S. Patti, op. ult. cit., 288 s., ove ulteriori riferimenti.
[112] Per un simile ragionamento con riguardo al diritto tedesco, v. da ultimo M. Thöne, Klimaschutz durch Haftungsrecht – vier Problemkreise, in ZUR– Zeitschrift für Umweltrecht, 2022, 333, il quale conclude la sua indagine in argomento appunto confermando che «der (nachhaltige) Klimaschutz vorrangig als eine Aufgabe des öffentlichen Rechts anzusehen ist», sia pure sostenendo altresì che «bleibt der Zivilrechtsweg damit im Fall einer strategischen Klage eröffnet. Dem Zivilrecht kann hier eine Komplementärfunktion zukommen, deren Wirkung (auch zukünftig) zu weiten Teilen vom naturwissenschaftlichen Wissenszuwachs hinsichtlich der Ursachen-/Folgenbeschreibung sowie der gesetzgeberischen und gesellschaftlichen Ausgestaltung der Handlungsspielräume CO2emittierender Akteure abhängen wird». Già S. Rodotà, La logica proprietaria tra schemi ricostruttivi e interessi reali, in Quad. fior., 1976/77, II, 899 s., aveva comunque illustrato i «notevoli inconvenienti, derivanti dall’utilizzazione (sia pure “alternativa”) di tecniche proprietarie per la tutela di nuove categorie d’interessi», affermando con particolare riguardo all’ambiente «la specifica irriducibilità di quella tematica agli abituali schemi proprietari». Anche A. D’Adda, Orientamenti giurisprudenziali in tema di tutela civile inibitoria definitiva, in Nuova giur. civ. comm., 1999, II, 64, ha in conclusione manifestato «forti perplessità in ordine all’applicazione dell’art. 844 cod. civ. al di fuori della sua connaturata logica proprietaria».
[113] La protezione dell’ambiente come bene collettivo spetta al Ministero dell’ambiente (ora Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica), al quale competono varie misure di precauzione, prevenzione e contenimento del danno ambientale in aggiunta alla tutela risarcitoria ai sensi, rispettivamente, degli artt. 298-bis ss. e 311 ss. del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152. Lo stesso fatto può peraltro ledere anche la salute o beni di proprietà di singoli, nel qual caso non è escluso un risarcimento dei danni pure in favore di costoro ai sensi dell’art. 313, comma 7, del medesimo d. lgs. Nel senso della legittimità costituzionale di questa disciplina, v. Corte cost., 1° giugno 2016, n. 126, in Giur. cost., 2016, 1509 ss., con nota di M. Betzu, S. Aru, Il risarcimento del danno ambientale tra esigenze unitarie e interessi territoriali. Su questi temi, v. tra gli altri C. Salvi, Proprietà e possesso, cit., 101; A. Trabucchi, op. cit., 1475 ss.; F. Parente, Territorio ed eco-diritto: dall’ecologia ambientale all’ecologia umana, Napoli, 2022, 95 ss.; M. Zarro, Danno da cambiamento climatico e funzione sociale della responsabilità civile, Napoli, 202, 62 ss.; E. Moscati, Dall’art. 18 alle modifiche del t.u. ambientale. Una fisiologica evoluzione legislativa ovvero lo stravolgimento della responsabilità per danno ambientale?, in Europa e dir. priv., 2022, 581 ss., con particolare riguardo alla diversa impostazione attuale rispetto a quella previgente; nonché in giurisprudenza, da ultimo, Cass., Sez. Un., 1° febbraio 2023, n. 3077, in One legale. V. anche M. Renna, Attività di impresa, sostenibilità ambientale e bilanciamento tra diritto alla salute e iniziativa economica privata, in Contr. e impr., 2022, 537 ss., il quale, sia pure confermando la centralità nel settore ambientale dei rimedi pubblicistici, valorizza particolarmente anche la nuova azione inibitoria collettiva di cui all’art. 840-sexiesdecies cod. proc. civ. Su una simile linea di pensiero, v. pure P.M. Sanfilippo, Tutela dell’ambiente e «assetti adeguati» dell’impresa: compliance, autonomia ed enforcement, in Riv. dir. civ., 2022, 1026.
[114] V. sostanzialmente in tal senso S. Patti, op. ult. cit., 289 ss.; C.M. Bianca, op. ult. cit., 170 s.; M. Piccinni, Immissioni e tutela della persona. Contaminazioni personalistiche dell’art. 844 cod. civ., in Nuova giur. civ. comm., 2012, II, 35. V. anche F. Di Giovanni, op. cit., 50, il quale giunge alla «conclusione che l’art. 844 non è tanto un mezzo, sia pure indiretto ed esclusivamente individualistico, di tutela degli interessi relativi all’ambiente, quanto piuttosto un campo di occasionale considerazione di certi interessi, che vengono in rilievo solo in via eventuale e appunto “occasionale”, come corollario della tutela di altri beni». In diversa prospettiva (di analisi economica del diritto: v. infra, nt. 177), cfr. altresì U. Mattei, op. ult. cit., 337 s., secondo il quale, con riguardo al «conflitto fra la raffineria di carbone immittente e la massaia che stende il bucato», quest’ultima «rappresenta l’interesse all’ambiente salubre» e pertanto «agisce sul modello del c.d. private attorney general».
[115] Tra i tanti, v., anche per ulteriori riferimenti, V. Casado Perez e C. Gomez Liguerre, op. cit., 1026 ss. V. altresì, in lingua italiana, E. Bargelli, La costituzionalizzazione del diritto privato attraverso il diritto europeo. Il right to respect for the home ai sensi dell’art. 8 CEDU, in Europa e dir. priv., 2019, 51 ss.; M. Piccinni, op. cit., 16 ss. e specialmente 28 ss.; nonché da ultimo C. Lazzaro, op. cit., 94 ss.
[116] In dottrina, v., tra i tantissimi, M. Franzoni, Fatti illeciti, in Comm. del c.c. Scialoja-Branca-Galgano, a cura di G. De Nova, Artt. 2043-2059, II ed., Bologna, 2020, 801 ss.; C. Salvi, La responsabilità civile, III ed., in Tratt. dir. priv., a cura di G. Iudica, P. Zatti, Milano, 2019, 65 ss. e specialmente 78 ss.; C.M. Bianca, Diritto civile, 5, La responsabilità, III ed., cit., 188 ss.
In merito anche a ulteriori situazioni giuridiche soggettive pretese di rango costituzionale e inviolabili (quali lo stesso diritto di proprietà ai sensi dell’art. 1 del primo Protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dell’art. 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, il diritto al domicilio di cui all’art. 14 Cost., il diritto al riposo che si desumerebbe dall’art. 36 Cost. nonché il diritto all’abitazione da ricondursi al catalogo aperto di cui all’art. 2 Cost.) che sono state a volte richiamate, per lo più poco persuasivamente, in tema di immissioni, v. per esempio R.A. Albanese, op. cit., 17 s., ove dettagliati riferimenti; A. Gambaro, op. cit., 283, il quale parla di un indirizzo giurisprudenziale «andato del tutto fuori controllo quando si è nutrito di riferimenti ad aspetti eminentemente soggettivi ed a figure impalpabili come il danno esistenziale»; nonché M. Lamicela, op. cit., 185 ss. e specialmente 188, la quale, commentando lo stato dell’arte giurisprudenziale, manifesta preoccupazioni circa «i riflessi prodotti, sul fondamento dell’obbligazione risarcitoria e sulle tecniche per la sua misurazione, dall’inquietante connubio tra la strutturale ineffabilità della lesione cui rimediare, la diffusa svalutazione del passaggio probatorio circa l’effettiva ricorrenza della stessa lesione e lo strisciante automatismo dell’attribuzione della responsabilità all’autore dell’immissione intollerabile». V. anche infra, nt. 118.
[117] V. Cass., Sez. Un., 1 febbraio 2017, n. 2611, in Resp. civ. prev., 2017, 821 ss., con nota di A. Dinisi, Immissioni intollerabili e danno non patrimoniale da lesione del diritto al godimento dell’abitazione. V. anche la nt. seguente.
[118] In questo senso, v. da ultimo Cass., ord. 13 aprile 2022, n. 11930, in One legale. V. anche Cass., ord. 28 luglio 2021, n. 21649, in Danno e resp., 2022, 191 ss., con nota di G. Ponzanelli, Immissioni intollerabili da sciacquone rumoroso e un nuovo intervento sull’art. 139 c. ass., il quale evidenzia da un lato che le liti di vicinato occupano il secondo posto a livello quantitativo, dopo quelle da circolazione automobilistica, nella giustizia civile ordinaria italiana, e dall’altro che una simile valorizzazione in chiave risarcitoria del diritto al rispetto della vita privata e familiare consente di superare l’ostacolo alla concessione del danno non patrimoniale in caso di violazione del diritto di proprietà (su quest’ultima questione, v. da ultimo T. Sica, Lesione del diritto di proprietà e risarcibilità dei danni non patrimoniali: il consolidamento di un approccio ermeneutico, in Danno e resp., 2022, 283 ss.); Cass., ord. 18 luglio 2019, n. 19434, in Danno e resp., 2019, 765 ss., con nota di A. Volpato, Il danno non patrimoniale subito in conseguenza di immissioni di rumore intollerabili non può ritenersi sussistente in re ipsa; Cass., ord. 1° ottobre 2018, n. 23754, in One legale; nonché R.A. Albanese, op. cit., 20. Ma v. anche la diversa posizione, tra le altre, di Cass., ord. 11 marzo 2019, n. 6906, cit., ove si ragiona dell’«accertamento del superamento della soglia di normale tollerabilità» che comporta un «danno da immissioni, sussistente in re ipsa», da liquidarsi equitativamente; nonché Cass., 31 agosto 2018, n. 21504, cit.
La nozione di danno in re ipsa è stata negli ultimi anni oggetto di un’accesa controversia anche con riguardo al diverso tema dell’occupazione sine titulo di un immobile e della sottrazione al proprietario del godimento dello stesso, su cui v. da ultimo Cass., Sez. Un., 15 novembre 2022, n. 33645 e 33659, entrambe in Foro it., 2022, I, c. 3625 ss. (con note di A.M.S. Caldoro, Dal danno in re ipsa al danno presunto: l’apertura delle sezioni unite; R. Pardolesi, Alla ricerca del danno da occupazione illecita [quando c’è, ma non si vede]: normalizzazione del danno in re ipsa [c’è, ma non si dice]?; A. Palmieri, Danno da occupazione sine titulo di un immobile: una mediazione animata da buone intenzioni e dal retrogusto amaro di undercompensation; F. Mezzanotte, «Eventi», «conseguenze» e «danno» nell’occupazione sine titulo di immobile; C. Salvi, Teoria e pratica dell’occupazione abusiva; nonché B. Sassani e M. Magliulo, «In re ipsa, tamen in re alia»), le quali, sia pure con due decisioni complesse e di compromesso, hanno – in estrema sintesi – tenuto fermo il rifiuto di ogni danno in re ipsa, peraltro ammettendo la possibilità di un danno «presunto» o «normale», come tale da provare solo se contestato dal convenuto/danneggiante o a lui ignoto.
[119] Tra i tanti, v. R. Petruso, op. cit., 558 s., ove si sottolinea, «in un contesto in cui il ruolo delle giurisdizioni domestiche nell’attuazione dei diritti convenzionali appare in continua crescita, l’importanza delle pronunce di condanna della Corte europea, quantomeno sul piano della proiezione prolettica nel rinnovamento degli assetti giurisprudenziali dei singoli Stati».
[120] V. in tal senso V. Casado Perez, C. Gomez Liguerre, op. cit., 1028.
[121] V. con particolare chiarezza M.V. De Giorgi, “Die arme Spielerin” (suono di pianoforte e tutela della salute), in Nuova giur. civ. comm., 1995, I, 330, alla quale, atteso come qualsiasi immissione intollerabile possa essere considerata lesiva della salute, soprattutto se quest’ultima è concepita in senso ampio come sinonimo di «ben vivere», «pare che ci si incammini per una via che rischia di portare ad un’inconsapevole cancellazione dell’art. 844».
[122] V., anche per ulteriori riferimenti, A. Thier, op. cit., 105; nonché B. Brückner, op. cit., Rn. 77, ove si evidenzia che «der positive Eintritt von immissionsbedingten Gesundheitsschäden spricht zunächst für die Wesentlichkeit der Beeinträchtigung. Häufig ist aber gerade unklar, ob gesundheitliche Beschwerden auf Immissionen zurückzuführen sind. Werden Grenz– und Richtwerte eingehalten, indiziert dies die Ungefährlichkeit der Einwirkung bzw. die fehlende Kausalität etwaiger Schäden. Diese Indizwirkung muss der Eigentümer – etwa mit Hilfe ärztlicher Sachverständigengutachten – erschüttern».
[123] Con riferimento al § 906 BGB, si tende infatti a ragionare assai poco di tutela della persona. Lo si può verificare, per esempio, in C. Berger, sub § 906 BGB, in Jauernig Bürgerliches Gesetzbuch, XVIII ed., a cura di R. Stürner, Monaco di Baviera, 2021, Rn. 1 ss.; R. Lemke, op. cit., 2064 ss.; B. Brückner, op. cit., Rn. 1 ss. e specialmente 73 nonché 77. Lo stesso può dirsi anche per il diritto francese, ove pure come sappiamo continua a mancare una specifica disciplina civilistica sulle immissioni: v., per esempio, P. Malaurie, L. Aynés, M. Julienne, op. cit., 365 ss.; L. Andreu e N. Thomassin, op. cit., 152 ss.; N. Reboul-Maupin, op. cit., 381 ss.
[124] Su una simile linea di pensiero, v. tra gli altri M. Paradiso, op. cit., 169, secondo cui il livello della normale tollerabilità «tenderà comunque ad abbassarsi quando sia in gioco la salute delle persone»; G. Carapezza Figlia, op. ult. cit., 851: «pur senza estendere in modo forzato l’ambito applicativo dell’art. 844 cod. civ., non va esclusa l’attitudine della salute, quale valore che ha rilievo anche nei rapporti intersoggettivi fra privati, a “colorare” la definizione sia del contenuto della normale tollerabilità (comma 1) sia del contemperamento fra esigenze della produzione e ragioni della proprietà (comma 2°), conformandoli alla realizzazione di interessi di natura personale».
[125] Sul punto, v., per esempio, C. Salvi, Proprietà e possesso, cit., 95. Tra gli altri, v. anche U. Mattei, op. ult. cit., 334, il quale, rilevato che «contano soltanto i valori medi e non quelli idiosincratici del proprietario immesso», sottolinea che ciò «fa parte del common core dei sistemi giuridici moderni».
[126] V., tra i tanti, A. Frignani, voce Inibitoria (azione), in Enc. dir., XXI, Milano, 1971, 573 ss.; S. Patti, op. ult. cit., 292 s.; A. Procida Mirabelli di Lauro, op. cit., 436 s.; C.M. Bianca, Diritto civile, 6, La proprietà, II ed., cit., 169, nt. 55.
[127] V. assai chiaramente C.M. Bianca, Diritto civile, 5, La responsabilità, III ed., cit., 756 s., il quale, pur segnalando come la questione sia controversa, conclude assai più ampiamente che «la legittimità del rimedio dell’inibitoria ha base propriamente nella nozione dell’illecito quale violazione del dovere di non arrecare danno ingiusto (dovere già violato nel porre in essere una fattispecie idonea a produrre il danno). Ne consegue che l’inibitoria non ha bisogno di essere di volta in volta prevista da specifiche disposizioni normative, poiché il giudice può sempre imporre l’osservanza di ciò che è già imposto dalla legge, convertendone il precetto astratto in precetto concreto rivolto alle parti»; nonché A. D’Adda, op. cit., 77, il quale fa leva sul «principio di effettività delle posizioni soggettive riconosciute dal nostro ordinamento ed altrimenti destinate a rimanere prive di tutela».
[128] Senza invocare qualsivoglia interpretazione costituzionalmente orientata, anche A. Gambaro, op. cit., 278 s. sostiene che le attività produttivistiche di cui all’art. 844 cod. civ., dovrebbero essere intese in senso non strettamente industriale ma ampio, cioè senza escludere «attività ricreative, o educative, o altro», già solo in quanto «le attività manifatturiere sono state solo l’occasione storica del ripensamento della disciplina delle immissioni, ma non integrano la ratio della disciplina».
[129] Altro esempio interessante è quello delle attività sportive, su cui v. Cass., 31 gennaio 2006, n. 2166, in Giust. civ., 2007, I, 459 ss. (con nota critica di M. Costanza, Evoluzioni ed involuzioni giurisprudenziali in tema di immissioni), ove vengono in rilievo le attività ricreative e appunto sportive finalizzate a favorire l’aggregazione dei giovani presso una struttura parrocchiale.
[130] V. di recente Cass., 23 febbraio 2021, n. 4836, in Riv. not., 2021, 751 s., con nota di G. Musolino, Proprietà e enti ecclesiastici. Aspetti della disciplina civile.
[131] Su un simile caso, v. da ultimo Trib. Palermo, ord. 17 febbraio 2021, in Nuova giur. civ. comm., 2021, II, 854 ss., secondo cui «il giudice, nell’interpretazione dell’art. 844 cod. civ., è tenuto a dare rilievo alla meritevolezza di tutela dell’attività svolta nel fondo dal quale provengono le immissioni, qualora essa, priva di scopo lucrativo, non mira a soddisfare interessi egoistici individuali o di gruppo, ma nel segno del principio di sussidiarietà orizzontale, persegue obiettivi di solidarietà sociale». V. anche il commento persuasivamente adesivo di G. Carapezza Figlia, Disciplina delle immissioni e interpretazione sistematica. Un caso di bilanciamento tra interessi non patrimoniali in conflitto, cit. V. pure Pret. Mantova, Sez. st. Castiglione delle Stiviere, ord. 16 agosto 1991, in Giur. it., 1993, I, c. 40 ss. (con nota critica di D. Carusi, Immissioni acustiche, diritto alla salute e libertà costituzionali), ove si afferma una interpretazione estensiva dell’art. 844, comma 2, cod. civ., diretta a effettuare «un equo contemperamento tra le ragioni della proprietà e le esigenze della vita religiosa».
[132] Critica la tesi secondo cui ogni attività lesiva del diritto alla salute dovrebbe essere senz’altro inibita anche U. Mattei, op. ult. cit., 341 s., evidenziando, tra l’altro, il suo eseguente esito applicativo irragionevole (collegato pure alla tendenziale irrilevanza del criterio del preuso, su cui v. supra, nt. 83): «chi compra un alloggio vicino ad un aeroporto, o nei pressi di uno stabilimento industriale, paga un prezzo basso, che sconta la rumorosità della zona. Egli può, comunque, inibire l’attività aeroportuale od industriale, se il rumore supera la soglia» fissata dalla disciplina pubblicistica (profilo quest’ultimo su cui torneremo infra nel testo, par. xii).
[133] Come acutamente sottolineato – sia pure nell’ambito di un ragionamento in parte diverso da quello elaborato in questa sede – da A. Gambaro, op. cit., 282, qualora nella nostra materia si configuri un risarcimento del danno, non dovrebbe escludersi l’applicazione dell’art. 1227 cod. civ., («disposizione assai saggia che però viene alquanto trascurata»), così da imporre alla vittima della lesione di non aggravarla.
[134] V. in tal senso V. Casado Perez, C. Gomez Liguerre, op. cit., 1010: «finally, convergence has been prompted by the preeminent role of administrative regulation on nuisances that may affect a large number of estates: jurisdictions are converging toward highly complex nuisance regulations».
[135] V. al riguardo anche M. Vučković, op. cit., 708 s.
[136] V. Casado Perez, C. Gomez Liguerre, op. cit., 1004.
[137] V. A. Thier, op. cit., 97, il quale sottolinea come con questa modifica normativa «the strong influence of administrative law on civil neighbourhood also becomes clear», in quanto con essa «again, administrative law sets the conditions for the lawfulness of emissions in civil law too». Come sottolineato per esempio da B. Brückner, op. cit., Rn. 9 s., principale obiettivo del legislatore tedesco del 1994 era contenere i rimedi civilistici soprattutto contro impianti sportivi appunto estendendo l’ambito di applicazione dei relativi parametri di diritto amministrativo, in linea con una idea di «Harmonisierung von privatem und öffentlichem Recht» già variamente emersa nella precedente giurisprudenza tedesca. V. anche, amplius, R. Lemke, op. cit., 2066 s.
[138] Per quanto concerne la dottrina, si segnalano le lungimiranti riflessioni di G. Wagner, Wesentlichkeit gleich Erheblichkeit? Zur Harmonisierung von öffentlichem und privatem Nachbar– und Immissionsschutzrecht, in NJW– Neue juristische Wochenschrift, 1991, 3251, secondo cui «die Harmonisierung öffentlichrechtlicher und zivilrechtlicher Beurteilungsstandards im Nachbar– und Immissionsschutzrecht ist kein Selbstzweck. Ein unabweisbares Bedürfnis nach Identität der Wertungen besteht vor allem dann, wenn es um den Abwehr– bzw. Unterlassungsanspruch geht. Es wäre unerträglich, wenn Zivilgerichte daran gingen, durch verwaltungsrechtliche Fachgesetze gedeckte und in einem förmlichen Genehmigungsverfahren konzessionierte Anlagen unter Berufung auf §§ 1004, 906 BGB außer Betrieb zu setzen. […] Kein dringender Bedarf für eine Harmonisierung von öffentlichem Recht und Privatrecht besteht hingegen dort, wo Entscheidungen der Zivilgerichte den Anwendungs – und Wirkungsbereich des öffentlichen Rechts nicht tangieren. Diese Voraussetzung ist jedenfals erfüllt, wenn es nur um die Entschädigung für Beeinträchtigungen durch verwaltungsrechtskonforme Immissionen geht».
[139] Ove si prevedeva che, «Soweit die bestehenden Rechte zur Abwehr benachtheiligender Einwirkungen, welche von einem Grundstücke aus auf ein benachbartes Grundstück geübt werden, dem Eigenthümer oder Besitzer des letzteren eine Privatklage gewähren, kann diese Klage einer mit obrigkeitlicher Genehmigung errichteten gewerblichen Anlage gegenüber niemals auf Einstellung des Gewerbebetriebes, sondern nur auf Herstellung von Einrichtungen, welche die benachtheiligende Einwirkung ausschließen, oder, wo solche Einrichtungen unthunlich oder mit einem gehörigen Betriebe des Gewerbes unvereinbar sind, auf Schadloshaltung gerichtet werden».
[140] Per una simile lettura, v. A. Thier, op. cit., 95.
[141] Ai sensi del quale, «Auf Grund privatrechtlicher, nicht auf besonderen Titeln beruhender Ansprüche zur Abwehr benachteiligender Einwirkungen von einem Grundstück auf ein benachbartes Grundstück kann nicht die Einstellung des Betriebs einer Anlage verlangt werden, deren Genehmigung unanfechtbar ist; es können nur Vorkehrungen verlangt werden, die die benachteiligenden Wirkungen ausschließen. Soweit solche Vorkehrungen nach dem Stand der Technik nicht durchführbar oder wirtschaftlich nicht vertretbar sind, kann lediglich Schadensersatz verlangt werden».
[142] Per approfondimenti, v. A. Thier, op. cit., 96; nonché più di recente Casado Perez e C. Gomez Liguerre, op. cit., 1013.
[143] Per dettagliati riferimenti, v. B. Brückner, op. cit., Rn. 107 ss.
[144] Lo sottolinea, in dottrina, A. Thier, op. cit., 95 s., aggiungendo peraltro che «this jurisdictional case law praeter legem is strongly (and rightly) criticised, as it leads to a limitation of property without any legislative legitimation and therefore violates § 14 sect. 1, 2 GG».
[145] V. assai chiaramente in tal senso A. Thier, op. cit., 103 s., ove si segnala altresì una tendenza a giustificare le immissioni attraverso l’applicazione del § 906 BGB addirittura nella materia specialmente regolata della responsabilità oggettiva ambientale.
[146] Volendo scendere più nel dettaglio, non mancano in realtà punti di vista diversi e accesi dibattiti, che non sarebbe peraltro utile approfondire per l’indagine orientata soprattutto al diritto italiano che si intende compiere in questa sede. V. amplius A. Thier, op. cit., 98 ss., il quale, dopo avere illustrato un assetto ancora sotto vari profili in fase di evoluzione, conclude che «the increasing importance of environmental protection and the resultant development towards a strengthening of administrative power to enforce it could strengthen the impact of administrative law in the area of neighbour conflicts too. As civil law does not provide effective legal remedies for the prevention or even compensation of environmental damages, a development towards an administration-based neighbourhood law is not unlikely. As a consequence, it could happen that the concept of fault liability loses more ground against the concept of denial damage».
[147] Per una simile sintesi, v. A. Thier, op. cit., 104; nonché, più di recente, V. Casado Perez, C. Gomez Liguerre, op. cit., 1013 s.
[148] V. amplius V. Casado Perez, C. Gomez Liguerre, op. cit., 1018 s.
[149] P. Malaurie, L. Aynés, M. Julienne, op. cit., 370, ove si sottolinea anche che «le juge a un grand pouvoir en la matière».
[150] V. sempre P. Malaurie, L. Aynés, M. Julienne, op. cit., 368 e 370, ove lo stato dell’arte giurisprudenziale è così sintetizzato: «la séparation des pouvoirs empêche le juge judiciaire d’interdire une activité, même préjudiciable aux voisins, que l’administration a permise; mais il peut ordonner des travaux d’aménagement et la fermeture provisoire de l’établissement jusqu’à l’achévement de ces travaux. Il peut aussi condamner à des dommages-intérêts l’auteur du trouble anormal. Le juge administratif peut annuler l’autorisation administrative si elle est irrégulière»; nonché L. Andreu, N. Thomassin, op. cit., 161. V. anche l’utile schematizzazione e gli approfondimenti di N. Reboul-Maupin, op. cit., 383, 407 ss. e 418 s.
[151] V. al riguardo V. Casado Perez, C. Gomez Liguerre, op. cit., 1010 e 1021; nonché, in lingua italiana, U. Mattei, op. ult. cit., 334 ss.
[152] Cfr. L. Andreu, N. Thomassin, op. cit., 165.
[153] Per una simile ricostruzione, v. J. Gordley, op. ult. cit., 74 s. e 80 s., ove si sottolinea altresì come il risultato finale dell’applicazione di tale disciplina sia che «an abnormal interference continues indefinitely» e anche come ciò sia giustificabile nella prospettiva del raggiungimento di «one of the goals of land use regulation: to allow a person to know in advance how he may use his land». Nella dottrina francese, v. tra gli altri N. Reboul-Maupin, op. cit., 420 s., secondo cui può concludersi che «celui qui s’installe près d’une source de nuisance ne saurait donc s’en plaindre sauf s’il l’ignorait. Premier installé, premier servi… demeure d’actualité»; nonché P. Malaurie, L. Aynés, M. Julienne, op. cit., 368, i quali evidenziano anche come l’immunità in discorso sia interpretata restrittivamente dalla giurisprudenza, aggiungendo altresì, con più generale riguardo alla rilevanza di eventuali autorizzazioni amministrative alle attività immissive, che – sebbene la Cour de cassation abbia più volte affermato un principio di segno opposto – «il arrive cependant aux juges, pour refuser d’indemniser celui qui se prétend victime d’un trouble anormal, de relever que l’activité en cause est exercée en conformité avec les normes qui la régissent».
[154] Per riferimenti anche ad altri progetti francesi e specialmente all’avant-projet de réforme du droit des biens del 2008, v. N. Reboul-Maupin, op. cit., 1 s., 381, 390 ss. e 446 s.
[155] Per ciò che qui più interessa, il comma 5 di tale articolo stabilisce espressamente: «However, a person is not accountable for the causation of damage under this Article if that person: (a) does not keep the substance or operate the installation for purposes related to that person’s trade, business or profession; or (b) shows that there was no failure to comply with statutory standards of control of the substance or management of the installation».
[156] V. amplius V. Casado Perez, C. Gomez Liguerre, op. cit., 1023 s.
[157] Ed eventualmente dei conduttori, i quali ove presenti complicano il quadro: per un interessante studio comparatistico sulla questione, v. M. Vols, M. Kiehl, Balancing tenants’ rights while addressing neighbour nuisance in Switzerland, Germany and the Netherlands, in European Property Law Journal – EPLJ, 2/2015, 85 ss.
[158] V. soprattutto J. Gordley, op. ult. cit., 78 ss.; nonché A. Thier, op. cit., 106.
[159] Abbiamo veduto poco sopra nel testo che una significativa eccezione – ricorrendo i presupposti della quale l’immesso, qualora l’attività che lo disturba sia stata autorizzata e continui a essere svolta secondo le regole del diritto pubblico, perde pure il diritto a una soddisfazione pecuniaria – è presente nel Code de la construction et de l’habitation francese. V. amplius J. Gordley, op. ult. cit., 81 ss., ove anche altre eccezioni di tal fatta presenti nel diritto francese sono esaminate e criticate sulla base dell’idea che, «if a burden is being imposed on one person to further the private interests of others, it is only fair to compensate the person who is burdened».
[160] Per una simile sintesi della tendenza che pare attualmente dominante a livello internazionale, v. V. Casado Perez e C. Gomez Liguerre, op. cit., 1020 s. e 1028 s.
[161] Per queste riflessioni, v. ancora V. Casado Perez, C. Gomez Liguerre, op. cit., 1008 s.
[162] Così V. Casado Perez, C. Gomez Liguerre, op. cit., 1025.
[163] Sulla normativa di recepimento italiana, v. supra, nt. 113.
[164] Sulle prospettive future del diritto privato europeo in argomento, v. A.F. Uricchio, The Future of European Environmental Policy in Appreciation of German Federal Constitutional Jurisprudence, in The Italian Law Journal, 2022, 327 ss.; nonché M. Renna, op. cit., 560 ss., il quale si sofferma in particolare sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità e che modifica la direttiva (UE) 2019/1937 – COM/2022/71 final.
[165] V. in tal senso V. Casado Perez, C. Gomez Liguerre, op. cit., 1026.
[166] V., tra gli altri, A. Procida Mirabelli di Lauro, op. cit., 111 s.: «se dell’ordinamento si ha una concezione unitaria, un’attività immissiva pubblicisticamente illecita non può mai determinare un evento privatisticamente lecito».
[167] In giurisprudenza v., tra le tante altre, Cass., ord. 6 febbraio 2020, n. 2757, in One legale; Cass., ord. 11 marzo 2019, n. 6906, cit.; Cass., 31 agosto 2018, n. 21504, cit.; Cass., 18 gennaio 2017, n. 1069, in One legale; Cass., 29 ottobre 2015, n. 22105, in One legale. In dottrina, nello stesso senso, v. per esempio A. Trabucchi, op. cit., 788; G.G. D’Angelo, op. cit., 441 s.; R. Picaro, op. cit., 271 ss.; nonché M.R. Maugeri, op. ult. cit., 207 s., la quale con riguardo alla disciplina generale di cui all’art. 844 cod. civ. (non anche con riguardo a quella particolare sulle immissioni acustiche di cui all’art. 6-ter del d.l. n. 208 del 2008, sulla quale torneremo tra breve nel testo) osserva come «la violazione o meno dei limiti pubblicistici non incida in alcun modo sull’interpretazione e sull’applicazione» del comma 1 ma anche come per il comma 2 valga «il principio generale che impone di attribuire rilevanza alle esigenze della produzione solo nella misura in cui queste rispettino le discipline di settore», principio questo che peraltro non imporrebbe di giungere alla medesima soluzione sancita dal § 14 del Bundesimmissionsschutzgesetz (sul quale ci siamo già soffermati in precedenza nel testo, par. x) e che cioè non escluderebbe in Italia una tutela eventualmente (salva approfondita argomentazione del giudice che la conceda alla luce dell’insieme dei valori protetti dal nostro ordinamento giuridico) anche inibitoria in favore del vicino di uno stabilimento industriale sia pure autorizzato a svolgere la sua attività immissiva risultante altresì rispettosa di tutte le discipline pubblicistiche.
Sebbene la tendenza sempre più dominante a livello internazionale, come abbiamo verificato in precedenza nel testo, sia di segno diverso, un approccio simile a quello italiano sembra presente nella giurisprudenza spagnola, come evidenziato criticamente da V. Casado Perez, C. Gomez Liguerre, op. cit., 1016 ss., ove si chiarisce altresì che pure in Olanda non sono decisivi i parametri pubblicistici, essendo in quel Paese consentito alla giurisprudenza andare oltre gli stessi sulla base di valutazioni flessibili.
[168] Lascia intendere di ragionare in questo modo, tra gli altri, C.M. Bianca, op. ult. cit., 164.
[169] D. 1.1.1-2 (Ulp. 1 inst.). In dottrina, v. tra gli altri F. Vallocchia, Qualche riflessione su publicum-privatum in diritto romano, in Riv. it. sc. giur., 7/2016, 415 ss., il quale ragiona del rapporto tra pubblico e privato in diritto romano come di «una storia fatta di partizione e di differenze, ma anche di costanti intrecci e di comuni basi».
[170] V., tra i tanti, M. Giorgianni, Il diritto privato ed i suoi attuali confini, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1961, 391, la cui riflessione significativamente iniziava con la constatazione della «sempre più spiccata presenza dei poteri pubblici nella vita economica dei popoli»; P. Sirena, Diritto privato e diritto pubblico in una società basata sulle libertà individuali, in Riv. dir. civ., 2017, 101 ss.; A. Zoppini, op. cit., 239, il quale si chiede «perché […] l’interrogativo sulla distinzione tra pubblico e privato sia divenuto oggi così attuale e stringente; perché la letteratura giuridica europea dedichi al tema riflessioni sempre più insistenti, quasi che i confini tra pubblico e privato siano oggi resi labili, evanescenti, non più riconoscibili», e conclude per ciò che qui più interessa –246 s. – che «il diritto pubblico e il diritto privato appaiono non (più) in rapporto di necessaria alternativa, quanto piuttosto configurano sistemi di regole tra loro “reciprocamente interscambiabili”, che talora condividono la medesima missione sul piano regolatorio, ma espongono modalità operative e una dinamica effettuale rilevantemente diverse. Gli è che, ad esempio, il ritrarsi della proprietà pubblica per effetto delle privatizzazioni dei monopoli legali non fa parimenti diminuire, ma semmai incrementa la regolazione delle attività private ed estende la panoplia degli strumenti di tutela che il diritto privato offre a presidio di interessi generali. Alla Entstaatlichung dell’iniziativa economica pubblica si accompagna una Verstaatlichung delle attività private»; nonché A. di Majo, op. cit., 789, ove si ragiona di «una sorta di strisciante “amministrativizzazione” del diritto civile». Da ultimo, v. altresì G. Vecchio, Le istituzioni della sussidiarietà. Oltre la distinzione tra pubblico e privato, Napoli, 2022, 21 ss., in generale e quindi con un approfondimento sul terzo settore; M. Franzoni, La responsabilità civile fra sostenibilità e controllo delle attività umane, in Danno e resp., 2022, 11 s., con particolare attenzione per l’evoluzione della responsabilità civile; nonché G. De Cristofaro, Legislazione italiana e contratti dei consumatori nel 2022: l’anno della svolta. Verso un diritto “pubblico” dei (contratti dei) consumatori?, in Nuove leggi civ. com., 2022, 1 ss., con specifico riguardo ai rapporti di consumo.
[171] In favore della crescente valorizzazione, anche con riferimento all’art. 844 cod. civ., di «controlli e rimedi di diritto pubblico», v. pure P. Trimarchi, Responsabilità civile punitiva?, in Riv. dir. civ., 2020, 720. V. inoltre, con particolare riguardo al diritto tedesco, A. Thier, op. cit., 106.
[172] Su una simile linea di pensiero, v. M.R. Maugeri, Violazione delle norme contro l’inquinamento ambientale e tutela inibitoria, cit., 286.
[173] V. per esempio C.M. Bianca, Diritto civile, 6, La proprietà, II ed., cit., 168.
[174] Sostanzialmente in tal senso, in prospettiva di analisi economica del diritto, v. tra i tanti G. Calabresi, A.D. Melamed, op. cit., 522 ss.
[175] Sottolineano l’importanza di questo profilo e come la sua incidenza sulla disciplina privatistica delle immissioni rimanga da approfondire V. Casado Perez, C. Gomez Liguerre, op. cit., 1021.
[176] Per un simile ragionamento, v. ancora V. Casado Perez, C. Gomez Liguerre, op. cit., 1004 s.
[177] In favore di una simile ampia discrezionalità, v. peraltro U. Mattei, op. ult. cit., 328 ss. e 337 s.; M.W. Monterossi, op. cit., 3, 5 e 40; nonché R.A. Albanese, op. cit., 8 e 20, ove si ragiona di un «meccanismo duttile e decentrato di ripartizione e governo di sfere proprietarie contigue» di competenza del giudice civile cui sarebbe attribuito un potere conformativo della proprietà diretto a risolvere problemi di esternalità negative, nonché di «una zona grigia, nella quale, ai fini del decidere, più che la nettezza delle distinzioni concettuali contano forse i concreti aspetti operativi». Si tratta di letture sovente condotte in prospettiva di analisi economica del diritto (al riguardo, rimane un punto di riferimento U. Mattei, Tutela inibitoria e tutela risarcitoria. Contributo alla teoria dei diritti sui beni, cit., specialmente 345 ss.), secondo cui l’art. 844 cod. civ., integrerebbe uno strumento di gestione ed eventualmente internalizzazione di esternalità negative, nell’applicazione del quale occorrerebbe pertanto confrontare le disutilità patite dall’immesso con i costi da sopportare per ridurre o far cessare le immissioni. Una impostazione di tal fatta, per quanto interessante e utile per la comprensione di esperienze giuridiche di common law e per il confronto con esse, non risulta però perfettamente in linea con il diverso assetto del nostro ordinamento giuridico, nel quale, in ogni caso, non è divenuta dominante: tra i tanti, v. assai chiaramente C.M. Bianca, Diritto civile, 1, La norma giuridica – I soggetti, 2a ed., Milano, 2002: «le scienze economiche si occupano […] dei fenomeni sociali in quanto determinati dall’interesse economico. La scienza giuridica si occupa invece della disciplina coercitiva che tali fenomeni ricevono da parte e nell’ambito dell’organizzazione sociale»; nonché G. Perlingieri, op. cit., 158, il quale evidenzia la «forza normativa della legalità costituzionale, la quale è una legalità distante dall’analisi economica del diritto». Un’ampia discrezionalità del giudice ai sensi dell’art. 844 cod. civ., è in ogni caso affermata, peraltro in prospettiva almeno in parte critica, anche da V. Lojacono, op. cit., 170 s., secondo cui «la soluzione legale, che è soluzione di compromesso, se dal punto di vista teorico appare ineccepibile, si rivela tuttavia spesso sul piano pratico poco soddisfacente, poiché l’ampiezza e la molteplicità dei criteri di cui all’art. 844 nonché la loro reciproca influenza consentono assai spesso al giudice una così ampia autonomia di valutazione, da far ritenere per una stessa fattispecie tutte giuridicamente non infondate decisioni sostanzialmente diverse».
[178] Liberamente accessibile alla pagina web https://italiadomani.gov.it.
[179] PNRR, 56 s.
[180] C. Salvi, op. ult. cit., 95.
[181] M.R. Maugeri, Immissioni acustiche, normale tollerabilità e normative di settore: la nuova disciplina, cit., 204 e 209, ove si ragiona di «norme […] pensate in fretta e male e scritte peggio».
[182] Per una interpretazione assai interessante (anche perché in linea con la fase evolutiva a livello internazionale su cui ci siamo soffermati supra, par. xi), v. M.R. Maugeri, op. ult. cit., 211, secondo la quale la disposizione in esame inciderebbe sul comma 2 dell’art. 844 cod. civ., escludendo, in presenza di immissioni pubblicisticamente lecite, il rimedio dell’inibitoria (sembra doversi intendere, negativa), anche se ciò varrebbe per le sole immissioni di rumore, con la conseguenza che sorgerebbe il dubbio dell’incostituzionalità l’art. 6-ter per violazione degli artt. 3 e 42 Cost. e sarebbe in ogni caso «opportuno che il legislatore intervenisse nuovamente sul punto al fine di evitare così plateali distonie del sistema».
[183] Corte cost., ord. 24 marzo 2011, n. 103, cit. Nella giurisprudenza di legittimità, v., tra le altre, Cass., 16 ottobre 2015, n. 20927, in Nuova giur. civ. comm., 2016, I, 554 ss. (con nota di C.M. Scalia, Le immissioni di rumore: superamento della normale tollerabilità e danno risarcibile). V. anche, in dottrina, C.M. Bianca, Diritto civile, 6, La proprietà, II ed., cit., 164; R. Petruso, op. cit., 556 s.
[184] C. Salvi, ibidem.
[185] V. supra, nt. 167.
[186] Basti pensare alla responsabilità del medico dipendente che il legislatore voleva, in superamento dell’orientamento giurisprudenziale che la configurava come da contatto sociale qualificato riconducibile all’art. 1218 c.c., far tornare a essere extracontrattuale già con la c.d. legge Balduzzi (d.l. 13 settembre 2012, n. 158, convertito con la l. 8 novembre 2012, n. 189), obiettivo questo per il raggiungimento del quale si è però reso necessario un ulteriore intervento normativo, la c.d. legge Gelli-Bianco (l. 8 marzo 2017, n. 24). In argomento, v. per tutti M. Faccioli, La natura della responsabilità del medico dipendente nel dialogo fra legge, dottrina e giurisprudenza, in Liber amicorum per Giuseppe Vettori, cit., 1043 ss.
[187] Cfr., tra i tanti, C. Salvi, Le immissioni industriali. Rapporti di vicinato e tutela dell’ambiente, cit., 387, ove si condivide la diffusa idea della configurabilità di immissioni «illecite, e quindi da inibire nella forma dell’ordine di cessazione dell’attività, o dell’adozione di particolari modalità o misure tecniche», parlandosi, rispettivamente, di inibitoria «negativa» e di inibitoria «positiva».
[188] Cfr. A. Procida Mirabelli di Lauro, op. cit., 284 ss., il quale, peraltro prendendo le mosse da una lettura unitaria e non dicotomica dell’art. 844 cod. civ., (v. supra, nt. 87), non ritiene possibile ragionare di immissioni eccedenti la normale tollerabilità ma considerate lecite in base alla teoria dell’atto lecito dannoso, concludendo che «l’immissione intollerabile è sempre illecita, il danno deve essere risarcito per intero e l’attività che provoca l’influenza, poiché viola comunque una regola di condotta, può essere eventualmente inibita». Cfr. altresì A. Gambaro, op. cit., 279, il quale, a proposito della distinzione dal «danno risarcibile» di «un indennizzo da calcolarsi in qualche misteriosa maniera purché diversamente dal risarcimento (effetto di trascinamento delle storture che si andavano accumulando in tema di espropriazione per p.u.)», parla senz’altro di una «erronea idea».
[189] In questa prospettiva, per esempio R. Petruso, op. cit., 552, classifica «la prassi indennitaria ed il risarcimento del danno» come rientranti entrambi nella categoria dei «rimedi a carattere risarcitorio».
[190] Di recente, v. A. Nervi, Dalla disciplina delle emissioni inquinanti al ruolo del diritto privato nella tutela ambientale. Appunti per una ricerca, in Liber amicorum per Giuseppe Vettori, cit., 2584, il quale sottolinea proprio che, anche dal punto di vista del diritto privato, il problema dell’inquinamento, per la sua portata, necessiterebbe di essere affrontato con atti normativi sovranazionali.